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Titolo: Non nobis solum nati sumus
Fandom: bnha
Missione: M5 - latino
Parole: 444
Rating: safe

"Non dovresti continuare a gettarti così nella mischia", lo rimprovera Kirishima mentre gli disinfetta la ferita sulla guancia.
Bakugou si limita a far schioccare la lingua sul palato. Non ha alcuna voglia di rispondere: c'era una situazione di pericolo e lui ha salvato i civili, non capisce perchè Kirishima senta il bisogno di fargli la ramanzina tutte le volte.
"Se non vuoi farlo per te, almeno fallo per il tuo soulmate. Chiunque sia si trova ogni giorno pieno di ferite senza sapere neanche che cosa abbia fatto per meritarselo. Sono anni che lo massacri! Quando finalmente lo incontrerai non vorrà avere nulla che fare con te. Quella del soulmate era un'altra battaglia persa con Kirishima.
"Non mi interessa", rispose secco Bakugou.
Bakugou aveva sempre odiato quel concetto, l'idea che non non si fosse nati solo per sè stessi ma che qualcun altro dipendesse da loro, mentre Kirishima l'aveva sempre trovata un'idea romantica e aveva sempre rimproverato Bakugou che non aveva fatto nulla per cercare il suo soulmate. Non era interessato a quelle cose, voleva solo continuare a fare in pace il suo lavoro da hero.
Kirishima sospirò e terminò la medicazione. Si alzò in piedi e gli disse di andarsene a casa per quel giorno. Il turno di Bakugou era finito da almeno un paio d'ore e non aveva la minima voglia di restare lì a compilare le scartoffie necessarie. Potevano aspettare fino all'indomani.
Bakugou annuì, recuperò le sue cose e uscì dalla sede dell'agenzia. Ancora non era riuscito ad aprire la sua di agenzia, ma c'era vicino ormai, sapeva che non doveva mancare molto.
E' mentre torna a casa che una nuova emergenza capita e Bakugou non può ignorarla. Un rapinatore entra in un locale e lui, senza pensarci due volte, gli fa appresso e lo ferma. Prima di essere immobilizzato, quello riesce a colpirlo al costato e a mozzargli il respiro. Qualcun altro, in quel locale ha la stessa reazione di dolore che ha Bakugou.
Bakugou alza lo sguardo e incontra i grandi occhi verdi di quel ragazzo, con il viso rotondo e pieno di lentiggini.
Quello gli sorride.
"Adesso ha senso", gli dice. "Sono contento che i lividi siano per una buona causa"
E Bakugou non può non sorridere. Se veramente era come diceva Kirishima, se veramente il soulmate è la persona che si incastra perfettamente, il suo non poteva non vederla come lui, non poteva non condividere il suo impegno. Ma qualcosa scatta in lui. Se può fare in modo che quel sorriso rimanga sul suo viso, se può fare in modo che lui soffra di meno, vale la pena prendersi un po' più cura di sè stesso, in fondo.
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Titolo: tie the knot
Fandom: Haikyuu
Prompt/missione: M4 - you wanted to make me believe in love
Parole: 1440
Rating: safe

Kageyama, steso a pancia in su sul letto, palleggia pigramente sopra la sua testa. Tiene le mani occupate, mentre la sua testa è altrove. Lo sguardo gli cade sul filo grigio annodato al suo mignolo.
Sua madre gli aveva spiegato anni prima cosa fosse, quando Kageyama non riusciva a capire come mai nessun altro potesse vederlo.
- Anche io posso vedere il mio -, aveva detto con voce rassicurante e un sorriso dolce. – Non tutti possono. Ti indicherà la persona più importante della tua vita -.
- Quindi il tuo ti ha portato a papà? -, le aveva chiesto ingenuamente Kageyama, con gli occhi grandi e pieni di meraviglia. Sarebbero passati ancora un paio d’anni prima del divorzio, prima che suo padre prendesse le sue cose e sparisse nel nulla, ma i segnali erano già nell’espressione tirata che sua madre gli aveva rivolto in quell’occasione.
