melwrites (
chasing_medea) wrote2020-03-21 08:07 pm
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Ad horas
Titolo: Ad Horas
Fandom: Haikyuu
Missione: M5 - Ad Horas
Parole: 2222
Rating: safe
Insieme ad un paio di amici Kageyama percorre le strade buie, diretto ad una festa alla quale non dovrebbe andare. Il vestito elegante che ha preso in prestito gli sta leggermente stretto sulle spalle e leggermente corto sulle caviglie, facendogli risalire i brividi di freddo lungo tutto il corpo.
“Da questa parte”, gli fa cenno Kindaichi, guardando nella sua direzione da dietro la spalla. Svolta a destra, in una stradina talmente stretta che Kageyama non è sicuro di poterci passare, ma a lui e Kunimi non resta altra scelta se non seguirlo.
È stato Kindaichi a venire a sapere di quella festa e a trovare il modo di farli entrare, è stato sempre lui a trovare dove potessero affittare dei vestiti eleganti e tutto ciò che potesse servirgli per imbucarsi. Non era il loro ambiente, anzi, era quanto di più lontano dal loro ambiente potesse esistere, ma loro, cresciuti per strada, volevano vedere almeno una volta nella vita che cosa significasse appartenere ai ceti più alti, che cosa significasse fare la bella vita e mangiare tutte quelle cose prelibate che tante volte avevano aiutato a scaricare dalle navi che affollavano il porto per racimolare qualche spicciolo.
Camminano ancora un po’, Kageyama segue ciecamente Kunimi. Quella parte della città, i meandri dei quartieri alti, è totalmente sconosciuta per lui.
“Eccoci arrivati”, dice Kunimi, affacciandosi dietro un angolo.
Anche Kageyama si affaccia, vede una piccola via, in fondo vedono un cancello di ferro battuto leggermente aperto che da su un giardino, da cui provengono un brusio indistinto di rumori e la musica di un'orchestra in lontananza. Si ritira poi dietro l’angolo.
“Le maschere”, gli ricorda Kindaichi mentre indossa la sua.
Kageyama annuisce, slega la maschera dalla cinta e la indossa. Quelle è stato Kindaichi a procurarle. Lui e Kunimi indossano le loro maschere, una bianca e una rossa, coprono interamente la parte superiore del viso e hanno alcune piume che svettano sulla sinistra. Quella che ha scelto per Kageyama è la meno coprente delle tre. È composta solamente da ghirigori di ferro nero, il suo viso è quasi interamente scoperto. Kageyama aveva protestato quando l’aveva vista, per il timore di essere troppo scoperto in quel modo, che lo riconoscessero subito come non appartenente a quel mondo e non lo lasciassero entrare.
“Con quella faccia potresti entrare anche senza maschera”, gli aveva detto Kindaichi, ma Kageyama non era sicuro di che cosa volesse dire.
Ormai non c’era più tempo. O la va o la spacca, si disse.
Indossa la maschera e la lega dietro la testa, facendosi aiutare dagli altri per posizionarla nel modo giusto.
Svoltano l’angolo e si avvicinano al cancello. La guardia da una rapida occhiata ai loro abiti, Kageyama si stringe un po’ meglio nel mantello per nascondere la stoffa tirata che smascherava il vestito come non suo. La guardia si sposta di lato lasciandoli passare. Il giardino, davanti a loro, è illuminato da lampade di carta bianche sparse un po’ ovunque, che danno all’intero ambiente un atmosfera onirica, un tavolo colmo di bevande è su un lato. La musica dell’orchestra proviene dall’interno del palazzo, le cui porte erano state lasciate spalancate. Sparse ovunque per il giardino donne con larghe gonne e maschere sfarzose chiacchierano con uomini ben vestiti mentre sorseggiano vino da calici di cristallo, si coprono la mano con la bocca e si lasciano sfuggire acuti risolini civettuoli. Altrove uomini parla con tono serio tra di loro o sorseggiano vino ascoltando la musica che proviene dall’interno del palazzo.
I tre ragazzi si scambiano una rapida occhiata, poi decidono di entrare nel palazzo. Le porte sono in legno massiccio e scuro e riccamente intarsiate, ma nella penombra è praticamente impossibile capire che cosa rappresentino, a Kageyama sembra di distinguere solamente qualche fiore, ma non è troppo sicuro.
