chasing_medea: (Default)
2020-02-29 11:39 pm

something just like this

Titolo: something just like this
Fandom: Haikyuu
Prompt/missione: M1 - spokon
Parole: 1800
Rating: safe

Trasferirsi a Tokyo non era stato facile, ma se voleva avere una qualche possibilità di sfondare nel mondo del professionismo doveva ingoiare il rospo, affrontare le sue paure e lasciare casa.
Quello che lo spaventava più di ogni altra cosa era l’idea di essere da solo. Prima del liceo, prima del Karasuno, Kageyama non aveva mai avuto paura della solitudine, ma adesso aveva imparato cosa volesse dire avere degli amici, cosa volesse dire non essere solo e l’idea di tornare ad esserlo lo terrorizzava. Avrebbe dovuto farsi dei nuovi amici, ma non era sicuro di esserne in grado. Dopotutto al Karasuno, avevano fatto tutto loro, Kageyama si era solo ritrovato coinvolto in quella grande famiglia che, per qualche assurdo motivo, lo aveva preso in simpatia indipendentemente dal suo talento in quanto alzatore e avevano deciso che no, Kageyama non doveva essere solo, loro sarebbero stati con lui, e Kageyama si era ritrovato a soprendersi del fatto che veramente lo volessero lì, che non si limitassero a sopportare la sua presenza.
Era stato uno shock e il pensiero di dover ricominciare tutto da capo lo terrorizzava. Avrebbe dovuto fare lui il primo passo? E come diavolo si faceva a farlo?
"Ka" Kageyama!", lo chiamo un’ansimante Yachi mentre correva nella sua direzione.
Kageyama si fermò e aspettò che la ragazza lo raggiungesse. Non era una nuova occorrenza, per loro, incontrarsi sulla strada per gli allenamenti mattutini.
"Yachi, buongiorno", la salutò quando lo ebbe raggiunto.
"E-Ehi! Devo dirti una cosa!”
Kageyama aspettò in silenzio che la ragazza continuasse.
"Mi hanno presa! Mi hanno presa a Tokyo!".
Kageyama spalancò gli occhi sentì qualcosa assestarsi dentro di lui al pensiero che comunque, in caso di bisogno, avrebbe avuto una faccia amica lì con lui.
"Congratulazioni", le disse con il solito tono piatto. “Ti avevo detto che ti avrebbero preso sicuramente ".
Aveva sempre avuto fiducia nelle abilità di grafica della sua amica – negli anni aveva tirato fuori dei poster meravigliosi per il club di volley – e sapeva che qualunque scuola, anche la più esclusiva, sarebbe stata fortunata ad averla tra i suoi ranghi, ma a quanto pare Yachi non aveva la stessa fiducia in sé stessa.
"Volevo chiederti una cosa, anche", aggiunse Yachi diventando improvvisamente tutta rossa.
" Dimmi –, le rispose Kageyama calmo.
"Ecco, stavo pensando. La mia università e la tua sono piuttosto vicine e, insomma, l’idea di andare a vivere da sola mi innervosisce e anche l’idea di abitare al campus e.. ecco, insomma…"
Kageyama ascoltò pazientemente, aveva imparato negli anni che, con i suoi tempi, Yachi arrivava sempre al punto e che bisognava solo avere un po’ di pazienza, sollecitarla l’avrebbe fatta solo impallare ancora di più.
"Potremmo dividere un appartamento!", sputò infine fuori la ragazza con tutto il fiato che aveva in gola, quasi per togliersi definitivamente il pensiero.
Kageyama si mise a rifletterci per un attimo. Avrebbe comunque dovuto avere dei coinquilini o una camera nel dormitorio, e almeno Yachi già sapeva come era fatto, sapeva come prenderlo. E l’idea di tornare la sera a casa e trovare una faccia amica era piacevole.
"Volentieri", disse infine.
Yachi spalancò gli occhi, le brillavano. – Oh, meno male! Almeno so di non essere sola e, beh, tu già sai come mi agito facilmente e ".
"Sì, lo capisco", la interruppe Kageyama.