- Non è sempre la persona di cui ci innamoriamo -, gli aveva spiegato prendendolo in braccio e facendolo sedere sulle sue ginocchia. – Quel filo ci conduce alla persona che ha il potere di cambiare la nostra vita, ma non possiamo sapere in che modo succederà perché non possiamo vedere il colore del filo -.
- Il colore? –
- Mh-mh -, aveva annuito sua madre. – Alcune persone sono in grado di vedere anche il colore di questi fili. Ce ne sono tre. Bianco per gli amici, nero per i rivali e rosso per la persona amata -.
Kageyama non aveva capito per molto tempo come potesse esserci qualcuno di tanto importante da meritarsi di essere legata a lui in quel modo – il pensiero lo aveva irritato a lungo. Non voleva che uno stupido filo gli dicesse chi dovesse far entrare nella sua vita o meno.
Quando era arrivato alle medie aveva visto Oikawa giocare. Aveva sentito il suo cuore accelerare, gli occhi spalancarsi. Aveva deciso che sarebbe diventato alzatore e aveva pensato che il filo non poteva non portare a lui – quale rivoluzione poteva esserci di più grandi di quella, nella sua mente interamente occupata dalla pallavolo?
Aveva provato ad avvicinarlo in continuazione, gli girava intorno sperando di vedere il suo filo collegato al mignolo di Oikawa. Dopo che lo aveva quasi colpito si era rassegnato al fatto che il filo potesse essere nero, non che non lo avrebbe portato a lui. Doveva esserci un errore. Ma Oikawa finì le scuole medie, andò al liceo e Kageyama fu costretto a lasciar perdere la questione.
La vita di Kageyama era proseguita come al solito per due anni, quel filo a malapena sfiorava i suoi pensieri. Ogni tanto entrava nel suo campo visivo, ma aveva imparato ad ignorarlo. Dopotutto doveva essere sbagliato: se non lo aveva collegato a Oikawa cosa poteva fare per lui? Era solo una stupidaggine.
Poi all’improvviso eccolo lì. Nel bagno di un palazzetto, una figura mingherlina e tremante, con grandi occhi castani e caotici capelli arancioni. Kageyama sentì un brivido di eccitazione percorrerlo.
Aveva pensato che dovesse essere forte e erima di scendere in campo fremeva d’eccitazione all’idea di trovarsi davanti al suo rivale designato, non gli succedeva da molto tempo.
Si era dovuto ricredere poco dopo. Quel ragazzino era completamente incapace. Come poteva essere la persona più importante della sua vita qualcuno di così mediocre? Oltre alla tenacia e la fame di vittoria che lo avevano affascinato, non aveva nulla.
Kageyama pensò nuovamente che quel filo fosse sbagliato, che gli si fosse legato addosso il filo di qualcun altro. Provò anche a fare qualche ricerca per vedere se cose del genere potessero succedere, ma trovò solo leggende popolari e racconti di gente estasiata di aver trovato il proprio compagno.
Se davvero quei fili non sbagliavano, l’unica spiegazione era che quel ragazzino sarebbe diventato forte e l’anno successivo se lo sarebbe ritrovato come rivale.
Nuovamente si dimenticò del filo. C’era un torneo da vincere, la scuola da continuare.
Era arrivato poi il rifiuto dei suoi compagni.
Per la prima volta Kageyama aveva provato un moto di tristezza al pensiero di chi fosse legato a lui. Si chiese se l’altra persona sarebbe stata delusa – lui sarebbe stato deluso, forse, di trovarsi qualcuno come lui davanti. Per la prima volta volle tagliare quel filo, non per il suo bene, ma per quello dell’altra persona.