Poco oltre l’ingresso, un valletto si offre di prendere i loro mantelli e i tre glielo lasciano. Una volta dentro la musica è molto più forte, le pareti della sala sono decorate con affreschi dorati, grandi lampadari di cristallo pendono dal soffitto, sparse intorno alla stanza ci sono numerose sedie di legno lucido e con la seduta in lucida seta. Il centro della sala è interamente occupato da persone che ballano, alla musica si mescolano risate e rumore di calici che brindano e chiacchiere di sottofondo. I tre ragazzi rimangono fermi sulla porta per un momento, non sapendo come relazionarsi a quel mondo che non gli appartiene. Poi Kageyama nota in un angolo il tavolo del buffet: non ha alcuna intenzione di andarsene di lì senza aver assaggiato il cibo dei nobili. Kindaichi sembra più interessato a scoprire di che cosa parlino i nobili e Kunimi alle danze. I tre si dividono e Kageyama si dirige verso il tavolo del buffet.
Accatastati sul tavolo ci sono molte pietanze che Kageyama conosce, ma sono molte di più quelle a lui totalmente sconosciute. Viene attirato da una pietanza in particolare. Sembrano piccole tortine salate con lo strato esterno croccante.
“È un sartú di riso”, gli dice una voce alle sue spalle. “È riso con dentro varie cose. È un piatto che viene dal sud”.
Kageyama fa un cenno di ringraziamento con la testa senza neanche voltarsi, e se ne serve uno. Lo sconosciuto, però, non sembra volersi allontanare da lì, Kageyama continua a sentire la sua presenza alle sue spalle.
“Non sei di queste parti, vero?”
Kageyama si blocca sul posto, con il piatto in mano, il sartù ancora intatto e alza lo sguardo dal piatto allo sconosciuto. È più basso di lui, ha i capelli rossi, che svettano disordinati sopra la maschera di un blu intenso e che lascia scoperti dei grandi occhi caldi, ha labbra carnose e la pelle chiara della nobiltà.
“Non ho intenzione di denunciarti, tranquillo”, continua lo sconosciuto.
Kageyama sospira.
“Come lo sai?”
“Ti muovi in maniera circospetta. E poi mi ricorderei di te se ci fossimo già incrociati”, dice guardando Kageyama dall’alto al basso e viceversa. “Allora, perché imbucarsi a una festa come questa quando si vede che non sei a tuo agio?”
Kageyama mormora qualcosa in risposta, voltando la testa nella direzione opposta, ma le sue parole vengono inghiottite dall’applauso per l’orchestra che ha terminato un altro pezzo.
Lo sconosciuto si avvicina a Kageyama. “Puoi ripetere?”
“Volevo assaggiare quello che mangiano i nobili”, confessa Kageyama con le guance in fiamme.
Lo sconosciuto scoppia a ridere. “Non hai torto”. Con un gesto del braccio indica a Kageyama l’intero tavolo. “Serviti pure”.
Rimane accanto a Kageyama, spiegandogli con esattezza cosa sia ogni piatto e consigliandogli cosa deve mangiare assolutamente. Mangia insieme a lui.
“E per finire, una di queste”, gli dice lo sconosciuto prendendo due cubetti verdi ricoperto di zucchero da una ciotola, se ne porta uno alla bocca e solleva l’altro fino all’altezza da viso di Kageyama.
Kageyama si sporge in avanti e prende il cubetto verde direttamente dalle dita dell’altro, nel farlo le sue labbra gli sfiorano la pelle su cui è rimasta un po’ di granella di zucchero.
Il cubetto sa di menta, pizzica sulla lingua ma è rinfrescante, ha una consistenza morbida e si scioglie in bocca.
“Cos’è?”
Lo sconosciuto sembra riscuotersi solo in quel momento. “G-gelatina alla menta!”, sputa fuori con più enfasi del necessario.
Kageyama annuisce e si guarda intorno nella sala alla ricerca dei suoi compagni, ma in quel marasma di balli e maschere non li riesce a scorgere da nessuna parte.
“Adesso che hai assaggiato il cibo dei nobili te ne andrai?”, gli chiede lo sconosciuto.
