brother

Mar. 21st, 2020 11:39 pm
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Titolo: brother
Fandom: Obey me
Missione: M3 - legame fraterno
Parole: 666
Rating: nsfw
Note: twincest

Belphie rientrò nella stanza dopo una giornata di lezioni. Era stanco, ma non aveva sonno quel giorno. Aveva altre voglie, in un certo senso. Erano un po' di giorni che, tra lezioni e altro, rientrava a casa la sera troppo stanco anche per concedersi quel po' di piacere - non aveva idea di come facessero gli umani a sopportare tutto quel trambusto tutti i giorni, lui si sentiva stanco al solo pensiero di doverlo rifare il giorno dopo. Quel giorno aveva finito prima le lezioni, era un venerdì sera e la mattina dopo avrebbe potuto dormire fino a tardi senza nessun pensiero. Sì, avrebbe anche dovuto studiare, ma lo poteva fare il pomeriggio. In quel momento era più interessato a godersi la serata. Si spogliò e si stese sul letto, rilassato sui cuscini, pronto a prendersi il suo tempo. Fece scendere una mano lungo il suo corpo, fino ad arrivare alla sua erezione che cominciava ad indurirsi. Ma il contatto sembrava blando, sarebbe stato come soddisfare una necessità fisica mentre quella sera voleva veramente godersela. Ciò di cui aveva veramente voglia era avere Beel lì con lui, sentire le sue mani più grandi contro di sè. Belphie aveva imparato molto tempo prima ad approfittare della voracità di Beel. Aveva capito che, per attirarlo da qualche parte, bastava inviargli la foto di qualcosa che gli piaceva anche nel pieno della notte e lui sarebbe venuto di corsa. Ora, il caso voleva che anche Belphie fosse tra le cose a cui Beel non riusciva mai a dire di no, almeno era quello che aveva scoperto quando una volta, per scherzo, gli aveva mandato una foto mentre stava disteso mezzo nudo nel caldo estivo tra le lenzuola di Beel invece che tra le sue. Beel si era precipitato in camera alla velocità della luce, senza neanche fermarsi a rimediare il cibo per cui era uscito. Inutile a dirsi che quella era stata una notte che, a mesi di distanza, spesso Belphie si divertiva ancora a ricordare quando era solo sotto la doccia.
Nel Devildom non aveva mai avuto molte occasioni per sfruttare quella scoperta, ma adesso si stava rivelando più utile di quanto avesse creduto originariamente. Dopo il caos della finta partenza, infatti, Belphie aveva deciso veramente di partire per trascorrere quell'anno sulla terra come exchange student e ogni tanto quella distanza diventava un po' pesante da sopportare.
Beel non era semplicissimo da convincere. si preoccupava che le eccessive visite avrebbero fatto arrabbiare Lucifer, ma Belphie era più che pronto a prendersi la responsabilità in quel caso - qualunque scusa era buona per far arrabbiare Lucifer. Quindi Belphie era stato costretto a imparare un metodo, ogni volta cominciava con dei messaggi suggestivi, poi mandava delle foto via via più rivelatrice, continuando a dire a Beel quanto avesse bisogno di lui, quanto sentisse la sua mancanza. Nelle - rare - occasioni in cui Beel si dimostrava irremovibile, Belphie otteneva comunque del sesso telefonico - e la voce di Beel eccitato era qualcosa che valeva veramente la pena sentire almeno una volta nella vita. Ma la maggior parte delle volte, come quella sera, Beel si materializza nella sua stanza, pronto a sfogare su di lui quella voracità insaziabile. Quella sera in particolare, Belphie sa di aver fatto giusto qualcosa, o forse Beel era semplicemente più dell'umore del solito, perchè è comparso lì nella sua forma da demone, vestito interamente di abiti neri e attillati, con le ali nere in bella mostra, le corna e i denti più aguzzi del solito - che Belphie non vede l'ora di avere su di sè. Beel è impulsivo a letto, è famelico e vorace, e Belphie non potrebbe desiderare nulla di diverso. Nonostante siano gemelli, Beel è fisicamente molto diverso da lui. Più grosso, più muscoloso, dove lui è sempre stato troppo pigro per fare qualcosa, ma questo non significa che non possa godersi i risultati che l'allenamento fisico da su Beel.
Passa la mani sui suoi addominali scolpiti, e Beel gli morde il collo.
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Titolo: Amantium irae amoris integratio est
Fandom: Haikyuu
Missione: M5 - Amantium irae amoris integratio est: le ire degli amanti rinnovano l’amore.
Parole: 222
Rating: safe

Hinata e Kageyama bisticciano di continuo, discutono su qualunque cosa e anche le loro discussioni pacifiche sembrano litigate alle orecchie altri, per il loro essere condite di insulti vari ed eventuali. In realtà, però, sono molto rare le occasioni in cui litigano veramente. Si conoscono da quasi dieci anni e le occasioni in cui hanno veramente litigato si possono contare sul palmo di una sola mano, la peggiore era stata circa un anno prima, quando Hinata aveva scoperto che Kageyama si era andato a leggere sul suo cellulare alcune conversazioni che Hinata aveva avuto con i suoi amici del Brasile. In quel caso Hinata era andato via di casa per qualche giorno, aveva chiesto asilo a Kenma nella sua casa fuori città e per qualche giorno aveva anche spento il cellulare. Si era interrogato a lungo su quella discussione con Kageyama in quell'occasione, era stata la prima volta in cui aveva messo veramente in discussione il loro rapporto, analizzandolo in ogni sfumatura e dettaglio. Sapeva che sul frangente relazioni Kageyama era piuttosto insicuro, non si sentiva un partner degno ed era soggetto ad avere crolli di quel tipo, che portavano a stupidaggini che portavano a discussioni. Ma la domanda principale che Hinata si era fatto era stata: ne vale la pena? E Hinata non aveva alcun dubbio sulla risposta a quella domanda.
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Titolo: Verba volant, scripta manent
Fandom: Percy Jackson
Missione: M5 - Verba volant, scripta manent
Parole: 2222
Rating: nsfw

Nico non odiava il suo lavoro; certo, l’arredamento della tavola calda sembrava uscito direttamente dagli anni ’50, il turno di pranzo era un incubo ed essere gentile con i clienti non era il suo forte, ma la paga era buona, gli lasciavano tenere le mance e aveva diritto al pranzo gratis – che per uno studente universitario fuori sede costantemente al verde non era sicuramente qualcosa da sottovalutare. Lavorava lì dal suo primo anno, quando si era trasferito da Washington a New York per frequentare il corso di arte all’università; per mettere qualcosa da parte aveva cominciato a cercare lavoro e la proprietaria di quel posto, una donna di mezza età che lo aveva ereditato dai suoi nonni, lo aveva preso con sé.
Nel complesso, sì, non odiava il suo lavoro. O almeno questo era quello che pensava quel giorno, quando ancora non erano cominciate le lezioni, studenti e professori non avevano ancora ricominciato a dare l’assalto al locale e durante il turno di pranzo poteva ancora respirare. Quello che odiava erano i suoi amici, che, da quando aveva cominciato a lavorare, avevano eletto quel posto a ritrovo per il pranzo proprio per vederlo costretto a sorridere ai clienti e prenderlo in giro. Si avvicinò al loro tavolo.
«Nico! Stasera andiamo a bere!» gli urlò Percy esaltato, l’estate passata al mare gli aveva scurito ancora di più la pelle già scura: erano lontani i tempi in cui aveva avuto una cotta per lui, ma doveva oggettivamente riconoscere di comprendere come mai mezza facoltà di biologia avesse perso la testa per lui, che però aveva perso la testa per una bionda di architettura – ad oggi nessuno ancora sapeva come avesse fatto, alla fine, per farla cadere ai suoi piedi.
«Domani iniziano le lezioni» provò a ricordargli Annabeth, la sua ragazza.
«Proprio per questo! Non ci sarà ancora nessuno nei locali e i posti migliori saranno liberi!»
«Non mi sembra una buona idea» provò a intervenire Jason.
Sapevano tutti che quella discussione era inutile e che alla fine avrebbero comunque fatto come voleva Percy, ma era ancora il periodo dell’anno in cui provavano ad opporsi.
Nico fu il primo ad arrendersi: «Ditemi ora e posto». Ritornò al suo lavoro e li lasciò a discutere sui programmi della serata.

Finito il suo turno tornò al suo dormitorio e si fece una doccia prima di raggiungere gli altri in un piccolo pub non lontano dal campus che di solito era sempre pieno. Si ordinò una birra e si sedette con gli altri. Dopo qualche drink Piper e Jason pomiciavano in un angolo e Nico, guardandosi intorno, si rese conto di essere l’unico nel suo gruppo di amici a non avere nessuno: Annabeth e Percy erano praticamente inseparabili dal primo anno di università, Hazel – la sua sorellastra – e Frank alla fine dell’anno precedente avevano finalmente deciso di confessarsi e si erano messi insieme; persino Leo e Calypso, nonostante i loro continui battibecchi, potevano essere considerati una coppia stabile da quasi due anni. A Nico in genere non pesava la situazione, ma c’erano serate, come quella, in cui non poteva fare a meno di sentirsi un po’ solo: la sua ultima relazione stabile risaliva a prima di cominciare l’università, da allora aveva avuto parecchi flirt, ma nulla che durasse più di un paio di settimane e un po’ sentiva la mancanza di avere una persona accanto.
Ordinò un altro drink, e poi un altro ancora.

Come conseguenza la mattina dopo si svegliò tardi, perse la sua prima lezione e arrivò al suo turno senza essere minimamente pronto ad affrontare la giornata. Reyna, la sua collega, lo guardò comprensiva, ma venne solamente fulminata in risposta.
Con sua somma sorpresa, nonostante tutto, riuscì a portare a casa il turno senza incidenti. Quando andò a controllare il suo barattolo per le mance trovò un pezzetto di carta piegato in quattro con cura:

Lo sapevi che per sorridere si possono usare da 5 a 53 muscoli? E che anche forzare il sorriso può migliorare l’umore?

era scritto al suo interno con una calligrafia sottile e precisa.
Era forse un commento al suo turno? Non era veramente in giornata per scherzi del genere. A passo spedito si diresse verso il tavolo dove erano seduti i suoi amici: «Vi sembra divertente?», chiese sbattendo sul tavolo il biglietto. Gli altri lo guardarono incuriositi.
Annabeth si prese un attimo per leggere cosa ci fosse scritto sul foglio: «Nico, non è stato nessuno di noi».
Ci vollero alcuni minuti e numerosi interventi per riuscire a convincere il ragazzo; tornò al suo dormitorio stringendo ancora il foglietto nel pugno, pronto a strapparlo in mille pezzi e lanciarlo dalla finestra, ma alla fine lo distese e lo chiuse nel cassetto della sua scrivania.

Per una settimana Nico non pensò più all’incidente. Quel giorno era un turno abbastanza tranquillo – la ressa dell’ora di pranzo era passata e solo pochi studenti erano rimasti ai tavoli. Nico stava approfittando del momento tranquillo per portare avanti il suo progetto per il corso di disegno realistico sul blocco che gli aveva regalato Reyna, stanca di sostituire in continuazione i fazzoletti su cui di solito disegnava nei vari dispenser. Ispirandosi ad una mostra su Leonardo Da Vinci che aveva visto quell’estate in Italia aveva deciso di provare a riprodurre l’interno di un corpo umano. Il suo capo gli aveva anche consentito di scegliere la musica che risuonava nel locale quel giorno e Nico aveva scelto un disco dei Pearl Jam e disegnava muovendo la testa a ritmo e canticchiando tra sé.
Quando arrivò la fine del suo turno guardò come al solito nel suo barattolo; si sorprese a trovarci un altro biglietto. Si guardò intorno alla ricerca di qualche viso conosciuto, ma non vide nessuno – neanche i suoi amici avevano pranzato lì quel giorno. Aprì il foglietto con cautela, quasi temesse di vederlo esplodere:

I feti umani reagiscono alla musica rock con i calci.

Ancora non sapeva bene cosa significasse tutto quello, ma aveva un progetto da portare avanti e non aveva il tempo per preoccuparsene; tornato nel dormitorio mise quel biglietto insieme all’altro e tornò al suo blocco.
Passò così un altro mese, le temperature si abbassavano, gli impegni scolastici si facevano sempre più pressanti e occasionalmente Nico riceveva altri biglietti con le più assurde curiosità mediche che avesse mai letto: si era anche ritrovato a cercarle su internet una sera, solo per scoprire che, in effetti, erano tutte vere. Nico si ritrovava sempre più spesso di quanto avrebbe voluto (o dovuto) a fare le ore piccole per portare a termine qualche compito e quel giorno non era da meno: aveva passato l’intera notte in bianco ed era a malapena riuscito a rispettare la consegna quella mattina e adesso si ritrovava a bere la terza tazza di caffè nel corso del suo turno nella speranza di non addormentarsi nel tragitto dalla cucina ai tavoli.
Non si sorprese più di tanto quando trovò un altro biglietto:

Lo sai che si può avere un’overdose da caffè?
(servirebbe berne almeno un centinaio di tazze ma può comunque succedere)


Era il momento di affrontare la questione. Magari dopo una bella dormita, ma era arrivato il momento di capirci qualcosa.
Quello che fino a quel momento era riuscito a capire dai biglietti era che, chiunque fosse, sapeva il suo nome – probabilmente aveva letto la sua targhetta, quindi doveva essersi seduto ad un tavolo che lui aveva servito. Sapeva poi che, chiunque fosse, faceva attenzione a quello che faceva – dopotutto quel giorno aveva notato l’incremento dei suoi consumi di caffeina. Si chiese distrattamente se, chiunque fosse, fosse uno stalker e se avesse dovuto preoccuparsi invece che cercare di capirci qualcosa, ma accantonò rapidamente il pensiero.
Nico si rese anche conto che stava continuando a pensare al maschile: aveva dato per scontato che la calligrafia fosse di un uomo, ma se non fosse stato così?
E se fosse stato tutto uno scherzo? Gli continuava a sembrare improbabile dover considerare tutto quello che stava succedendo come una sorta di approccio. Sua sorella Hazel continuava a dirgli che aveva un look da bello e dannato, con i suoi indomabili capelli scuri, la pelle chiarissima e gli svariati piercing.
In ogni caso Nico doveva sapere: quella sera Nico elaborò un piano.
Il giorno dopo, non appena vide i suoi amici entrare nel locale, afferrò per un braccio Percy e Jason e li fece sedere al bancone: «D’ora in poi voi mangerete qui. Controllate chiunque metta qualcosa nel mio barattolo delle mance. Se qualcuno infila un biglietto non fate nulla, assolutamente nulla: non vi fate notare e senza fare cazzate me lo indicate. Tutto chiaro?».
I due annuirono perplessi e anche leggermente spaventati.
Alla fine del suo turno Nico trovò un altro biglietto: l’occhio umano può distinguere fino a 10 milioni di colori.
Che fosse anche questo un commento personale? Aveva forse visto i suoi colori in qualche modo?
I suoi amici cercarono di spiegargli chi avesse messo il biglietto, ma l’unico biondo con le lentiggini e dei cardigan discutibili che Nico aveva notato nel locale non poteva assolutamente essere lo stesso – sarebbe stato decisamente troppo per il povero cuore di Nico: quel ragazzo era veramente troppo bello e Nico si era incantato a guardarlo fin troppo spesso. Dai discorsi che aveva sentito doveva essere uno studente di medicina, avrebbe avuto senso. Ma non poteva assolutamente essere lui. O almeno di questo provò a convincersi.
Quando i suoi amici glielo indicarono in giro per il campus Nico entrò in una zona di paturnie mentali completamente nuova. Passò i suoi turni successivi a osservarlo nella speranza di non essere troppo evidente – la missione fallì, a giudicare dalle battute che cominciò a fargli Reyna.
Perché uno così doveva andare a mettere biglietti nel suo barattolo delle mance? Non aveva senso. Forse era uno scherzo studiato con i tizi con cui pranzava di solito? Nico non riusciva a capire.

Il sabato sera era in programma una grossa festa universitaria, l’anniversario della fondazione del campus, e i suoi amici le avevano provate tutte per convincerlo ad andare senza risultati. Finché non intervenne Piper: «Forse ci sarà anche il tuo biondino».
Nico fulminò con lo sguardo Jason e Percy: gli sembrava di essere stato abbastanza chiaro quando gli aveva detto che non avrebbero dovuto far parola con nessuno degli avvenimenti recenti, ma con quei due era sempre e solo fiato sprecato. E, gli scocciava ammetterlo, ma in fondo Piper non aveva tutti i torti – forse lo avrebbe incontrato, gli avrebbe potuto dire che questi stupidi scherzi non attaccavano e chiudere lì una volta per tutte la questione. Il pensiero di non ricevere più quei bigliettini, però, lo rendeva inspiegabilmente di cattivo umore. Alla fine, Nico si arrese e andò con gli altri alla festa. Con la giusta dose di alcol in corpo cominciò anche a ballare.
Non sapeva bene da quanto fossero lì quando Piper e Jason gli fecero cenno di guardarsi alle spalle; Nico vide il biondino che a malapena riusciva a togliersi dalla testa ultimamente.
Fece un cenno agli alti e andò nella sua direzione, camminò spedito verso di lui: «Tu!».
Era più alto di lui. E da vicino era ancora più bello. Sorrise a Nico – e oddio, non poteva avere anche le fossette! – e si presento: «Piacere, Will!».
«Perché?» gli chiese Nico.
«Non sapevo come parlarti» ammise l’altro, ma la musica era ripartita e per parlargli era stato costretto ad avvicinarsi al suo orecchio. Profumava di buono.
Senza pensare bene a quello che stava facendo Nico lo afferrò per il colletto della maglietta e lo baciò – sapeva di mela verde, qualche stupido cocktail probabilmente. L’altro ricambiò con entusiasmo. Nico gli morse le labbra e continuò a baciarlo spingendolo verso il bagno e richiudendo la porta del cunicolo alle loro spalle, lo aveva sbattuto contro la parete e senza troppe cerimonie si era inginocchiato per terra, troppo ubriaco per preoccuparsi di dove veramente fosse. L'altro provò a fermarlo, a ricordargli che aveva probabilmente bevuto troppo e che forse non era il caso di fare una cosa del genere, ma a Nico in quel momento non importava. Voleva togliersi tutta quella storia dal sistema, voleva togliersi quel ragazzo dal sistema, voleva tornare alla sua vita normale e non pensare più a lui, al suo sorriso, ai suoi capelli biondi o ai suoi adorabili biglietti. Qualunque storia fosse quella storia sarebbe finita lì, in quel bagno.

La mattina dopo Nico non riusciva a ricordare bene cosa fosse successo dopo essersi inginocchiato davanti all’altro. Probabilmente si era alzato e se ne era andato, come aveva sempre fatto. Gli faceva male tutto, gli faceva male la testa e le ginocchia e non riusciva a credere si essersi veramente inginocchiato in un bagno pubblico durante una festa universitaria. Avrebbe dovuto bruciare quei jeans ed erano anche i suoi preferiti.
Qualunque cosa fosse stato tutto quello ormai era finito, il biondo – Will, ricordò – aveva probabilmente avuto quello che voleva e lui avrebbe smesso di ricevere strani foglietti.
Quando quel lunedì tornò al lavoro era di umore pessimo – non aveva ancora pienamente ammesso a sé stesso di volerne ancora di quei biglietti.
Will non era con il suo solito gruppo.
Nico si sorprese quando, alla fine del suo turno, contro ogni aspettativa, trovò l’ennesimo biglietto:

Cena?
- Will 555-xxx
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Titolo: Non omnes eadem mirantur amantque
Fandom: Haikyuu
Missione: M5 - Non omnes eadem mirantur amantque
Parole: 222
Rating: safe

"La smetti di guardare ossessivamente quel telefono?", lo rimprovera sua sorella mentre mette in tavola la cena. "Sei venuto a trovare me, non per giocare con il telefono".
Kageyama chiude la cover del telefono, quella con una confezione di latte disegnata, gemella di quella che ha regalato a Hinata prima che partisse per il Brasile, ma lo lascia accanto a sè.
Inizia a mangiare il curry che sua sorella gli ha preparato. Ha sempre adorato la cucina di sua sorella, era il sapore della cucina di casa.
"Si può sapere che cosa aspetti con tanta ansia?", continuò la sorella.
"Hinata aveva un appuntamento e non mi ha ancora fatto sapere niente", risponde con la bocca ancora mezza piena.
"Ingoia prima di parlare", gli dice sua sorella con un'espressione disgustata, poi scuote la testa. "Ancora non capisco perchè non gli hai mai chiesto di uscire invece di stare qui a roderti"
"Tu hai lasciato la pallavolo per un ragazzo"
La sorella scoppia a ridere rumorosamente. "Io non ho lasciato la pallavolo per un ragazzo, l'ho lasciata per i capelli e adesso faccio la parrucchiera! Hai veramente rinunciato a lui per paura di dover lasciare la pallavolo? Pensi che te lo permetterebbe, tra l'altro?"
Kageyama spalanca gli occhi, colto da una improvvisa realizzazione. Si alza di scatto da tavola. Ha una chiamata da fare.

Ad horas

Mar. 21st, 2020 08:07 pm
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Titolo: Ad Horas
Fandom: Haikyuu
Missione: M5 - Ad Horas
Parole: 2222
Rating: safe

