guys my age

Apr. 5th, 2023 07:45 pm
chasing_medea: (Default)
 

Titolo: guys my age

Fandom: Jujutsu Kaisen

Parole: 6376

Rating: nsfw


Di ritorno dal colloquio, Megumi si fermò davanti alla vetrina della pasticceria sotto casa. Le torte esposte erano piccoli capolavori, soprattutto quella alle fragole, la sua preferita, con la glassa a specchio rosso vivo, le tre fragoline tagliate a metà e i riccioli di cioccolato a decorazione. L’odore dello zucchero che si espandeva per tutta la via gli faceva venire l’acquolina in bocca. Le mani gli fremevano per la voglia di entrare e comprarsela, ma non se lo era mai potuto permettere, figurarsi adesso che era rimasto senza lavoro.

Quando avesse trovato un lavoro, si promise, quando avesse trovato un nuovo lavoro avrebbe festeggiato con quella torta.

L’appartamento era vuoto, Itadori non era ancora rientrato dalla sala giochi dove lavorava. Megumi si gettò sotto la doccia per lavare via la tensione della giornata, i colloqui gli facevano sempre quell’effetto.

Sentì bussare alla porta. “Ho portato la cena,” gli urlò Itadori. “Sbrigati prima che si freddi.”

Megumi lo raggiunse poco dopo, tamponando i capelli con un asciugamano. Non aveva voglia di asciugarli con il phon, e anche se l’avesse avuta non c’era modo di dare un senso ai suoi capelli.

Itadori stava svuotando la busta del take away sul tavolino da caffè dividendo i contenitori di plastica in due mucchietti ordinati.

“Thailandese,” disse quando lo vide comparire. “Ti ho preso il solito.”

Megumi aprì la bocca per protestare, ma prima che potesse dire qualcosa Itadori lo interruppe. “Offre Sukuna stasera.”

Gli ci era voluto quasi tutto il primo anno trascorso da compagni di dormitorio per capire che quel Sukuna di cui ogni tanto saltava fuori il nome era suo padre. Da quello che Megumi era riuscito a capire, il loro rapporto non era un granché, ma non aveva mai fatto domande. D’altronde, cosa poteva saperne lui che una famiglia non l’aveva mai avuta?

“Ti restituirò tutto,” disse sedendosi al suo posto sul divano.

Itadori gli fece segno di non preoccuparsi.

Aggiunse mentalmente il costo di quella cena al prezzo finale del regalo che avrebbe fatto a Itadori una volta che avesse trovato un lavoro. Erano tre settimane che si occupava lui di pagare la spesa. Da quando il vecchietto del ristorante di ramen in cui Megumi aveva lavorato nell’ultimo anno e mezzo gli aveva detto che chiudeva il ristorante per dedicarsi a fare il nonno a tempo pieno. Se non fosse stato per lui, avrebbe già dovuto lasciare l’appartamento, invece così, almeno per quel mese, era riuscito a pagare l’affitto. Gli restava poco tempo per trovare un altro lavoro.

“Come è andato il colloquio?” chiese Itadori aprendo il contenitore del suo riso. L’odore ananas fritto si sparse per tutto il soggiorno, facendo storcere il naso a Megumi.

“Paga orribile. E cercavano per il turno della mattina, impossibile con le lezioni.”

Perdere le lezioni avrebbe significato perdere la borsa di studio, ed era una cosa che Megumi non poteva permettersi assolutamente.

Itadori annuì comprensivo, continuando a mangiare. “Troverai altro,” disse.

“O posso mettermi a fare il cam-boy.”

Megumi si aspettava che Itadori scoppiasse a ridere, ma quello si limitò a un verso contemplativo.

“Perché no,” disse imperturbabile.

Megumi non sapeva neanche se lo avesse detto seriamente o meno. L’idea lo aveva accarezzato un paio di volte in passato, ma non l’aveva mai preso davvero in considerazione, non abbastanza da andarsi a informare su come funzionasse, almeno.

Itadori riprese a parlare, “Hai un tipo di bellezza che potrebbe piacere sia agli uomini che alle donne.”