Mai avrebbe pensato che l’anno successivo si sarebbe ritrovato quel ragazzino come compagno di squadra, né che insieme avrebbero conquistato il palco nazionale. Non avrebbe mai pensato di trovare un complice, un alleato che continuava a urlare a squarciagola anche dopo che avevano cambiato i segnali solo per fargli sapere che era lì, pronto, che avrebbe schiacciato qualunque pallone Kageyama avrebbe alzato. Che non gli avrebbe mai permesso di voltarsi e non trovare nessuno alle sue spalle. Che lo spingeva a dare di più, a fare meglio – perché Kageyama non avrebbe perso contro di lui, ma per continuare a vincere non poteva battere la fiacca. Perché Hinata cresceva, cresceva a vista d’occhio, e Kageyama sentiva l’orgoglio scaldargli il petto. Era un amico e un rivale nella stessa persona e Kageyama non credeva potesse chiedere di meglio.
Ma poi quell’orgoglio che gli scaldava il petto era cominciato a diventare altro, quel calore nel petto era cominciato ad apparire anche lontano dal campo, quando Hinata non faceva nulla di particolare, solo si voltava e sorrideva a Kageyama.
- Tobio? -, la voce di sua madre interrompe i suoi pensieri. Aveva affacciato solo la testa alla porta della sua camera d’albergo. – Almeno oggi potresti mettere via quel pallone -, lo rimprovera dolcemente entrando nella stanza. Si avvicina a lui e gli passa una mano tra i capelli.
- Nervoso? – gli chiede.
Kageyama annuisce. E’ la prima volta che sente il panico crescere in lui da quando hanno cominciato ad organizzare tutto. Mai come il quel momento vorrebbe vedere il colore di quel filo per sapere se sta facendo la scelta giusta.
Tobio si tira su sul letto, nasconde il viso dietro la frangia troppo lunga. – Tu è papà… - comincia.
- Non abbiamo mai avuto quello che avete tu e Shoyo –
- Il filo? –
Sua madre scuote la testa. – Il filo ti ha portato a lui, ti ha detto che avrebbe avuto un ruolo nella tua vita. Sei stato tu a scegliere che ruolo dovesse avere. Vi sareste scelti anche senza quello. Voi due vi capite come nessun’altro –
Tobio annuisce e si alza dal letto, il viso deciso come prima delle grandi partite.
- Ti sei sgualcito tutto il vestito -, gli dice la madre sistemandogli le pieghe. Si prende un momento per guardarlo, gli prende il viso tra le mani. I suoi occhi trattengono a stento le lacrime.
Tobio vorrebbe fuggire al suo sguardo e annegarci dentro allo stesso tempo. I tempo in cui non riescono a parlarsi sono lontani alle loro spalle e anche quello deve essere imputato a Shoyo – quando la potenza di quello che provava aveva terrorizzato Tobio, lo aveva costretto ad aprirsi con sua madre, a ricucire quella frattura che si stava creando tra di loro. Da lì avevano cominciato a recuperare in rapporto che aveva rischiato di sgretolarsi tra i loro silenzi.
Sua madre apre la bocca, prova a dire qualcosa, ma dalla sua bocca non esce nulla. Tobio mette le mani sopra le sue più piccole e annuisce, guardandola negli occhi dall’altro verso il basso. Sua madre era sempre stata minuta, ma solo in quel momento si rende conto di quanto sia diventato più alto di lei, che da tempo ha smesso di guardarla dal basso verso l’alto. Tobio capisce quello che vuole dire, non c’è bisogno di dire nulla.
La madre annuisce in risposta, gli sorride.
In silenzio si chiudono alle spalle la porta della stanza e scendono le scale.
Raggiungono il giardino, addobbato per l’occasione. All’altare, ad attenderlo, c’è Shoyo – elegantissimo nel suo smoking, con un grosso sorriso sulle labbra – quello che dopo anni fa ancora fare le capriole allo stomaco di Kageyama – e gli occhi brillanti. Legato a lui da quel filo grigio, strettamente annodato ai loro mignoli.