Kageyama abbassa lo sguardo verso di lui, anche lui tiene lo sguardo in direzione delle danze. Kageyama non ha voglia di andarsene.
“Non ancora”
Lo sconosciuto si volta verso di lui con un sorriso talmente luminoso da essere accecante.
“Non puoi andartene senza aver provato i balli”, gli dice prendendogli la mano e trascinandolo sulla pista.
Kageyama cerca di trattenerlo. “Non conosco i passi!”
L’altro si volta verso di lui senza smettere di trascinarlo, gli sorride ancora. “Basta che segui me”.
Lo trascina nel centro della pista, nel punto in cui le danze sono più fitte, gli spiega come mettere le mani. L’orchestra riparte con la musica, un valzer, e lo sconosciuto comincia a muoversi, a bassa voce mormora a Kageyama i passi per aiutarlo a tenere il ritmo. Kageyama inciampa un paio di volte nei suoi piedi, ma continua a seguirlo e combatte la tentazione di guardare in basso, verso i propri piedi. Tiene stretta la mano dello sconosciuto, è piccola è morbida rispetto alla sua, grande e indurita dai lavori occasionali che riesce a trovare. L’altra mano di Kageyama si appoggia sul fianco dello sconosciuto e facendolo si rende conto di quanto sia esile la sua vita. Nella musica Kageyama fa fatica a sentire le indicazioni che l’altro gli da, è costretto a tenere lo sguardo fisso sulle sue labbra, sono carnose e leggermente arrossate e gonfie, come se avesse l’abitudine di mordersele. Kageyama le osserva mentre si muovono e gli dettano i passi che deve compiere, ma i passi vengono compiuti in automatico, Kageyama è totalmente perso nella sua osservazione. Ha voglia di avvicinarsi, di poggiare le proprie labbra su quelle dell’altro, sentire se sulle sue labbra è rimasta ancora della granella di zucchero e se la sua bocca sa ancora di menta quanto quella di Kageyama.
Lo sconosciuto alza lo sguardo, anche lui sembra rimanere bloccato sulle labbra di Kageyama. Kageyama sa che le sue labbra sono più sottili, non ci vede nessuna attrattiva particolare, ma l’altro evidentemente non è dello stesso avviso perché rimane lì ad osservarle. Kageyama si inumidisce le labbra con la lingua e avvicina il proprio viso a quello dello sconosciuto, con la mano ancora sul suo fianco Kageyama può sentire il brivido che gli attraversa il corpo. Lo sconosciuto, però, all’ultimo momento porta la propria fronte a contatto con quella di Kageyama e allontana le labbra.
“Usciamo di qui”, dice in un sussurro e, se Kageyama non gli avesse ancora fissato le labbra, non se ne sarebbe mai accorto.
Annuisce e segue lo sconosciuto fuori di lì, verso il giardino. All’ingresso recuperano i propri mantelli ed escono. La temperatura si è abbassata rispetto a quando Kageyama è arrivato e l’aria fredda sferza le guance arrossate di entrambi. Il giardino è quasi deserto ormai, tutti hanno trovato rifugio all’interno del palazzo.
Lo sconosciuto lo guida in un angolo nascosto del giardino e Kageyama lo segue in silenzio. Non appena svoltano un angolo e si ritrovano in una piccola nicchia, lo sconosciuto porta le mani intorno alla nuca di Kageyama. Kageyama fa passare un braccio sulla sua schiena e finalmente appoggia le labbra alle sue.
Come aveva immaginato sa di menta e di zucchero, il bacio è lento e delicato, è appena uno sfiorarsi di labbra all’inizio. Poi, piano piano, Kageyama si fa più intraprendente e l’altro lo accetta. Il suo corpo è caldo contro quello di Kageyama, le sue labbra bollenti e umide.
Kageyama vorrebbe approfondire ancora il contatto, ma le maschere sono di intralcio. Porta una mano a togliersela, ma l’altro appoggia la mano sul suo polso.
“No”, gli dice con un sorriso dolce. “Non smuovere le acque”
Kageyama non capisce, ma non gli interessa. Vuole solo baciarlo di nuovo e lo fa, chinandosi verso di lui, spingendolo contro il muro e stringendolo con il suo corpo.