Un chicco di riso gli andò di traverso. Era la prima volta che qualcuno diceva una cosa del genere. Forse quello poteva essere il momento giusto per un’altra piccola confessione…

“Non mi interessa piacere alle donne,” Megumi mormorò a voce così bassa che non era sicuro che Itadori l’avesse sentito. Era il peggior coming out che avesse mai fatto, ma era anche l’unico.

Ma Itadori l’aveva sentito e si limitò a scrollare le spalle, “Punta sugli uomini, allora.”

La tranquillità con cui stava prendendo quella conversazione spinse Megumi a considerare l’idea con più serietà di quanto avesse mai fatto.

Se la cosa avesse ingranato ci sarebbero stati numerosi pro. Avrebbe potuto lavorare da casa, e agli orari che preferiva, e non avrebbe più dovuto passare la notte in bianco per rimanere in pari con i corsi.

“Se sei preoccupato per la tua identità puoi usare una maschera,” continuò Itadori. “E— non hai tatuaggi strani, vero?”

Megumi scoppiò a ridere per l’espressione corrucciata sul suo viso. “Nessun tatuaggio strano,” confermò Megumi.

“Bene,” annuì Itadori.

Megumi accantonò il pensiero per tutto il fine settimana e prima che fosse pronto era di nuovo lunedì e tornò al turbinio delle sue giornate — lezioni, pranzo, giri per la città alla ricerca di un lavoro.

Uscì dall’ultima lezione della giornata con la testa già infilata nel telefono. Aveva compilato l’ennesima lista di posti in cui andare a proporsi e stava studiando sulla mappa il percorso migliore per coprirne il più possibile in un solo pomeriggio.

Qualcuno nel corridoio gli venne addosso, il telefono gli sfuggì di mano e cadde a terra con un tonfo sordo. Di scatto, Megumi si chinò a raccoglierlo. Il vetro dello schermo era una ragnatela, e il telefono si era spento.

Megumi alzò lo sguardo e riconobbe subito il ragazzo che l’aveva urtato. Era stato con lui qualche sera prima, a una festa. Aveva le spalle larghe e i capelli chiari, esattamente il suo tipo. Peccato solo si fosse dimostrato estremamente noioso a letto, e quando gli aveva proposto di restare per un secondo round, Megumi gli aveva detto di no e se ne era tornato a casa. Adesso, lo stava guardando dall’alto in basso con aria di superiorità.

Perfetto, pensò Megumi, un altro di quelli con l’ego più grande di lui che non era in grado di accettare un rifiuto. Era ancora più contento di non avergli dato quella seconda possibilità.

Provò a riaccendere il cellulare, ma quello non voleva saperne, restava insensibile a ogni stimolo.

“No, no, no, anche tu no!” disse al suo telefono, come se quello potesse sentirlo, avere pietà di lui e riaccendersi.

Ancora in piedi davanti a lui, il ragazzo sembrò rendersi conto di quello che era successo. Sbiancò. “Io non— volevo solo—”

Megumi si alzò e, senza degnarlo di uno sguardo, lo lasciò lì, in mezzo al corridoio, con delle scuse mezze formate ancora sulle labbra. Non aveva tempo di mettersi a discutere con lui.

Era veramente l’ultima goccia. Megumi era stanco di doversi sbattere in quel modo. Quella storia doveva finire. Avrebbe preso in mano la situazione.

Aveva poco di suo, ma non aveva paura di usarlo.

Arrivato a casa, Megumi si sedette alla scrivania con il suo laptop. Le ricerche lo tennero occupato per l’intero pomeriggio e quando sentì la porta di casa aprirsi pensò che Itadori avesse finito prima il suo turno, poi si rese conto che la stanza si era fatta buia. Era comprensibile che avesse fame.

Uscì dalla sua stanza e trovò Itadori buttato sul divano che giocava con il cellulare. Alzò lo sguardo su di lui.

“Oh, sei a casa. Ti stavo aspettando per cena.”

“Preparo il ramen,” rispose Megumi, dirigendosi verso la cucina. Itadori lo seguì poco dopo e si sedette al tavolo alle sue spalle mentre aspettavano che l’acqua bollisse.

“Ho fatto un po’ di ricerche oggi,” cominciò Megumi. “Sulla cosa del cam-boy.”