Insieme ad un paio di amici Kageyama percorre le strade buie, diretto ad una festa alla quale non dovrebbe andare. Il vestito elegante che ha preso in prestito gli sta leggermente stretto sulle spalle e leggermente corto sulle caviglie, facendogli risalire i brividi di freddo lungo tutto il corpo.
“Da questa parte”, gli fa cenno Kindaichi, guardando nella sua direzione da dietro la spalla. Svolta a destra, in una stradina talmente stretta che Kageyama non è sicuro di poterci passare, ma a lui e Kunimi non resta altra scelta se non seguirlo.
È stato Kindaichi a venire a sapere di quella festa e a trovare il modo di farli entrare, è stato sempre lui a trovare dove potessero affittare dei vestiti eleganti e tutto ciò che potesse servirgli per imbucarsi. Non era il loro ambiente, anzi, era quanto di più lontano dal loro ambiente potesse esistere, ma loro, cresciuti per strada, volevano vedere almeno una volta nella vita che cosa significasse appartenere ai ceti più alti, che cosa significasse fare la bella vita e mangiare tutte quelle cose prelibate che tante volte avevano aiutato a scaricare dalle navi che affollavano il porto per racimolare qualche spicciolo.
Camminano ancora un po’, Kageyama segue ciecamente Kunimi. Quella parte della città, i meandri dei quartieri alti, è totalmente sconosciuta per lui.
“Eccoci arrivati”, dice Kunimi, affacciandosi dietro un angolo.
Anche Kageyama si affaccia, vede una piccola via, in fondo vedono un cancello di ferro battuto leggermente aperto che da su un giardino, da cui provengono un brusio indistinto di rumori e la musica di un'orchestra in lontananza. Si ritira poi dietro l’angolo.
“Le maschere”, gli ricorda Kindaichi mentre indossa la sua.
Kageyama annuisce, slega la maschera dalla cinta e la indossa. Quelle è stato Kindaichi a procurarle. Lui e Kunimi indossano le loro maschere, una bianca e una rossa, coprono interamente la parte superiore del viso e hanno alcune piume che svettano sulla sinistra. Quella che ha scelto per Kageyama è la meno coprente delle tre. È composta solamente da ghirigori di ferro nero, il suo viso è quasi interamente scoperto. Kageyama aveva protestato quando l’aveva vista, per il timore di essere troppo scoperto in quel modo, che lo riconoscessero subito come non appartenente a quel mondo e non lo lasciassero entrare.
“Con quella faccia potresti entrare anche senza maschera”, gli aveva detto Kindaichi, ma Kageyama non era sicuro di che cosa volesse dire.
Ormai non c’era più tempo. O la va o la spacca, si disse.
Indossa la maschera e la lega dietro la testa, facendosi aiutare dagli altri per posizionarla nel modo giusto.
Svoltano l’angolo e si avvicinano al cancello. La guardia da una rapida occhiata ai loro abiti, Kageyama si stringe un po’ meglio nel mantello per nascondere la stoffa tirata che smascherava il vestito come non suo. La guardia si sposta di lato lasciandoli passare. Il giardino, davanti a loro, è illuminato da lampade di carta bianche sparse un po’ ovunque, che danno all’intero ambiente un atmosfera onirica, un tavolo colmo di bevande è su un lato. La musica dell’orchestra proviene dall’interno del palazzo, le cui porte erano state lasciate spalancate. Sparse ovunque per il giardino donne con larghe gonne e maschere sfarzose chiacchierano con uomini ben vestiti mentre sorseggiano vino da calici di cristallo, si coprono la mano con la bocca e si lasciano sfuggire acuti risolini civettuoli. Altrove uomini parla con tono serio tra di loro o sorseggiano vino ascoltando la musica che proviene dall’interno del palazzo.
I tre ragazzi si scambiano una rapida occhiata, poi decidono di entrare nel palazzo. Le porte sono in legno massiccio e scuro e riccamente intarsiate, ma nella penombra è praticamente impossibile capire che cosa rappresentino, a Kageyama sembra di distinguere solamente qualche fiore, ma non è troppo sicuro.
Poco oltre l’ingresso, un valletto si offre di prendere i loro mantelli e i tre glielo lasciano. Una volta dentro la musica è molto più forte, le pareti della sala sono decorate con affreschi dorati, grandi lampadari di cristallo pendono dal soffitto, sparse intorno alla stanza ci sono numerose sedie di legno lucido e con la seduta in lucida seta. Il centro della sala è interamente occupato da persone che ballano, alla musica si mescolano risate e rumore di calici che brindano e chiacchiere di sottofondo. I tre ragazzi rimangono fermi sulla porta per un momento, non sapendo come relazionarsi a quel mondo che non gli appartiene. Poi Kageyama nota in un angolo il tavolo del buffet: non ha alcuna intenzione di andarsene di lì senza aver assaggiato il cibo dei nobili. Kindaichi sembra più interessato a scoprire di che cosa parlino i nobili e Kunimi alle danze. I tre si dividono e Kageyama si dirige verso il tavolo del buffet.
Accatastati sul tavolo ci sono molte pietanze che Kageyama conosce, ma sono molte di più quelle a lui totalmente sconosciute. Viene attirato da una pietanza in particolare. Sembrano piccole tortine salate con lo strato esterno croccante.
“È un sartú di riso”, gli dice una voce alle sue spalle. “È riso con dentro varie cose. È un piatto che viene dal sud”.
Kageyama fa un cenno di ringraziamento con la testa senza neanche voltarsi, e se ne serve uno. Lo sconosciuto, però, non sembra volersi allontanare da lì, Kageyama continua a sentire la sua presenza alle sue spalle.
“Non sei di queste parti, vero?”
Kageyama si blocca sul posto, con il piatto in mano, il sartù ancora intatto e alza lo sguardo dal piatto allo sconosciuto. È più basso di lui, ha i capelli rossi, che svettano disordinati sopra la maschera di un blu intenso e che lascia scoperti dei grandi occhi caldi, ha labbra carnose e la pelle chiara della nobiltà.
“Non ho intenzione di denunciarti, tranquillo”, continua lo sconosciuto.
Kageyama sospira.
“Come lo sai?”
“Ti muovi in maniera circospetta. E poi mi ricorderei di te se ci fossimo già incrociati”, dice guardando Kageyama dall’alto al basso e viceversa. “Allora, perché imbucarsi a una festa come questa quando si vede che non sei a tuo agio?”
Kageyama mormora qualcosa in risposta, voltando la testa nella direzione opposta, ma le sue parole vengono inghiottite dall’applauso per l’orchestra che ha terminato un altro pezzo.
Lo sconosciuto si avvicina a Kageyama. “Puoi ripetere?”
“Volevo assaggiare quello che mangiano i nobili”, confessa Kageyama con le guance in fiamme.
Lo sconosciuto scoppia a ridere. “Non hai torto”. Con un gesto del braccio indica a Kageyama l’intero tavolo. “Serviti pure”.
Rimane accanto a Kageyama, spiegandogli con esattezza cosa sia ogni piatto e consigliandogli cosa deve mangiare assolutamente. Mangia insieme a lui.
“E per finire, una di queste”, gli dice lo sconosciuto prendendo due cubetti verdi ricoperto di zucchero da una ciotola, se ne porta uno alla bocca e solleva l’altro fino all’altezza da viso di Kageyama.
Kageyama si sporge in avanti e prende il cubetto verde direttamente dalle dita dell’altro, nel farlo le sue labbra gli sfiorano la pelle su cui è rimasta un po’ di granella di zucchero.
Il cubetto sa di menta, pizzica sulla lingua ma è rinfrescante, ha una consistenza morbida e si scioglie in bocca.
“Cos’è?”
Lo sconosciuto sembra riscuotersi solo in quel momento. “G-gelatina alla menta!”, sputa fuori con più enfasi del necessario.
Kageyama annuisce e si guarda intorno nella sala alla ricerca dei suoi compagni, ma in quel marasma di balli e maschere non li riesce a scorgere da nessuna parte.
“Adesso che hai assaggiato il cibo dei nobili te ne andrai?”, gli chiede lo sconosciuto.
Kageyama abbassa lo sguardo verso di lui, anche lui tiene lo sguardo in direzione delle danze. Kageyama non ha voglia di andarsene.
“Non ancora”
Lo sconosciuto si volta verso di lui con un sorriso talmente luminoso da essere accecante.
“Non puoi andartene senza aver provato i balli”, gli dice prendendogli la mano e trascinandolo sulla pista.
Kageyama cerca di trattenerlo. “Non conosco i passi!”
L’altro si volta verso di lui senza smettere di trascinarlo, gli sorride ancora. “Basta che segui me”.
Lo trascina nel centro della pista, nel punto in cui le danze sono più fitte, gli spiega come mettere le mani. L’orchestra riparte con la musica, un valzer, e lo sconosciuto comincia a muoversi, a bassa voce mormora a Kageyama i passi per aiutarlo a tenere il ritmo. Kageyama inciampa un paio di volte nei suoi piedi, ma continua a seguirlo e combatte la tentazione di guardare in basso, verso i propri piedi. Tiene stretta la mano dello sconosciuto, è piccola è morbida rispetto alla sua, grande e indurita dai lavori occasionali che riesce a trovare. L’altra mano di Kageyama si appoggia sul fianco dello sconosciuto e facendolo si rende conto di quanto sia esile la sua vita. Nella musica Kageyama fa fatica a sentire le indicazioni che l’altro gli da, è costretto a tenere lo sguardo fisso sulle sue labbra, sono carnose e leggermente arrossate e gonfie, come se avesse l’abitudine di mordersele. Kageyama le osserva mentre si muovono e gli dettano i passi che deve compiere, ma i passi vengono compiuti in automatico, Kageyama è totalmente perso nella sua osservazione. Ha voglia di avvicinarsi, di poggiare le proprie labbra su quelle dell’altro, sentire se sulle sue labbra è rimasta ancora della granella di zucchero e se la sua bocca sa ancora di menta quanto quella di Kageyama.
Lo sconosciuto alza lo sguardo, anche lui sembra rimanere bloccato sulle labbra di Kageyama. Kageyama sa che le sue labbra sono più sottili, non ci vede nessuna attrattiva particolare, ma l’altro evidentemente non è dello stesso avviso perché rimane lì ad osservarle. Kageyama si inumidisce le labbra con la lingua e avvicina il proprio viso a quello dello sconosciuto, con la mano ancora sul suo fianco Kageyama può sentire il brivido che gli attraversa il corpo. Lo sconosciuto, però, all’ultimo momento porta la propria fronte a contatto con quella di Kageyama e allontana le labbra.
“Usciamo di qui”, dice in un sussurro e, se Kageyama non gli avesse ancora fissato le labbra, non se ne sarebbe mai accorto.
Annuisce e segue lo sconosciuto fuori di lì, verso il giardino. All’ingresso recuperano i propri mantelli ed escono. La temperatura si è abbassata rispetto a quando Kageyama è arrivato e l’aria fredda sferza le guance arrossate di entrambi. Il giardino è quasi deserto ormai, tutti hanno trovato rifugio all’interno del palazzo.
Lo sconosciuto lo guida in un angolo nascosto del giardino e Kageyama lo segue in silenzio. Non appena svoltano un angolo e si ritrovano in una piccola nicchia, lo sconosciuto porta le mani intorno alla nuca di Kageyama. Kageyama fa passare un braccio sulla sua schiena e finalmente appoggia le labbra alle sue.
Come aveva immaginato sa di menta e di zucchero, il bacio è lento e delicato, è appena uno sfiorarsi di labbra all’inizio. Poi, piano piano, Kageyama si fa più intraprendente e l’altro lo accetta. Il suo corpo è caldo contro quello di Kageyama, le sue labbra bollenti e umide.
Kageyama vorrebbe approfondire ancora il contatto, ma le maschere sono di intralcio. Porta una mano a togliersela, ma l’altro appoggia la mano sul suo polso.
“No”, gli dice con un sorriso dolce. “Non smuovere le acque”
Kageyama non capisce, ma non gli interessa. Vuole solo baciarlo di nuovo e lo fa, chinandosi verso di lui, spingendolo contro il muro e stringendolo con il suo corpo.
Una campana in lontananza suona l’ora e lo sconosciuto si stacca da lui.
“Devo andare”, gli dice e gli sorride dolcemente.
Kageyama vorrebbe chiedergli se possono rivedersi, ma non ha il tempo di farlo. Lo sconosciuto gli appoggia un altro bacio delicato sulle labbra e si allontana da lì.
Kageyama gli va dietro dopo un momento, torna allo spazio principale del giardino, ma non c’è nessuno lì se non la servitù che sistema tutto e sta smontando le decorazioni. Kageyama si fionda dentro il palazzo, ma nella confusione delle danze non lo vede. Prova a cercarlo in mezzo alla pista da ballo, gettandosi tra la calca con ancora il mantello addosso, ma di lui nessuna traccia. Kageyama si arrende, si siede su una delle sedie affiancate alle pareti e aspetta. Aspetta fino a che la sala non è quasi deserta, poi si alza ed esce da lì
È il momento più buio della notte, quello che precede l’alba. Kageyama cerca di orientarsi tra i vicoli sconosciuti.
Quando si trova in una zona che riconosce, l’alba ha cominciato a rischiarare le strade.

La vita di Kageyama riprende come al solito dopo quella notte. La mattina si alza e va al porto per cercare lavoro, il pomeriggio, quando è libero, cerca qualche artigiano che lo accetti come apprendista o lo trascorre con gli amici. Cerca di sopprimere lo stimolo costante di guardarsi intorno cercando una macchia di capelli rossi.
La mattina che finalmente la vede Kageyama rimane paralizzato in mezzo alla strada. È sui gradini della chiesa che Kageyama supera tutte le mattine, vestito elegante e con una ragazza minuta, bionda e vestita di bianco al suo fianco. Sono circondati da una folla festante.
La coppia scende i gradini e passa a fianco a Kageyama, che non è riuscito a staccare gli occhi da loro neanche per un attimo.
“Ci conosciamo?”, gli chiede il ragazzo con aria di sfida alzando lo sguardo verso di lui.
Kageyama si riscuote. “No, chiedo scusa. E congratulazioni”, dice prima di ricominciare a camminare nella direzione opposta alla coppia.
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Titolo: after the storm
Fandom: Haikyuu
Missione: M3 - differenza d’età + ff/safe
Parole: 2222
Rating: safe
Note: tw - personaggio con amputazione.

Kageyama si sitemò meglio sulle spalle il mantello color porpora, il colore dei soldati. Non sapeva per quanto ancora l'avrebbe potuto indossare a buon diritto. Si guardò un attimo allo specchio per assicurarsi che il suo braccio sinistro fosse interamente coperto dal mantello, poi uscì di casa, dando ordine ai suoi schiavi di preparare il rituale di purificazione per quando fosse tornato.

Era una mattinata dal cielo grigio, si respirava l'odore di pioggia nell'aria e le temperature si erano abbassate drasticamente nell'ultimo mese, da quando era finalmente tornato a casa. Nonostante fosse già passato del tempo il suo sonno era ancora leggero, in allerta per ogni possibile minaccia e ancora non si era abituato a svegliarsi la mattina nel suo letto, tra lenzuola che profumavano ancora vagamente di cenere, non dopo anni di tende luride e giacigli duri e scomodi.

Kageyama raggiunse il foro e cominciò a navigare agilmente tra la folla. Aveva ben chiaro in mente dove dovesse andare. Superò la zona del mercato e quella dei processi e arrivò alla zona più interna del mercato, quella dove a ogni giorno di calenda, si teneva l'asta degli schiavi arrivati direttamente da Delo.

Non pensava sarebbe mai arrivato il giorno in cui si sarebbe trovato a comprare uno schiavo che si occupasse di lui: aveva sempre considerato deboli gli uomini che vi facevano ricordo, come se non fossero in grado di badare a sè stessi, e invece ora eccolo lì, a non avere altra scelta se non quella. Il pensiero che quello stupidissimo braccio sinistro lo stesse costringendo ad andare contro tutti i suoi principi lo faceva andare su tutte le furie.

Quando Kageyama raggiunse il palco, l'asta era già cominciato. Gli schiavi già comprati erano accatastati alla destra del palco, dove i loro nuovi padroni potevano ispezionarli in ogni dettaglio prima di versare quanto pattuito ai trafficanti. Kageyama si mimetizzò tra la folla e osservò nei dettagli come funzionasse il tutto. Il banditore faceva fare un passo avanti ad uno degli schiavi ammucchiati sul lato sinistro del palco con le catene ai polsi, lo faceva girare su sè stesso mentre ne elencava le qualità e stabiliva il prezzo il partenza, poi cominciava l'asta vera e propria. Il banditore fece venire avanti un paio di ragazzi molto ben piazzati, avevano spalle larghe e braccia muscolose. Vennero presentati come perfetti per il lavori pesanti, ma non erano quello che Kageyama stava cercando. L'asta su di loro fu feroce e, come era prevedibile, il prezzo schizzò alle stelle in un lampo. Alla fine se li accaparrò un nobile che cercava giovani prestanti da mettere a lavorare nella sua tenuta di campagna.

Kageyama rimase a guardare l'asta fin quasi alla fine, quando ormai i più quotati erano già stati venduti. Il banditore chiamò in avanti quello che sembrava a tutti gli effetti un ragazzino, non poteva avere più di sedici anni. Aveva capelli rossi e un fisico esile e mingherlino e si vedeva che il venditore l'aveva tenuto alla fine, quando il foro era ormai meno affollato, proprio per la sicurezza che non ci avrebbe fatto molti soldi. Sembrava esattamente ciò che Kageyama stava cercando. Alzò il braccio e fece la sua offerta. Nessuno provò a ribatterla. Kageyama era appena diventato il proprietario di quel giovane.

Si diresse verso il lato del palco, dove il ragazzo era stato spedito dal banditore. L'addetto gli slegò le mani e il ragazzo cominciò a massaggiarsi i segni rossi che le catene avevano lasciato sulla sua pelle colorata dal sole. Kageyama si prese un momento per esaminarlo con calma. Sembrava leggermente sottopeso, ma per il resto sembrava essere in buona salute, così pagò la cifra concordata.

Uno dei trafficanti gli chiese se dovesse marchiare a fuoco il ragazzo, era un servizio che offrivano e non avrebbe dovuto pagare alcun sovrapprezzo per ottenerlo. Kageyama vide il ragazzo rabbrividire e stringersi nelle spalle.

"Non sarà necessario", rispose Kageyama.

Dopodichè fece cenno al ragazzo di seguirlo e cominciò a camminare per il foro, per la stessa strada da cui era venuto. Rispetto a quella mattina c'era molto meno affollamento, e Kageyama potè camminare con più tranquillità. Ogni tanto si voltava indietro, per assicurarsi che il ragazzo lo stesse veramente seguendo. Solo quando furono usciti dal foro Kageyama gli rivolse la parola.

"Come ti chiami?"

"Hinata", gli rispose quello con voce leggermente tremante.

"Io sono Kageyama", si presentò a sua volta.

Cercò qualcos'altro da dire per cercare di mettere il ragazzo a proprio agio, ma in quel momento sembrava terrorizzato anche dalla sua ombra e Kageyama non era mai stato bravo a confortare la gente, così optò per il silenzio. Hinata camminava nervosamente accanto a lui adesso, continuando a massaggiarsi i polsi. Ogni tanto sembrava che stesse per dire qualcosa, ma scegliesse ogni volta di non farlo.

"Parla", gli disse Kageyama leggermente spazientito all'ennesima volta.

"Posso farti una domanda?"

"Dimmi"

"Perchè hai scelto me? Cioè... rispetto agli altri... Cos- Cosa dovrò fare in casa?", chiese Hinata con voce tremante e evitando il suo sguardo.

Kageyama spostò il mantello per permettere a Hinata di vedere cosa ci fosse sotto il suo mantello. Il braccio sinistro di Kageyama era mozzato poco sotto la spalla.

"Oh", disse solo Hinata, prima di abbassare nuovamente lo sguardo.

"E' successo in guerra un paio di mesi fa", spiegò Kageyama. "Adesso ho qualche problema nel fare alcune azioni quotidiane, come vestirmi o mettere il mantello. Mi servirà aiuto per questo genere di cose.

Hinata annuì e Kageyama gli vide tirare un sospiro di sollievo.

"Credi sarà più facile così rispetto ad essere uno di quegli schiavi occupati nelle faccende di casa?", gli chiese Kageyama quasi con tono di sfida, alzando un sorpacciglio.

"Oh, no, no, assolutamente!", si affrettò a rispondere Hinata, agitando le mani in segno di diniego davanti a sè. "E' solo che... gli altri avevano detto che con il mio fisico sarei stato comprato solamente per-", arrossì di colpo e non riuscì a completare la frase.

"Per scopi sessuali?", concluse per lui Kageyama.

Hinata annuì senza alzare lo sguardo. Kageyama fece passare lo sguardo sul corpo di Hinata. Non era una teoria del tutto campata in aria, molti lo avrebbero trovato attraente e comprato solo per quel motivo.

"Non hanno torno di base", gli disse Kageyama, che non aveva alcuna intenzione di indorargli la pillola su come andassero le cose nel mondo. "Ma no, non sarà quello il tuo compito".

Hinata annuì e si rilassò leggermente. Camminarono in silenzio fino a raggiungere la domus, dove gli altri schiavi di Kageyama avevano già preparato tutto per la purificazione del nuovo schiavo prima che questo entrasse in casa.

Hinata venne spogliato nel cortile davanti alla casa e Kageyama gli versò sulla testa dell'acqua, poi Hinata venne scortato dagli altri schiavi nel bagno della casa, dove una vasca di acqua calda e aromatizzata alla rosa era già stata preparata. Hinata venne lavato e gli venne fornita una nuova tunica per sostituire quella ormai logora che gli avevano fornito i trafficanti. Hinata venne poi accompagnato nella sua nuova stanza: in qualità di servo personale del signore avrebbe dormito nell'anticamera delle stanze di Kageyama. Kageyama aveva dato ordine che le camere venissero preparare prima di uscire.

Kageyama lasciò che Hinata si rilassasse per quella prima sera. Diede ordine che la cena gli venisse recapitata in camera e che gli fosse fornita una tazza di latte caldo da bere prima di andare a dormire. Era incuriosito da quel ragazzino. Si chiedeva come fosse finito a fare lo schiavo, ma aveva la sensazione che quel primo giorno fosse stato già abbastanza ricco di eventi. La curiosità di Kageyama poteva aspettare.



Hinata, nei mesi che seguirono, si adattò bene il suo lavoro. Si occupava principalmente di aiutare Kageyama a vestirsi la mattina e svestirsi la sera, lo aiutava a fare il bagno, a mettere i documenti nell'ordine più funzionale per lavorare e altri compiti di quel tipo. L'unica restrizione che aveva era quella di dover passare la maggior parte del suo tempo a stretto contatto con Kageyama, pronto ad intervenire ad ogni evenienza. Dopo un iniziale periodo di nervosismo, Hinata cominciò a rilassarsi: aveva capito che Kageyama, in fondo, non era pericoloso come sembrava, cominciò anche a prendersi alcune libertà nel modo di parlargli, di rispondergli e di rivolgersi a lui in generale e Kageyama, nonostante fingesse di essere infastidito dalla cosa, lo trovava in realtà rinfrescante dopo una vita di persone che lo avevano guardato con terrore e deferenza. Kageyama aveva anche cominciato il suo incarico politico al senato in quel periodo. Non gli piaceva molto, avrebbe preferito tornare sul campo di battaglia, ma almeno così poteva continuare a fare il suo dovere per la città.

Rientrò a casa quella sera dopo una intera giornata al Senato e trovò il bagno già pronto. Hinata lo aiutò a spogliarsi e l'acqua calda lo accolse.

Nonostante all'inizio Kageyama avesse detto di non volere Hinata per per scopi sessuali, ultimamente la situazione era leggermente cambiata. Ogni volta che le dita di Hinata lo sfioravano per aiutarlo a cambiarsi sentiva una scintilla, ogni volta che lo aiutava a farsi il bagno doveva stare attento ad avere abbastanza schiuma che coprisse la parte inferiore del corpo. In qualità di padrone non avrebbe avuto problemi a ordinare a Hinata di concedersi a lui, ma ogni volta gli tornava in mente il suo volto spaventato del primo giorno, quando aveva temuto che Kageyama lo avesse comprato proprio per quello. Non voleva vedere di nuovo quell'espressione, non voleva ferirlo, ma lo desiderava e la situazione stava diventando insostenibile. Ogni giorno valutava più seriamente l'idea di tornare all'asta e prendere un nuovo schiavo prima di liberare Hinata e non doverlo più vedere, almeno sarebbe stato libero da quelle sensazioni contrastanti: il desiderio di distruggere quell'innocenza e il desiderio di mantenerla intatta e proteggerla.

"Testa sotto l'acqua", gli disse Hinata e Kageyama obbedì.

Hinata poi, seduto dietro di lui sul bordo della grande vasca di marmo nero, cominciò ad insaponargli i capelli, passando le dita tra i capelli nerissimi di Kageyama e massaggiandogli delicatamente lo scalpo. Le dita di Hinata erano ormai lontane dell'essere inesperte come erano state all'inizio, sapeva benissimo come muovesi per farlo rilassare. Kageyama reclinò indietro la testa e lasciò andare un sospiro di sollievo. Le dita di Hinata scesero a massaggiare il suo collo, poi le sue spalle, appoggiate al bordo della vasca e lasciate fuori dall'acqua.

"Brutta giornata?", gli chiese andando a lavorare piano su tutti i nodi nella muscolatura di Kageyama con attenzione, con dita agili e ormai esperte.

"Lunga", rispose Kageyama, rilassandosi a quel contatto. Chiuse gli occhi e si lasciò andare a quelle dita che avevano ormai imparato a conoscere il suo corpo.

"Dovresti entrare anche tu", gli disse improvvisamente Kageyama con voce totalmente rilassata, come se avesse bevuto troppo vino.

"Nella vasca?", gli chiese Hinata e Kageyama non aveva bisogno di voltarsi per vedere il sorriso sulle sue labbra.

"Sì, l'acqua è ancora calda"

"Me lo stai ordinando?", gli chiese ancora Hinata, ma la sua voce si era abbassata.

"Se ti dicessi di sì?"

"Non avrei altra scelta"

Sentì Hinata alzarsi in piedi alle sue spalle, sentì il fruscio della tunica leggera cadere a terra e lo spostamento d'aria da questa provocata. Kageyama dovette trattenersi per resistere alla tentazione di voltarsi. Per quante volte Hinata lo avesse visto nudo, Kageyama non aveva avuto lo stesso privilegio, ma solo gli dei sapevano quanto lo desiderasse.

Kageyama tenne la testa dritta davanti a sè anche quando sentì Hinata entrare nell'acqua accanto a lui. Senza timore era entrato alla sua sinistra, talmente vicino che la sua spalla sfiorava il braccio mozzato di Kageyama.

Hinata sparì per un secondo sotto l'acqua e riemerse con i capelli totalmente bagnati, li tirò all'indietro con le mani, scoprendo interamente il viso.

"Dovrei liberarti", disse all'improvviso Kageyama.

Hinata si bloccò per un momento. "Non faccio bene il mio lavoro?"

Kageyama scosse la testa. "Non è quello", abbassò lo sguardo e lo fissò sulle linee create sull'acqua dal movimento di Hinata.

"Vuoi mandarmi via? Ho sbagliato qualcosa?"

Kageyama scosse ancora la testa.


"E allora?"

Kageyama si voltò verso di lui, con la nocca della mano destra accarezzo il viso di Hinata. Hinata inclinò il viso verso il contatto. Aprì la mano per accogliere meglio il viso di Hinata, poi si sporse verso di lui e lo baciò.

Hinata ricambiò il bacio. Era goffo e inesperto, ma il petto di Kageyama si riempì oltre che di gioia anche di orgoglio al pensiero di essere stato lui a prendersi il primo bacio di Hinata.

Kageyama si allontanò e appoggiò la fronte a quella di Hinata, chiuse gli occhi.

"Non posso continuare ad essere il tuo padrone e fare una cosa del genere. Ti ho detto che non ti avevo preso per questo, ma non sono più in grado di mantenere la cosa", gli disse.

"Okay", gli rispose Hinata.

"Okay?"

"Okay, liberami", ripetè.

Kageyama sentì un pugno nello stomaco al pensiero di vederlo andare via, ma era la cosa giusta da fare.

"Anche se mi liberi", continuò Hinata. "Non ho alcuna intenzione di andarmene"

Kageyama alzò la testa di scatto, rischiando anche di dare una capocciata a Hinata nel processo. "Dici sul serio?"

Hinata annuì. "Non posso andare via, saresti totalmente perso senza di me"

Kageyama sorrise, appoggiò di nuovo la fronte alla sua. "Sì, totalmente perso", ripetè.
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Titolo: closer to going too far
Fandom: Haikyuu
Missione: M4 - enemies to lovers + storia ciclica
Parole: 3333
Rating: nsfw

Hinata inforca la sua moto, di un arancione brillante con striature nere, e abbassa la visiera del casco. Da un'accelerata e esce piano dal box, pronto ad andare a prendere il suo posto sulla linea di partenza. Mancano poco meno di due minuti allo scadere del tempo. E' l'ultima occasione che ha per fare il tempo migliore, aveva un ultimo giro per cercare di guadagnarsi la sua prima Pole Position per il Gran Premio del giorno dopo. La moto risponde perfettamente ai suoi comandi quel giorno, è creta tra le sue mani. L'asfalto ha la temperatura perfetta, le gomme sono morbide e calde al punto giusto, pronte per quell'ultima volata.
Poco più di un minuto, poco più di 4 chilometri.
Imbocca sulla pista e fa un primo giro a velocità sostenuta, per prendere lo slancio per il giro che veramente conta. Man mano che la linea di partenza si avvicinava spinge un po' più a fondo l'acceleratore, spinge un po' più vicina al limite la moto. Raggiunta la linea, parte effettivamente.
La moto si muove bene, agile. Piega a destra e poi a sinistra, poi un lungo rettilineo e poi una curva a gomito a destra. La moto scivola sull'asfalto in maniera fluida, sembra quasi che Hinata non debba neanche pensare alla mossa successiva. E' pienamente preso da quello che stava facendo, pienamente a suo agio.
La linea del traguardo si avvicina sempre di più. La taglia e prosegue fino a rientrare nei box, impaziente di vedere il suo tempo.
1' 38" 735.
Ha battuto il record della pista. Il suo team sta già esultando, ci sono solamente altri due piloti in pista, la Pole Position sembra ormai sicura. Lo accolgono con un abbraccio, lo riempiono di congratulazioni. Hinata si toglie il casco e lascia libera la massa di capelli rossi, guarda il suo tempo segnalato sullo schermo, evidenziato in rosso. Un record per Hinata: la sua prima Pole Position dopo aver cominciato a guidare una moto della massima categoria da appena pochi mesi. La Pole Position alla seconda gara sarebbe un record assoluto. E' un novellino, è vero. Ma è arrivato per restare e vuole dimostrare a tutti i piloti più esperti che anche lui è da tenere d'occhio, che non devono sottovalutare lui e la sua moto.
Poi arriva, come un fulmine a ciel sereno Atsumu Miya.
1' 38" 733.
Fino al giro precedente i suoi tempi non erano stati niente di speciale, tutti erano convinti che fosse in crisi quel giorno - era dalle prove libere del giorno prima che sembrava avere qualche problema con la sua moto, ma all'ultimo giro a quanto pare si è ripreso. Come ci si poteva aspettare dal campione del mondo in carica.
Ha battuto il record della pista, ha battuto il record di Hinata ancora prima che questo potesse assaporare la sensazione di avere un record che portava il suo nome. E gli ha portato via la Pole Position. Hinata fulmina il maxischermo dei box con lo sguardo, quello che gli ricorda che il suo tempo è stato battuto, che il giorno dopo partirà per secondo.
Ma non ha alcuna intenzione di perdonargliela, è deciso a fargli vedere con chi ha a che fare il giorno dopo in pista.
Vede la moto di Miya passare davanti al suo box, in sella alla sua moto totalmente nera. Hinata può giurare che, da sotto la visiera nera del suo casco, Miya stia guardando nella sua direzione con un il suo solito sorrisetto sarcastico e irritante.
Hinata gli dà le spalle e si rifugia nel retro del box, il più lontano possibile da lui.

La sera Hinata scende alla mensa del Paddock, quella dove si ritrovavano tutti i piloti e i meccanici. Hinata si siede al suo tavolo con alcuni altri membri della sua scuderia.
Il Karasuno è una piccola scuderia, rispetto ad altre che gareggiano. Fino a quel momento è rimasta sempre a metà classifica, ad ogni stagione riesce a collezionare alcune belle gare, ma in generale non era mai stata abbastanza competitiva per il titolo mondiale. Hinata sa che non riusciranno ad essere competitivi neanche quell'anno da quel punto di vista, ma questo non significava che Hinata non fosse intenzionato a portare a casa qualche vittoria. Negli ultimi anni avevano avviato una grande opera di rinnovamento e alla fine della stagione precedente avevano proposto a Hinata, campione in carica della Moto 2, di passare in prima categoria con la loro moto e Hinata aveva colto la palla al balzo. Avevano creduto in lui e Hinata aveva tutta l'intenzione di ripagarli per la fiducia che avevano riposto in lui.
Vede Miya Atsumu entrare nella sala mensa, va a prendere la sua cena e poi passa accanto al tavolo di Hinata.
"Bella prova oggi", gli dice con il solito sorriso sarcastico.
Hinata lo fulmina con lo sguardo e non si degna di rispondergli. Atsumu ride ancora e si allontana da lì.
“Ci vediamo domani in pista”, gli dice.