Una campana in lontananza suona l’ora e lo sconosciuto si stacca da lui.
“Devo andare”, gli dice e gli sorride dolcemente.
Kageyama vorrebbe chiedergli se possono rivedersi, ma non ha il tempo di farlo. Lo sconosciuto gli appoggia un altro bacio delicato sulle labbra e si allontana da lì.
Kageyama gli va dietro dopo un momento, torna allo spazio principale del giardino, ma non c’è nessuno lì se non la servitù che sistema tutto e sta smontando le decorazioni. Kageyama si fionda dentro il palazzo, ma nella confusione delle danze non lo vede. Prova a cercarlo in mezzo alla pista da ballo, gettandosi tra la calca con ancora il mantello addosso, ma di lui nessuna traccia. Kageyama si arrende, si siede su una delle sedie affiancate alle pareti e aspetta. Aspetta fino a che la sala non è quasi deserta, poi si alza ed esce da lì
È il momento più buio della notte, quello che precede l’alba. Kageyama cerca di orientarsi tra i vicoli sconosciuti.
Quando si trova in una zona che riconosce, l’alba ha cominciato a rischiarare le strade.
La vita di Kageyama riprende come al solito dopo quella notte. La mattina si alza e va al porto per cercare lavoro, il pomeriggio, quando è libero, cerca qualche artigiano che lo accetti come apprendista o lo trascorre con gli amici. Cerca di sopprimere lo stimolo costante di guardarsi intorno cercando una macchia di capelli rossi.
La mattina che finalmente la vede Kageyama rimane paralizzato in mezzo alla strada. È sui gradini della chiesa che Kageyama supera tutte le mattine, vestito elegante e con una ragazza minuta, bionda e vestita di bianco al suo fianco. Sono circondati da una folla festante.
La coppia scende i gradini e passa a fianco a Kageyama, che non è riuscito a staccare gli occhi da loro neanche per un attimo.
“Ci conosciamo?”, gli chiede il ragazzo con aria di sfida alzando lo sguardo verso di lui.
Kageyama si riscuote. “No, chiedo scusa. E congratulazioni”, dice prima di ricominciare a camminare nella direzione opposta alla coppia.
Fandom: Haikyuu
Missione: M5 - Ad Horas
Parole: 2222
Rating: safe
Insieme ad un paio di amici Kageyama percorre le strade buie, diretto ad una festa alla quale non dovrebbe andare. Il vestito elegante che ha preso in prestito gli sta leggermente stretto sulle spalle e leggermente corto sulle caviglie, facendogli risalire i brividi di freddo lungo tutto il corpo.
“Da questa parte”, gli fa cenno Kindaichi, guardando nella sua direzione da dietro la spalla. Svolta a destra, in una stradina talmente stretta che Kageyama non è sicuro di poterci passare, ma a lui e Kunimi non resta altra scelta se non seguirlo.
È stato Kindaichi a venire a sapere di quella festa e a trovare il modo di farli entrare, è stato sempre lui a trovare dove potessero affittare dei vestiti eleganti e tutto ciò che potesse servirgli per imbucarsi. Non era il loro ambiente, anzi, era quanto di più lontano dal loro ambiente potesse esistere, ma loro, cresciuti per strada, volevano vedere almeno una volta nella vita che cosa significasse appartenere ai ceti più alti, che cosa significasse fare la bella vita e mangiare tutte quelle cose prelibate che tante volte avevano aiutato a scaricare dalle navi che affollavano il porto per racimolare qualche spicciolo.
Camminano ancora un po’, Kageyama segue ciecamente Kunimi. Quella parte della città, i meandri dei quartieri alti, è totalmente sconosciuta per lui.
“Eccoci arrivati”, dice Kunimi, affacciandosi dietro un angolo.
Anche Kageyama si affaccia, vede una piccola via, in fondo vedono un cancello di ferro battuto leggermente aperto che da su un giardino, da cui provengono un brusio indistinto di rumori e la musica di un'orchestra in lontananza. Si ritira poi dietro l’angolo.
“Le maschere”, gli ricorda Kindaichi mentre indossa la sua.