Itadori fece un verso per dirgli che stava ascoltando.

“C’è un sito che non sembra male.”

“Hai già creato il profilo?”

“Non ancora.”

Itadori si alzò e prese una bevanda gassata dal frigorifero. Megumi scosse la testa.

“Bevi troppe di quelle schifesse.”

Itadori scrollò le spalle, ma per il resto ignorò il suo commento.

L’acqua bolliva, e Megumi ne versò un po’ nei contenitori del ramen e li appoggiò sul tavolo, classico di fronte a lui e extra condimento di fronte a Itadori. Si sedette al solito posto mentre aspettavano che il ramen fosse pronto.

“La stai prendendo con molta calma.”

“Cosa?” chiese Itadori alzando il coperchio del ramen per vedre a che punto fosse e Megumi gli diede un colpetto sulla mano per farlo smettere.

“Questa storia del cam-boy.”

Itadori si appoggiò allo schienale della sedia. “è un lavoro,” disse. “Ci avevo pensato anche io a farlo per un po’, per non prendere più soldi da Sukuna, ma penso che non renderei bene.”

Megumi cercò di trattenere la sorpresa. Non tanto per il fatto che ci avesse pensato, quando per il fatto che non si fosse sentito abbastanza attraente da andare fino in fondo. Itadori era una delle persone più sicure di sé che avesse mai conosciuto, aveva un fisico invidiabile, e Megumi era convinto che il suo carisma sarebbe passato anche attraverso la telecamera e gli avrebbe fatto guadagnare un buon numero di fan.

“Sono abbastanza sicuro che avresti trovato il tuo pubblico.”

Itadori rise, “Non fa per me. E poi ho scoperto che è divertente spendere i soldi di Sukuna.”

Rimasero per un momento in silenzio, poi Megumi parlò di nuovo.

“E se non funzionasse?”

“Chiudi tutto e torni a cercare lavoro come hai fatto fino adesso,” disse Itadori con serenità. “Fare un tentativo non fa male a nessuno.”

Fare un tentativo… Non l’aveva mai vista in quel modo. Megumi sentì un peso sollevarsi dalle sue spalle. Fare un tentativo non avrebbe fatto male a nessuno.

Megumi sedeva sul letto a gambe incrociate, il laptop aperto davanti a lui.

Aveva finito di compilare il modulo di registrazione e stava controllando per l’ennesima volta i dati inseriti e i termini dell’iscrizione.

Itadori si era rifiutato di aiutarlo a impostare il profilo, non gli importava che Megumi si mettesse fare il cam-boy, ma non voleva sapere di più di quanto non sapesse già. Megumi non poteva dargli torto.

Come foto del profilo, ne aveva scelta una che aveva scattato allo specchio per caso qualche tempo prima, dopo un colloquio, in cui aveva i primi due bottoni della camicia bianca sbottonati. Il suo viso era parzialmente coperto dal telefono, ma il suo fisico longilineo si vedeva bene. Sembrava anche più alto di quanto non fosse in realtà.

Scelse Blessing come nome — banale e pretenzioso al tempo stesso, ma se voleva far funzionare la cosa doveva sparare in alto. E apparire più sicuro di quanto non si sentisse. O almeno, questo era stato uno dei consigli che aveva estratto da Itadori e dalla sua esperienza con i social network.

Il sito dava anche l’opportunità di compilare una lista di desideri dei regali che avrebbe voluto ricevere, Megumi la compilò senza troppa convinzione.

Dopo l’ultimo controllo, diede la conferma. Il suo profilo era ufficialmente online. Tempo qualche minuto, gli arrivò un’email del sito nella quale gli scrivevano che il vibratore che vibrava con le mance che aveva ordinato sarebbe arrivato a casa sua nel giro di ventiquattr’ore, una volta avuto quello avrebbe ufficialmente potuto fare la sua prima live. Aveva passato due giorni a osservare la concorrenza, e ormai aveva una vaga idea di quello che avrebbe dovuto fare, per il resto avrebbe improvvisato.