I semafori si spengono. Inizia la corsa. Hinata parte a fionda, cercando di prendere da subito la testa della gara. Gira la testa leggermente a sinistra, il muso della moto di Atsumu è davanti a quello della sua, non farà in tempo a riprenderlo prima della prima curva. La posizione di Atsumu lo agevola nella traiettoria della prima curva, riesce a mettersi davanti. Tutto quello che Hinata può fare è cercare di non perderlo. Se completano il primo giro così e arrivano nuovamente al rettilineo di partenza abbastanza vicini sa che può riprenderlo in velocità: la moto di Atsumu è più stabile in curva, ma la sua è più leggera e veloce in volata. Fa tutto quello che può per rimanere attaccato alla moto di Atsumu fino al rettilineo.
Hinata lo vede comparire davanti a lui si prepara a dare gas. Accelera, la moto scivola agile sull’asfalto, le gomme stanno finalmente entrando in temperatura. Vede la moto di Atsumu alla sua destra, come una macchia nera che adesso è alle sue spalle. Esulta internamente. Ce l’ha fatta, l’ha superato. Adesso deve prepararsi ad entrare in curva senza allargare la traiettoria, o Atsumu potrà superarlo di nuovo. Ma non ce la fa a stringere abbastanza, lascia un’apertura dove Atsumu riesce a infilarsi e superarlo, ma per farlo lascia un’apertura lui e HInata ne approfitta, si infila di nuovo e incrocia le traiettorie. Non sente nulla se non il proprio respiro agitato e il battito del suo cuore, il rombo della moto che circonda ogni suo senso.
Hinata rimane davanti, aspetta un nuovo assalto di Atsumu ma non arriva. Sente la pressione alle sue spalle, sa che non può fare il minimo passo falso perchè in quel momento l’altro gli sarà addosso senza possibilità di scampo. Non può neanche rallentare. Ha la sensazione di essere inseguito da un predatore. Passano nuovamente sul traguardo, Hinata getta un’occhiata al display in alto: mancano ancora parecchi giri. Non ha idea di come farà a resistere tanto a lungo, ma non ha altra scelta. Deve rimanere lì davanti e giocarsi il tutto per tutto, finchè la moto regge, finchè lui regge. Ha intenzione di riprendersi con gli interessi quello che ha perso il giorno prima. Ha perso la Pole, adesso vuole la vittoria. I meccanici espongono un cartello per lui dai box: dietro di lui e Atsumu il distacco dagli altri supera il secondo e mezzo. Hanno distaccato il resto dei piloti, la sfida adesso è tra loro due.
Sente la moto cominciare a farsi sempre più leggera per il serbatoio che si svuota, ma le gomme cominciano ad avere sempre meno aderenza sull’asfalto più si consumano con i giri, ma HInata non può abbassare il ritmo.
La perdita di aderenza, però, lo porta a sbagliare. Sbaglia la traiettoria di una curva, va lungo e Atsumu è subito lì dietro, pronto ad approfittarne. Lo supera.
Hinata riesce a rimettersi nella giusta traiettoria abbastanza presto, in modo da non distaccarsi troppo. La moto di Atsumu davanti a lui fende l’aria e Hinata, mettendosi in scia, riesce a faticare di meno per tenere la velocità. Mancano poco più di quattro giri alla fine. Tutto quello che può fare è non perdere il distacco e provare un ultimo attacco all’ultimo momento. Rimanere in scia permette alle sue gomme di prendere aria per un momento. Sono allo stremo e lo è anche HInata, sente il sudore imperlargli la fronte nonostante la bandana che indossa sotto il casco, il calore dell’asfalto è ormai insopportabile. Vede la sua occasione, una traiettoria non presa perfettamente da Atsumu.
Hinata riesce ad infilarsi in uno spazio minimo, passa attaccato al cordolo come il bisturi di un chirurgo. Ultima un sorpasso folle. Sente in sottofondo il boato della folla, ma arriva ovattato alle sue orecchie. Subito Atsumu ricambia e si rimette davanti, ma Hinata non ci sta.
Prova a reincrociare, in risposta. Non ci sta a farsi superare.
Ha passato abbastanza tempo dietro ad Atsumu per sapere che, quando curva a destra, lascia un po’ di spazio tra sè e il cordolo e ha ogni intenzione di approfittarne. Alla successiva curva a destra si infila nuovamente nello spazio tra moto e cordolo, è più stretto del solito, come se Atsumu si stesse aspettando proprio quell’attacco, ma HInata non ha avuto esitazioni.
Hinata sente il momento in cui la moto perde l’aderenza con il terreno e comincia a scivolare. Gli sfugge dalle mani, si inclina fino a toccare terra e attraversa l’intera pista, portando con sè anche la moto di Atsumu. Hinata scivola nella ghiaia, l’airbag interno alla curva si è gonfiato. Si sente un po’ intorpidito per la caduta, ma sta bene. Alza lo sguardo di scatto, cercando Atsumu.
Atsumu è in piedi accanto alla sua moto, si muove, sta bene, ma nessuna delle due moto è in grado di riprendere la corsa. Gli altri piloti intanto li hanno raggiunti e superati.
Hinata fa un sospiro di sollievo. Si avvicina per scusarsi, allunga le mani verso di lui, ma Atsumu le allontana in malo modo. Arrivano gli steward di bordo pista, li aiutano a portare le moto fuori dalla ghiaia e poi, con gli scooter, percorrono la pista fino a riportarli nei loro box.
Hinata non ha il coraggio di guardare i meccanici. Sa di aver sbagliato. Era a tanto così da portare loro uno storico secondo posto e ha rovinato tutto. Si siede su una sedia, si leva il casco, ma tiene lo sguardo basso. Nessuno gli dice nulla, solo Daichi, il capo della scuderia, gli si avvicina e gli da un pacca sulla spalla. Se possibile quello lo fa sentire ancora peggio di come si sentirebbe se lo avessero sgridato apertamente. Hinata beve con la cannuccia l’acqua ricca di sali minerali che usano per reintegrare dopo le corse tenendo lo sguardo fisso su una macchia sul pavimento.
Alza lo sguardo solo quando sente del trambusto nel box. Quello che vede è un Atsumu Miya infuriato, che cerca di spingere via i meccanici per andare a parlare con lui. Hinata si alza da lì e si avvicina ai meccanici, gli fa cenno di lasciarlo fare si mette davanti ad Atsumu. Qualunque cosa voglia dirgli sa che ha ragione.
“Si può sapere che ti è saltato in mente? Non c’era lo spazio per passare lì! Hai rovinato la gara a entrambi, hai rischiato di fare male ad entrambi!”
Atsumu ha slacciato la parte superiore della tuta, ma non si è neanche preso il tempo di toglierla del tutto, ripiegando solamente la parte superiore fino alla vita. Da così vicino, HInata si rende conto di quanto sia effettivamente più alto di lui. Vede le telecamere e alcuni giornalisti avvicinarsi a loro e, senza pensarci troppo, lo afferra per un braccio e lo trascina in una stanzetta nel retro del box, dove almeno le telecamere non potranno riprendere la scena.
A Hinata viene da piangere, ma rimane lì, leggermente appoggiato contro il tavolo, in attesa che Atsumu continui con la sua sequela di insulti. Atsumu sembra preso alla sprovvista dal cambio di location, ma si riprende subito.
“Non potevi accontentarti di un secondo posto per questa volta? Sei un pilota eccezionale, puoi gareggiare tranquillamente in questa categoria ma non puoi essere così impulsivo solo per dimostrare di essere all’altezza e mettere gli altri in pericolo! Non siamo qui solo perchè tu possa farti passare i tuoi complessi di inferiorità…”
Hinata non ascolta veramente quello che Atsumu sta dicendo, la sua testa è rimasta bloccata a sei un pilota eccezionale e continua a mandare in loop quella frase nella sua testa.
“Ehi! Mi stai ascoltando?”, lo richiama Atsumu.
Hinata alza lo sguardo verso di lui, con gli occhi enormi e pieni adesso anche di emozione oltre che di vergogna e Atsumu sembra preso alla sprovvista per un momento. Si riprende e gli sbatte l’indice sul petto mentre continua a urlargli contro frasi sconnesse, di cui Hinata riesce ad assorbire solo comportarsi da ragazzino… infantile… pericoloso… impulsivo e senza la minima considerazione per gli altri e un rischi di compromettere il mio mondiale e non te lo permetto.
Atsumu ha i capelli sudati attaccati al viso, il viso arrossato, il fiato corto per la stanchezza e per la sfuriata in corso, la tuta attillata lascia ben visibile la linea dei muscoli sulle braccia e sull’addome e Hinata rimane per un momento bloccato a guardarlo. Può capire perchè sia così popolare come pilota. Hinata ha ancora in circolo l’adrenalina della gara, il tremore per il pericolo scampato. Non sa perchè lo fa, forse ha solo bisogno di sentire il contatto fisico che gli ricordi che veramente è caduto in pista e non si è fatto nulla, dopotutto è la sua prima caduta nella massima serie.
Allunga le mani, afferra Atsumu per la tuta e lo tira in basso fino a baciarlo. Atsumu si blocca per un attimo, sorpreso dal gesto dell’altro. Hinata si immobilizza, rendendosi improvvisamente conto di quello che ha fatto.
“Pensi di distrarmi così?”, gli chiede Atsumu, ma la sua voce si è fatta più bassa e più roca.
Hinata scuote la testa e si passa la lingua sulle labbra secche.
Atsumu lo bacia di nuovo. E’ un bacio famelico, forte e affamato, non c’è nulla di tenero. E’ tutto denti, lingua e aggressività.
Atsumu fa tutto come corre in pista, con passione e pieno trasporto. Morde il labbro inferiore di Hinata e Hinata si lascia scappare un sospiro. Può giurare che Atsumu sorrida contro le sue labbra e lui, per cancellargli quel sorriso, lo morde a sua volta.
Atumu lo afferra e lo spinge verso una parete libera, lo sbatte contro il muro e gli afferra una coscia, fino a portarsi la sua gamba all’altezza della vita. Hinata capisce, tenendosi sulle spalle di Atsumu gli stringe le gambe intorno al bacino e se lo tira più vicino. Atsumu tiene le mani sulle sue natiche, lo tiene sollevato come se non pesasse niente. Hinata non può che meravigliarsene, nonostante sappia che per sollevare oltre centocinquanta chili di moto la forza sia necessaria. Atsumu scarica parte del peso di Hinata contro il muro e libera una mano, che risale sulla nuca di Hinata, gli si incastra tra i capelli e gli tira indietro la testa, per approfondire meglio il bacio. Hinata cerca di riprendere il controllo, ma è costretto ad arrendersi, si lascia andare e il suo corpo si rilassa tra le braccia dell’altro, lascia che sia Atsumu a controllare tutto. La mano di Atsumu passa poi alla zip della sua tuta, gliela slaccia con un solo gesto secco e fa un verso sorpreso quando vede che Hinata, sotto, non indossa la maglia attillata che la maggior parte dei piloti utilizza, gli osserva la pelle chiara che viene scoperta dalla tuta e si passa la lingua sulle labbra. Hinata approfitta della distrazione per finire di slacciare la tuta di Atsumu. Passando la mano sente che Atsumu è già duro. Non che lui sia messo meglio, lo sa. Scende con la mano fino ad accarezzare la sua lunghezza, in modo lento e delicato, tenendo gli occhi fissi sul viso di Atsumu per osservare la sua reazione. Atsumu non sfugge al suo sguardo, lo guarda con aria di sfida e ancora quel mezzo sorrisetto sulla faccia, ma stavolta Hinata sa come farglielo sparire. Ricambia il sorriso, poi aumenta la pressione della mano sulla sua punta.
Atsumu scatta si lascia scappare un gemito strozzato e poi attacca la pelle lasciata scoperta dalla tuta, cercando di soffocare altri gemiti contro la pelle sudata di Hinata. Gli attacca il collo e alterna baci a morsi. Hinata è sicuro che il giorno dopo ci saranno segni, per fortuna hanno due settimane prima della gara successiva.
Atsumu allinea meglio il bacino a quello di Hinata, spinge contro l’erezione di Hinata e quello geme, mandando la testa indietro contro il muro. Le braccia di Atsumu che lo tengono cominciano a tremare per la tensione e soprattutto non hanno ancora molto tempo prima che qualcuno decida di entrare per controllare se Atsumu l’ha ucciso e sta perdendo tempo a nascondere il cadavere.
Hinata stringe la mano intorno alle erezioni di entrambi, le fa strusciare insieme. La sua mano è piccola e riesce a malapena a tenerli insieme, ma arriva in aiuto la mano di Atsumu, che si stringe alla sua. Insieme si muovono, sono entrambi vicini al limite per l’adrenalina e per il tempo che hanno passato a stuzzicarsi a vicenda. Atsumu aumenta la pressione, Hinata sente la propria erezione contrarsi, viene poco dopo con un gemito strozzato. Atsumu continua, ancora poche spinte che sull’erezione ormai esausta di Hinata sono quasi troppo. Atsumu viene nascondendo il gemito in un nuovo morso alla clavicola di Hinata.
Atsumu lascia scendere Hinata, gli tremano leggermente le gambe ed è costretto ad appoggiarsi al muro. Atsumu rimane davanti a lui, si avvicina e appoggia la fronte contro la sua testa.
“Sono ancora arrabbiato”, gli dice cercando di riprendere fiato.
“Lo so. E io ho ancora intenzione di batterti”
Atsumu sorride, ma stavolta c’è qualcosa di diverso. La scintilla di qualcosa che HInata riconosce come l’emozione di una sfida tra pari e Hinata, stavolta, non ha voglia di cancellare quel sorriso dalla faccia. Lo ricambia in un accordo silenzioso. Comunque vada il campionato, la loro rivalità sarà la cosa più spettacolare che il pubblico vedrà. Lo sanno entrambi, non ci sono dubbi. Quella è una promessa.

Due settimane dopo Hinata monta sulla sua moto, pronto per un nuovo giro di qualifiche. Quello che è successo alla gara precedente è ormai dimenticato del tutto. Esce dal box e incrocia Atsumu sulla pit lane, ha la visiera alzata e gli sorride.
Beh, quello che è successo alla gara precedente si può dire che sia quasi del tutto dimenticato.
Hinata ha intenzione di prendersi la Pole che ha sfiorato alla gara precedente, ha voglia di riprendersi quello che sente gli spetti e ha voglia di prenderselo proprio combattendo contro Atsumu. E, una volta finita la gara, vuole prendersi di nuovo tutto quello che Atsumu può dargli, e stavolta non in uno sgabuzzino. Seguire l'adrenalina e lasciarla sfogare pienamente questa volta.
Hinata ricambia il sorriso. Insieme si abbassano la visiera, oscurata per filtrare i raggi del sole. Insieme arrivano fino all’imboccatura del circuito, insieme cominciano il giro con un ritmo abbastanza blando, giusto per far riscaldare il motore e le gomme. Insieme cominciano ad accelerare il ritmo.
Le gomme sono calde, i motori a pieni giri, la linea del traguardo si avvicina. Hinata rallenta appena, facendo anche un piccolo inchino con la testa, per lasciare all’altro la possibilità di partire per primo per ottenere il miglior tempo. Oggi è solo una lotta di tempi, non c’è gara, non ci sono sorpassi, ma questo non vuol dire che uno dei due abbia alcuna intenzione di rinunciare a prendersi la testa della gara il giorno dopo. Hinata è sicuro che sotto il casco Atsumu stia sorridendo ancora, con quella scintilla di sfida negli occhi che Hinata ha ormai imparato a riconoscere.
Hinata raggiunge la linea di partenza e accelera.
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Titolo: Takane no hana
Fandom: Haikyuu
Missione: M2 - Takane no hana (giapponese): qualcosa o qualcuno di irraggiungibile, letteralmente "fiore sull'alto picco".
Parole: 888
Rating: safe


In aeroporto, Oikawa si guarda intorno, cercando sua sorella. E' appena sceso dall'aereo dopo molte ore di volo, non vede l'ora di arrivare a casa e farsi una doccia. Intorno a lui le scritte sono in giapponese, scritte in caratteri familiari che riesce a decifrare a primo impatto. Quando si è trasferito in Argentina passare a un altro alfabeto era stata una delle cose più traumatiche, ma ormai, a distanza di anni, anche lo spagnolo era totalmente familiare.
"Oi!", sente una voce familiare chiamarlo.
Oikawa gira la testa di scatto e davanti non si ritrova sua sorella, ma Iwaizumi.
"Iwa-chan!", lo saluta con un grosso sorriso, ma è finto.
Non voleva vederlo in quelle condizioni, avrebbe voluto avere almeno il tempo di darsi una rinfrescata. E' passato oltre un anno dall'ultima volta che si sono visti e Oikawa ci teneva a fare una bella impressione.
"Levati quel sorriso dalla faccia", gli dice Iwa. "Ho la macchina qui fuori, andiamo"
E Oikawa sorride. Non poteva pensare di farla proprio a lui, che lo conosceva meglio di come si conosce il fondo delle proprie tasche.
Salgono in macchina e Iwa mette in moto, Oikawa guarda fuori dal finestrino, facendo vagare lo sguardo sul paesaggio che si fa via via più familiare man mano che si avvicinano a casa. L'abitacolo è silenzioso, Iwaizumi non si è neanche degnato di mettere un po' di musica e Oikawa non è sicuro che sia il caso di farlo.
"Come è andato il viaggio?", gli chiede improvvisamente Iwa. La sua voce è roca e meccanica.
Oikawa non distoglie lo sguardo dal paesaggio. Non ha il coraggio di guardare nella sua direzione.
"Un po' di turbolenze, ma tutto nella norma", risponde.
Potrebbero dire qualunque cosa, potrebbero anche parlare del riscaldamento globale, di arte, delle guerre in medio oriente o dell'ultima serie tv uscita su Netflix, ma Oikawa sa che qualunque cosa possano dire sembreranno sempre e solo chiacchiere vuote quanto quel triste scambio di battute. Iwa sembra irragiungibile in quel momento, come se avesse una bolla intorno a lui che lo rende impossibile da raggiungere da qualunque cosa Oikawa possa fare. In realtà, Iwa è sempre stato irraggiungibile per lui, come quelle illusioni ottiche in cui più ci si avvicina più l'oggetto si allontana, come un oasi nel deserto. In fondo per lui Iwaizumi è sempre stato un po' un'oasi nel deserto, l'unica persona che era riuscito a comprendere fino in fondo la sua complessità, l'unica persona che avesse scelto di andare oltre la superficie di quello che era per andare a vedere cosa c'era sotto.
Mentre era in Argentina avevano ricominciato a parlare, sembrava che la frattura che Oikawa aveva creato tra di loro quando aveva deciso di partire avesse cominciato a risanarsi, ma adesso che sono nuovamente vicini, adesso che sono abbastanza vicini che Oikawa può sentire il suo respiro, Iwaizumi sembra lontano quanto l'Argentina.
Iwaizumi è sempre stato la sua costante. Pensava di averlo perso scegliendo di partire, poi aveva pensato di essere riuscito ad avvicinarsi nuovamente a lui, ma adesso non sa che pensare.
Arrivano davanti a casa di Oikawa e Oikawa, nel momento in cui apre la portiera, sente di cominciare a respirare di nuovo, è come l'impatto di aprire la finestra e far entrare l'aria fresca nella camera in cui si è dormito tutta la notte: non ci si rende conto di quanto l'aria sia viziata fino a che non si fa circolare.
Oikawa recupera dal portabagagli la sua valigia, fa un cenno di saluto a Iwaizumu e fa per aprire il cancello di casa, poi si volta e fa qualche passo indietro verso la macchina. Iwaizumi è ancora lì. Non guarda nella sua direzione, ma non ha ancora rimesso in moto la macchina.
"Potremmo vederci nei prossimi giorni", gli dice Oikawa. La voce gli trema e non riesce a nasconderlo. Non che davanti a Iwaizumu abbia senso farlo.
Iwaizumi porta una mano a coprirsi gli occhi. "Ne abbiamo già parlato", sospira.
"Tu nei hai parlato, non io"
Iwaizumi si volta verso di lui per la prima volta e solo in quel momento Oikawa si rende conto di quanto siano rossi i suoi occhi.
"Sappiamo entrambi come stanno le cose, sappiamo entrambi che vorremmo di più. E sappiamo entrambi che tra qualche giorno ripartirai"
"E cosa cambia?", lo sfida Oikawa, dicendogli quello che si porta dietro da anni ma che non ha espresso fino a quel momento. "Se stare così fa star male entrambi, tanto vale farlo insieme!"
Iwa abbassa lo sguardo. "Almeno in questo modo non devo chiedermi se c'è qualcuno con te. Posso dirmi che non è affar mio. Non è affar mio se c'è".
"E questo ti impedisce di chiedertelo? Ti impedisce di starci male?"
Iwa emette un risolino amaro. "No. Ma averti a sprazzi non fa per me"
Oikawa è stanco di avere quella conversazione. Sente le lacrime affollarsi ai suoi occhi, quelle che ha tentato di tenere a bada ogni volta che hanno fatto quel discorso. Si arrende a mostrare la sua debolezza, si arrende a mostrare a Iwa quanto tutto quello faccia male anche lui. Si arrende a mostrargli l'unica cosa che ancora non ha visto.
"Puoi almeno pensarci? Seriamente?", gli chiede con voce umida.
Iwa alza lo sguardo di scatto, sorpreso di vederlo in quelle condizioni. Qualcosa in lui si addolcisce.
"Lo farò".
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Titolo: mornings with you
Fandom:
Missione: M2 - Dysania (inglese): ll trovare estremamente difficile l'alzarsi dal letto la mattina.
Parole: 1111
Rating: safe

In fondo, Kageyama ha tante qualità, ma non è una persona che si sveglia facilmente. Hinata lo ha imparato al loro primo ritiro estivo a Tokyo e adesso, al loro ultimo, in qualità di persone mature, tocca a lui o Yamaguchi svegliarlo. Ed è un compito che Yamaguchi delega volentieri a lui.
Hinata entra di soppiatto nella camera, Kageyama è ancora raggomitolato di fianco nel suo futon, con la mano tiene le coperte strette tirate fino al mento. Ha la bocca aperta e i capelli che sono completamente in disordine, ma, a differenza di quando è sveglio, il suo viso è completamente disteso.
E’ cambiato tanto, Kageyama, dal loro primo anno. E’ ancora secco quando parla, non sa rivolgersi con calma praticamente a nessuno – e più di una volta ha fatto piangere qualcuno del primo anno, solo per poi sentirsi mortificato e non sapere assolutamente come farsi perdonare, le sue scuse sono ancora peggio dei suoi complimenti balbettati – e anche in quel campo, deve ammettere che Kageyama si è impegnato per migliorare e diventare incoraggiante verso quelli del primo anno. Ma ancora Hinata non è abituato a vederlo senza la solita espressione corrucciata.
La prima volta che lo aveva visto sorridere davvero a Hinata si era quasi fermato il cuore e, nonostante adesso fosse un’occorrenza meno rara, Hinata non aveva ancora capito come dovesse gestirla.
"Kageyama?", lo chiamò piano.
L’altro non diede segno di averlo sentito.
"Kageyama?", provò di nuovo a chiamarlo avvicinandosi piano e alzando leggermente il tono della voce.
Kageyama grugnì, ma non andò oltre.
Hinata si avvicinò a lui e gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla.
Una volta aveva provato a svegliarlo in maniera più aggressiva, ma si era ritrovato lanciato contro la parete più lontana della stanza, con davanti un Kageyama boccheggiante per lo spavento e con gli occhi spalancati e onestamente non aveva alcuna intenzione di ripetere l’esperienza.
Kageyama sussurrò qualcosa nel sonno. Qualcosa che sembrava vagamente uno "Shou…"
Hinata saltò sul posto. Era così che Kageyama pensava a lui? Per nome? E addirittura con un soprannome? O forse era solo un sogno. Il viso di Hinata si fece completamente rosso.
Per qualche minuto interruppe qualunque tipo di tentativo, per vedere se Kageyama avrebbe detto qualcos’altro. Gli era piaciuto sentirgli dire il suo nome, quel soprannome affettuoso appena sussurrato.
Poteva immaginare almeno una dozzina di altre situazioni in cui avrebbe voluto sentirlo. Il suo viso si fece ancora più rosso e scosse la testa per cercare di allontanare quel tipo di pensieri. Non gli ci voleva proprio un’erezione subito prima di scendere a colazione.
Provò nuovamente a scuotere Kageyama.
Kageyama aprì un occhio.
"Sh- Hinata… ", borbottò con la voce impastata dal sonno.
Hinata gli sorrise dolce. "Ehi, è ora di colazione"
Kageyama annuì lentamente, chiuse nuovamente gli occhi e si rintanò meglio sotto le coperte.
"Ehi! Non puoi riaddormentarti, dobbiamo scendere a colazione, dobbiamo allenarci"
"Mh-mh", borbottò Kageyama e annuì contro il cuscino, ma non fece alcuna mossa per alzarsi da lì.
Kageyama riaprì gli occhi e fissò Hinata senza dire nulla.
Hinata inclinò la testa e lo guardò incuriosito. "Tutto bene?"
Kageyama annuì, con un sorriso appena accennato sul viso. Sembrava così indifeso di prima mattina.
"Potrei abituarmi", borbottò Kageyama.
"A cosa?"
"Svegliarmi così"
Hinata arrossì di botto. Kageyama sembrò rendersi conto di quello che si era lasciato sfuggire, divenne ancora più rosso di lui e nascose il viso nel cuscino.
Si conoscevano ormai da anni, si erano visti al loro meglio e al loro peggio, ma avevano cominciato ad uscire insieme da appena un paio di settimane. Anzi, non era neanche sicuro che quello potesse chiamarsi uscire insieme!
Facevano le stesse cose che avevano sempre fatto prima, ma avevano cominciato anche a integrare il contatto fisico in quelle occasioni.
Con il senno di poi, era stato tutto molto più graduale di quanto potesse sembrare.
Hinata aveva cominciato ad invadere sempre di più il suo spazio personale, guardare il suo telefono da sopra la sua spalla quando Kageyama gli mostrava qualche video di pallavolo; qualche pacca in più che era diventata una mano confortante sulla spalle, i cinque per le belle giocate erano diventati abbracci a fine partite e Kageyama si era ritrovato ad agognare quei contatti.
Avevano cominciato a sedersi più vicini quando uno dei due passava la notte a casa dell’altro.
Hinata aveva preso l’abitudine di sdraiarsi con la testa sulle sue gambe quando decidevano di prendersi una pausa dalla pallavolo e si guardavano un film sul divano di casa di Kageyama e Kageyama non aveva detto niente.
Trovava confortevole quel contatto e aveva anche cominciato a cercare più film da vedere in modo che Hinata avesse la scusa per stendere la testa sulle sue gambe.
Poi una sera era semplicemente successo. Kageyama aveva guardato Hinata steso sulle sue gambe, Hinata aveva voltato la testa dal televisore e aveva guardato in alto verso di lui.
"Tutto okay?", gli aveva chiesto.
E Kageyama aveva fatto la prima cosa che gli era venuta in mente. Si era piegato e aveva appena sfiorato le labbra di Hinata con le sue. Kageyama si era rifiutato di guardare la reazione di Hinata, si era coperto gli occhi con la mano, pregando silenziosamente che quello non scappasse di corsa di lì, prendesse la sua bicicletta e tornasse a casa nel pieno della notte, dovendo così spiegare a sua madre cosa fosse successo e quindi non avrebbe più passato la notte a casa di Kageyama, e Kageyama sapeva di stare andando in tilt, sentiva il suo viso sul punto di esplodere. Hinata aveva sollevato il busto Kageyama aveva temuto il peggio. Non sapeva cosa gli fosse preso, ma adesso aveva una paura terribile.
Hinata aveva appoggiato una mano sulla sua spalla e gli aveva dato un bacio veloce all’angolo delle labbra. Kageyama aveva spalancatto gli occhi per lo shock.
Era un saluto? Gli stava dando il contentino per poi scappare di lì? Avrebbe trovato un sorriso triste se si fosse voltato? Hinata gli avrebbe detto che gli dispiaceva ma non potevano più vedersi?
Ma Hinata senza dire nulla aveva la testa sulla sua spalla, gli aveva cinto la vita con un braccio e era tornato a guardare il film come se niente fosse, come se quella posizione fosse l’unica naturale per loro.
Kageyama ci aveva messo minuti interi prima di districare il braccio dalla presa di Hinata per avvolgerlo intorno alle sue spalle.
Da lì per loro non era cambiato nulla, ma era cambiato tutto.
Per quanto fossero veloci sul campo, in quel frangente si stavano prendendo il loro tempo, procedevano un passo alla volta.
Hinata sorrise al Kageyama ancora mezzo addormentato.
"Potrei abituarmi anche io".