Kageyama annuisce, slega la maschera dalla cinta e la indossa. Quelle è stato Kindaichi a procurarle. Lui e Kunimi indossano le loro maschere, una bianca e una rossa, coprono interamente la parte superiore del viso e hanno alcune piume che svettano sulla sinistra. Quella che ha scelto per Kageyama è la meno coprente delle tre. È composta solamente da ghirigori di ferro nero, il suo viso è quasi interamente scoperto. Kageyama aveva protestato quando l’aveva vista, per il timore di essere troppo scoperto in quel modo, che lo riconoscessero subito come non appartenente a quel mondo e non lo lasciassero entrare.
“Con quella faccia potresti entrare anche senza maschera”, gli aveva detto Kindaichi, ma Kageyama non era sicuro di che cosa volesse dire.
Ormai non c’era più tempo. O la va o la spacca, si disse.
Indossa la maschera e la lega dietro la testa, facendosi aiutare dagli altri per posizionarla nel modo giusto.
Svoltano l’angolo e si avvicinano al cancello. La guardia da una rapida occhiata ai loro abiti, Kageyama si stringe un po’ meglio nel mantello per nascondere la stoffa tirata che smascherava il vestito come non suo. La guardia si sposta di lato lasciandoli passare. Il giardino, davanti a loro, è illuminato da lampade di carta bianche sparse un po’ ovunque, che danno all’intero ambiente un atmosfera onirica, un tavolo colmo di bevande è su un lato. La musica dell’orchestra proviene dall’interno del palazzo, le cui porte erano state lasciate spalancate. Sparse ovunque per il giardino donne con larghe gonne e maschere sfarzose chiacchierano con uomini ben vestiti mentre sorseggiano vino da calici di cristallo, si coprono la mano con la bocca e si lasciano sfuggire acuti risolini civettuoli. Altrove uomini parla con tono serio tra di loro o sorseggiano vino ascoltando la musica che proviene dall’interno del palazzo.
I tre ragazzi si scambiano una rapida occhiata, poi decidono di entrare nel palazzo. Le porte sono in legno massiccio e scuro e riccamente intarsiate, ma nella penombra è praticamente impossibile capire che cosa rappresentino, a Kageyama sembra di distinguere solamente qualche fiore, ma non è troppo sicuro.
Poco oltre l’ingresso, un valletto si offre di prendere i loro mantelli e i tre glielo lasciano. Una volta dentro la musica è molto più forte, le pareti della sala sono decorate con affreschi dorati, grandi lampadari di cristallo pendono dal soffitto, sparse intorno alla stanza ci sono numerose sedie di legno lucido e con la seduta in lucida seta. Il centro della sala è interamente occupato da persone che ballano, alla musica si mescolano risate e rumore di calici che brindano e chiacchiere di sottofondo. I tre ragazzi rimangono fermi sulla porta per un momento, non sapendo come relazionarsi a quel mondo che non gli appartiene. Poi Kageyama nota in un angolo il tavolo del buffet: non ha alcuna intenzione di andarsene di lì senza aver assaggiato il cibo dei nobili. Kindaichi sembra più interessato a scoprire di che cosa parlino i nobili e Kunimi alle danze. I tre si dividono e Kageyama si dirige verso il tavolo del buffet.
Accatastati sul tavolo ci sono molte pietanze che Kageyama conosce, ma sono molte di più quelle a lui totalmente sconosciute. Viene attirato da una pietanza in particolare. Sembrano piccole tortine salate con lo strato esterno croccante.
“È un sartú di riso”, gli dice una voce alle sue spalle. “È riso con dentro varie cose. È un piatto che viene dal sud”.
Kageyama fa un cenno di ringraziamento con la testa senza neanche voltarsi, e se ne serve uno. Lo sconosciuto, però, non sembra volersi allontanare da lì, Kageyama continua a sentire la sua presenza alle sue spalle.
“Non sei di queste parti, vero?”
Kageyama si blocca sul posto, con il piatto in mano, il sartù ancora intatto e alza lo sguardo dal piatto allo sconosciuto. È più basso di lui, ha i capelli rossi, che svettano disordinati sopra la maschera di un blu intenso e che lascia scoperti dei grandi occhi caldi, ha labbra carnose e la pelle chiara della nobiltà.
“Non ho intenzione di denunciarti, tranquillo”, continua lo sconosciuto.