Kageyama sente un piccolo sorriso farsi strada in lui, le guance arrossarsi davanti agli sguardi commossi dei loro amici. I dubbi sono ormai alle sue spalle, ma se Kageyama potesse vedere quel filo adesso vedrebbe tre colori, bianco, nero e rosso, strettamente intrecciati tra di loro.
E se potesse vederlo si ricorderebbe di quella ricerca fatta su internet tanti anni prima, in un momento di sconforto, in cui aveva letto che raramente, molto raramente, quei tre colori possono trovarsi nella stessa persona, nel segno delle anime gemelle.
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Titolo: different colors
Fandom: Yuri on Ice
Prompt: A volte le cose buone devono finire perché le cose migliori abbiano inizio. Ogni storia ha una fine, ma nella vita ogni fine è sempre un nuovo inizio.”
Parole: 2327
Rating: safe

Yuri lo sa ancora prima che Victor apra la bocca quello che gli deve dire. Lo ha letto nei suoi ritardi, nelle sue risposte evasive, nel nuovo bagliore nei suoi occhi.
Non può nemmeno fargliene una colpa. Avevano creduto di essere più forti del destino e questo è quello che si meritano per la loro arroganza.
Victor, seduto sul divano del loro appartamento, tiene lo sguardo basso, gioca nervosamente con le dita. Yuri, distante da lui, con la schiena contro il muro aspetta che l’altro dica ciò che deve dire.
- Yurio… io… Mi dispiace. L’ho trovato -, gli dice con la voce che trema.
Ha trovato il suo soulmate, la persona che porta su di sé lo stesso marchio che Victor porta sul costato. Quei quattro pallini colorati su cui innumerevoli volte Yuri ha fatto passare le labbra, incurante che quei colori non fossero uguali ai suoi, prendendosi gioco di quel destino che non lo aveva conosciuto abbastanza bene da sapere che si sarebbe opposto a lui con tutte le sue forze.
Victor singhiozza, tiene i gomiti sulle ginocchia e il viso nascosto tra le mani e Yuri non urla, non questa volta. Si avvicina a lui, gli passa una mano tra i capelli e posa un bacio sulla vertigine al centro della sua testa, là dove i capelli hanno cominciato a diradarsi. Lo supera e si dirige verso la loro camera da letto. Tira fuori una valigia da sotto il letto, la riempie delle sue cose e esce dall'appartamento senza voltarsi indietro.
I giorni successivi scorrono annebbiati. Yuri sa di non stare bene, ma non sta neanche male. Tutto sembra scorrergli addosso senza toccarlo veramente, come se una bolla si fosse creata tra sé e il mondo. Tutto gli arriva ovattato. Continua ad andare ai suoi allenamenti, continua a prendersi cura del suo corpo, a mangiare quello che prevede la sua dieta e a dormire otto ore a notte, e a parlare con suo nonno da cui è tornato a stare per qualche giorno, ma le azioni non lo toccano davvero.
Ogni volta che si aggira per le strade di San Pietroburgo ogni cosa si gli ricorda loro.
Quando gli offrono il posto da Primo Ballerino per il Teatro dell’Opera di Astana, in Kazakhistan non riesce a crederci. Fino a qualche tempo prima avrebbe detto che se non fosse rimasto in Russia non ne sarebbe valsa la pena, ma non può più stare lì, lo sa.
Non può ballare se non sente il suo corpo, non può ballare se tutto sembra così distante.
Per la seconda volta nell’ultimo mese Yuri prepara le valigie. Si volta indietro a guardare suo nonno al terminal prima di partire e lasciarsi la Russia alle spalle.