human

Mar. 20th, 2020 10:42 pm
chasing_medea: (Default)
Titolo: human
Fandom: Voltron
Missione: M1 "Trust
Parole: 1111
Rating: nsfw

"Sei sicuro?”
Keith annuì deciso. Shiro strinse il nodo della benda che gli copriva gli occhi. Keith sentì il suo peso sollevarsi dal materasso e i suoi passi percorrere la stanza.
Keith, seduto sul letto con solamente un paio di pantaloni di tuta addosso, cominciava a sentire freddo.
"Se dici quiznak mi fermo -, disse Shiro, il tono non ammetteva repliche.
"Sì”
La stanza rimase in silenzio per qualche attimo, Keith cominciò a sentire la pelle fremere per il nervosismo.
"In piedi. Spogliati”, disse Shiro.
La sua voce era piena e calma come al solito, ma il sottofondo autoritario non sfuggì a Keith. Aveva imparato a riconoscere un ordine quando ne sentiva uno.
Si alzò in piedi, fece qualche passo verso il centro della stanza. Le gambe gli tremavano più di quanto volesse lasciar vedere, sentiva le guance bollenti, ma almeno la benda gli toglieva l’imbarazzo di dover guardare Shiro.
Non aveva alcun tipo di riferimento, la percezione del suo corpo era completamente diversa da quella a cui era abituato, ma riuscì a sfilarsi i pantaloni e farli cadere a terra.
“Voltati”, gli disse Shiro, la sua voce improvvisamente vicina.
Keith si voltò lentamente. Sentì il calore del corpo di Shiro vicino alla sua schiena, il suo respiro gli sfiorava l’incavo del collo, una ciocca di capelli gli sfiorò la spalla. Shiro percorse con un dito il suo avambraccio, dall’alto verso il basso, fino a sfiorargli l’interno del polso.
"Mani dietro la schiena -, gli sussurrò nel suo orecchio.
Keith provò un brivido di soddisfazione nel sentire che la sua voce si era fatta più scura e roca. Eseguì l’ordine e sentì qualcosa di pesante e freddo avvolgersi intorno i suoi polsi e scattare secco.
"Tutto bene?”, gli chiese Shiro a bassa voce nell’orecchio, la sua voce era tornata alle tonalità in grado di calmarlo.
Keith annuì.
Shiro si allontanò da lui. “In ginocchio”, gli ordinò.
Keith quasi crollò sul posto. Il tappeto era soffice sotto le ginocchia nude. Sentiva i passi di Shiro sul pavimento, ma non riusciva a capire dove fosse. Keith non aveva la concezione del tempo. Le ginocchia cominciavano a intorpidirsi, i muscoli delle cosce a tremare. Keith ebbe un attimo di panico, ripensò agli uomini con cui aveva sempre visto Shiro: erano sempre stati alti, muscolosi. Lui, al confronto, aveva un fisico più piccolo, longilineo, la sua muscolatura era allungata come quella di un ballerino, quasi femminile. Si chiese se Shiro, a vederlo finalmente nudo, avesse cambiato idea su quella storia.
"Non hai idea di quanto tu sia bello in questo momento"
La voce di Shiro si era fatta più roca, fece scorrere un brivido lungo la schiena di Keith. Ebbe l’istinto di coprirsi, ma le manette lo bloccarono, il rumore di metallo risuonò nella stanza. Poteva sentire lo sguardo di Shiro bruciare sulla sua schiena. La sua erezione cominciò a mostrarsi.
"Che cosa aspetti?", chiese a denti stretti.
"Sto pensando. Sto pensando da dove cominciare".
Keith sentì ancora più sangue affluire al suo intimo.
"Potrei cominciare piano”, continuò Shiro. “Dal collo, vedere quanto siano sensibili i tuoi capezzoli… Ti piacerebbe, credo. O potrei venire lì, spingerti la faccia sul tappeto e cominciare a prepararti senza troppe cerimonie”
La testa di Keith scattò in sù, un gemito gli sfuggì dalle labbra.
"Oh”, emise sorpreso Shiro. “Pensavo non potessi diventare più sexy e mi hai appena smentito”
"Fai qualcosa allora”
"Hai chiesto a me, quindi facciamo a modo mio”, rispose secco.
La mano di Shiro si poggiò sotto il suo mento e gli alzò la testa verso l’alto.
"Vorrei veramente vedere i tuoi occhi in questo momento. Saranno offuscati, semichiusi. Bisognosi. Vuoi che ti tocchi, non è vero Keith?”
Keith non riuscì a trattenere un gemito. Annuì.
"Puoi tirarti su?”
Keith cominciò ad alzarsi. Le gambe gli tremavano dopo essere stato in quella posizione per un po’, ma Shiro lo tenne. Keith sospirò al contatto con il corpo dell’altro, si protese ancora di più verso di lui.Indossava ancora tutti i vestiti, notò con disappunto.
Cominciò a passargli le dita sul petto, Keith si protese verso il contatto.
"Pazienza”, ridacchiò Shiro nel suo orecchio. Il suo fiato era caldo contro la sua pelle.
Keith gemette di disappunto.
“Sai, non riuscivo a crederci quando sei venuto a chiedermelo”. Gli lasciò un bacio sul lobo dell’orecchio. “Chiedermi di legarti, bendarti e farti quello che volevo”, la sua voce si era fatta ancora più roca.
Gli baciò la clavicola.
"Sei la persona di cui mi fido di più.”, rispose Keith.
Shiro gli baciò la spalla.
"Ma magari la prossima volta chiedo a Lance", lo provocò Keith. "Lui sarebbe andato direttamente al dunque”
Shiro gli morse la spalla, Keith gemette di piacere e di dolore insieme.
Lo depositò sul letto, le mani ancora legate dietro la schiena non la rendevano una posizione particolarmente comoda. Si sedette sopra di lui, le ginocchia ad entrambi i lati dei suoi fianchi. Cominciò ad accarezzargli i fianchi con una mano e continuò a baciargli il collo.
"Entrambe”, gemette Keith inarcandosi contro il materasso. "Entrambe le mani”
"Pensavo non volessi…”
Lasciò la frase in sospeso, ma Keith sapeva cosa volesse dire – quella mano era Galra, faceva parte di ciò da cui stava cercando di scappare.
"Voglio tutto quello che puoi darmi”
Le due mani di Shiro gli percorsero i fianchi, mentre le sue labbra andavano ad attaccare un capezzolo, lo mordicchiò delicatamente e Keith emise un gemito acuto.
Continuò a scendere.
Keith si sentiva già al limite. “Ti prego”
Cominciò a prepararlo. Keith aveva la testa schiacciata sul cuscino di lato, mentre la mano di Shiro spingeva dentro di lui con sempre più forza, scopandolo con due dita.
"Dimmi cosa vuoi”
Keith non rispose.
"Parlami Keith, altrimenti non so cosa vuoi”
"Voglio sentirmi umano, voglio sentirmi solo umano, voglio dimenticare di essere Galra. Ti prego. Fammi sentire umano”
Shiro entrò in lui.
"Grazie”, gli disse improvvisamente Shiro. “Grazie per permettermi di fare questo"
Erano mesi non lo faceva, gli ci volle un po’ ad abituarsi all’intrusione.
Cominciò a spingere dentro di lui senza pietà, si angolò in modo da andare a colpire la sua prostata.
"Posso baciarti?”
Keith annuì.
Shiro lo baciò e c’era qualcosa in quel bacio che lo fece sentire così umano da portarlo sull’orlo delle lacrime, la benda si inumidì. La cura, l’attenzione, l’affetto. La devozione.
Vennero entrambi.
Gli sciolse le mani dalle manette.
Gli accarezzò i polsi, massaggiandoli per fargli riprendere la circolazione.
Lo tenne stretto, senza togliere la benda.
Keith gliene fu grato, si nascose nel suo petto e Shiro lo tenne stretto.
Quando si decise a togliere la benda, la prima cosa che vide fu il sorriso rassicurante di Shiro.
chasing_medea: (Default)
Titolo: Non nobis solum nati sumus
Fandom: bnha
Missione: M5 - latino
Parole: 444
Rating: safe

"Non dovresti continuare a gettarti così nella mischia", lo rimprovera Kirishima mentre gli disinfetta la ferita sulla guancia.
Bakugou si limita a far schioccare la lingua sul palato. Non ha alcuna voglia di rispondere: c'era una situazione di pericolo e lui ha salvato i civili, non capisce perchè Kirishima senta il bisogno di fargli la ramanzina tutte le volte.
"Se non vuoi farlo per te, almeno fallo per il tuo soulmate. Chiunque sia si trova ogni giorno pieno di ferite senza sapere neanche che cosa abbia fatto per meritarselo. Sono anni che lo massacri! Quando finalmente lo incontrerai non vorrà avere nulla che fare con te. Quella del soulmate era un'altra battaglia persa con Kirishima.
"Non mi interessa", rispose secco Bakugou.
Bakugou aveva sempre odiato quel concetto, l'idea che non non si fosse nati solo per sè stessi ma che qualcun altro dipendesse da loro, mentre Kirishima l'aveva sempre trovata un'idea romantica e aveva sempre rimproverato Bakugou che non aveva fatto nulla per cercare il suo soulmate. Non era interessato a quelle cose, voleva solo continuare a fare in pace il suo lavoro da hero.
Kirishima sospirò e terminò la medicazione. Si alzò in piedi e gli disse di andarsene a casa per quel giorno. Il turno di Bakugou era finito da almeno un paio d'ore e non aveva la minima voglia di restare lì a compilare le scartoffie necessarie. Potevano aspettare fino all'indomani.
Bakugou annuì, recuperò le sue cose e uscì dalla sede dell'agenzia. Ancora non era riuscito ad aprire la sua di agenzia, ma c'era vicino ormai, sapeva che non doveva mancare molto.
E' mentre torna a casa che una nuova emergenza capita e Bakugou non può ignorarla. Un rapinatore entra in un locale e lui, senza pensarci due volte, gli fa appresso e lo ferma. Prima di essere immobilizzato, quello riesce a colpirlo al costato e a mozzargli il respiro. Qualcun altro, in quel locale ha la stessa reazione di dolore che ha Bakugou.
Bakugou alza lo sguardo e incontra i grandi occhi verdi di quel ragazzo, con il viso rotondo e pieno di lentiggini.
Quello gli sorride.
"Adesso ha senso", gli dice. "Sono contento che i lividi siano per una buona causa"
E Bakugou non può non sorridere. Se veramente era come diceva Kirishima, se veramente il soulmate è la persona che si incastra perfettamente, il suo non poteva non vederla come lui, non poteva non condividere il suo impegno. Ma qualcosa scatta in lui. Se può fare in modo che quel sorriso rimanga sul suo viso, se può fare in modo che lui soffra di meno, vale la pena prendersi un po' più cura di sè stesso, in fondo.

(un)lost

Mar. 18th, 2020 06:13 pm
chasing_medea: (Default)
Titolo: (un)lost
Fandom: Haikyuu
Missione: M4 - storia divisa a metà, due pov + arranged marriage
Parole: 7777
Rating: nsfw
Note: lievi riferimenti a sangue/scene che potrebbero dar fastidio



Hinata uscì sul balconcino, coperto solo da un lenzuolo di morbido cotone bianco, le ali bianche erano raccolte dietro la schiena. Il balconcino si affacciava direttamente sul mare, davanti a lui non vedeva nulla, se non la distesa blu dell’oceano. Sapeva che c’erano altre persone lì oltre a lui, eppure stare lì lo faceva sentire sul tetto del mondo, quasi come se fosse sulla cima di una scogliera senza nulla intorno.
Chiuse gli occhi e, con un sorriso sulle labbra, inspirò a fondo l’aria di mare.
Un paio di braccia si strinse intorno alle sue spalle.
Hinata voltò leggermente la testa. Kageyama, ancora con gli occhi chiusi, lo aveva raggiunto e aveva appoggiato la testa nell’incavo del suo collo.
“Ehi”, gli mormorò.
Kageyama diede un piccolo bacio sul suo collo.
“Che ci fai qui?”, gli chiese con la voce ancora impastata dal sonno, le labbra si muovevano contro la pelle di Hinata.
“Mi piace il mare”
Kageyama annuì, ma non si mosse da lì.
Hinata chiuse nuovamente gli occhi e inclinò la testa verso l’alto, godendosi il calore del sole sul viso e quello del corpo di Kageyama contro la sua schiena.
*

Hinata sperava che quel viaggio non finisse mai. Non aveva la minima idea del perchè suo padre avesse deciso di inviare lui come rappresentate del regno a quello stupido torneo, dal momento che non gli era neanche concesso partecipare. Poteva solamente rimanere lì a guardare i cavalieri combattere e ad applaudire. Per non parlare del fatto che non vedeva Kageyama da anni. Kageyama era sempre stato un po' strano, sempre imbronciato e sempre sule sue. Quando erano entrambi piccoli le visite della sua famiglia al castello erano state piuttosto frequenti, si poteva dire anche che fossero quasi diventati amici, ma a un certo punto si erano interrotte e Shoyo aveva quasi dimenticato la sua esistenza.
Shoyo avrebbe voluto fare due chiacchiere con il valletto che lo stava scortando in quel viaggio, giusto per far passare un po' il tempo, ma quello sembrava volesse far finta di non esistere. Probabilmente era stato istruito di non disturbare il viaggio del pincipe.
Sospirà e tornò a guardare fuori dal finestrino della sua carrozza. Il paesaggio stava gradualmente cambiando: dai fitti boschi di campagna erano arrivati in pianura, ovunque si voltasse vedeva infinite distese verdi, alcune casette in legno distanziate tra di loro. Attraversarono alcuni villaggi di contadini che guardarono con curiosità la carrozza riccamente decorata che stava passando. Si bloccavano nel mezzo della loro attività e rimanevano a guardarla a bocca aperta, sporgendo i colli per cercare di vedere chi si nascondesse al suo interno. Ogni volta Hinata si schiacciava contro il sedile per evitare di essere visto. Lo aveva sempre imbarazzato essere trattato in quel modo, essere guardato in quel modo. Avrebbe semplicemente voluto essere lasciato libero di fare quello che voleva, invece era cresciuto con sempre qualcuno che osservava i suoi movimenti, pronto a lamentarsene con il primo membro della sua famiglia che fosse capitato a tiro.
Il paesaggio cambiò nuovamente. Shoyo era circondato da colline gialle, verdi brillanti o rosse per i fiori di campo risplendevano sotto il sole primaverile. Era molto diverso da quello che aveva sempre visto in montagna, dove era solo roccia e verde.
"Quanto manca ancora?", chiese al valletto seduto di fronte a lui, schiacciato in un angolo della carrozza per non disturbarlo.
"Non molto, mio signore", rispose formalmente.
Shoyo annuì e tornò a guardare fuori.
Fu dopo una collina che lo vide. Improvvisamente, davanti ai suoi occhi, comparve una distesa d'acqua blu cristallina che si allungava a vista d'occhio. Il colore dell'acqua era diverso da quello dei laghi di montagna a cui era abituato ed era agitata da piccole onde che si alzavano per il leggero vento che soffiava quel giorno. Shoyo spalancò gli occhi, appoggiò le mani al finestrino, avrebbe desiderato sporgersi ma le aperture troppo piccole non gli consentivano di farlo.
Quello doveva essere il mare. Ne aveva sentito parlare solamente nei suoi libri, ma non lo aveva mai visto. Fu un colpo di fulmine.
Se per avere quella vista per qualche giorno avrebbe dovuto sopportare un torneo di cavalieri, l'avrebbe fatto volentieri.
Hinata si perse ad osservare il panorama e vide solo all'ultimo momento il castello che cominciava ad apparire in lontananza. Era interamente costituito di bianco, aveva forme squadrate, come grandi blocchi di marmo di forme diverse messi l'uno di fianco all'altro e costruito proprio in cima alla scogliera, a picco sul mare. Era completamente diverso dai castelli in pietra scura che si trovavano nei regni di montagna.
La carrozza continuò a camminare, fino ad attraversare un grande cancello di ferro battuto. Hinata ebbe la prima vista dei giardini, enormi e pieni di fontane, riccamente decorate con statue e i cui zampilli d'acqua creavano effetti ottici particolari. La carrozza si fermò davanti a una grande scalinata anche quella completamente bianca e resa quasi accecante dalla luce del sole. Lì, ad attenderlo, vide Kageyama.
Era completamente diverso da come lo ricordava, l'espressione perennemente imbronciata era stata sostituita da una fiera e fredda. I tratti del viso erano affilati, i vestiti di, un blu scuro, gli cadevano perfettamente addosso, dandogli un'aria elegante e regale. Le grandi ali, nere come i capelli, erano piegate dietro la schiena. Teneva la schiena dritta e una mano appoggiata sull'elsa della spada.
Il valletto aprì la porta della carrozza e Hinata scese, le gambe erano intorpidite dopo tante ore di viaggio e per un attimo ebbe la sensazione che non reggessero il suo peso. Si avvicino titubante a Kageyama e si inchinò formalmente, sorridendogli per cercare di mascherare il suo nervosismo.
"Benvenuto", disse Kageyama. La sua voce era profonda e distaccata, come se non volesse essere lì più di quanto volesse Hinata.
"Grazie dell'invito", rispose Hinata raddizzando la schiena.
"Spero tu abbia fatto un buon viaggio"
"Molto tranquillo. I vostri genitori?"
"Avevano impegni che non hanno potuto rimandare, ma sei atteso per cena"
"Con molto piacere"
"I servitori vi scorteranno nelle vostre stanze"
"Grazie"
Hinata si inchinò ancora una volta, sperando che questo mettesse fine alla conversazione rigida e imbarazzata. Non poteva credere che avrebbe dovuto passare così i prossimi giorni.
Kageyama si inchinò a sua volta, si voltò e entrò nuovamente nel castello.
Dietro Hinata alcuni servitori avevano preso i suoi bagagli e avevano cominciato a portarli su per le scale. Hinata li guardò confusi chiedendosi se dovesse seguirli, ma un altro servitore venne in suo soccorso. Si affiancò a lui e si inchinò.
"Prego, mi segua, mio signore"
Hinata lo seguì all'interno del castello. Anche l'interno era completamente bianco, le poche decorazioni erano di un azzurro brillante. Hinata era talmente preso dall'osservare tutto che quasi andò a sbattere contro il servitore, che aveva seguito meccanicamente fino a quel momento, quando questo si fermò.
"Queste saranno le vostre stanze, all'interno è già stato organizzato tutto per permettervi di darvi una rinfrescata"
Hinata lo ringraziò e entrò in quella che sarebbe stata la sua stanza nei prossimi giorni. La prima cosa che vide fu l'enorme letto a baldacchino con le sue decorazioni azzurre, come tutto il castello. Quando vide la tinozza d'acqua calda tutto il resto passò in secondo piano.
Si chiese distrattamente come avrebbe fatto a ritrovarla, si era perso completamente il percorso.
Rinfrescato dopo il lungo viaggio, Hinata aprì il baule e indossò qualcosa di comodo ma elegante per la cena, sempre nei colori del nero e del rosso, quelli del suo regno. Come sempre, nonostante cominciasse a far caldo, indossò un mantello leggero per coprire le ali. Quando un servitore venne a chiamarlo per cena, Hinata era pronto.
Venne scortato attraverso i corridoi del castello fino alla sala da pranzo reale. Era un'ambiente ampio e luminoso, le giornate si erano allungate e la luce del tramonto entrava dalle ampie finestre, alcune candele erano state accese nei bracieri, ma ancora non erano strettamente necessarie.
La regina si avvicinò a lui con un largo sorriso e lo strinse in un abbraccio, le sue ali lunghe e sottili si avvolsero intorno al corpo di Hinata. Hinata dovette resistere alla tentazione di aggrapparsi a lei. Si era reso conto solo in quel momento di quanto sentisse la mancanza di un abbraccio materno. Da quando sua padre se ne era andata, non aveva più avuto nessuno che lo stringesse in quel modo. La regina sorrise e lo tenne stretto più a lungo di quanto fosse strettamente necessario, ma Hinata non aveva alcuna intenzione di districarsi dalla stretta.
"Shoyo", gli disse con voce dolce quando si decise a lasciarlo andare. Lo tenne per le spalle e guardò attentamente tutta la sua figura. "Quanto sei cresicuto", gli disse. "Vieni, accomodati. La cena sarà pronta tra poco".
Shoyo si accomodò al tavolo, la regina prese il posto a capotavola, Kageyama era di fronte a lui. Altri due posti erano apparecchiati, Hinata stava per chiedere chi dovesse raggiungerli per cena, quando la porta della sala si aprì nuovamente e HInata vide entrare Oikawa.
Oikawa era il cugino di Kageyama, divenuto un paio d'anni prima re del suo regno, a poca distanza da lì. Anche lui, da piccolo, aveva passato le estati con loro e il suo passatempo preferito era sempre stato far perdere le staffe a Kageyama, cosa anche abbastanza facile nel complesso. Hinata, però, si era sempre trovato bene con lui, nonostante fosse di qualche anno più grande rispetto a loro. Oltre a essere più alto non sembrava cambiato poi molto, anche se le sue ali color cioccolato erano diventate molto più ampie e imponenti, era visibile nonostante le stesse tenendo a riposo. Shoyo si alzò per andarlo a salutare, Oikawa gli sorrise, lo afferrò per il mento e osservò con attenzione i suoi lineamenti, con un sopracciglio alzato.
"Oikawa, lascialo stare", disse una voce dietro di lui.
Hinata voltò lo sguardo e vide Iwaizumi. Anche lui era stato spesso da loro, era il cavaliere
incaricato della scorta di Oikawa sin da quando avevano quindici anni.
"Guarda che bel faccino ha messo su! Ha sempre avuto gli occhioni, ma adesso guardalo. Potrebbe piegare imperi se imparasse a usarli nel modo giusto", commentò invece Oikawa non dando segno di averlo sentito e senza rilasciare il suo mento.
"Oikawa, lascialo stare e vieni a sederti", lo rimproverò bonariamente la regina. Oikawa lo lasciò andare.
"Ti ricordi di Iwa?", gli chiese. "Adesso è diventato re consorte!", annunciò Oikawa.
"Oh, congratulazioni?", disse Hinata incerto su quale dovesse essere la sua reazione a quella notizia.
Iwa non sembrò offendersi, ma neanche dare molta importanza alla cosa. Si limitò a prendere Oikawa e costringerlo quasi a mettersi seduto sulla sedia accanto al cugino. Hinata si sedette nuovamente e vide l'espressione scocciata sul viso di Kageyama.
In quel momento servitori cominciarono a portare piatti ricchi di pietanze fumanti. Solo in quel momento Hinata si rese conto di quanta fame avesse, ringraziò ancora per l'ospitalità e si fiondò sul cibo.
La cena procedette tranquilla, riempita prevalentemente dalle chiacchiere di Oikawa e dalle domande della regina, che voleva sapere come stesse suo padre, come andasse il regno e se quell'albero di ciliegio che amava tanto nei loro giardini fosse ancora vivo. Kageyama rimase in silenzio tutto il tempo, mentre Iwaizumi interveniva occasionalmente, la maggior parte delle volte per convincere Oikawa a darsi una calmata, soprattutto quando le sue domande vero Hinata cominciarono a farsi più impertinenti. Hinata rispose a tutto, sorseggiando vino per cercare di tenere a freno l'imbarazzo. Non sapeva bene come comportarsi davanti a loro. Quando era più piccolo era libero di fare quello che voleva, ma capiva che si aspettavano che ormai avesse le maniere di un principe. Solo che a Hinata le maniere da principe erano sempre state piuttosto strette.
Alla fine della cena, calò un silenzio confortevole sulla tavolata, tutti erano pieni e soddisfatti per la cena.
"Tobio, perchè non accompagni Shoyo a vedere i giardini?", disse improvvisamente la regina.
Kageyama annuì e si alzò dal tavolo, si avvicinò alla sedia di Hinata e gli offrì il braccio per aiutarlo ad alzarsi. Hinata la prese facendosi tutto rosso in viso e lo seguì nei giardini. Li aveva visti solo di passaggio quella mattina, ma di sera facevano tutto un'altro effetto. La notte era calata, e i bracieri sparsi per il giardino illuminavano le fontane in pietra bianca, dando sfumature rossastre sia alla pietra che all'acqua, la luce della luna immergeva tutto nella penombra dei racconti fantastici che il principe adorava leggere.
Kageyama si schiarì la voce mentre passeggiavano, evitava lo sguardo di Hinata anche lui in evidente imbarazzo.
"Allora", disse improvvisamente. "Le stanze sono di tuo gradimento?", chiese tanto per spezzare il silenzio.
"Sì, sono molto belle. Grazie", rispose Hinata più in imbarazzo di lui.
Hinata capiva solo in parte cosa fosse successo. Erano praticamente cresciuti insieme, ma nonostante questo un'aria imbarazzante gravava intorno a loro rendendo ogni tentativo di conversazione pesante. Quando erano piccoli non avevano mai avuto di quei problemi, passavano le loro giornate a discutere, è vero, ma dove erano loro non c'era mai silenzio.
Un brivido attraversò Hinata.
"Hai freddo? Vuoi rientrare?"
Hinata annuì, cominciava a fare freddo, ma non aveva veramente voglia di rientrare. Voleva solo sfuggire in fretta a quella situazione. Kageyama lo scortò fino alle sue stanze.
"Allora buonanotte", gli disse con un piccolo inchino.
"Buonanotte", gli rispose Hinata prima di infilarsi nella sua camera.