Per ora, gli restavano solo due cose da fare. Per prima cosa, comprare una maschera. Ne trovò una che copriva solo la parte superiore del volto, di pizzo nero e fu amore a prima vista. Era bellissima, e anche se non copriva interamente il viso avrebbe comunque fatto il suo lavoro. Sarebbe potuta diventare parte della sua immagine. Spese buona parte dei suoi risparmi per comprarla, sperò che ne valesse la pena.

Fatto quello, andò verso il suo armadio e passò in rassegna tutti i suoi vestiti, ne scelse alcuni che gli stavano particolarmente bene e si scattò alcune foto per cominciare a popolare il suo profilo. Si aspettava che si sarebbe sentito a disagio o in imbarazzo, ma la verità era che si sentiva come un adolescente che aspetta di essere da solo in camera per farsi le prime seghe, gli faceva circolare l’eccitazione nelle vene, attratto dall’illeceità di quella situazione.

Avere solo la webcam del computer per scattarsi le foto complicava un po’ le cose, ma per ora doveva farselo andar bene. Finì di scattare le foto e le caricò sul suo profilo.

Adesso era davvero tutto pronto. Non gli restava che aspettare.

Megumi passò la giornata successiva con lo stomaco annodato in attesa dei suoi pacchi. Nel suo petto si alternavano momenti di panico a momenti di esaltazione, era terrorizzato e allo stesso tempo eccitato per quello che stava per fare. E nonostante avesse visto moltissimi streaming in quei giorni, non riusciva proprio ad immaginarsi nei panni di quei ragazzi. Probabilmente non avrebbe avuto nessuno spettatore e nel giro di qualche giorno sarebbe tornato al punto di partenza, ma ormai che aveva messo in funzione la macchina non voleva fermarla.

I suoi pacchi arrivarono nel pomeriggio, insieme a un pacco per Itadori — probabilmente le cuffie antirumore che si era fatto comprare da Sukuna. La maschera era bellissima — valeva la pena provarci anche solo per avere una scusa per indossarla — e adorava come gli stesse addosso.

Quando si avvicinò l’orario deciso, Megumi si chiuse in camera e mise il segnale che lui e Itadori avevano concordato sulla porta della stanza. Mai come in quel momento fu convinto di voler mantenere a tutti i costi quell’appartamento e la privacy che le due camere separate permettevano.

Si mise davanti allo specchio e si tirò indietro i capelli. Indossò la stessa camicia bianca che aveva nella sua immagine del profilo e solo un paio di boxer neri che gli fasciavano il fondoschiena come una seconda pelle. E infine la maschera, legandola bene dietro la testa per evitare che Si sentiva bene, all’altezza di quello che stava per fare.

Si stese sul letto, mise il laptop in posizione e avviò lo streaming. Aveva letto su alcuni forum che aveva consultato che l’inizio poteva essere un po’ lento, e di trovarsi qualcosa da fare, quindi decise di approfittarne per portarsi un po’ avanti con lo studio. Fece attenzione che le sue gambe comparissero nell’inquadratura e che si vedesse quello che stava facendo, magari giocarsi la carta dello studente poteva funzionare.

Si costrinse a tenere gli occhi fissi sul libro, senza guardare in maniera ossessiva quante persone si fossero connesse, ma non riusciva davvero a studiare e si ritrovò a rileggere la stessa frase abbastanza volte da perdere il conto, quindi si limitò a fare finta ancora per un po’.

La chat trillò per i primi messaggi. Megumi aspettò un momento prima di guardare, giusto per fare scena. I primi spettatori erano arrivati. Era il momento di entrare per davvero in scena.

Si tirò su dalla sua posizione e si mise davanti allo schermo, piantando i piedi sul materasso e mostrando le gambe lunghe e le cosce toniche. Anni di corsa gli tornavano utili in quel momento. Aprì appena la bocca e cominciò ad accarezzarsi l’interno coscia, era stato sempre un punto estremamente sensibile per lui, ma a cui nessuno dedicava mai attenzione. E forse quella era la chiave per fare delle live efficaci. Dedicarsi a sé stesso, fare quello che gli piaceva e nessuno sapeva darsi piacere come lui.

Sollevò la testa con fare altezzoso e sorrise arrogante alla telecamera. Gli piaceva l’idea che qualcuno lo stesse guardando, l’idea di tenere qualcuno sulle spine dall’altro lato della webcam. Lo faceva sentire potente in un modo in cui non si era mai sentito prima.