L'impatto con Astana è particolare. La città è molto diversa da San Pietroburgo e Yuri sa che è esattamente quello di cui ha bisogno in quel momento. Si sente un turista anche ben dopo che ha sistemato le sue cose nel suo nuovo appartamento, non molto distante dalla sala dove si terranno le prove. I suoi colleghi non sembrano male. Non che abbia mai avuto molto a che fare con i colleghi in Russia, sempre troppo concentrato su sè stesso e sulla propria scalata alla vetta, esattamente come tutti gli altri: l'atmosfera era tenuta competitiva al massimo, ma qui l'approccio sembra più alla collaborazione, al mettere su un bello spettacolo. Non che non ci siano rivalità, solo sembrano viverle in maniera più tranquilla.
Yuri scopre di star cominciando a rilassarsi, scopre che non è male avere qualcuno con cui fare due chiacchiere prima e dopo le prove. Tende a tenersi sulle sue, ma è piacevole non essere guardato costantemente come il nemico da battere. Qualcuno gli chiede anche di uscire, ma Yuri rifiuta sempre.
Il giorno delle prove generali arriva in un batter d'occhio e dopo un tempo infinito al tempo stesso. Il teatro è magnifico: Yuri lo guarda con gli occhi spalancati e le lacrime che spingono per uscire. Se l'esterno sembra un tempio greco, l'interno ricorda i grandi teatri europei, con stoffe ricche di un rosso cremisi e intarsi d'oro e con i suoi soffitti affrescati.
Calcherà quel palco nella sua prima volta da primo ballerino.
Mentre indossa la giacca rossa del principe Principe Désiré gli tremano leggermente le gambe, ma non può farlo vedere. L'orchestra si accomoda al proprio posto e possono cominciare le prove.
Yuri sa di essere sempre di un tempo in ritardo. Il passaggio dalla sala al palco non gli aveva mai fatto quell'effetto. Il coreografo, all'uscita, gli poggia una mano sulla spalla ma non dice nulla. Sanno entrambi che sa.
Yuri si cambia ed esce da lì. Mentre percorre i corridoi si scioglie i capelli dalle centinaia di forcine e lascia che le lunghe ciocche bionde tornino a coprirgli il viso. Gli viene da piangere, ma cerca di trattenersi. Percorre ad ampie falcate i corridoi del teatro fino a raggiungere il bar. Si accomoda pesantemente su uno sgabello e ordina un calice di vino.
- Puoi davvero bere il giorno prima della prima? -, gli chiede qualcuno con voce fredda, accomodandosi nello sgabello accanto al suo.
- Non sono affari tuoi -, gli risponde scorbutico.
Lo sconosciuto non sembra prendersela per il tono. - Probabilmente no -, dice solamente.
Fa un cenno al barista che porta anche a lui lo stesso calice di vino.
Yuri alza leggermente la testa e spia lo sconosciuto da dietro i capelli. Ha i tratti del volto decisi, occhi piccoli e scuri, un profilo regolare e la mascella squadrata. Porta i capelli neri quasi rasati ai lati e indossa lo smoking dei musicisti dell'orchestra a cui ha allentato il colletto.
- Puoi davvero bere il giorno prima della prima? -, lo stuzzica Yuri.
- Non sono affari tuoi -, gli risponde l'altro voltando leggermente la testa nella sua direzione. La sua voce non lascia passare nulla, ma il sorriso appena accennato rende evidente che lo sta prendendo in giro.
Yuri beve tutto d'un fiato il resto del vino nel suo calice, si alza e si allontana da lì. Lo sconosciuto non fa nulla per seguirlo.
La sera dopo, la prima va secondo i piani. Yuri riesce a fare un'esecuzione magistrale. Sente il proprio corpo muoversi esattamente come vuole. Il primo violino è limpido e cristallino, risuona nel suo petto, elegante e devastante come solo un violino può essere: diventa la sua guida nel corso del tutta l'opera. La sua mente lo isola dagli altri strumenti, sente solo quello. Penetra nelle sue ossa, rompe qualcosa fuori di lui e rinsalda qualcosa al suo interno.