L'arena per il torneo era stata allestita poco distante dal palazzo, in una zona libera al di fuori dei cancelli del giardino. Subito dopo colazione Hinata venne scortato fino a una carrozza e da lì venne accompagnato fino all'arena. Lì venne fatto accomodare nel palchetto con la famiglia reale, accanto a lui la regina e dall'altro lato Oikawa, accanto a Oikawa, Iwaizumi sembrava contento quanto Hinata di essere lì e la cosa in parte lo consolò.
Non gli erano mai piaciuti i tornei, non capiva perchè come passatempo avrebbe dovuto starsene lì seduto a guardare cavalieri che combattevano al primo sangue.
Le trombe squillarono, risuonando per tutta l'arena, tra gli applausi fragorosi del popolo che era accorso, il torno iniziò. In ogni round veniva messa in palio un mazzo di fiori, chiunque vincesse il round aveva l'onore di prendere il mazzo e consegnarlo direttamente a Hinata, che era stato scelto come ospite d'onore di quel torneo. Ogni combattente lo consegnava con un piccolo inchino o un cenno di saluto al suo indirizzo. Hinata ogni volta si alzava dal suo posto e prendeva il mazzo di fiori con un sorriso gentile, cercando di nascondere il fatto che non avesse alcuna voglia di stare lì, dopotutto non era colpa dei cavalieri se lui era costretto a quelle formalità.
Il combattimento successivo sarebbe stato l'ultimo di quella prima giornata e a scendere in campo sarebbe stato Kageyama. Era l'unico della famiglia reale a partecipare a quel torneo e da tutti era dato come favorito per la vittoria. A quanto aveva capito Shoyo, era un combattente incredibile. La sua discesa in campo venne accompagnata dal grande entusiasmo del popolo, che si agitò sugli spalti impaziente di vederlo combattere. A Hinata bastò guardarlo per un attimo per rendersi conto di quanto quelle voci non gli rendessero giustizia. Nonostante non ci capisse molto di duelli, Hinata poteva vedere come Kageyama si muovesse con agilità ed eleganza, le grandi ali dispiegate rendevano la sua figura cupa e inquietante, il suo portamento era fluido e sicuro dei movimenti, non c'era nessun tipo di esitazione in quello che faceva. Appariva quasi spietato per quanto era efficiente. Hinata era sicuro che nessuno volesse trovarselo davanti in battaglia. Gli ci vollero meno di cinque minuti per ferire l'avversario al volto e mettere fine al combattimento, era stato l'incontro più veloce della giornata.
Raccolse il mazzo di fiori e si avvicinò al palchetto reale, lo consegnò a Hinata. Il suo viso era contrariato, come se non fosse soddisfatto del combattimento appena disputato. Hinata raccolse il mazzo di fiori con il solito sorriso gentile, ma Kageyama, non appena gli venne tolto il mazzo dalle mani, si allontanò senza neanche un inchino, andandosi ad infilare direttamente nella tenda allestita per lui intorno all'arena.
Hinata non vedeva l'ora di tornare nelle sue stanze, non aveva alcuna voglia di andare al banchetto organizzato per quella sera, ma sapeva di non avere scelta.
Rispetto al giorno prima il castello era molto più affollato, tutti i cavalieri che erano arrivati per partecipare al torneo alloggiavano dentro le mura del castello, i corridoi erano in pieno fermento e tutto fremeva per la preparazione del banchetto della sera.
Hinata riuscì a rientrare nelle sue stanze solamente per poco, giusto il tempo di cambiarsi e scendere nuovamente nella sala da pranzo, completamente diversa da come l'aveva vista la sera precedente. Il grande tavolo dove avevano cenato era stato disposto in fondo alla sala, altri tavoli ugualmente grandi erano stati disposti ai due lati di quello, creando una sorta di forma a ferro di cavallo. I posti erano apparecchiati uno vicino all'altro, sembrava veramente che non potessero starci tutti insieme visto quanto erano grossi alcuni dei cavalieri. Hinata venne fatto accomodare al tavolo centrale, alla sinistra di Kageyama. La sala fu presto totalmente piena del rumore di piatti, posate, risa, urla e battute, che rimbombavano all'interno delle pareti di pietra. Il trambusto era tale che Hinata non riusciva neanche a sentire cosa gli dicesse Oikawa, seduto alla sua sinistra. Si era sempre trovato bene in mezzo al caos, ma lì in mezzo non riusciva a non sentirsi a disagio e non riusciva a capire perchè. Non appena la cena fu terminata chiese alla regina e a Kageyama di scusarlo e uscì dalla sala.
Lasciatosi alle spalle il rumore del banchetto, i corridoi del castello apparivano spettrali per quanto erano silenziosi. L'idea era quella di andare diretto in camera sua, ma passando davanti all'ingresso principale venne raggiunto dalla brezza leggera dell'aria di mare della sera. Senza pensarci troppo uscì dalle porte e cominciò ad esplorare il giardino.
La sera prima non lo aveva potuto vedere quanto avrebbe voluto perchè la presenza di Kageyama lo metteva a disagio, ma quella sera era solo. Si prese il suo tempo per osservare nel dettaglio ogni fontana e ogni decorazione.
Raggiunse l'estremità del giardino, dove una ringhiera di ferro battuto affacciava direttamente sul mare. L'odore di salsedine lo colpì forte, rimase lì e respirò, sentendo la tensione accumulata in quella giornata scivolare via dal suo corpo. Gli succedeva ogni volta che aveva un incarico ufficiale, ogni volta che gli veniva richiesto di comportarsi da principe per un qualunque motivo. Si sentiva come se indossasse un corpetto troppo stretto per lui - non che ne avesse mai indossato uno, aveva solo provato una volta quello di sua madre per curiosità, e ricordava solo quanto si fosse sentito soffocare quei pochi secondi che lo aveva tenuto addosso, come le stecche gli impedissero qualunque movimento e sentisse il petto compresso, come gli mancasse il fiato solo per tenerlo addosso. Era quella la sensazione, quella di essere costretto in vestiti troppo stretti per lui, che gli irrigidivano la postura e gli impedivano di muoversi come avrebbe voluto, come sarebbe stato naturale per lui.
Sentì dei passi avvicinarsi dietro di lui, Hinata non si voltò. Kageyama lo raggiunse.
"E' un bel posto, qui", gli disse Kageyama.
Hinata annuì. "Molto bello. Di giorno, con il mare che si vede, lo deve essere ancora di più"
"Se ti piace tanto potremmo farlo organizzare qui il matrimonio".
Nonostante il buio Hinata potè vedere Kageyama arrossire. Poi ripensò meglio a quello che aveva detto.
"Aspetta. Quale matrimonio"
Kageyama spalancò gli occhi. "Il nostro matrimonio..." disse diventando ancora più rosso. "Noi dovevamo sposarci"
Hinata spalancò gli occhi e si gelò sul posto. "No, no… non è possibile… mio padre mi ha detto solo che dovevo venire per il torneo, non mi ha detto nulla di un matrimonio", disse con la voce che gli tremava.
"Il torneo era per il fidanzamento", spiegò Kageyama, non sapendo come gestire la situazione.
Hinata cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro per il giardino, con gli occhi che gli si riempivano di lacrime. Appoggiò la schiena alla ringhiera e si lasciò scivolare giù, fino a toccare terra, si portò le ginocchia al petto e si prese la testa tra le mani. Le lacrime cominciarono a scendere.
Kageyama si inginocchiò davanti a lui. "Vuoi dire che non ne sapevi nulla?", il tono della sua voce si era addolcito.
Hinata scosse la testa, tenendo gli occhi spalancati e fissi su un punto non meglio identificato del pavimento. Provò a dire qualcosa, ma riuscì solo a boccheggiare. Kageyama si allontanò un momento e tornò con le mani umide e fresche, doveva averle immerse nella fontana. Cominciò a passarle delicatamente sul viso di Hinata.
HInata lo lasciò fare, mentre le sue lacrime si tramutavano in singhiozzi che scuotevano tutto il corpo. Suo padre lo aveva mandato lì senza dirgli nulla, suo padre lo aveva mandato lì per sbarazzarsi di lui. Hinata non riusciva a togliersi di mente quel pensiero. Non voleva rimanere lì, non voleva sposarsi, ma non voleva neanche tornare a casa, con il timore di essere rispedito via. Sapeva di non essere tagliato per fare il principe, tanto meno il re, ma non credeva che suo padre sarebbe mai arrivato a tanto.
Kageyama fece un cenno a una delle guardie che pattugliavano il giardino e gli disse di mandare a chiedere dell'acqua. Dopo poco arrivò un servitore con una caraffa e un calice, li lasciò lì e si mise in disparte. Kageyama riempì il boccale e aiutò Hinata a bere, assicurandosi che lo facesse a piccoli sorsi. Hinata non aveva ancora detto una parola, ma a poco a poco il suo respiro sembrò regolarizzarsi.
"Mi manderai a casa adesso?", chiese Hinata all'improvviso. Alzò la testa, aveva gli occhi sbarrati. "Non voglio tornare a casa".
"Certo che no", gli rispose Kageyama. "Intanto è meglio che torni in camera".
Kageyama lo prese per un braccio e lo aiutà ad alzarsi. Le gambe di Hinata non sembravano molto stabili. Kageyama lo sostenne per tutto il tragitto, fino alle sue stanze.
"Ce la fai?", gli chiese quando furono sulla porta.
Hinata annuì, con il respiro ancora franto.
"Cerca di riposare", gli disse Kageyama con voce rassicurante, era la prima volta che Hinata lo sentiva così. "Domani cercheremo di capire cosa fare"
Hinata annuì e aprì la porta delle sue stanze.
"Shoyo", lo richiamò Kageyama. Era la prima volta che lo chiamava per nome, si rese conto. "C'è qualcosa di cui hai bisogno?"
Hinata sorrise per il pensiero.
"Nulla che possiate fare"
"Mettimi alla prova"
"C'era questo cavaliere alla corte di mio padre. Sawamura Daichi. E' stato esiliato poco dopo la morte di mia madre. Non ho idea di che fine abbia fatto, ma vorrei veramente parlargli in questo momento".
Il suo sorriso si fece triste, ma la sicurezza sul volto di Kageyama non vacillò neanche per un secondo.
Annuì e si allontanò da lì. Hinata entrò nella sua stanza e si sedette sul bordo del letto, ancora troppo sconvolto per fare qualcosa.

Kageyama percorse i corridoi silenziosi del castello fino a raggiungere la camera della madre. La donna si era tolta gli abiti eleganti che aveva indossato per il banchetto e aveva indossato qualcosa di più comodo.
"Tobio, tutto bene?", gli chiese non appena lo vide fare capolino alla porta della sua stanza.
Kageyama si sedette al tavolo delle sue stanze e cominciò a spiegare alla madre quello che aveva scoperto. La madre annuì pensierosa e si sedette accanto a lui.
"Non possiamo annullare il matrimonio", disse alla fine. "Troppi regni hanno stretto accordi con noi in virtù proprio di questo matrimonio, vorrebbe dire ricominciare tutto da zero. Non posso pensare che quel tizio lo abbia mandato qui senza dirgli nulla"
"Perchè non lo sapeva?", chiese Tobio.
"Con sua madre avevamo deciso di dirvelo quando sareste stati abbastanza grandi per comprendere, ma sua madre è venuta a mancare. Pensavo che il padre glielo avesse detto, non che lo avesse spedito via così"
Kageyama annuì. "Non possiamo rimandarlo a casa", disse deciso. "Lo rifarebbe"
"Lo so. Domani ci inventeremo qualcosa".
Sua madre si alzò dalla sedia, gli lasciò un bacio sulla fronte e così lo congedò.
Tobio si alzò da lì e si diresse verso la sua camera. Sapeva già che quella notte non sarebbe riuscito a prendere sonno.
La mattina dopo, a colazione, non appena sua madre vide Hinata lo strinse forte. Aveva le occhiaie profonde di chi non aveva chiuso occhio tutta la notte.
"Mi dispiace tanto, tesoro. Pensavo lo sapessi"
Hinata la strinse per un secondo, poi si sciolse dall'abbraccio e si sedette al tavolo. Toccò il cibo a malapena. Passò tutto il tempo a giocare con il cibo nel piatto, portando pochissimi bocconi alla bocca. Kageyama aspettò che avesse finito prima di proporgli di andare a fare un passeggiata nei giardini, sperando che la vista del mare lo ritirasse un po' su. Sembrava gli piacesse in modo particolare e Kageyama poteva capirlo: era vero che era cresciuto lì, ma questo non significava che non si rendesse conto della bellezza che si trovava davanti.
Hinata, alla domanda, alzò per la prima volta gli occhi dal tavolo.
"Non devi prepararti per il torneo?"
"Ho ancora tempo. Andiamo?"
Hinata annuì titubante e lo seguì nei giardini. Prima di accompagnarlo alla terrazza della sera precedente, Kageyama passò per le stalle per vedere se il suo cavallo fosse pronto per il torneo. Gli occhi di Hinata si illuminarono. Era il primo sprazzo dell'Hinata che aveva conosciuto da ragazzino che Kageyama vedeva da quando era arrivato al palazzo. Vide Hinata avvicinarsi timidamente ai cavalli. Lo stalliere gli fece un piccolo cenno di assenso e Hinata cominciò ad accarezzarne uno, sorridendo mentre lo faceva e sussurrandogli qualcosa che Kageyama, dal box del suo cavallo, non riusciva a sentire.
Accertatosi che fosse tutto okay, Kageyama raggiunse Hinata in silenzio e lo affiancò.
"Puoi sceglierne uno, se vuoi. Sarà il tuo cavallo"
"Davvero posso?", chiese Hinata con gli occhi che brillavano spalancati e puntati direttamente in quelli di Kageyama, che a stento trattenne l’istinto di fare un passo indietro e di arrossire.
Kageyama annuì.
Hinata abbassò lo sguardo. "Non hai paura che scappi?"
"E dove potresti andare?"
Gli occhi di Hinata si fecero improvvisamente tristi e Kageyama si maledisse. Non era quello che intendeva, ma non aveva la minima idea di come fare a correggere il tiro.
"Non ho intenzione di farlo, per la cronaca. Hai ragione. Non ho dove andare" ammise. Cominciò a camminare avanti e indietro nelle stalle, osservando i cavalli a uno a uno. "Il matrimonio si farà", aggiunse Hinata deciso. "Non sono uno sprovveduto, so come funzionano queste cose". Si prese un momento per guardare i cavalli. "Capisco che è necessario", aggiunse a voce più bassa. "Ed è probabilmente l'unica cosa che posso fare per servire il mio regno".
Kageyama non sapeva che ribattere. Non ci aveva mai riflettuto molto sull'idea del matrimonio combinato in generale, sapeva che era così che dovevano andare le cose, ma pensare che fosse tuto diverso e sentirselo piombare sulle spalle da un momento all'altro non doveva essere facile. Lui era solo contento che gli fosse capitato qualcuno come Hinata, ma se sposarlo avesse significato spegnerlo avrebbe preferito non farlo affatto.
Hinata si avvicinò a un cavallo con gli occhi scuri e il manto talmente scuro da avere riflessi blu.
"Mi piace questo", disse.
"Quello è pericoloso", avvertì Kageyama, ma Hinata aveva preso la sua decisione.
Si avvicinò piano e allungò la mano cercando di non sembrare minaccioso. Sorrise al cavallo, come se il cavallo potesse notare la differenza. Rimase a distanza di sicurezza fermo.
Kageyama osservava la scena poco distante.
Il cavallo fissava Hinata fermo nella sua posizione, mosse un passo nella sua direzione.
Kageyama fece un passo in avanti, pronto a tirare via l’idiota se la situazione si fosse fatta pericolosa, aveva tutti i sensi all’erta.
Ma il cavallo si avvicinò e poggiò il muso sotto la mano di Hinata e si lasciò accarezzare. Hinata fece un passo in avanti, e abbracciò il muso del cavallo continuando ad accarezzarlo.
"Guarda, Kageyama, gli piaccio", disse con quel solito stupido sorriso.
"Sai cavalcare?" gli chiese Kageyama.
Hinata annuì, con negli occhi qualcosa che somigliava a nostalgia. "Andavo sempre con mia madre", rispose. "Ma sono anni che non vado più"
"Come mai?"
Hinata si irrigidì per un secondo. "Mio padre", disse alla fine, "Sostiene che non è decoroso per un principe andare in giro a cavallo, dice che dovrebbe girare in carrozza. Dimostrare il proprio status", abbassò lo sguardo.
"Non ha torto"
"No, ma non sono bravo a fare le cose da principe". Hinata continuò ad accarezzare il muso del cavallo, ma il suo sguardo era perso. "Certe volte vorrei solo avere la libertà di prendere il mio cavallo e scappare nei boschi".
Kageyama capì in quel momento cosa ci fosse di sbagliato in tutta quella visita. Ogni volta che aveva visto Hinata avevano fatto di tutto, tranne comportarsi come i principi che erano. Li avevano lasciati fare perchè erano piccoli, perchè erano poco più che bambini, ma non lo erano più e tutti si aspettavano che si comportassero da principi adesso. E Kageyama si era sforzato con tutto sè stesso per farlo, aveva messo da parte tutto quello che era per apparire dignitoso, pienamente a proprio agio nel suo ruolo, per apparire un compagno desiderabile agli occhi di Hinata. E Hinata aveva fatto la stessa cosa, aveva fatto di tutto per comprotarsi in maniera adeguata, ma quel comportarsi in maniera adeguata lo spegneva dentro, lo snaturava.
A Kageyama venne da ridere al pensiero di quanto fossero stati idioti entrambi.
"Monta a cavallo", disse. "Andiamo a farci un giro"
Hinata spalancò gli occhi. "Cosa? Ma il torneo?"
"Non c'è nessun avversario particolare, posso vincerlo a occhi chiusi"
Hinata lo guardò stranito, come se non sapesse se scoppiare a ridere o alzare gli occhi al cielo.
Kageyama anche montò a cavallo e insieme partirono verso il bosco poco distante dal castello. Quel giorno il torneo si sarebbe disputato senza l'ospite d'onore.
Tornarono al castello che era quasi notte ormai. Il torneo era terminato da un pezzo e la madre di Kageyama non sembrava minimamente turbata dalla scappatella di quel giorno. Si era messa a ridere quando Kageyama gli aveva detto che cosa aveva fatto solo perchè Hinata sembrava triste. Kageyama era arrossito davanti alla risata della madre, senza capire bene perchè si sentisse così in imbarazzo o che cosa sua madre ci trovasse di tanto divertente.
"Siete sempre stati così", disse sua madre quando si fu calmata. "Shoyo faceva gli occhioni e tu avresti fatto qualunque cosa".
Kageyama divenne ancora più rosso.
"Sei fortunato che è buono e che non se ne rende conto, sarebbe in grado di farti dichiarare guerra a qualcuno", continuò la madre.
Kageyama borbottò qualcosa e si allontanò da lì. Si sentiva ancora le guance in fiamme, ma l'aria fresca che entrava nei corridoi dalle grosse finestre aperte gli diede un po' di sollievo.
Camminando per i corridoi sentì dei rumori strani, sembrava il lamento di qualcuno. Tese l'orecchio e accelerò il passo, cercando di individuare la fonte dei rumori. Più si avvicinava più sembrava il pianto di qualcuno in difficoltà. Si ritrovò nel corridoio del secondo piano, continuò a sentire i rumori. Arrivò davanti alla camera di Hinata. Il suono si era fatto più forte. Appoggiò l'orecchio alla porta e non ci furono più dubbi. Hinata aveva qualcosa che non andava. Tirò fuori dallo stivale il pugnale piccolo, quello che portava sempre con sè anche quando era apparentemente disarmato nel comfort del suo palazzo, e spalancò di scatto la porta.
Hinata era in un angolo della stanza, di fronte al grande specchio d'oro nell'angolo, era senza maglietta e dava le spalle allo specchio. Il suo viso era rigato dalle lacrime, c'era sangue sulle sue mani. Si immobilizzò sul posto e guardò Kageyama con gli occhi sbarrati. Kageyama era sotto shock quanto lui.
Si guardò intorno per la stanza e fu allora che le vide: sparse intorno ai piedi di Hinata c'erano delle piume, candide come la neve e macchiate di sangue. Kageyama alzò nuovamente lo sguardo su Hinata, ma stavolta guardò dietro di lui, guardò nello specchio e vide per la prima volta le sue ali.
L'osso dell'ala era nudo, poche piume bianche restavano attaccate, le altre sembravano essere state staccate ad una ad una con le mani. Kageyama sentì un fremito alle sue stesse ali al pensiero di quanto potesse essere dolorosa una cosa del genere.
Hinata sembrò riscuotersi, avanzò verso di lui e fece per spingerlo via, ma Kageyama lo afferrò per i polsi e se lo strinse addosso, lasciando che Hinata nascondesse la testa nel suo petto. I singhiozzi ripresero, ma erano diversi stavolta, non piangeva più per il dolore fisico.
Kageyama avrebbe voluto fare centinaia di domande, ma non era sicuro di come cominciare, non era sicuro che fosse il suo ruolo quello di fare domande. Quando Hinata sembrò essersi calmato, Kageyama si allontanò da lui, recuperò il suo mantello, quello che usava sempre per tenere coperte le ali, e lo coprì.
Strinse un braccio intorno alle spalle di Hinata e cominciò a camminare.
"Dove andiamo?", chiese Hinata con voce roca, lasciandosi guidare docilmente.
"Dal medico di corte"
"Non ho bisogno di un medico"
"Deve far male"
Hinata non rispose.
Camminarono per i corridoi fino a raggiungere lo studio del medico. Il medico li fece accomodare, fece sedere Hinata su un tavolo e sbiancò quando Kageyama tolse il mantello per mostrargli la situazione. Si scusò e si rinchiuse nel suo stanzino alla ricerca di qualcosa in particolare. Tra Hinata e Kageyama calò in silenzio pesante. Kageyama, imbarazzato, faceva vagare lo sguardo in giro per la stanza del medico, cominciò a contare i barattolini con strane polveri esposti sulla mensola.
Fu Hinata a romperlo.
"E' tutta colpa di queste stupide ali", disse.
Kageyama riportò lo sguardo su di lui.
"Mio padre le ha sempre odiate. Me le ha sempre fatte nascondere", continuò Hinata tenendo lo sguardo basso. "E' sempre stato convinto che un corvo bianco non potesse essere re. E' per questo che mi ha mandato via non appena ne ha avuto la possibilità"
"Allora è più idiota di quanto credessi", sentenziò Kageyama.
Hinata alzò di scatto la testa, con gli occhi spalancati. Una piuma si staccò dalla sua ala e cadde ai piedi di Kageyama, che si inchinò per raccoglierla. Ci fece scorrere il dito. Era morbida al tatto.
"Devono essere bellissime", disse tenendo lo sguardo fisso sulla piuma. Pensò a come potesse essere far scorrere la mano sull'intero piumaggio di Hinata.
Il medico tornò poco dopo con un unguento e un infuso caldo. Disse a Hinata di bere l'infuso per far diminuire il dolore, intanto cominciò a spargere l'unguento sulle ali. Hinata rabbrividì per il dolore. Kageyama si avvicinò a lui e gli prese le mani tra le sue, per evitare che si rovesciasse l'infuso caldo addosso. Hinata alzò lo sguardo verso di lui.
Rimasero bloccati così per qualche attimo. Fu la voce del medico a interromperle il momento.
Kageyama si allontanò di scatto, coprì nuovamente le ali d Hinata e lo scortò nuovamente in camera. Senza chiedere il permesso entrò con lui e quando Hinata si sedette sul bordo del letto si sedette accanto a lui.
"Perchè lo hai fatto?"
Hinata abbassò la testa, cominciò a giocare nervosamente con le mani, tenendole talmente strette tra di loro da far diventare le nocche bianche. "Ho pensato che se le avessi viste non avresti più voluto sposarmi e non avrei avuto un posto dove andare"
Kageyama si sentì come se l'avesse appena colpito una coltellata. Non sapeva se dargli una botta in testa per dirgli quanto era stato stupido o stringerlo per dirgli che non l'avrebbe mai mandato via per una cosa del genere. Allungò la mano verso quelle di Hinata, lo convinse a rilasciare la stretta e intrecciò le sue dita a quelle di Hinata ora libere. La sua mano era piccola rispetto a quella più grande di Kageyama. Kageyama fece passare il pollice sul dorso della mano di Hinata. Notò che era ancora macchiata di sangue. Si alzò dal letto e prese il catino con l'acqua. Si sedette nuovamente accanto a Hinata e cominciò a pulirgli delicatamente la mano con una pezza. Lasciò un piccolo bacio sul dorso della sua mano quando ebbe finito.

Il torneo, alla fine, non lo vinse Kageyama, che dopo la scappatella della seconda giornata non era più potuto rientrare in gioco. Guardò il resto del torneo seduto accanto a Hinata, sul palchetto della famiglia reale. In compenso, adesso Hinata aveva capito perchè gli venissero riservati tutti quegli onori. Hinata teneva ancora le ali coperte quando era in pubblico, ma alcune piume avevano già cominciato a ricrescere. Kageyama non vedeva l'ora di vederle complete. Hinata, in quei pochi giorni, era sembrato a poco a poco rasserenarsi, stava cominciando a somigliare sempre di più al ragazzino che si metteva sempre nei guai che Kageyama ricordava. A vederlo così un peso si era sollevato dal petto di Kageyama, all'idea che potesse stare bene lì e potesse adattarsi. Quella sera era stato il loro punto di partenza.
Kageyama aveva anche deciso di rimandare il matrimonio. Se doveva sposare Hinata, lo voleva fare con tutte le sue ali bianche in bella mostra.
"E poi andremo a trovare tuo padre. Entrerai in città a cavallo con le ali in bella mostra", disse Kageyama con la testa appoggiata sul grembo di Hinata.
Hinata rise e tirò indietro la testa.
Erano seduti in un lato un po' più nascosto del giardino, si stavano godendo il sole estivo che faceva risaltare ancora di più il bianco del castello e che faceva profumare il giardino.
Kageyama si perse a guardarlo. Il suo viso si era disteso in quel periodo che aveva passato al castello. Forse l'essere accettato, forse lo stare lontano da suo padre. Kageyama aveva anche cominciato a coinvolgerlo nelle decisioni che riguardavano il regno. Hinata inizialmente era stato restio, fino a che Tobio non gli aveva spiegato che, se doveva essere il suo consorte, lo voleva come alleato anche in quel frangente: non se ne faceva nulla di un consorte che lo fosse solo di facciata e che non prendesse parte minimamente alle decisioni del regno. Quello sarebbe diventato anche il suo regno dopotutto. Hinata alla fine aveva ceduto e aveva cominciato ad aiutarlo. Era buono e compassionevole, Hinata, ma sapeva anche essere deciso. Addolciva i lati più duri di Kageyama, in quei pochi mesi era arrivato a capirlo come nessuno prima. O forse veramente Kageyama si era addolcito a stare con lui.
Almeno questo era quello che sosteneva Oikawa. Lo aveva preso da parte un giorno per dirgli quanto fosse cambiato da quando Hinata era arrivato. Kageyama aveva negato, ma da quel giorno le sue parole avevano continuato a ronzargli in testa. Aveva notato come anche le guardie avessero smesso di irrigidirsi quando passava e sembrassero in generale più cordiali nei suoi confronti. Eppure lui non si sentiva molto cambiato.
Hinata abbassò lo sguardo e vide che Kageama lo stava fissando.
"Ho qualcosa sulla faccia?", chiese preoccupato.
Kageyama, senza pensare bene a quello che stava facendo, allungò un braccio e mise una mano dietro la nuca di Hinata, se lo tirò contro e lo baciò.
Hinata rimase immobilizzato per un secondo, Kageyama si bloccò appresso a lui, preoccupato di aver fatto un casino, ma Hinata ricercò subito le sue labbra.
"Idiota", disse poi allontanandosi e raddrizzando nuovamente la schiena. "Non puoi prendere e fare così all'improvviso".
"Così come?"
"Così", ripetè gesticolando l'intera figura di Kageyama.
"Non ho capito", disse Kageyama, ma scuoteva la testa mentre lo diceva.
Hinata sbuffò esasperato, ma stava sorridendo anche lui. Si piegò nuovamente e rubò un altro bacio a Kageyama.