Kageyama sospira.
“Come lo sai?”
“Ti muovi in maniera circospetta. E poi mi ricorderei di te se ci fossimo già incrociati”, dice guardando Kageyama dall’alto al basso e viceversa. “Allora, perché imbucarsi a una festa come questa quando si vede che non sei a tuo agio?”
Kageyama mormora qualcosa in risposta, voltando la testa nella direzione opposta, ma le sue parole vengono inghiottite dall’applauso per l’orchestra che ha terminato un altro pezzo.
Lo sconosciuto si avvicina a Kageyama. “Puoi ripetere?”
“Volevo assaggiare quello che mangiano i nobili”, confessa Kageyama con le guance in fiamme.
Lo sconosciuto scoppia a ridere. “Non hai torto”. Con un gesto del braccio indica a Kageyama l’intero tavolo. “Serviti pure”.
Rimane accanto a Kageyama, spiegandogli con esattezza cosa sia ogni piatto e consigliandogli cosa deve mangiare assolutamente. Mangia insieme a lui.
“E per finire, una di queste”, gli dice lo sconosciuto prendendo due cubetti verdi ricoperto di zucchero da una ciotola, se ne porta uno alla bocca e solleva l’altro fino all’altezza da viso di Kageyama.
Kageyama si sporge in avanti e prende il cubetto verde direttamente dalle dita dell’altro, nel farlo le sue labbra gli sfiorano la pelle su cui è rimasta un po’ di granella di zucchero.
Il cubetto sa di menta, pizzica sulla lingua ma è rinfrescante, ha una consistenza morbida e si scioglie in bocca.
“Cos’è?”
Lo sconosciuto sembra riscuotersi solo in quel momento. “G-gelatina alla menta!”, sputa fuori con più enfasi del necessario.
Kageyama annuisce e si guarda intorno nella sala alla ricerca dei suoi compagni, ma in quel marasma di balli e maschere non li riesce a scorgere da nessuna parte.
“Adesso che hai assaggiato il cibo dei nobili te ne andrai?”, gli chiede lo sconosciuto.
Kageyama abbassa lo sguardo verso di lui, anche lui tiene lo sguardo in direzione delle danze. Kageyama non ha voglia di andarsene.
“Non ancora”
Lo sconosciuto si volta verso di lui con un sorriso talmente luminoso da essere accecante.
“Non puoi andartene senza aver provato i balli”, gli dice prendendogli la mano e trascinandolo sulla pista.
Kageyama cerca di trattenerlo. “Non conosco i passi!”
L’altro si volta verso di lui senza smettere di trascinarlo, gli sorride ancora. “Basta che segui me”.
Lo trascina nel centro della pista, nel punto in cui le danze sono più fitte, gli spiega come mettere le mani. L’orchestra riparte con la musica, un valzer, e lo sconosciuto comincia a muoversi, a bassa voce mormora a Kageyama i passi per aiutarlo a tenere il ritmo. Kageyama inciampa un paio di volte nei suoi piedi, ma continua a seguirlo e combatte la tentazione di guardare in basso, verso i propri piedi. Tiene stretta la mano dello sconosciuto, è piccola è morbida rispetto alla sua, grande e indurita dai lavori occasionali che riesce a trovare. L’altra mano di Kageyama si appoggia sul fianco dello sconosciuto e facendolo si rende conto di quanto sia esile la sua vita. Nella musica Kageyama fa fatica a sentire le indicazioni che l’altro gli da, è costretto a tenere lo sguardo fisso sulle sue labbra, sono carnose e leggermente arrossate e gonfie, come se avesse l’abitudine di mordersele. Kageyama le osserva mentre si muovono e gli dettano i passi che deve compiere, ma i passi vengono compiuti in automatico, Kageyama è totalmente perso nella sua osservazione. Ha voglia di avvicinarsi, di poggiare le proprie labbra su quelle dell’altro, sentire se sulle sue labbra è rimasta ancora della granella di zucchero e se la sua bocca sa ancora di menta quanto quella di Kageyama.