Finirono di portare su l’ultimo scatolone e crollarono entrambi per terra sul pavimento della loro casa. Il mobilio era il minimo indispensabile, un angolo cottura, un divano e due camere da letto identiche, con un letto singolo all’occidentale, una scrivania ed un armadio. Kageyama aveva portato la maggior parte degli scatoloni, ma anche Yachi si era spinta al limite per fare la sua parte.
"Ordiniamo la pizza, stasera", disse Kageyama, sdraiato a stella sul pavimento e fissando il soffitto. L’idea di dover anche preparare qualcosa da mangiare lo uccideva.
"Io voglio il cinese", rispose Yachi, sdraiata accanto a lui nella stessa posizione.
"E cinese sia".
Yachi cercò rapidamente un cinese che consegnasse a domicilio nella loro zona e passò il telefono a Kageyama per ordinare. Odiava parlare al telefono, soprattutto con gli sconosciuti.
Kageyama si alzò da terra solo quando sentirono qualcuno bussare alla loro porta.
Aprì con il portafoglio in mano e si paralizzò.
Davanti a lui c’era il fattorino, un ragazzo più o meno della sua età, decisamente più basso di lui con disordinati capelli arancioni che uscivano da sotto il cappellino da baseball, aveva occhi grandi e castani e guardava Kageyama dal basso all’alto con un sorriso idiota sulla faccia.
"Ecco la tua cena", gli disse.
Kageyama era ancora immobile, con gli occhi sgranati e la bocca leggermente aperta.
"Kags, tutto bene?” lo raggiunse la voce di Yachi. Si avvicinò a lui, gli mise una mano sulla schiena e si affacciò da dietro le sue spalle. Ridacchiò piano e Kageyama si riscosse di colpo.
" Sì, ecco!” aprì il portafoglio e pagò la loro cena, e richiuse la porta di scatto.
Si accorse solo dopo di non aver preso le sue buste.
Aprì nuovamente la porta e vide il ragazzo che lottava per reprimere una risata mentre teneva la mano già tesa in avanti la sua busta. Kageyama la prese, rossissimo in viso, e chiuse nuovamente la porta, stavolta più lentamente.
Yachi, ancora accanto a lui, era rossa quanto lui per l’imbarazzo, ma allo stesso tempo non riusciva a smettere di ridere.
"Non. Una. Parola” la ammonì Kageyama puntandole contro il dito mentre poggiava la loro cena sul bancone della cucina e cominciava.
Mangiarono in silenzio la loro cena.
Sì, andare a vivere da solo a Tokyo non era così male se aveva qualcuno lì con lui.