Per il matrimonio venne allestito il giardino, quel posto che tanto aveva affascinato Hinata. Dalla ringhiera si poteva vedere il mare che risplendeva sotto la luce estiva. Un grande gazebo era stato disposto sull'erba per riparare gli ospiti e gli sposi dal sole cocente. Kageyama camminava nervosamente avanti e indietro per la sua stanza, ancora insicuro che quella fosse la scelta giusta per il regno e per sè, ma Hinata sembrava completarlo e capirlo come nessuno era mai stato in grado di fare. Kageyama poteva andare da lui, dirgli che quel giorno non se la sentiva di fare il suo dovere e Hinata sarebbe scappato con lui in capo al mondo o sarebbe stato in grado di farlo tornare a fare il suo lavoro senza esitazione, perfettamente in grado di leggere la situazione.
Kageyama sentì bussare alla porta della propria camera. Entrò un ragazzo con i capelli grigi, un sorriso dolce e grandi ali bianche che somigliavano a quelle di un cigno.
"Suga!", disse Kageyama non appena lo vide. "Pensavo non riuscissi a venire"
Sugawara sorrise. "Non mi sarei mai perso il tuo matrimonio"
Sugawara era un orfano, era stato cresciuto alla corte. Aveva un paio d'anni più di Kageyama ma erano cresciuti insieme come fratelli. Kageyama si era rattristato al pensiero di sposarsi senza di lui, ma ce l'aveva fatta a venire. Sugawara si occupava di incarichi diplomatici per conto del regno e passava veramente poco tempo al castello.
Suga si avvicinò a lui e lo aiutò a sistemarsi il vestito.
"Non mi chiedi se sono sicuro?", gli chiese Kageyama, che si aspettava che Suga gli facesse tutte le sue raccomandazioni.
"Lo so che lo sei", gli sorrise Suga. "L'hai scelto che eri appena un bambino"
Kageyama lo guardò alzando un sopracciglio.
"Mi ricordo com'eri quando eri con lui", riprese Suga. "Eri... felice? Non so. So solo che sembravi un bambino vero. Non credo avresti mai permesso a nessun altro di chiamarti idiota senza ripercussioni"
Kageyama distolse lo sguardo imbarazzato. Ricordava quello che gli aveva detto sua madre e non era molto diverso. Si chiese se veramente fosse stato così da bambino, ma l'unica cosa che riusciva a ricordare di quelle trasferte erano i guai in cui si andava a cacciare per seguire Hinata.
Suga lo scortò in giardino, dove fu raggiunto da Hinata. Accanto a lui vide un ragazzo più grande di loro di qualche anno, aveva corti capelli neri e spalle larghe, le ali erano nerissime e non particolarmente grandi. Doveva essere il cavaliere di cui Hinata gli aveva parlato. Aveva mandato alcuni soldati a cercarlo, era contento che lo avessero trovato e che HInata non fosse completamente solo lì. Accanto a lui sentì Sugawara irrigidirsi nel guardare il nuovo arrivato. Era rimasto bloccato sul posto, con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta. Hinata si voltò verso di loro e il suo sguardo si bloccò su Sugawara. Sulle sue ali bianche come le sue. Quando anche lo straniero alzò lo sguardo e incontrò quello di Suga ebbe la stessa reazione.
"Lo conosci?", chiese Kageyama a Sugawara.
"No, ma mi piacerebbe", rispose.
Non si era mai contenuto su quelle cose, a Kageyama venne da ridere e si sentì consolato al pensiero che in fondo non fosse cambiato.
Hinata si avvicina a lui, elegantissimo nei suoi abiti interamente neri che contrastano le sue ali grandi e bianche. Sono ancora più belle di quanto Kageyama avesse potuto immaginare e non riesce ancora a credere di aver rischiato di non vederle, che Hinata era arrivato a odiarle al punto di distriuggerle pur di non subire ancora un altro rifiuto. Al solo pensiero stringe i pugni e vorrebbe riversare l'intera sua furia contro il padre di Hinata.
Hinata lo guarda inclinando la testa di lato.
"Perchè sei arrabiato?"
"Non sono arrabiato"
"Sì che lo sei"
"Non lo sono"
"Non so se ti voglio sposare mentre sei arrabbiato"
"Ti ho detto che non lo sono!"
Ma Hinata ride e Kageyama sente qualcosa sciogliersi in lui, come accade ogni volta.
"Andiamo, brontolo! Aspettano solo noi"
Kageyama annuisce e lo segue, prendono i loro posti all'altare. Accanto a Kageyama c'è Sugawara, Daichi è accanto a Hinata.
La cerimonia è breve e concisa, il banchetto che ne segue non lo è.
Kageyama vorrebbe solo andare a rifugiarsi nella sua nuova stanza con quello che è adesso suo marito, prendersi quell'ultimo frammento di lui che ancora non si è preso perchè, testardo, almeno su quello aveva voluto rispettare le tradizioni. Hanno fatto di tutto, ma non hanno mai fatto sesso. Anche perchè Kageyama aveva avuto paura che Hinata, rendendosi conto di quanto mancasse di esperienza, decidesse che non valeva la pena sposarlo.
Quando finalmente il banchetto arriva alla fine, Kageyama quasi corre in camera con Shoyo al seguito. Sua madre ha lasciato che scegliesse lui quale dovesse essere la loro camera, e Kageyama ne ha scelta una al secondo piano, con un piccolo balconcino davanti che affaccia direttamente sul mare. La finestra è stata lasciata aperta per far entrare la brezza marina e Hinata si blocca un attimo a guardare la luce della luna che si riflette sull'acqua calma del mare di notte.
"Ho pensato potesse piacerti svegliarti e vedere il mare", gli dice Kageyama accanto a lui.
Hinata si volta, attacca le braccia al suo collo e lo bacia con trasporto e Kageyama lo sente quanto quel piccolo gesto sia apprezzato. Stringe le braccia intorno alla vita di Hinata e se lo tira più vicino, quanto più può. I baci di Hinata si fanno famelici, si approfondiscono. Kageyama comincia ad irrigidirsi nel contatto. Si è detto di stare calmo, si è detto che avrebbe saputo cosa fare, ma in quel momento ha dimenticato tutto, sa solo che vuole Hinata e vuole fare tutto nel modo migliore possibile, nel modo giusto. Non vuole sbagliare niente. Vuole che quella notte sia perfetta per Hinata quanto lo è già per lui.
Hinata lo sentì irrigidirsi e si allontana.
"Tutto bene?", gli chiede apprensivo. "Ho fatto qualcosa che non va"
Kageyama scuote la testa, appoggia la fronte a quella di Hinata e cerca di trovare le parole giuste per spiegargli come si senta in quel momento, ma come al solito Hinata lo legge.
"Nervoso?", gli chiede con un sorriso gentile.
E Kageyama annuisce, non sapendo bene che altro dire. Hinata gli sorride ancora, lo prende per mano e lo porta fino al letto. Lo fa sedere, gli fa distendere le gambe e appoggiare la schiena all'inferriata decorata. Si mette sopra di lui, con le gambe ai due lati del bacino di Kageyama e Kageyama si rende conto di quanto gli piaccia averlo così, sentirlo sopra di lui, in quel momento era lui ad avere il pieno controllo. Gli passa le mani sulla schiena.
"Non preoccuparti", gli dice HInata. Gli mette la mani tra i capelli, gli fa reclinare la testa indietro e lo bacia. "Per stavolta mi prenderò io cura di te".

first

Mar. 18th, 2020 06:10 pm
chasing_medea: (Default)
Titolo: first
Fandom: Food Wars!
Missione: M3 - age difference + fanwork nsfw
Parole: 666
Rating: nsfw

C'è qualcosa di inebriante nel sapere che sarà lui a rubare tutte le prime volte di Yukihira. Il primo bacio, le prime carezze, il primo orgasmo raggiunto con mani non sue. Ma Shinomiya vuole spingersi ancora oltre, vuole fargli provare qualcosa di totalmente nuovo, qualcosa che non ha mai potuto sperimentare da solo.
Le sue labbra scendono lungo il corpo di Shinomya, percorrono la linea degli addominali appena accennata e sfiorano la pelle tenera. La lingua si infila nell'ombelico e Yukihira si lascia sfuggire un gemito, che cerca di nascondere coprendosi la bocca con la mano. Shinomiya sente la sua erezione, ancora confinata nei pantaloni, premere contro di lui, già completamente dura dopo quelle poche carezze e sorride. E' così giovane, gli ci vuole così poco per arrivare a quel punto.
Shinomiya scende ancora con le labbra, percorre la sua lunghezza da sopra la stoffa.
"Aspetta", prova a dirgli Yukihira, ma quello che esce sembra un gemito più di ogni altra cosa. Shinomya sostituisce le labbra con la mano e alza la testa per guardare Yukihira.
Ha tirato su la testa anche lui dal cuscino per guardarlo meglio, la linea dei suoi addominali è accentuata dal movimento. Shinomiya lo accarezza delicatamente, Yukihira socchiude gli occhi e si morde il dorso della mano mentre continua a guardarlo, qualunque cosa volesse dire gli si è bloccata in gola.
"Ti fidi di me?", gli chiede Shinomiya.
E Yukihira annuisce senza esitazioni, in un secondo. Shinomiya apre il bottone dei suoi jeans e li abbassa leggermente. Sente Yukihira tirare un sospiro di sollievo.
Lentamente Shinomiya abbassa anche i boxer. Yukihira si distende nuovamente sul materasso e lo lascia fare.
Shinomiya comincia a passare le labbra sulla carne tenera e bollente della sua erezione e il gemito che sfugge dalle labbra di Yukihira è delizioso.
Shinomiya percorre la sua lunghezza con la punta della lingua, Yukihira si irrigidisce solo per un momento prima di lasciarsi andare al piacere, inarca la schiena contro il materasso e Shinomiya sorride. Hanno appena iniziato ed è già in quelle condizioni.
Passerebbe giornate intere a nutrirsi solo dei gemiti di Yukihira. Si è ripromesso di non prenderlo fino a che non fosse stato maggiorenne, ma quando lo sente agitarsi così sotto di lui la tentazione di voltarlo e cominciare a prepararlo è forte. Solo immaginare che suoni potrebbe fare in quel contesto lo spinge quasi troppo vicino al suo limite. Deve esserci qualcosa nella gioventù di Yukihira che ha contagiato anche lui, perchè era dalle sue prime esperienze che non si beava così tanto del dare piacere a qualcun altro. Prima di lui tutti i suoi incontri erano stati egoisti, si era concentrato solo sul suo piacere, nonostante poi lo lasciassero freddo, erano stati poco più di una funzione fisiologica.
Le mani di Yukihira si artigliano alle lenzuola e Shinomiya decide che è arrivato il momento di smettere di stuzzicarlo. Prende delicatamente la punta di Yukihira tra le labbra, ci passa la lingua con attenziona e Yukihira quasi urla, volta la testa di lato e la affonda nel cuscino. Shinomiya lo prende un po' più in bocca, facendo attenzione a come muovere la lingua. Yukihira borbotta parole sconnesse nel cuscino, tiene tutti i muscoli in tensione per cercare di tenere fermo il corpo e Shinomiya conosce la sensazione. Ma Shinomiya non ha pietà, vuole tutto, vuole romperlo e fare in modo che rimanga suo, vuole essere il primo a contaminarlo. Vuole che comunque vadano le cose, Yukihira non possa dimenticarsi che sono state le sue le prime mani che gli hanno fatto provare piacere.
Shinomiya lo prende fino in fondo, sente la punta di Yukihira toccare il fondo della sua gola e lì Yukihira non ce la fa più, fa scattare in alto il bacino.
Comincia a muovere avanti e indietro la testa. Yukihira viene poco dopo. C'è qualcosa di inebriante nel guardare Yukihira che cerca di riprendere fiato, il corpo morbido tra le lenzuola di quella camera d'albergo, è sapere che il merito è suo.
chasing_medea: (Default)
 

Titolo: never really over

Fandom: bnha

Missione: M2 -  Kintsukuroi (Giapponese):  lett. "Riparare con l'oro" l'arte giapponese di aggiustare porcellana rotta con l'oro o l'argento in modo da capire che il rompersi e l'aggiustarsi sono parte della storia di un oggetto e che l'imperfezione di quest'ultimo lo rende ancora più bello.

Parole: 7777

Rating: safe


"Idiota", borbottò Katsuki tra sè. "Un completo e totale idiota".


- Oi, nerd. Vedi di farti sentire, digitò rapidamente sul telefono.


Chiamate senza risposta: Izuku Midoriya (x3)


- Rispondi al cazzo di telefono.


- Devi farmi venire la lì?


- Perchè cazzo non ti svegli?


- Ti prego, Izuku.


Il telefono di Katsuki squillò in piena notte. Scattò seduto sul letto e, senza neanche guardare chi lo stesse chiamando, rispose al telefono.

"Dove?", chiese immediatamente.

"Dove cosa?"

Katsuki sentì il suo cuore saltare un battito al suono di quella voce. Si curvò su sè stesso, appoggiò i gomiti alle ginocchia e nascose il viso nella mano libera.

"Izuku", disse in un sussurro, con la voce che gli tremava.

"Ciao Katsuki", disse con voce calda. "So che è notte lì, ma ho trovato i tuoi messaggi e... scrivere è un po' complicato al momento", Izuku si lasciò scappare una risatina nervosa. "Ma mi hanno dato un auricolare, così posso telefon-"

"Come cazzo hai fatto a finire sotto un palazzo?"

Izuku si bloccò a metà frase con un verso imbarazzato. Katsuki riusciva ad immaginarselo fin troppo bene mentre le sue guance si tingevano di rosso e si passava una mano sulla nuca.

"La notizia è arrivata, eh?"

"La notizia di qualunque cosa fai arriva fino a qui"

"C'erano dei civili! Non potevo lasciarli lì dopo l'esplosione"

"Ci hai quasi rimesso la vita!"

"Ho avuto solo qualche osso rotto e un trauma cranico"

"E un mese di coma"

"E' stato un coma farmacologico, per dare tempo al mio corpo di guarire"

Katsuki si buttò nuovamente sdraiato sul letto e si coprì gli occhi con un braccio.

"Mi hai fatto preoccupare, idiota", disse con voce debole.

"Lo so, mi dispiace", gli rispose Izuku seriamente.

"Mi sembra il minimo"

"Dovresti dormire"

Katsuki si passò una mano sugli occhi. "Sì, dovrei"

Nessuno dei due attaccò.

La tensione che aveva impedito a Katsuki di dormire tranquillamente oltre un mese aveva finalmente lasciato il suo corpo al suono della voce di Izuku, le palpebre si stavano facendo nuovamente pesanti e il respiro di Izuku all'altro capo del telefono gli dava l'illusione di averlo ancora lì accanto a lui.

"Dovresti dormire", ripetè Izuku.

Katsuki annuì, senza considerare che l'altro non potesse vederlo. "Ci sentiamo domani?", chiese in un riflesso automatico che non ricordava più di avere.

Izuku rimase in silenzio per qualche momento, anche il suo respiro sembrava essersi fermato. "Sì", disse poi debolmente. "Buonanotte, Katsuki"

Katsuki ebbe quasi la sensazione di una mano che gli passava tra i capelli e di un bacio leggero lasciato sulla sua fronte. Si addormentò all'istante.


Katsuki attraverso le porte a vetro della sua agenzia e tirò su sulla testa gli occhiali da sole. Tutti i suoi colleghi e sottoposti erano seduti sui divanetti dell'atrio e tenevano gli occhi fissi sullo schermo del televisore. Il primo ad accorgersi del suo arrivo fu Kirishima, che gli fece cenno di raggiungerli.

"Stanno parlando di Midoriya", gli disse. "Si è svegliato finalmente"

Katsuki borbottò qualcosa in risposta e si avvicinò al televisore, dove stava parlando un'inviata giapponese.

- ...risvegliatosi finalmente dopo essere stato messo in coma farmacologico per oltre un mese. Deku si era gettato in un palazzo per salvare gli ultimi civili rimasti bloccati all'interno al seguito di un'esplosione. I civili sono stati tutti i tratti in salvo, ma l'eroe è rimasto schiacciato dalle macerie -

Alle spalle dell'inviata, davanti all'ingresso del New York Presbiterian Hospital, un cordone giallo e alcuni agenti di sicurezza tengono distanti giornalisti, curiosi e fan con i gadget di Deku.

- Come abbiamo detto, Deku si è svegliato alcune ore fa -, continuò la giornalista, - intorno a mezzogiorno ora locale. Per il momento non ci giungono altre notizie da parte dello staff medico, ma sembra che l'eroe stia bene e sia ormai ufficialmente fuori pericolo -.

Tutti, davanti al televisore, esultarono a quella notizia. La preoccupazione per l'eroe Numero Uno al mondo aveva tenuto tutti con il fiato sospeso in quell'ultimo mese, era visibile dalla tensione della gente per le strade. Bakugou fece un rapido calcolo: considerando il fuso orario, Deku lo aveva chiamato più o meno alla stessa ora in cui si era svegliato. Una delle prime cose che aveva fatto dopo essersi svegliato dopo un mese di coma era stata chiamare lui. Bakugou non voleva dare alla cosa più peso di quanto ne avesse. Di riflesso, tirò fuori il telefono dalla tasca posteriore dei jeans per controllare se ci fossero notifiche, ma oltre ad alcuni messaggi su un paio di gruppi non c'era nulla di interessante.

"Bene", disse improvvisamente ad alta voce. Tutti i presenti si voltarono nella sua direzione. "Ora tutti a lavoro!"

"Sì!", risposero tutti in coro, disperdendosi poi ognuno verso la propria postazione. Solo Kirishima rimase indietro.

"Tutto bene?", gli chiese alzando il sopracciglio con la cicatrice.

"Perchè non dovrei?"

"So che non ti piace parlare di lui, ma cacciare tutti via in questo modo-"

"Tu che ci fai qui? Non hai una agenzia da dirigere?", lo interruppe Bakugou.

"Oh già!", Kirishima si sbattè una mano sulla fronte. "Mi veniva di strada e ho pensato di portarti i rapporti della mia agenzia sul caso del piromane, pensavo potessi confrontarli con i tuoi per cercare di trovare qualcosa che ci è sfuggito"

Bakuogu annuì. "Andiamo nel mio studio".

Kirishima afferrò lo zaino nero che aveva abbandonato accanto al divano di pelle e lo seguì verso l'ascensore.

"Mi ha chiamato stanotte", disse improvvisamente Katsuki.

"Chi?", chiese Kirishima confuso.

"Deku"

Kirishima sembrò bloccarsi. Katsuki teneva lo sguardo fisso davanti a sè, sulle porte d'acciaio dell'ascensore.

"Mi ha chiamato non appena si è svegliato"

"Oh, e come stai?"

L'ascensore trillò, annunciandogli che erano arrivati al piano e Katsuki ne approfittò per evitare di approfondire la questione. Uscì sul corridoio e camminò verso il suo studio, Kirishima lo seguì. Bakugou si sedette sulla scrivania e tirò fuori un tablet da un cassetto, mentre Kirishima prese posto su una delle sedie di pelle. La luce entrava dalle finestre che occupavano interamente la parete destra della stanza.

"Allora", cominciò Bakugou. "Secondo il mio rapporto il primo incendio attribuibile al piromane risale circa a sei mesi fa, è stato in un centro commerciale intorno alle quattro del pomeriggio e non ci sono state vittime".

"Esatto", concordò Kirishima consultando i suoi fascicoli cartacei. "Dopo quello ce ne sono stati altri cinque, circa uno al mese. Sono sempre di pomeriggio e sempre i luoghi pubblici, soprattutto luoghi in cui può trovare una grande concentrazione di giovani. Nel complesso fino adesso ci sono state 6 vittime"

Bakugou fece schioccare la lingua sul palato irritato. "Cosa sai dalla polizia? Ci sono state novità?"

"Non riescono a trovare nuove piste, non hanno idea di che cosa accomuni questi luoghi o quali possano essere le motivazioni oltre a far danni"

Bakugou corrucciò la fronte pensieroso, continuando a scorrere i rapporti.

"Temo che l'unica cosa da fare sia aspettare il prossimo attacco"

"Non mi piace", gli rispose Kirishima.

"Neanche a me, ma non vedo altra scelta"

"Comunque vado in agenzia, che sono già in ritardo", disse Kirishima alzandosi in piedi. "Ti lascio qui i nostri fascicoli, dagli una letta, vedi se trovi qualcosa che manca ai tuoi e chiamami se hai novità"

Bakugou annuì, "Ti giro i nostri intanto", disse digitando qualcosa sullo schermo del tablet.

Appoggiò il plico di fascicoli sulla scrivania di Bakugou.

"Non capisco perchè ti ostini con il cartaceo", commentò Katsuki.

Kirishima sbuffò, era una conversazione che avevano fatto sin troppe volte dai tempi del liceo. Salutò Bakugou, che ricambiò con un cenno secco della mano, e uscì dalla stanza, lasciando l'amico al suo lavoro.

Bakugou si sedette finalmente alla scrivania e cominciò a sfogliare i fascicoli. Erano quasi identici a quelli che lui stesso aveva compilato. Frustrato li lanciò in un angolo della scrivania. Lanciò un'occhiata alle pratiche che avrebbe dovuto sbrigare quella mattina, ordinatamente accatastate in un angolo della sua scrivania. Nessuno gli aveva mai detto che con la posizione di eroe Numero Uno in Giappone sarebbero arrivate anche tutte quelle scartoffie. Le guardò intensamente, sperando che miracolosamente decidessero di compilarsi da sole, ma quando nulla si mosse si rassegnò ad avvicinarle e cominciare a lavorarci.

Tirò fuori il telefono dalla tasca e lo appoggiò sulla scrivania accanto a lui mentre lavorava. Lo trovò di nuovo privo di notifiche e la cosa lo infastidì. Non aveva senso, non stava aspettando nulla. Gli vennero in mente solamente in quel momento delle immagini offuscate della nottata, quando sul punto di addormentarsi aveva chiesto a Deku di risentirsi quel giorno. Si diede dell'idiota ed ebbe la tentazione di sbattere la testa contro la scrivania. Allontanò il telefono e cercò di mettersi al lavoro per non pensare alle conseguenze delle sue azioni.

Circa un ora dopo il telefono vibrò contro il legno della scrivania e Bakugou saltò sulla sedia, scattò e lo afferrò rapidamente, ma era solo un messaggio di Mina nella chat di gruppo.

Bakugou si maledisse per la reazione istintiva, ma approfittò della distrazione per fare una pausa. Aprì i suoi canali social e diede una rapida occhiata a un paio di notifiche e passò un po' in rassegna le sue bacheche. Niente di emozionante. Senza pensarci troppo digitò il nome di Deku sulla barra di ricerca di Instagram e cominciò a scorrere le sue foto. Non lo aveva mai seguito, quindi non aveva la minima idea di che cosa pubblicasse.

Nella foto più recente era seduto sul letto di un ospedale con una fasciatura sulla testa, un braccio ingessato e appeso al collo. Aveva il viso stanco e scavato, ma sorrideva. Dalla finestra che occupava tutta la parete alla sua destra si poteva vedere il profilo di New York.

Nella lunga caption in inglese ringraziava tutti i fan per il supporto, i pensieri che gli avevano rivolto e i regali che gli avevano inviato. Diceva che stava bene e che adesso era il momento di concentrarsi sul recupero per tornare il prima possibile da loro.

Katsuki si ritrovò a fissare la foto più di quanto avrebbe dovuto. Deku portava i capelli più corti di quanto li portasse ai tempi del liceo, gli occhi erano più scoperti e il viso era rimasto tondo, ma la linea della mandibola si era fatta più decisa.

Non sembrava la stessa persona che nove anni prima aveva visto per l'ultima volta con le valigie ai piedi sulla porta della casa che condividevano, quando gli aveva detto un - Ciao, Kacchan - con voce triste ma occhi asciutti.

Non aveva pianto quella volta Deku, ma l'aveva fatto Katsuki non appena lui si era chiuso la porta alle sue spalle.

Bakugou si costrinse a deviare da quel treno di pensieri e si mise a scorrere le altre foto. Molte erano foto ufficiali dei suoi combattimenti, alcune erano semplicemente foto della sua vita quotidiana: la vista di New York di notte dal suo appartamento, qualche scorcio nascosto che aveva trovato nel corso delle sue ronde, qualche dolce particolarmente bello o l'ultimo gadget che aveva comprato e aggiunto alla sua collezione.

Il più grande eroe al mondo era ancora il più grande fanboy che avesse mai conosciuto, Bakugou si ritrovò a ridacchiare per quello mentre scorreva la sua bacheca.

Almeno non pubblicava i suoi selfie. Neanche la foto in ospedale era stata scattata da lui, in effetti. Bakugou si chiese se avesse qualcuno lì con lui in quel momento, ma scoprì di non volerci pensare troppo.

Scorse nuovamente verso l'alto, fino ad arrivare nuovamente in cima al profilo di Deku. Il suo dito aleggiò per un po' sopra il pulsante segui, ma alla fine cambiò idea.

Era quasi ora della sua ronda. Doveva andare a cambiarsi.


Bakugou rientrò in casa e si gettò direttamente sotto la doccia. Era stata una giornata estenuante. Aveva dovuto inseguire per mezza città un tizio in grado di trasformarsi in nebbia e nel pomeriggio aveva avuto due interviste, che per qualche motivo lo stancavano più del lavoro da hero vero e proprio. Capiva il bisogno della gente di vederlo e di sentirsi rassicurata, ma non era proprio portato quel quelle cose. Parlare con la gente non era mai stato il suo forte e, nonostante fosse migliorato negli anni, era ancora un'area in cui era piuttosto carente.

Quando uscì dalla doccia trovò un messaggio sul telefono da parte di Deku. Non si erano più sentiti dopo quella telefonata notturna tre giorni prima e Bakugou era convinto che non avesse intenzione di farsi sentire più in assoluto.


- Ho visto il tuo arresto. Bella idea quella di usare il sale per togliergli l'umidità!


- Io ho sempre ottime idee. Non hai niente di meglio da fare che guardare la tv?


- L'ho visto su internet. E no, non ho nulla da fare e mi annoio


Bakugou ridacchiò. Non faceva fatica a crederci. Era sempre stato abituato a fare qualcosa, anche quando non aveva un quirk, Bakugou non riusciva a ricordare di aver mai visto Izuku fermo a riposare.


- La prossima volta ci pensi due volte prima di farti schiacciare da un palazzo


Bakugou si asciugò e si mise a letto. Già da prima sapeva che non sarebbe riuscito a prendere sonno ad un orario decente per quanto era stanco, ma adesso che ci si era messo anche Izuku era sicuro che non avrebbe chiuso occhio quella notte.


- Non sei per niente gentile


- Te lo meriti


- Per te me lo merito sempre


- Se fai l'idiota sì


- Ehi!


Bakugou poteva quasi sentirla la voce improvvisamente più acuta, scherzosamente offesa, di Deku.


- Dovresti riposare, gli scrisse


- E tu dovresti dormire


- Vero


- Buonanotte


- Buonanotte Izuku



Bakugou era alla scrivania quando ricevette la chiamata di Kirishima. Kirishima non lo chiamava mai, di solito mandava messaggi o messaggi vocali. Si allungò sulla scrivania prese di scatto il telefono.

"Che succede?", chiese.

"C'è stato un nuovo attacco del piromane"

Il piromane aveva sempre colpito nella zona della sua agenzia o nella zona di quella di Kirishima, quella volta era toccato alla sua zona evidentemente.

"Cazzo", Bakugou si mise una mano sugli occhi e mandò indietro la testa contro lo schienale della sedia. "Vittime?", chiese. Era terrorizzato di sapere la riposta, ma doveva fare il suo lavoro.

- Sei -. Kirishima rimase in silenzio per qualche momento. - Tre bambini -.

Bakugou non riuscì a trattenere un gesto di stizza, "Cazzo", ripetè con più aggressività.

"Non hanno trovato nessuna nuova pista", continuò Kirishima. "Continuiamo a rileggere le stesse cose e non riusciamo a far nulla per fermarlo", disse. La frustrazione era evidente e, dall'altro capo del telefono, Bakugou poteva sentire quanto l'amico fosse vicino alle lacrime.

Anche Bakugou non era messo molto meglio, la frustrazione lo rodeva dentro, rendendolo agitato e facendogli pizzicare gli occhi.

"Prenderemo quello stronzo", disse cercando di sembrare più sicuro di quanto non si sentisse.

"Sì", concordò Kirishima tirando su con il naso.

Quella sera tornò a casa sentendosi sconfitto e in colpa. Se solo non avesse aspettato, se solo non avesse detto a Kirishima che dovevano aspettare un nuovo attacco, se solo si fosse mosso prima sarebbero stati tutti ancora vivi.