Yuri ricorda come fosse all'inizio la danza, come fosse la sensazione di sentire come se nascesse dal suo movimento, in perfetta sinfonia. Dimentica la tecnica, dimentica il conto dei tempi. Si allinea con quel suono e lascia che la memoria corporea faccia il resto.
Non ricorda nulla, segue solo le sue sensazioni.
Quando l'opera arriva alla conclusione è il momento dei saluti. Yuri fa un passo avanti e si inchina, si prende gli applausi scroscianti. Sorride appena a sentirli.
Getta un'occhiata all'orchestra che, alla fine di tutto, si alza per prendere i suoi di applausi.
Cerca di vedere chi sia quel primo violino che l'ha scosso tanto e rimane ancora sconvolto nel vedere che è lo sconosciuto al bar del giorno prima.
Senza pensare a quello che sta facendo, Yuri si cambia, si scioglie i capelli e quasi corre fino al bar. Si siede di nuovo allo stesso sgabello, ordina lo stesso bicchiere di vino e aspetta.
Gli sembrano passare ore prima che lo sconosciuto si siede accanto a lui.
- Tu -. gli dice a denti stretti, quasi ringhiando.
- Io? -, gli risponde l'altro.
Yuri vorrebbe inveirgli contro. Non può arrivare e farlo sentire così con quel maledetto violino, non può arrivare e rompere tutto quello che ha costruito in quei mesi. Yuri è arrivato ad apprezzare la sua nuova vita, per quanto opaca, per quanto ovattata, ma sta bene adesso. Non sa come mettere tutto quello in parole senza sembrare un bambino capriccioso, ma vuole provarci. Rimane lì a denti stretti, cercando le parole.
- Mi chiamo Otabek -. gli dice improvvisamente l'altro, con il solito tono piatto.
Arriva anche il suo calice di vino, ne beve un sorso senza guardare in direzione di Yuri.
- Non mi interessa -, risponde Yuri.
- Lo so, ma volevo lo sapessi -.
Yuri digrigna i denti e non risponde.
- Mi è sempre piaciuta la danza -, dice improvvisamente Otabek. - Rimanevo incantato a guardare i ballerini. Mia madre mi portava spesso a teatro a vedere il balletto -.
- Ma non sei un ballerino -, interviene Yuri.
Non dovrebbe rispondere, non vuole continuare a parlare con quel tipo, ma qualcosa lo spinge a rispondere sempre, a non tagliare quel filo più sottile di un capello che li lega.
- Ci ho provato. Ho provato a prendere alcune lezioni di danza, ma non fa per me. Non ho la flessibilità, l'eleganza o le capacità fisiche per fare il ballerino. Ho dovuto trovare un'altro modo per rimanerci accanto -
- Che stai cercando di dirmi? -, ringhia Yuri.
- Che certe volte la chiusura di una strada non è una vera chiusura. Solo una deviazione. Ogni fine è un nuovo inizio -.
Su quelle parole Otabek si alza, lascia sul bancone abbastanza per pagare il vino di entrambi e si allontana.
Yuri rimane ancora un po' seduto lì in silenzio, sorseggia il suo vino, ma la mente è altrove.
La sera dopo, dopo la seconda replica, Yuri si ritrova di nuovo al bar. Le parole di Otabek hanno continuato a ronzargli per la testa per tutta la giornata.
Otabek lo raggiunge poco dopo.
- Che volevi dire? -, chiede Yuri.
- Uhm? -, risponde quello con la testa leggermente voltata nella sua direzione e il boccale di vino sospeso a mezz'aria.
- Ieri sera -
- Quello che ho detto -
- Ho l'aria di uno che ha le vie sbarrate? -, ringhia Yuri.
- Hai l'aria di uno che sta combattendo con tutte le forze per fortificare le barricate -
Yuri alza la testa di scatto con gli occhi spalancati. Non si è neanche preso la briga di sciogliersi i capelli quella sera, non ha neanche quella barriera che possa coprire quanto quelle parole lo colpiscano dritto allo stomaco.