Altre persone si unirono alla live, e i messaggi continuavano ad arrivare sullo schermo. Megumi li leggeva con la coda dell’occhio, ma continuò a muoversi come se non fossero lì. Voleva che aspettassero, ancora per un po’.

La sua erezione cominciò a indurirsi sotto i suoi boxer. Si sollevò la maglietta per mostrare l’addome piatto, la muscolatura allungata e appena visibile. I messaggi si facevano sempre più incalzanti, via la maglietta, via i boxer, mostra quello che hai sotto le mutande.

E Megumi sorrise alla telecamera. “Buonasera,” mormorò. “Cominciate a essere attivi. Mi piace.” Si allungò a prendere il vibratore collegato alle mance che il sito gli aveva mandato e lo mostrò alla telecamera. “Sapete cos’è questo,” disse con lo sguardo fisso nella telecamera. “E sapete come funziona,” aggiunse con un sorriso. “Che ne dite?” A giudicare dai commenti, sapevano cos’era e l’idea che lo usasse piaceva abbastanza.

Megumi tornò alla posizione iniziale, con l’anticipazione che gli dava la pelle d’oca. Sapeva di avere la loro attenzione addosso, lo poteva percepire in ogni fibra del suo essere. Si stava divertendo e si sentiva la testa leggera. Tutti i progetti che aveva fatto, le mosse che si era preparato, sfuggirono dalla sua testa, inebriata da quella situazione.

Si accarezzò l’erezione ormai completamente formata. Lo sguardo gli cadde sul commento di un utente, The King: Levali.

“Volete che me li tolga?” chiese, guardando diretto in camera, come se potesse guardare negli occhi ogni utente che l’aveva scritto. “Fatemelo fare.”

Megumi sentì il suono dell’arrivo di una mancia, poi un’altra. “Molto bene.” Si stese indietro sul letto e sollevò le gambe. Sfilò i boxer facendoli scivolare su, lungo la linea delle cosce e li lanciò via.

Ancora il suono delle mance. A quanto pareva le sue gambe avevano attirato l’attenzione.

Molto bene, scrisse The King.

Nuovi commenti gli suggerivano di aprire le gambe, e Megumi lo fece, lasciando che la camicia coprisse ancora parzialmente la sua erezione.

Nuove mance arrivarono quando cominciò ad accarezzarsi. Sollevò la camicia e la strinse tra i denti, scoprendosi del tutto. Continuò a muovere la mano, e gli sfuggì un gemito soffocato dalla stoffa che teneva tra i denti. Con la mano libera, Megumi scese ad accarezzare la sua apertura ancora morbida. Quel pomeriggio si era fatto una doccia e si era preparato, era anche venuto per aumentare la sua resistenza quella sera.

Tra i messaggi che lo esortavano ad andare avanti e penetrarsi con le dita, spiccava quello di The King. Impaziente.

Megumi sorrise e fissò dritto nella telecamera, come se lo stesse sfidando, quando si penetrò con due dita. Il tintinnio delle mance continuava. Megumi cominciò a pompare con le dita, lasciandosi libero di gemere. Gli scappò un gemito più forte quando le dita toccarono la sua prostata.

Ma non poteva perdersi nel piacere, doveva andare avanti con lo spettacolo. Si allungò verso il vibratore e si penetrò con quello. Un nuovo flusso di mance lo fece vibrare. Era più potente di quanto avesse previsto, e si appoggiava deliziosamente contro la sua prostata, lo lasciava senza fiato. Megumi approfittata della pausa tra una scarica e l’altra per riprendere fiato. Si sporse verso la telecamera per mostrare come il vibratore sparisse nel suo corso e il modo in cui la sua erezione si contraesse a ogni nuova scarica. C’erano persone lì che lo guardavano, che stavano godendo guardandolo e il pensiero che qualcun altro, a distanza, stesse controllando il suo corpo e potesse controllare il suo orgasmo lo eccitava più di quanto avesse mai pensato potesse succedere.

Il piacere gli aveva avvolto l’intero corpo, era quasi al limite.