Kageyama si iscrisse immediatamente alle attività del club di volley e cominciò a frequentare gli allenamenti. La squadra non era male, ma Kageyama riuscì rapidamente a scalare i ranghi con il suo talento e a entrare a far parte della squadra titolare.
Quel giorno avevano organizzato una partita amichevole con una squadra di un’altra università.
Kageyama era seduto sulla panchina della propria squadra, stava bevendo dalla sua borraccia dopo il riscaldamento.
"C’è Tobio! Ciao Tobio!”
Kageyama alzò immediatamente lo sguardo e si trovò a guardare dal basso all’alto Miya Atsumu. Non si vedevano dal ritiro dell’under 19 dell’estate precedente.
"Ti ho già detto di non chiamarmi così", rispose secco.
"Chi è Tobio?”, chiese improvvisamente una voce squillante dietro Atsumu. Da dietro le sue spalle spuntò una testa arancione che Kageyama aveva visto solo una volta. Immediatamente Kageyama divenne rosso fino alla punta dei capelli.
"Oh, tu sei Tobio!", disse allora il nuovo arrivato.
"K-Kageyama ", corresse, con la voce che tremava e ancora rossissimo in viso.
"Hinata", allungò la mano l’altro.
Kageyama la strinse.
Atsumu sembrava divertito. – Stai attento a questo qui ", disse Atsumu a Kageyama. – Potrà non sembrare, ma è il giocatore più pericoloso che potrai mai incontrare ", sorrise soddisfatto, come se fosse un suo risultato.
Kageyama si corrucciò e riportò il suo sguardo su Hinata.
“Sei basso” disse piatto.
Hinata raddrizzò la schiena e lo guardò, negli occhi bruciava la sfida.
“Ma posso saltare”
I due si allontanarono per andare a fare il loro riscaldamento.
Kageyama si interrogò sulle parole di Atsumu. Era veramente così pericoloso quel nanerottolo? O Atsumu lo stava solo ingannando per fargli abbassare la guardia sul resto della squadra?
Kageyama scosse la testa. Non poteva fare nulla se non giocare al meglio in ogni caso. Non aveva intenzione di perdere.
Vinsero la partita, ma dovettero faticare più di quanto avrebbero pensato.
Quei due insieme erano una forza della natura, Hinata non aveva mentito quando aveva detto che poteva saltare. Per tutta la partita aveva saltato da un lato all’altro del campo senza sosta e sembrava comunque il giocatore meno stanco alla fine dei tre set. Kageyama doveva ammettere di essere impressionato.
E i suoi salti, il modo in cui si muoveva in aria. Aveva qualcosa di magnetico. Kageyama sentì le dita fremere, aveva voglia di alzare per lui.
Si avvicinò a lui dopo la partita, non sapeva bene come approcciare qualcuno, ma doveva provarci.
"Tu. Perché non ti ho mai visto?” chiese a Hinata.
Ma doveva aver sbagliato qualcosa, perché Hinata immediatamente fece due passi indietro e alzò le mani in guardia. “Che c’è? Cerchi rogne?”
Kageyama cercò di distendere i muscoli del viso. Non era più il ragazzino totalmente incapace delle medie, poteva parlare con qualcuno, era migliorato negli anni, cercò di ricordarsi. Non era più un caso disperato completamente, poteva migliorare, ma aveva già fatto dei passi avanti. Kageyama sospirò e ricominciare.
" Non ti ho mai visto in nessun torneo, avresti potuto tranquillamente giocare in una squadra liceale –
"Ah", il volto si Hinata si rilassò. – Non ho frequentato il liceo in Giappone, sono tornato solo adesso per l’università ".
Kageyama annuì.
"Sei impressionante sul campo", gli disse poi Hinata. Glielo avevano detto molte volte, che faceva paura, Kageyama fece per abbassare lo sguardo, ma guardando Hinata si rese conto che lo aveva detto con gli occhi pieni di meraviglia, come se fosse il miglior complimento del mondo. E Kageyama arrossì di nuovo. Nessuno lo aveva mai complimentato così apertamente. Gli avevano detto tante cose, ma non aveva mai sentito pure ammirazione.
"Dovresti alzare per me qualche volta, voglio veramente provare a colpire una tua alzata ", Hinata gli sorrise di nuovo, luminoso.
E Kageyama si ritrovò a pensare che avrebbe fatto qualunque cosa per quel sorriso, gli avrebbe fatto tutte le alzare del mondo se fosse servito a qualcosa. Alla faccia di Atsumu, Hinata avrebbe adorato le sue alzate e non sarebbe più riuscito a tornare indietro. Sarebbe diventato lui l’alzatore ufficiale di quella piccola palla di energia. Sarebbe diventato il suo schiacciatore.
"Si può organizzare", concordò Kageyama.

Anni dopo Kageyama ancora non sapeva che cosa gli avesse dato la forza di fare quei pochi passi che separavano le due panchine per andare a parlare con Hinata, ma ogni volta che ci pensava si sentiva profondamente riconoscente nei confronti di sé stesso. Si sentiva orgoglioso di sé.
Kageyama si sistemò meglio la maglietta rossa della nazionale di pallavolo sulle spalle e si guardò allo specchio.
Hinata comparve nel riflesso accanto a lui, senza dire nulla. Si guardarono così, l’uno accanto all’altro, con quella maglietta rossa identica addosso.
"Ce l’abbiamo fatta", disse Kageyama.
Hinata annuì con decisione, lo sguardo determinato che Kageyama aveva imparato a riconoscere. Lo stesso che aveva avuto la prima e unica volta che Kageyama aveva osato dubitare delle sue capacità. Quello sguardo che aveva avvinghiato Kageyama sin dall’inizio.
Hinata allungò la mano, afferrò la maglietta di Kageyama e lo tirò verso di lui, facendolo abbassare. Si mise sulle punte e poggiò un piccolo bacio sulle labbra del suo partner, dentro e fuori dal campo.
"Andiamo a prenderci questa medaglia ".