Rimase sotto la doccia per quelle che sembravano ore. Faceva quel lavoro da abbastanza anni da aver imparato che non si possono salvare tutti, ma non riusciva a lavarsi di dosso la sensazione che quella volta fosse colpa sua, che avrebbe potuto fare di più. Uscì dalla doccia e si sedette sul divano tenendo ancora l'asciugamano a coprirgli la testa, quasi che così facendo potesse nascondersi ancora per un po' dal mondo.

Si rigirò il telefono tra le mani un paio di volte, indeciso su cosa fare, se valesse la pena fare quello che aveva in mente o meno. Il telefono gli vibrò tra le mani. Era un messaggio di Izuku.


- Mi daresti la ricetta del tuo curry? Quello che si trova qui è molto diverso da quello giapponese


Izuku aveva anche messo una faccina triste alla fine del messaggio. Bakugou sospirò.


- Dovresti riposare, non fare esperimenti culinari


Bakugou si asciugò, indossò il pigiama e si mise sotto le coperte, lasciando la camera al buio.


- Non è un grosso esperimento, è solo un po' di curry


- Sappiamo tutti che rischi di mandare a fuoco la cucina per bollirti un uovo


- Stai bene. Katsuki?


Bakugou rimase spiazzato. Maledetto Deku e la sua capacità di leggerlo troppo bene. Katsuki fissò il messaggio per qualche attimo, decidendo quale fosse la cosa migliore da fare. Alla fine sospirò


- Un brutto caso, confessò.


Era facile essere onesti quando era stanco, protetto sotto le coperte del suo letto nel buio della sua camera da letto. Quella della casa che aveva preso dopo la partenza di Izuku per sfuggire a quella casa che avrebbe dovuto essere loro.


- Vuoi parlarmene?


- Non hai niente di meglio da fare?


- Abbiamo già stabilito che la risposta è no


Izuku non attese una ulteriore risposta, il telefono di Bakugou cominciò a squillare.

Bakugou rispose.

"Allora, che succede?", gli chiese subito Deku. La sua voce era leggermente agitata, come se volesse evitare i convenevoli per evitare l'imbarazzo che ne poteva derivare. Una parte di Bakugou gliene fu riconoscente. Sospirò e cominciò a raccontare.

"E ha cominciato così all'improvviso? Non ci sono stati incendi più piccoli prima?"

"Un paio di anni fa avevamo avuto dei problemi con un piromane. Incendiava luoghi di ritrovo, luoghi pubblici"

Il verso che fece Izuku dall'altro capo del telefono fece capire a Katsuki che anche lui aveva capito: chiunque fosse stava prendendo di mira i civili, ma dall’ondata precedente c’erano differenze sostanziali.

"Non ci furono vittime in quelle occasioni", continuò Bakugou. "Non sappiamo neanche se sia sempre lo stesso, non abbiamo tracce di nessun tipo. Ma il modo in cui agisce sarebbe sempre lo stesso, attacca nei momenti in cui è più probabile che ci siano ragazzi giovani, principalmente di pomeriggio e in luoghi frequentati da ragazzi. Sale da gioco, cinema, bar -

Katsuki sentì un verso da parte di Izuku, segno che stava continuando ad ascoltare la conversazione.

"Dopo circa sei mesi gli incendi si sono fermati, all'improvviso. Da che erano uno al mese a che sono scomparsi del tutto. In due anni ce ne siamo anche dimenticati, presi da altri casi. Ma un paio di mesi fa sono ricominciati", Bakugou disse frustrato. "Non sappiamo cosa fare", ammise.

“Mh…”, mormorò Midoriya. “Dovremmo cercare di capire perchè si è fermato, così potremmo avere qualche idea sul perchè abbia ricominciato. E anche perchè colpisca solamente in quei quartieri”

“Lo so anche io, nerd. Ma non sappiamo da dove cominciare”

“Ci possono essere tre motivi principali per cui qualcuno così regolare si sia fermato”,

“E questa da dove ti viene?”, lo interruppe Bakugou con un mezzo sorriso.

“Sto leggendo dei libri sui vecchi serial killer, di prima che si diffondessero i quirk. Alcune delle cose possono essere utili anche per i villain”, rispose con il tono scherzosamente offeso. “Comunque! Nel caso più semplice da individuare è stato arrestato e rilasciato di recente”

“Già provato”, argomentò Bakugou. “Non c'è nessuno che corrisponda pienamente con i tempi, e tra l'altro nessuno che abbia un quirk di fuoco o altre attinenze con il fuoco”

“Allora rimangono le altre due, ma sono più problematiche per voi . C'è la possibilità che si sia fermato perchè vi stavate avvicinando troppo…”

“... ma non avevamo nulla e lo sapeva. I giornalisti di merda non si sa come sapevano che non avevamo nulla e continuavano a ricordarlo ad ogni occasione possibile”

“E è improbabile che qualcuno di così regolare si fermi. Avreste avuto manifestazioni di altro tipo. Allora rimane…”

“...l'allontanamento per motivi personali”, concluse Bakugou, ragionando con lui.

“Ed è il più problematico. Potrebbe essere per motivi di famiglia, motivi di lavoro…”

“Abbiamo provato ad allargare le ricerche al resto del paese, per vedere se altrove si fossero verificati scie di incendi simile a quella nei due anni passati, ma non è saltato fuori nulla. Siamo bloccati e questo stronzo continua a colpire. Da quando è tornato gli incendi sono stati uno al mese. Si sta diffondendo il panico qui... “. Bakugou portò il braccio a coprirsi gli occhi. “Non so cosa fare”, confesso.

“Katsuki”, gli disse Izuku con voce improvvisamente dolce. “Sei un eroe fantastico. Troverai sicuramente il modo di fermarlo”

Aveva dimenticato di quanto sembrasse più vero quando lo diceva lui. la persona che lo aveva conosciuto nei suoi momenti peggiori era la stessa che aveva più fede in lui.

Izuku si mise a borbottare qualcosa a bassa voce. Bakugou non riusciva a distinguere le parole, ma era comunque confortante quel borbottio costante. Lo faceva sentire un po' meno solo.

Si chiese se All Might si fosse mai sentito solo, ad essere il numero uno per così tanto tempo. Bakugou aveva imparato che la vetta era un posto veramente difficile dove rimanere in equilibrio, doveva dimostrare una forza che in certi momenti non era sicuro di avere. Ma sdraiato lì, con Deku che borbottava nel suo orecchio, Bakugou si sentiva un po' meno solo.

“Ehi!”, disse improvvisamente Izuku.

Il tono fece saltare Bakugou. Si rese conto di essere stato sul punto di addormentarsi.

“Cosa?”, chiese con la voce impastata da sonno.

“E se non avesse un quirk di fuoco?”

“Uhm?”, Bakugou si tirò su sul letto, improvvisamente più sveglio.

“Che intendi?”

“Se il suo intento non fossero gli incendi ma lo spegnimento?”

“Abbiamo controllato anche i soccorritori, ce ne sono alcuni ricorrenti, ma sono risultati puliti”

“Potresti chiedere di controllare se uno dei volontari per quelle zone si è unito da circa sei mesi o poco prima che ricominciassero gli incendi, vedere se avesse già fatto il soccorritore nei quartieri degli incendi di due anni fa. E partire da lì per fare altri controlli. Potresti anche provare a vedere se abbia fatto richiesta per entrare in una scuola per hero e sia stato rifiutato, è probabile che trovi qualcosa”

“Non è una cattiva idea. Non so quanto siano andati a fondo sulle ricerche sui soccorritori. Posso chiamare la centrale domani mattina e chiedergli di incrociare i dati”

“Mi tieni aggiornato?”

Bakugou sbuffò, ma non c'era vero sentimento. “Come ti pare, nerd”

Izuku ridacchiò. “Buonanotte allora”

“'Notte”, brontolò.

Izuku rimase bloccato per un momento, sembrava incerto, come se volesse aggiungere qualcos’altro.

“Buonanotte”, ripetè alla fine e chiuse il telefono.

Bakugou chiuse il telefono, lo poggiò sul comodino e provò a dormire.



Il giorno dopo, non appena arrivò in agenzia, Bakugou telefonò alla polizia per chiedergli di fare quelle ricerche che aveva suggerito Izuku, poi tornò al proprio lavoro usuale. Era una giornata particolarmente tranquilla, non stava ricevendo chiamate e aveva poche scartoffie da smaltire. Prese il telefono e si trovò nuovamente a navigare sui canali social di Deku.

Aveva pubblicato una nuova foto rispetto a tre giorni prima. A quanto pare era stato dimesso ed era tornato a casa. Di casa sua si vedeva poco, aveva solamente messo una foto di alcuni dvd su un tavolino da caffè con accanto una tazza di qualche intruglio dei suoi "li aveva fatti assaggiare a Bakugou in più di un’occasione, ma erano sempre stati disgustosi.

Uscì per il suo giro di ronda. Alla fine del suo turno il suo amico poliziotto lo richiamò. A quanto pare avevano incrociato i dati e trovato qualcuno che rispondeva alla descrizione che gli aveva fatto.

Bakugou si cambiò, indossò i suoi abiti civili e si diresse verso la stazione di polizia per assistere all'interrogatorio.

Venne fatto accomodare in una sala, dai monitor poteva vedere ciò che stessero riprendendo le telecamere e sentire l'audio dell'interrogatorio.

Due poliziotti stavano interrogando una ragazza, aveva lunghi capelli biondi e un viso sottile. Sembrava piuttosto minuta.

Disse che aveva sempre voluto diventare un hero, era stata accettata alla Shiketsu, ma era stata costretta a lasciare per via del suo fisico troppo fragile che non le permetteva di sostenere i ritmi dell'allenamento fisico. Si era unita ai volontari per cercare di fare comunque qualcosa di buono, ma con il suo quirk d'acqua c'era poco che potesse fare. Lei voleva solo salvare le persone.

Quando i poliziotti le fecero notare che era lei stessa a metterle in pericolo li guardò con grandi occhi spalancati, come se non avesse capito cosa stessero dicendo.

Il suo amico poliziotto uscì da lì e venne da lui.

"Credo sia sincera, credo che veramente non sappia cosa abbia fatto. Chiamerò per farle fare una perizia psichiatrica o qualcosa del genere"

Bakugou annuì.

Per qualche motivo non riusciva a sentirsi per nulla soddisfatto di quell'arresto.

Prese le sue cose e se ne tornò a casa.

Fece un rapido calcolo del fuso orario, poi chiamò Izuku. Senza neanche nessun messaggio prima.

Izuku rispose al secondo squillo, quasi stesse aspettando la chiamata.

"Ehi!”, lo salutò allegro.

"L'abbiamo presa”, gli disse mesto.

"Non sembri contento”

Bakugou gli spiegò la situazione. Izuku era stranamente silenzioso dall'altro capo del telefono.

"Se veramente le cose stanno così, adesso potrà essere aiutata"

Bakugou annuì tra sè, ancora non molto convinto. Era una vittoria amara, di quelle che non sembravano vittorie.

"E non potrà più fare del male a nessuno”

"Sì”

"Siamo una bella squadra -, gli disse Deku.

"Siamo sempre stati una bella squadra, nerd”

Deku ride dall’altro lato del telefono.

"Deku io… "comincia Bakugou.

Deku si blocca improvvisamente: "Non farlo”

"Dovremo parlarne prima o poi”

"Lo so”

Bakugou rimane in silenzio per un po’. Si aggira nel suo appartamento fino a sedersi sul divano. “Che cosa è tutto questo?”, chiese, mettendosi una mano sul viso.

"Non lo so”, gli rispose Deku in un sussurro.

"Tu non puoi-”, la voce esce strozzata dalla sua gola. “Non puoi sparire per anni, ricomparire all’improvviso e chiamare e mandarmi messaggi. E riprenderti spazio nella mia vita”

"Lo so” ripete Deku. “Volevo solo… volevo solo parlare con te, sentirti. Mi sei mancato… e poi abbiamo continuato a sentirci e io non voglio smettere di parlare con te”

“Non sono sicuro che sia il caso di continuare”.

Nessuno si era sorpreso quanto loro quando avevano cominciato a uscire, nel corso dei primi mesi del loro terzo anno al liceo. La loro relazione era stata ricca di alti bassi, ma dopo il liceo avevano deciso di andare a vivere insieme. Credevano di aver risolto i loro problemi, ma a quanto pare non era così. Si amavano profondamente, ma non era stato abbastanza per superare i problemi che si portavano dietro da troppo tempo a quella parte.

Bakugou, soprattutto, non riusciva a superare quello che aveva fatto a Deku. Aveva giurato a sè stesso che da lì in avanti si sarebbe preso cura di lui, che non lo avrebbe più fatto star male, ma la cosa era finita per ritorcerglisi contro. Gli aveva messo talmente tanta pressione addosso che quella relazione era diventata una ulteriore fonte di stress, oltre al fatto che la sua carriera stesse cominciando a decollare, agli impegni di lavoro e allo stress che arrivava da quel frangente. Le sue manie di perfezionismo si erano infiltrate anche in quella relazione, che sarebbe dovuta essere il luogo dove poteva sfogarsi: Bakugou voleva essere perfetto e, per esserlo, per non far sapere a Deku che c'era qualcosa che non andava, aveva cominciato ad allontanarsi, aveva cominciato a buttarsi sul suo lavoro, senza trovare più in tempo per lui. Deku l'aveva guardato allontanarsi in silenzio e solo quando finalmente aveva parlato Bakugou si era reso conto di quanto male gli avesse fatto. Ancora una volta.

Lo aveva ferito di nuovo, quando aveva giurato di proteggerlo. Bakugou non era sicuro di potersi perdonare un'altra volta. Non era sicuro di essersi perdonato neanche la prima volta.

Tutto era crollato quando Deku aveva deciso di chiudere quella relazione. "Fa solo male ad entrambi", aveva detto. Non aveva avuto torto, ma Bakugou vide crollarsi tra le dita quel futuro che stavano costruendo insieme, nella casa che avevano abitato insieme nell'unico anno in cui la loro relazione aveva funzionato dopo il liceo. Appena due anni e sembravano molti di più. Poi Izuku aveva ricevuto quell'offerta da una agenzia americana e aveva deciso di partire.

Dalla sua partenza avevano smesso di sentirsi. Erano passati 8 anni.

I primi tempi fu dura per Bakugou. Non aveva idea di quanto l'assenza di Deku lo avrebbe destabilizzato. Era sempre stato l'unica costante della sua vita e adesso non c'era più, era dall'altra parte del mondo. Con il tempo aveva cominciato a stare meglio, ma quel buco a forma di Deku era sempre rimasto dentro di lui.

Era sempre stato convinto che lui e Deku fossero legati dal destino, che fossero veramente la persona giusta l'uno per l'altro, che avrebbe potuto smettere di cercare - che non avrebbe mai avuto bisogno di cercare in primis - ma i fatti lo avevano smentito e abituarsi a vivere senza di lui non era stato facile. Ma in qualche modo aveva fatto, in qualche modo era andato avanti.

E poco importava se tutti gli amanti che aveva scelto per sè in quei mesi fossero durati al massimo un anno. E importava ancora meno che tutti avessero grandi occhi verdi, ma mai della sfumatura giusta.

Bakugou tornò a lavoro il giorno dopo con l’umore sotto i piedi. Non aveva chiuso occhio quella notte. Si sentiva catapultato nuovamente a otto anni prima, a quei primi giorni senza Deku, in cui non riusciva neanche a ricordare chi fosse, in cui si sentiva totalmente estraniato da sè stesso e dalla realtà che lo circondava. Non riusciva a ricordare come l'avesse superata la prima volta, ma non credeva di essere forte abbastanza per poterlo fare una seconda volta.

Ricevette una chiamata in agenzia.

C'era stato un nuovo incendio. Bakugou sentì il mondo crollargli sulle spalle. Rimase immobile per un momento prima di riuscire a riprendersi abbastanza da intervenire. Si fiondò fuori dall'agenzia e usò il suo quirk per muoversi agilmente al di sopra del livello della strada e raggiungere il luogo dell'incendio. Si fiondò direttamente dentro la caffetteria, portò fuori quanti più civili potè. Non sapava neanche se ci fossero altri eroi ì a dargli supporto, non gli interessava. Era in uno stato di trans, portava avanti il suo lavoro come un automa, senza preoccuparsi delle conseguenze, senza preoccuparsi di nulla che non fosse quello. Senza preoccuparsi di sè stesso.

Salvò l'ultimo civile, poi il mondo intorno a lui si fece buio.


Quando riaprì gli occhi era abbastanza sicuro che quella intorno a lui fosse una stanza di ospedale. E che quello seduto accanto al suo letto fosse Izuku.

"Izuku?", riuscì solo a borbottare, mentre era ancora a metà nel mondo dei sogni.

"Buongiorno Katsuki", gli sorrise quello.

"Non mi piace"

"Cosa?"

"Non mi piace quando mi chiami Katsuki"

"E come dovrei chiamarti"

"Kacchan"

"D'accordo, Kacchan"

Bakugou mugugnò soddisfatto qualcosa di incomprensibile in risposta.

"Ci hai fatto preoccupare"

"Tu non sei veramente qui", disse Bakugou con la voce impastata e chiudendo di nuovo gli occhi.

"Avevo intenzione di tornare in Giappone comunque, ho solo anticipato un po' i tempi"

Bakugou provò a mettersi seduto sul letto, ma Izuku lo fermò mettendogli una mano sulla spalla. Era la prima volta che lo toccava da anni e Bakugou sentì la pelle lasciata scoperta dalla casacca ospedaliera scottarsi a quel contatto.

"Devi riposare"

A Bakugou venne da ridere. Quanto era passato dall'ultima volta che era stato lui a dirlo a Izuku?

"Non sono io che sono finito sotto un palazzo", disse con un mezzo sorriso sarcastico.

"Sei quello che si è beccato un'intossicazione da fumo però"

Bakugou a quelle parole fu improvvisamente sveglio, scattò seduto sul letto e il movimento venne accompagnato da un attacco di tosse, che lo lasciò piegato in due per il dolore agli addominali. Izuku si avvicinò di scatto a lui, e gli tenne la schiena. Bakugou, incuravato in avanti, portò una mano alla sua spalla per reggersi. Gli girava la testa e aveva paura di cadere all'indietro.

Da così vicino, alzò lo sguardò e potè studiare il viso di Deku. Portava ancora i segni dell'incidente, era ancora smagrito e con le ombre scure intorno agli occhi, ma era sempre lui. A rivederselo davanti era come tornare a respirare.

Deku lo aiutò a sdriarsi di nuovo.

"Kirishima ci sta lavorando, appena avrà qualcosa verrà ad aggiornarti", gli disse.

"E tu stai qui a non fare nulla?", lo prese in giro Bakugou.

"Io teoricamente sono ancora fuori servizio. E sono anche qui in incognito per il momento. Il mio trasferimento sarà ufficiale solo quando potrà tornare a lavorare"

Rimasero in silenzio per qualche momento. A Bakugou venne da ridere. La prima confessione gliela aveva fatta in circostanze molto simili, era Deku quello in un letto di ospedale dopo un attacco della League of Villains. Era uno strano deja vu da avere, la tensione tra di loro era la stessa di quei giorni. Non sapevano bene come muoversi l'uno accanto all'altro e Bakugou poteva sentire quanto tutto quello fosse sbagliato. Erano cresicuti insieme, si conoscevano meglio di chiunque altro al mondo, non doveva essere così tra di loro. Bakugou avrebbe fatto di tutto per tornare indietro e confessare tutto, per non lasciarlo andare via.

La voce di Deku interruppe i suoi pensieri.

"Mi dispiace", disse. "Forse non sarei dovuto venire"

Bakugou fece vagare lo sguardo fuori dalla finestra. Era una giornata assolata, doveva essere pieno pomeriggio. Si rese conto che ce l'aveva, la seconda chance.

"Mi ero ripromesso di non farti del male", cominciò, continuando a tenere lo sguardo lontano da Deku. Non sarebbe riuscito a finire con quegli occhi verdi che lo fissavano. "Non dopo avertene fatto così tanto. Non mi sono mai perdonato per quello che ti ho detto e per rimediare volevo essere perfetto. E se non lo ero l'importante era non fartelo sapere, così non te ne saresti andato via. E per evitare che lo sapessi mi sono chiuso, non ti ho mai reso partecipe di quello che pensavo, speravo di non farti vedere quanto fossi sbagliato, speravo di tenerti vicino. Ma alla fine te ne sei andato lo stesso", sorrise amaro Bakugou. "Volevo solo renderti felice".

Solo in quel momento Bakugou ebbe il coraggio di voltarsi. Ormai non poteva più rimangiarsi quello che aveva detto, il danno ormai era fatto. Deku aveva gli occhi spalancati e pieni di lacrime che ancora non avevano cominciato a scendere, poi scoppiò a ridere di una risata umida.

"Io-", si portò una mano a coprirsi la bocca, allungò l'altra per prendere quella di Katsuki. "Grazie per avermelo detto". Si prese qualche momento, probabilmente per pensare bene a quali dovessero essere le sue parole successive. "Io ti ho perdonato tanto tempo fa, Kacchan. Ma anche credo di aver avuto le mie responsabilità", ammise con un sorriso nostalgico. "Mi sentivo talmente fortunato del fatto che tu finalmente mi vedessi in quel modo che ho accettato qualunque cosa, non ho mai avuto il coraggio di affrontarti direttamente. Ho sempre avuto il timore che tu mi lasciassi, che mi dicessi che ero pesante. Sono stato un codardo. E sono stato un codardo a scappare dall'altra parte del mondo"

"L'avrei fatto anche io"

Deku sorrise, ma il suo sorriso aveva qualcosa di triste.

"Dovrei lasciarti riposare", disse alzandosi dalla sedia di plastica.

Bakugou alzò di scatto lo sguardo verso di lui. Per un attimo fu preso nuovamente dal terrore di vederlo chiudersi la porta alle spalle e sparire nuovamente per otto anni.

"Torno domani", lo rassicurò Deku.

Bakugou fece scattare nuovamente la testa nella direzione opposta, "Come ti pare, nerd"

Bakugou sentì Izuku ridere alle sue spalle. "Cerca di riposare un po'", gli disse.

"Anche tu, hai delle occhiaie terribili".

"Buona serata, Kacchan"

Katsuki sentì un pezzo di sè tornare al proprio posto a quelle parole.


Due giorni dopo Katsuki venne dimesso, Deku era andato a trovarlo tutti i giorni. Nonostante il parere dei medici, decise di tornare a lavoro già il giorno successivo. Gli diedero l'autorizzazione a condizione che non facesse lavoro attivo sul campo. Almeno non si sarebbero accumulate le scartoffie, sospirò tra sè mentre si sedeva alla sua scrivania.

Stava lavorando da un paio d'ore quando sentì qualcuno bussare alla porta del suo studio e pochi attimi dopo affacciarsi la testa di Kirishima.

"Ehi", salutò Bakugou.

Bakugou gli fece cenno di aspettare, firmò le ultime due pratiche e le mise da parte, mentre Kirishima si sedeva alla schiena davanti alla scrivania.

"Come ti senti?", gli chiese.

"Come se respirassi a metà", rispose. "Hai novità?"

"Non molto", tirò fuori dei fascicoli dallo zaino e glieli porse. "Se non hai niente da fare almeno puoi guardarti quelli e vedere se trovi qualcosa"

"Sì", sbuffò Bakugou. "Grazie del pensiero", disse sarcastico.

Kirishima sorrise, poi qualcosa si offuscò nel suo sguardo.

"Mi dispiace"

"Non è colpa tua. Sono stato avventato, avevo avuto una brutta giornata e ho perso la lucidità".

Bakugou aveva imparato da tempo a non colpevolizzarsi, ad accettarsi un po' di più negli anni, a perdonarsi e ad accogliersi, ma non riuscì a non sentire una punta di amarezza a quel pensiero. Almeno era riuscito a salvare tutti i civili in quell'occasione. Scosse la testa per non partire per quella tangente di pensieri.

Cominciò a sfogliare i fascicoli.

"Non c'è niente sulla ragazza qui"

Kirishima inclinò la testa confuso. "No, cosa dovrebbe esserci? Sappiamo che è innocente"

Bakugou continuò a scorrere i resoconti dell'ultimo attacco pensieroso. "Ci sono troppe coincidenze perchè la ragazza non sia coinvolta in qualche modo", osservò. "Credo che dovremmo scavare un po' più a fondo nella sua vita, capire cosa sia successo"

Kirishima annuì, "Ha senso", concordò.

"Posso occuparmene io", continuò Bakugou. "Faccio una chiamata in polizia e mi faccio mandare tutto"

Kirishima annuì ancora. "Devo andare in agenzia adesso", disse alzandosi. "Chiamami se hai novità"

Bakugou annuì, cominciando a mordicchiare il dorso della penna mentre scorreva ancora i fascicoli. Non appena Kirishima fu uscito, Bakugou fece quella chiamata alla centrale, si fece mandare tutti i dati che erano riusciti a raccogliere e cominciò a scorrerli sul tablet.

Alla fine si arrese, prese il telefono e chiamò Izuku. Cominciò a leggergli ad alta voce tutti i dati e le informazioni che aveva ricavato. Aveva più che altro bisogno di parlare ad alta voce, con qualcuno che riuscisse a stargli dietro e a dargli effettivamente spago per andare avanti, e l'unica persona in grado di tenergli da testa da quel punto di vista che avesse mai trovato era sempre stato Deku. Si rese conto, nel momento in cui decise di fare quella chiamata, di quanto gli fosse mancato in quegli anni poter parlare con Deku dei casi, poter discutere insieme e riuscire a trovare la soluzione giusta per ogni situazione.

Deku ascoltò con attenzione, facendo qualche verso ogni tanto per comunicargli che stava ancora ascoltando.

"La ragazza ha detto perchè si è allontanata dalla città due anni fa?"

Bakugou scorse la pagina sul suo tablet. "Ha dichiarato che è stato per motivi di lavoro"

"In quei due anni ci sono stati incendi dolosi in città?"

Bakugou fece una rapida ricerca nei fascicoli, ma non trovò nulla. Provò poi a cercare nei database che la polizia gli aveva messo a disposizione. Scoprì che nel quartiere della ragazza c'erano stati altri piccoli incendi, niente di troppo elaborato però.

Deku, dall'altro capo del telefono, emetteva un mormorio pensieroso.

"Ci sarebbe da chiedere alla ragazza se conosce qualcuno con un quirk di fuoco", disse con un sospiro sconsolato.

Bakugou si alzò di scatto. "Vado a chiederglielo", disse.

Izuku provò ad obiettare qualcosa, ma Katsuki aveva già chiuso la telefonata.


L'unica persona con un quirk di fuoco che la ragazza ricordasse era un suo compagno del liceo, in grado di far apparire fiamme allo schiocco delle dita. Bakugou provò a cercare il nome del ragazzo. Il suo quirk era registrato come di fuoco, non aveva frequentato alcuna scuola per eroi e lavorava in un negozio al dettaglio non lontano da lì.

Bakugou decise di passarci prima di tornare in agenzia.

Percorse a piedi la poca distanza dalla stazione di polizia dove la ragazza era ancora in custodia fino al negozio. Era un piccolo emporio che vendeva un po' di tutto, dall'alimentari alle riviste. Il locale era deserto, salvo per una vecchietta che stava uscendo con la busta della spesa e incrociò Bakugou sulla porta. Non appena il ragazzo lo vide entrare sgranò gli occhi e scappò dalla porta sul retro.

"Piccolo stronzo", borbottò Bakugou, lanciandosi all'inseguimento.

Aveva percorso appena pochi metri e già gli mancava il fiato, i suoi polmoni gridavano, ma non poteva fermarsi, non quando era così vicino a prendere finalmente quello che poteva essere il piromane.