- E tu che ne sai? -, prova ad attaccare in un estremo tentativo di difesa.
- Perchè ci assomigliamo. Hai gli occhi di chi ha lottato e si chiede se valga la pena farlo ancora -
Yuri distoglie lo sguardo, cerca di nascondersi dietro il suo boccale di vino. Lo finisce e va via, lascia a Otabek l'occorrenza di pagare il conto.
- Allora? Qual è la tua storia? -, gli chiede Otabek la quarta sera.
Yuri non risponde, sorseggia in silenzio. E' stata una giornata pessima e non è minimamente soddisfatto della sua esibizione serale. Meno che mai quella sera ha voglia di rispondere a una domande del genere.
Otabek rimane in silenzio accanto a lui. Bevono insieme e non parlano, ma il silenzio è confortevole.
Si alzano allo stesso momento per andar via. Quella sera paga Yuri.
Per due settimane vanno avanti così. Ogni sera, dopo la replica, si siedono agli stessi sgabelli, uno accanto all'altro e bevono un bicchiere di vino. La maggior parte delle volte arriva prima Yuri, alcune volte trova Otabek già seduto, con l'espressione seria, ma non si guarda intorno in attesa. E' sicuro che Yuri verrà. Parlano poco, certe sere non parlano affatto, ma ogni sera entrambi sono lì.
- Stavo con una persona -, esordisce una sera Yuri. Al suo arrivo ha trovato Otabek già lì, si è seduto accanto a lui e per un po' nessuno dei due ha detto nulla. - Stavamo insieme da sempre, da quando avevo 16 anni e lui 20. La sera del mio diciottesimo compleanno... -, sorride amaro al ricordo. - Finalmente sarebbe spuntato il mio marchio e sarebbe stato identico al suo e avremmo avuto entrambi la conferma di quello che sapevamo già -.
Otabek ascolta in silenzio.
- Ma il mio marchio spuntò ed era diverso dal suo. Doveva esserci un errore, per forza doveva esserci. Abbiamo deciso di rimanere insieme comunque. Quel marchio diverso era diventato il nostro simbolo: eravamo più forti del destino -.
Yuri sente la gola seccarsi e il naso pizzicare per le lacrime che stanno cominciando a spingere per scendere.
- Fino a che lui non ha incontrato il suo soulmate. All'inizio non ha detto nulla, ha provato a resistere, ma potevo vedere quanto fosse combattuto, fino a che non ha più resistito -.
Otabek annuisce. Non dice che gli dispiace, Yuri lo apprezza. Ordina un secondo bicchiere di vino per entrambi. Lo bevono in silenzio.
Arriva la sera dell'ultima replica. Si respira un'eccitazione particolare nei corridoi del teatro, un misto di eccitazione, gioia e nostalgia. Ci si chiede dove siano finite quelle due settimane che sono sembrate infinite. Avranno un paio di giorni di pausa e poi partiranno per Sydney, per un altro teatro.
Dopo lo spettacolo Yuri non si cambia neanche, non si scioglie i capelli. Quasi corre fino al bar. Otabek è già lì. Si è tolto la giacca, l'ha piegata ordinatamente e poggiata su uno sgabello libero lì accanto, si è tirato su le maniche della camicia.
Yuri si siede accanto a lui, il suo calice di vino è già lì, pronto per lui.
Comincia a sorseggiarlo in silenzio,
- Avranno un bar all'Opera House? -, chiede Otabek senza guardare nella sua direzione.
Yuri sorride. Volta leggermente la testa ed è allora che li vede. Quattro pallini colorati sull'avambraccio destro di Otabek, quello con cui tiene il bicchiere. Celeste, rosso, nero, bianco. Identici a quelli che Yuri vede sulla sua clavicola ogni volta che si guarda allo specchio.
Torna a guardare davanti a lui. - Sembra che l'Australia abbia ottimi vini -, risponde.

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