Lo sconosciuto alza lo sguardo, anche lui sembra rimanere bloccato sulle labbra di Kageyama. Kageyama sa che le sue labbra sono più sottili, non ci vede nessuna attrattiva particolare, ma l’altro evidentemente non è dello stesso avviso perché rimane lì ad osservarle. Kageyama si inumidisce le labbra con la lingua e avvicina il proprio viso a quello dello sconosciuto, con la mano ancora sul suo fianco Kageyama può sentire il brivido che gli attraversa il corpo. Lo sconosciuto, però, all’ultimo momento porta la propria fronte a contatto con quella di Kageyama e allontana le labbra.
“Usciamo di qui”, dice in un sussurro e, se Kageyama non gli avesse ancora fissato le labbra, non se ne sarebbe mai accorto.
Annuisce e segue lo sconosciuto fuori di lì, verso il giardino. All’ingresso recuperano i propri mantelli ed escono. La temperatura si è abbassata rispetto a quando Kageyama è arrivato e l’aria fredda sferza le guance arrossate di entrambi. Il giardino è quasi deserto ormai, tutti hanno trovato rifugio all’interno del palazzo.
Lo sconosciuto lo guida in un angolo nascosto del giardino e Kageyama lo segue in silenzio. Non appena svoltano un angolo e si ritrovano in una piccola nicchia, lo sconosciuto porta le mani intorno alla nuca di Kageyama. Kageyama fa passare un braccio sulla sua schiena e finalmente appoggia le labbra alle sue.
Come aveva immaginato sa di menta e di zucchero, il bacio è lento e delicato, è appena uno sfiorarsi di labbra all’inizio. Poi, piano piano, Kageyama si fa più intraprendente e l’altro lo accetta. Il suo corpo è caldo contro quello di Kageyama, le sue labbra bollenti e umide.
Kageyama vorrebbe approfondire ancora il contatto, ma le maschere sono di intralcio. Porta una mano a togliersela, ma l’altro appoggia la mano sul suo polso.
“No”, gli dice con un sorriso dolce. “Non smuovere le acque”
Kageyama non capisce, ma non gli interessa. Vuole solo baciarlo di nuovo e lo fa, chinandosi verso di lui, spingendolo contro il muro e stringendolo con il suo corpo.
Una campana in lontananza suona l’ora e lo sconosciuto si stacca da lui.
“Devo andare”, gli dice e gli sorride dolcemente.
Kageyama vorrebbe chiedergli se possono rivedersi, ma non ha il tempo di farlo. Lo sconosciuto gli appoggia un altro bacio delicato sulle labbra e si allontana da lì.
Kageyama gli va dietro dopo un momento, torna allo spazio principale del giardino, ma non c’è nessuno lì se non la servitù che sistema tutto e sta smontando le decorazioni. Kageyama si fionda dentro il palazzo, ma nella confusione delle danze non lo vede. Prova a cercarlo in mezzo alla pista da ballo, gettandosi tra la calca con ancora il mantello addosso, ma di lui nessuna traccia. Kageyama si arrende, si siede su una delle sedie affiancate alle pareti e aspetta. Aspetta fino a che la sala non è quasi deserta, poi si alza ed esce da lì
È il momento più buio della notte, quello che precede l’alba. Kageyama cerca di orientarsi tra i vicoli sconosciuti.
Quando si trova in una zona che riconosce, l’alba ha cominciato a rischiarare le strade.
La vita di Kageyama riprende come al solito dopo quella notte. La mattina si alza e va al porto per cercare lavoro, il pomeriggio, quando è libero, cerca qualche artigiano che lo accetti come apprendista o lo trascorre con gli amici. Cerca di sopprimere lo stimolo costante di guardarsi intorno cercando una macchia di capelli rossi.
La mattina che finalmente la vede Kageyama rimane paralizzato in mezzo alla strada. È sui gradini della chiesa che Kageyama supera tutte le mattine, vestito elegante e con una ragazza minuta, bionda e vestita di bianco al suo fianco. Sono circondati da una folla festante.
La coppia scende i gradini e passa a fianco a Kageyama, che non è riuscito a staccare gli occhi da loro neanche per un attimo.
“Ci conosciamo?”, gli chiede il ragazzo con aria di sfida alzando lo sguardo verso di lui.
Kageyama si riscuote. “No, chiedo scusa. E congratulazioni”, dice prima di ricominciare a camminare nella direzione opposta alla coppia.