Bakugou riuscì a chiamare qualcuno della sua agenzia mentre correva, ma non poteva fermarsi. Si slaciò in avanti con il suo quirk e riuscì a immobilizzare il ragazzo. Con una mano lo teneva fermo per il collo, con l'altra gli teneva il braccio in leva, in modo che non potesse muoversi in alcun modo, nel mentre cercava di riprendere fiato. Il respiro era pesante e il cuore sembrava stesse per esplodergli nel petto.

"Allora sei tu, stronzo", gli disse con il respiro pesante.

"Voi non capite, voi eroi non potete capire!"

Bakogou strinse di più la presa contro il suo braccio. "Non capiamo cosa si prova ad ammazzare gente? A mettere in pericolo innocenti che vogliono solo godersi il sabato pomeriggio in pace?"

"L'ho fatto per lei! Voleva essere un'eroina, è la persona più buona che abbia mai conosciuto e voi eroi l'avete cacciata via, le avete detto che non aveva le qualità"

"Ma che cazz-?"

"Sapevo che voleva entrare nei volontari, ma non c'erano praticamente mai incendi da spegnere. Lei si merita di salvare qualcuno, si merita di sapere che cosa significhi essere un'eroina e io le ho dato la possibilità di capirlo! Le ho dato l'occasione per brillare! Quando saprà cosa ho fatto per lei ricambierà finalmente i miei sentimenti!"

"Hai ucciso delle persone!"

"Ho provato a farlo senza fare del male a nessuno, ma nessuno ne parlava, nessuno ha dedicato neanche una parola alle persone che hanno spento i fuochi, nessuno gli ha dato importanza. Lei è anche andata via! Dovevo alzare la posta in gioco, doveva capire la sua importanza"

Bakugou avrebbe voluto lasciare la presa e allontanarsi da quel folle il prima possibile. L'uomo aveva cominciato a piangere, commosso dalle sue stesse parole, tirava su con il naso e tra le lacrime continuava a dire cose senza senso.

La polizia e i rinforzi arrivarono fortunatamente poco dopo e lo prese in custodia. Bakugou aveva voglia di lavarsi le mani o farsi una doccia con l'acqua bollente, ma non poteva scappare da lì. Doveva parlare con i giornalisti e rassicurare la popolazione: quella storia era finalmente finita, tutti potevano tirare un sospiro di sollievo finalmente. I ragazzi avrebbero potuto ricominciare a godersi i loro ritrovi in serenità, i cinema della zona sarebbero tornati a riempirsi dopo essersi progressivamente svuotati, i caffè sarebbero tornati ad essere luoghi di ritrovo. Durante l'intervista fu attento a sottolineare il ruolo che aveva avuto Kirishiama e la sua agenzia nello svolgimento dell'operazione: l'arresto era stato suo, ma non sarebbe mai arrivato lì senza il loro aiuto e ci teneva che fosse riconosciuto il loro medico.Si chiese se avrebbe dovuto accennare anche a Deku, ma si ricordò che quello aveva detto di essere ancora in incognito, almeno fino a che non fosse tornato in servizio. Dopo aver parlato con i giornalisti ebbe bisogno dell'intervento dei soccorritori, che dovettero dargli una mascherina con l'ossigeno. Il suo medico non gliela avrebbe fatta passare liscia quella volta, ne era sicuro.


Deku aveva insistito per invitarlo a cena, per festeggiare finalmente l'arresto del Piromane. Aveva scelto un locale piuttosto intimo e riservato e il proprietario li aveva fatti accomodare in un tavolo laterale, riservato. Katsuki aveva paura che la cena sarebbe stata imbarazzante, ma a quanto pare il chiarimento che avevano avuto qualche giorno prima in ospedale gli aveva permesso di cacciar via ogni traccia di imbarazzo. Bakugou aveva talmente tante cose che gli voleva dire che non sapeva da dove cominciare, diversi racconti si sovrapponevano. Si rese conto che, a ogni sua esperienza, era come se fosse mancato un tassello: era come se le esperienze della sua vita fossero accadute davvero solo nel momento in ci le poteva condividere con Deku. Anche Deku non sembrava essere messo molto meglio, mentre continuava a raccontargli quanto fosse diverso il lavoro da eroe oltreoceano e come avesse avuto modo di conoscere nuovi aspetti di All Might lavorando di lì e di recuperare merch esclusiva che non era mai riuscito a farsi arrivare in Giappone. Quegli otto anni senza parlare dovevano essere stati pesanti per lui, quanto lo erano stati per Bakugou, si ritrovò a pensare.

"Ti va di fare una passeggiata?", gli chiese Deku dopo la cena che aveva insistito per pagare.

Bakugou annuì e insieme si ritrovarono a passeggiare per le strade della città. Quando stavano insieme adoravano farlo, erano dei momenti in cui c'era più o meno calma per la città e c'era meno gente che potesse riconoscerli, erano spesso gli unici momenti che avevano per poter stare insieme un po' più liberamente. La serata, nonostante fosse primaverile, era fresca e Bakugou rabbrividì leggermente allo sbalzo di temperatura dall'interno del locale all'esterno.

Mentre camminavano Bakugou allungò la mano e strinse quella di Izuku. Izuku si bloccò nel bel mezzo della strada.

Bakugou strinse più forte, cercando di rassicurarlo. Izuku ricambiò la stretta.

"Non voglio rifare lo stesso errore", disse Bakugou guardando dritto davanti a sè e ricominciando a camminare. "Non voglio lasciarti andare di nuovo senza mettere tutte le carte in tavola"

Izuku si affettò a seguirlo. Ricominciarono a muoversi.

"Hai mai sentito parlare del Kintsukuroi?", chiese improvvisamente Izuku.

Bakugou scosse la testa, voltandosi leggermente verso di lui. Izuku aveva l'espressione persa che aveva ogni volta che poteva tirare fuori la conoscenza, quella dell'entusiasmo interiore che provava ogni volta che si faceva riferimento a qualcosa di aver studiato. Teneva lo sguardo davanti a sè, leggermente verso l'alto, e aveva un mezzo sorriso sulle labbra. Bakugou fu costretto a tirarlo di lato per farli evitare un lampione.

"Letteralmente significa riparare con l'oro", cominciò a spiegare. "E' una antica pratica, si riparava la porcellana rotta con l'oro liquido. La frattura, la rottura, diventa parte del fascino dell'oggetto stesso, è parte integrante della sua storia. Si credeva anche che l'imperfezione rende l'oggetto più bello"

"Che vuoi dire?"

"Voglio dire che forse tutto questo ci è servito. Avevamo bisogno di questi anni per capirci meglio da soli, per poterci riprovare in maniera più consapevole. E poi, sai, l'ho sempre saputo che eri imperfetto e ti ho comunque voluto al mio fianco"

"E lo vuoi ancora?"

Izuku strinse meglio la mano di Bakugou con la sua.



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Titolo: Cheiro no Cangote
Fandom: Haikyuu
Missione: M2 - Cheiro no Cangote (Portoghese Brasiliano)
Parole: 555
Rating: safe

In attesa, Atsumu camminava nervosamente avanti e indietro sul ciglio della strada. Non gli bastava aver perso la partita, il pullman che avrebbe dovuto riportarli a casa aveva anche deciso di rompersi. Erano bloccati, aspettando un altro pullman che li andasse a prendere. Bokuto sembrava starsi per addormentare sul guardrail, mentre Sakusa era terrorizzato alla sola idea di toccare qualcosa con la pelle nuda. Atsumu non aveva la forza per gestirli in quel momento. Voleva solo tornare a casa, mettersi a letto e chiudere quella giornata.
Inviò rapidamente un messaggio a Hinata, che lo aspettava a casa, avvertendolo che avrebbe fatto tardi e di non aspettarlo sveglio. Hinata rispose poco dopo inviandogli un selfie: si era messo il pigiama e si era già infilato sotto le coperte. Atsumu sorrise a vederlo. Avrebbe voluto chiedergli come stesse, se la febbre gli fosse passata, ma non voleva rischiare di svegliarlo nel caso l'altro si fosse già addormentato. Sapeva che Hinata aveva la tendenza ad addormentarsi di colpo non appena metteva la testa sul cuscino.
Finalmente arrivò il nuovo pullman, che li recuperò da lì e li portò fino alla sede della squadra. Da lì Atsumu prese la macchina e tornò a casa. Le luci nell'appartamento erano spente. Attento a non far rumore si aggirò nell'appartamento e si infilò nella camera da letto.
Hinata dormiva a pancia in su, aveva occupato quasi interamente il letto. Atsumu sorrise, si cambiò e si infilò nel letto attento a non disturbarlo. Nel sonno Hinata gli fece spazio, ma si avvicinò a lui. Atsumu lo strinse, con il battito del cuore accelerato. Stavano insieme ormai da mesi, erano anche andati a convivere - una decisione piuttosto affrettata secondo il punto di vista di alcuni, ma erano entrambi abbastanza impulsivi da prendere insieme una decisione di quel tipo - eppure in certi momenti si sentiva ancora come un ragazzino alla prima cotta quando si trattava di Hinata. Atsumu lo strinse e infilò la testa nell'incavo del suo collo, gli sfiorò la pelle con la punta del naso, inspirando l'odore del bagnoschiuma al tè verde che condividevano. La pelle di Hinata, dopo oltre una settimana, era finalmente fresca al tatto e Atsumu tirò un sospiro di sollievo interiore. Con la punta del naso risalì fino all'attaccatura dei capelli, ancora un po' umidi dopo la doccia che Hinata si era fatto. Atsumu si ripromise di rimproverarlo la mattina dopo: era appena guarito dall'influenza, doveva stare attento. E poi Atsumu non voleva più giocare senza di lui. Non gli importava neanche del risultato della partita, non gli interessava il fato di aver perso. Era più che altro come se gli mancasse un arto, era come tornare alle prime partite che aveva giocato senza Osamu, quando si guardava intorno sul campo completamente perso, sentendo la mancanza di qualcosa e non sapendo neanche identificare bene che cosa stesse cercando. Non riusciva a credere che ci fosse stato un momento della sua vita in cui aveva giocato senza Hinata al suo fianco.
Almeno, si consolò, aveva fatto in modo di fare quel passo terrificante mesi prima, aveva trovato il coraggio di chiedere a Hinata di uscire, ricordava ancora la scarica elettrica che aveva sentito quando gli aveva detto di sì. E finchè, tornando a casa la sera, avesse trovato lì Hinata pronto ad accoglierlo, sapeva che avrebbe sempre vinto.
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Titolo: Nothing changed at all.
Fandom: Haikyuu
Missione: M1 - The observer
Parole: 333
Rating: safe

Davanti a quell'ultima giocata Kageyama non può fare nulla, se non guardare la palla rimbalzare sul parquet e schizzare lontana. Hanno perso il primo set, ma non gli interessa quanto dovrebbe. E' troppo occupato ad osservare la creatura che si ritrova davanti, la persona che ha appena fatto quella giocata e che adesso esulta con il resto della sua squadra per aver conquistato il primo set.
Quando l'ha conosciuto Hinata era grezzo, era un pezzo di carbone in cui lui, nonostante tutto, aveva scorto qualcosa, aveva visto qualcosa che lo aveva attirato nella sua orbita - e da quell'orbita non era mai più riuscito ad uscire. Quello che si trova adesso davanti, però, è un diamante. Sottoposto alla pressione, sottoposto alla fatica e alla sofferenza. E' partito due anni prima, quando appena cominciava a sgrezzarsi e Kageyama aveva avuto paura. Aveva avuto paura di perdere quella competizione, quella rivalità, che lo aveva spinto a dare sempre il meglio, ma adesso guarda dall'altra parte del campo, osserva la scena che si para davanti ai suoi occhi dall'altra parte della rete e sorride.
Sorride perchè Hinata, ancora una volta, ha superato le sue aspettative, perchè non ha sprecato il suo tempo in Brasile; sorride perchè si ritrova ancora davanti l'avversario temibile che Hinata è sempre stato per lui. Sorride perchè, ancora una volta, Hinata non l'ha deluso. E Kageyama sa che cosa HInata si aspetta da lui. Adesso è il suo turno di essere all'altezza delle aspettative, all'altezza di quello scontro che si sono promessi il giorno in cui si sono conosciuti.
E' sempre stato Hinata quello che ne ha parlato di più, ma questo non significa che Kageyama non abbia custodito quel pensiero dentro di sè, che non l'abbia alimentato. E adesso che il giorno è arrivato è felice di aver dato il meglio di sè per migliorarsi, perchè anche a mezzo mondo di distanza HInata è sempre stato una presenza costante per lui.
Kageyama sorride. Sta per cominciare il secondo set. E' pronto.
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Titolo: Diario di Volley
Fandom: Haikyuu
Parole: 212
Missione: M4 - Genere non convenzionale
Rating: safe
Annotazione 21

Primo giorno di torneo. L’obiettivo del passaggio del turno è stato raggiunto. La squadra continua a non rispondere bene, però.
Kindaichi potrebbe saltare di più, ha le caratteristiche per farlo. Cosa manca?
Kunimi manca di voglia, non si impegna abbastanza. Come potrebbe essere motivato?
C’era un ragazzino nella prima squadra che abbiamo affrontato oggi, sembrava delle elementari, ma era il capitano della sua squadra. La squadra sembrava messa insieme alla rinfusa, nessuno dei giocatori aveva grandi qualità e quasi nessuna conoscenza del gioco. Ma quel tizio è diverso. Velocità, agilità, voglia di vincere, controllo del proprio corpo in aria. Ha tutto, ma le sue qualità sono sprecate. Manca di allenamento, tutti i fondamentali sono pessimi, ma ci ha fatto punto.
Cosa ha fatto in questi anni? Perchè nonostante tutto è così scarso?
Non gli ho chiesto il nome.

Ace: 3
Punti: 5
Annotazione 31

Abbiamo perso il torneo.
Annotazione 91

Il ragazzino del torneo è qui. Si chiama Hinata. Non sa nulla dei fondamentali, non sa ricevere, non sa palleggiare. Ha voglia di vincere, questo sì, e so che è compito dell’alzatore tirare fuori il meglio da lui, ma come fare?

Annotazione 109

Abbiamo provato la veloce. Funziona. Riesce a prendere la mia alzata. Nessuno è mai riuscito a schiacciarla.

hunter

Mar. 7th, 2020 10:59 pm
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Titolo: hunter
Fandom: Originale
Prompt: M2 - Indonesia
Parole: 371
Rating: safe

L’aria della mattina era fredda, si condensava davanti alla mia bocca in nuvolette di fumo. Ad ogni passo il gelo mi penetrava nei polmoni.
Non avevo mai voluto fare il cacciatore. Detestavo tutto della caccia. L’alzarmi all’alba, il freddo, il dover stare fermo per ore intere ad aspettare di vedere qualcosa muoversi, il fango.
Nulla di tutto quello mi è mai piaciuto.
Neanche uccidere gli animali. C’era qualcosa di terrificante nel vederli morire.
Ma non ho altra scelta. Devo sopravvivere, in qualche modo.
E devo dare da mangiare alla mia famiglia.
Detesto cacciare, ma una mattina a settimana mi alzo all’alba. Vado nel bosco, mi stendo sul terreno gelido e aspetto.
Ho sempre detestato cacciare, odiavo il silenzio, odiavo lo stare fermo lì ad aspettare.
Ma adesso che il peso della casa grava sulle mie spalle, comincio a trovare qualcosa di confortante nello stare fermo lì, in silenzio. Come se non esistessi.
Adesso comincio a capire mio padre, comincio a capire cosa ci trovasse nella caccia.
E’ tutto lì, in quei momenti di silenzio. In quei momenti l’unica cosa che devo fare è respirare, controllare il respiro, controllare cosa sto facendo. Non devo pensare, non devo pensare a cosa mangeremo, non devo pensare e come potremo pagare il carbone per l’inverno.
E’ un momento d’aria, è un momento di tempo. Il mio tempo.
E’ un momento per me e da quanto tutta la famiglia conta su di me non ne ho mai abbastanza.
Sono diventato mio padre, in un certo senso.
Mi chiedo se odiasse quando andavo a caccia con lui. Stavo portando via un pezzetto di quel tempo che era solo suo.
Adesso capisco perché, quando gli dissi di non voler cacciare, mi rispose che andava bene. Mi aveva insegnato le basi ormai, non aveva altro da insegnarmi. Mi chiedo se si sia sentito in colpa a fare quei pensieri, a pensare che rivolesse quel tempo per sé.
Ma sono cose che mi chiedo a casa, al di fuori da quel momento.
Quel momento si respira, si respira e basta.
Ci sono mattine in cui spero di non sentire nulla che si muove. Mi chiedo come sia rimanere lì a non fare niente.
Ma qualcosa si muove.
La giornata inizia.

Brother

Mar. 7th, 2020 07:29 pm
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Titolo: Brother
Fandom: Boku no Hero Academia
Missione: M1 - Colpo di scena
Parole: 1310
Rating: safe

Mentre facevano colazione sentirono di forti colpi alla porta della casa che Todoroki, Bakugou e Midoriya condividevano da quando avevano finito il liceo. Bakugou, che non aveva ancora la sua dose mattutina di caffè, ebbe la tentazione di far esplodere qualcosa in faccia a chiunque fosse. Fu Todoroki ad andare ad aprire e si ritrovò davanti Dabi, sanguinante e poggiato allo stipite con l’aria di non riuscire a reggersi in piedi.
Todoroki si mise subito in posizione di guardia.
“Ti sembra il modo di salutare il tuo caro fratello?”, gli chiese Dabi con un sorriso sarcastico. Nonostante fosse conciato male, sembrava non volesse rinunciarci.
Todoroki rimase paralizzato sul posto, con gli occhi spalancati.
“Tu non puoi essere-”, balbettò.
“E’ stata tua madre, nostra madre, a farti quella cicatrice”
Shoto era sotto shock. La notizia era stata tenuta segreta. Come era possibile? Suo fratello era morto.
“Touya”, borbottò a voce bassissima.
"Sho, tutto bene?" lo chiamò Izuku affacciandosi dal salotto, quando vide Dabi cominciò a caricare One for All.
Todoroki stese il braccio per dirgli che era tutto okay, almeno al momento.
"Che ci fai qui?" chiese a Dabi
"Non sapevo dove andare" disse con voce strozzata.
"E hai pensato di venire qui? Come fai a sapere dove abito?"
"Abbiamo fatto le nostre ricerche" sorrise maligno.
"Shigaraki è impazzito, la League of Villains è impazzita"
"E’ stato lui a farti questo?"
Dabi annuì.
"Se ti faccio entrare non significa che esiterò ad attaccarti o a farti imprigionare" gli disse Todoroki.
La reazione di Bakugou quando lo vide su decisamente meno pacata.
"Ci rivediamo Bakugou Katsuki"
"Due fidanzati, sul serio fratello?" lo prese in giro Dabi.
"Sono ancora in tempo per rispedirti da Shigaraki" gli rispose solo Todoroki, ignorando l’allusione.
"Ok, farò il bravo".
Izuku andò a prendere il kit di pronto soccorso.
"Ora parla" gli disse Todoroki.
"Shigaraki è impazzito. Vuole solo che scoppiasse il caos il più rapidamente possibile, non aveva più interesse nel cercare di elaborare un piano. Sta uccidendo tutti coloro che non sono d’accordo con lui, ho provato a dirgli che non eravamo pronti per un attacco e mi ha ridotto così"
Erano numerose le zone del suo corpo con la pelle carbonizzata.
Dabi continuò a parlare: "Ha fretta: ha perso gran parte degli scagnozzi, metà del gruppo originario è già in carcere".
Loro tre ascoltavano in silenzio, non sapendo bene cosa fare in quella situazione.
"Quando vuole attaccare?" chiese Bakugou.
"Non ne ho idea, potrebbe attaccare in qualunque momento".
"Ho delle condizioni. Ti andrai a costituire, adesso, e farai i nomi di tutti i collaboratori della League of Villains che ancora non sono stati identificati, eroi corrotti, tutto quello che sai"
Dabi acconsentì, sconfitto: "Non ho alternative. Non ho nessun posto dove andare, sono un ricercato mondiale ormai. Stiamo combattendo questa guerra da anni e non abbiamo ottenuto nulla, la società degli eroi è salda e non ha intenzione di crollare. E sono stanco".
"Basta con queste menate sentimentali" lo interruppe Bakugou. "Cos’ha in mente il tuo capo?".
"Non è più il mio capo" sputò velenosamente Dabi. "Vuole voi tre, vi vede come la speranza per il futuro e gli avete rovinato i piani in più di una occasione".
"Venga pure, il bastardo" Bakugou sfoderò il suo più inquietante ghigno da battaglia.
Deku andò ad aggiornare All Might, Bakugou non aveva intenzione di lasciarli soli, ma si mise in disparte:
"Perché tutto questo?" chiese Shoto senza guardare in faccia il fratello.
"Perché la società degli eroi è corrotta e devastata. Sono solo… avidi di gloria, impostori. Volevo solo una società più giusta. Endeavor si è potuto permettere di fare quello che ha fatto con il potere conquistato come eroe, ma come può essere un eroe uno che si comporta in quel modo? Se mamma avesse parlato, se io avessi parlato… nessuno ci avrebbe creduto, solo perché pubblicamente Endeavor è un eroe riconosciuto. Anche gli eroi devono essere sottoposti alla giustizia, il loro nome da eroe non può permettergli di fare tutto quello che vogliono. Anche tu devi essere infuriato con lui".
"Non paragonarmi a te" fu la fredda risposta di Todoroki.
"Io ti ho liberato! Non devi più farlo, puoi smetterla con tutta questa merda e vivere una vita normale".
"Io la voglio tutta questa merda. Sono stato liberato molto tempo fa"
"Avevi bisogno di qualcuno che lo fermasse"
"Avevo bisogno di qualcuno che capisse! Non far passare tutto questo come se l’avessi fatto per me"
Dabi alzò le mani: "Come vuoi, fratello".
"E non chiamarmi fratello".
"Endeavor meritava di vedere la sua carriera vacillare".
Shoto non aveva nulla da ridire al riguardo. "Come sei finito in quel covo?" chiese a Touya.
"Avevamo gli stessi ideali, all’inizio. Adesso è solo un piano di vendetta individuale, Shigaraki contro il mondo. Non è per quello che mi ero unito a loro, lo vedi anche tu che la società ormai è andata, tutti si aspettano che un eroe li salvi e tutti vogliono fare gli eroi, gli ideali originali sono andati, con tutto il merchandise, gli eroi sono corrotti, gli interessa solo salire in graduatoria e tu ti stai piegando a questo sistema"
"Questo può essere cambiato solo dall’interno. Stai condannando tutti gli eroi solo per colpa di Endeavor, non sono tutti così. Sono persone e esistono persone di merda".
"Ho conosciuto la miseria umana, gente che aveva perso tutto e aspettava che fossero gli eroi a salvarli. Per colpa degli eroi hanno tutti perso la voglia di rimboccarsi le maniche, accettano la loro condizione di miseria. Se gli eroi smettessero di esiste la società funzionerebbe meglio, la gente ricomincerebbe a costruire la propria vita".
Bakugou sentiva la conversazione in silenzio.
"I giovani che non hanno poteri abbastanza forti vengono isolati e presi in giro, quelli che non riescono a diventare eroi vengono derisi"
Bakugou sentì lo stomaco stringersi in una morsa.
"Non puoi dare la colpa di tutto agli eroi" continuò Shoto.
"E gli eroi stessi si sentono padroni del mondo" continuò Toya senza dargli segno di averlo sentito. "Credono di poter fare tutto e che tutto gli sia dovuto. Ma se fare l’eroe non fosse un lavoro ben retribuito quanti veramente metterebbero a repentaglio la propria vita per salvare gli altri? La nostra missione era per un bene più grande, ma adesso anche Tomura è diventato come loro, pensa solo al proprio tornaconto personale" concluse amaramente Dabi.
"Ma la vostra stessa esistenza non fa che convincere della necessità degli eroi".
All Might si presentò a casa loro con il suo amico poliziotto pronto a prendere la dichiarazione di Dabi e lo accompagnarono in commissariato.
Dietro il vetro della sala degli interrogatori gli altri tre nella stanza ascoltavano in silenzio. Arrivò anche Endeavor.
Sembrava paralizzato davanti al figlio: "E’ davvero lui…" disse solo.
"Hai detto che te lo ha detto" commentò Shoto.
"Abbiamo combattuto, un bel po’ di tempo fa. Lo ha nel pieno della battaglia. Non sapevo-" sembrava a corto di parole. "Devo dirlo a Rei".
"Io avverto Fuyumi" rispose Todoroki.
Dabi venne portato in un carcere di minima sicurezza, confessò ogni cosa e rivelò tutto quello che sapeva della League of Villains.
Per la prima volta sentivano di essere loro, gli eroi, quelli in vantaggio.
L’attacco finale al quartier generale della League of Villains fu rapido.
Il giorno dopo Endeavor annunciò il suo ritiro.
Qualche giorno dopo Todoroki ottenne un permesso per far uscire la madre dalla clinica e la portò a visitare il figlio.
«Bambino mio» continuava a ripetere. «Credevo che non ti avrei più rivisto» gli disse con le lacrime agli occhi.
Si stava lasciando ricrescere i capelli senza tingerli, stava ricominciando a somigliare alle foto che Todoroki aveva visto in casa.
Erano di nuovo tutti lì, sembravano di nuovo una famiglia, ma la strada per diventarlo veramente sarebbe stata lunga e impervia, lo sapevano tutti, ma finalmente avrebbero potuto cominciare da qualche parte.
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Titolo: Lettere dall’Alba Dorata: nuovi inizi
Fandom: Black Clover
Missione: M4 - Genere non convenzionale
Parole: 340
Rating: safe

Cara Sorella Lily, bimbi della Chiesa,
la città è grande e caotica, ben diversa dalla calma e dal silenzio di Hage. Da quando sono arrivato non ho ancora avuto molto tempo per andare in giro ad esplorarla, però. Sono entrato in quella che sarà la mia casa d’ora in avanti, il quartier generale dell’Alba Dorata. E’ un palazzo enorme nel centro della città, è pieno di corridoi e non so ancora bene come farò a girare senza perdermi. Ha un cortile interno e ha dei bellissimi giardini, pieni di fiori che non ho mai visto prima, ma è molto diverso dall’essere circondati dai boschi intorno ad Hage. Mi hanno assegnato una stanza ed è enorme, ho persino un letto a due piazze solamente per me. Dormire da solo, però, è ancora molto strano. Mi mancano i calci dei bambini, mi manca anche il russare di Asta! E non pensavo avrei mai detto una cosa del genere. Anche il cibo è molto diverso a quello a cui sono abituato, sto assaggiando molte cose nuove di cui non conoscevo l’esistenza. Sembra che qui nessuno conosca le bohtate - ho provato a chiederle. Comincio a sentirne la mancanza. Qui sono tutti nobili, sono l’unico a non esserlo. Hanno tutti un’aria molto distinta e vestiti molto eleganti. Si tengono a distanza, almeno la maggior parte. Sembrano essere tutti molto attenti alle questioni del rango, della provenienza e della famiglia, tutte cose a cui non sono abituato a prestare attenzione. Non contano molto quando si cresce tutti insieme e senza niente. Il mio responsabile è un tipo piuttosto particolare, continua a parlare della dignità dell’Alba Dorata e di come non dovrei essere qui, ma allo stesso tempo sembra essere molto premuroso e sta sempre attento che non mi manchi nulla. La mia compagna, invece, sembra molto più tranquilla. Anche lei è una nobile, ma parla con me in maniera più normale almeno. E’ strano essere lontani da voi, ma continuerò a fare del mio meglio per raggiungere il mio scopo. Continuerò a tenervi aggiornati.
Yuno.

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