“Sto per venire,” mormorò alla telecamera. “Chi vuole l’onore?” chiese provocatorio. Nuove mance, ma nessuna di quelle era abbastanza, ognuna lo spingeva solo un po’ più vicino al limite, ma non erano abbastanza.

Poi ne arrivò ancora una, lunga e interminabile, esattamente al posto e al momento giusto, esattamente quando ne aveva bisogno. Megumi venne senza neanche bisogno di toccarsi, e il suo pubblico dovette apprezzare, perché ne arrivarono ancora, spingendolo nel territorio della sovrastimolazione.

Megumi si concesse un momento per riprendere fiato, poi si avvicinò alla telecamera con fare sinuoso e ringraziò tutti quelli che si erano collegati. Chiuse la trasmissione sentendosi più stanco di quanto avesse previsto, dopo aver raggiunto l’orgasmo migliore da un po’ di tempo a quella parte. Forse era più portato per quel lavoro di quanto credesse.

Collassò sul letto. Era sudato e appiccicoso, e avrebbe avuto bisogno di una doccia, ma non era sicuro che le gambe potessero reggere il suo peso in quel momento.

Sullo schermo del suo computer apparve la notifica di un messaggio nella chat del sito. The King gli aveva scritto in privato. Sei interessante, Blessing Benvenuto.

Gli streaming cominciarono a ingranare dopo quella prima sera. Aveva alcuni spettatori regolari di cui aveva memorizzato i nomi, altri andavano e venivano, ma a poco a poco sembrava star riuscendo a costruirsi un nome.

Alcuni avevano anche cominciato a mandargli dei regali. Il sito aveva un sistema che teneva protette le vere identità deli iscritti e tutti i regali venivano controllati prima di essere inoltrati. Per la maggior parte, aveva ricevuto lingerie. Megumi cercava di indossare quello che poteva durante gli stream, facendo attenzione a nominare esplicitamente chiunque gli avesse mandato il regalo, e con quello che non riusciva a far entrare negli streaming si scattava delle foto che caricava nel suo profilo.

The King era sparito dopo quel primo messaggio, ma Megumi lo vedeva quasi sempre online durante i suoi show, e lasciava spesso mance piuttosto generose.

Quella sera, Megumi decise di cominciare a saldare il suo debito nei confronti di Itadori. Non aveva streaming, aveva deciso di lasciarsi i venerdì sera liberi per passare la serata a guardare anime con Itadori. Era un’abitudine che avevano preso dopo essersi trovati come compagni di dormitorio, al primo anno, e che continuava adesso che avevano affittato insieme quell’appartamento. Ordinò la pizza per entrambi, e insieme si buttarono sul divano e misero su una nuova puntata di un anime che avevano cominciato a seguire insieme.

“Come stanno andando gli streaming?” gli chiese improvvisamente Itadori. Era la prima volta che glielo chiedeva esplicitamente.

“Bene,” ammise Megumi. “Non è un modo per arricchirsi, ma guadagno più o meno quanto guadagnavo prima lavorando di meno.”

“Ma ancora niente telefono.”

“Ancora niente telefono,” sospirò Megumi. Era vero, nonostante avesse ripreso a guadagnare, in quel momento, con il pagamento dell’affitto che si avvicinava sempre di più, non poteva permettersi di spendere per un nuovo telefono.

Itadori si mise in bocca un pezzo di pizza. “Hai provato a buttarla lì durante una live? Magari ti danno abbastanza da comprartene uno nuovo.”

Megumi era in conflitto. Da una parte si sentiva un approfittatore a chiedere soldi per un nuovo telefono, dall’altra un cellulare nuovo gli sarebbe davvero servito. Forse aveva ragione Itadori, e forse non c’era niente di male a dirlo. In fondo, stava offrendo i suoi servizi in cambio di soldi, come in un qualunque altro lavoro.

E, onestamente, da quando aveva iniziato, si sentiva molto più in controllo della sua vita. I suoi ritmi di studio erano diventati più umani, non doveva più passare le notti in bianco per studiare senza rimanere indietro. E recuperare ore di sonno lo faceva sentire meno in stato di zombie la mattina, riusciva a seguire meglio le sue lezioni. Non era il lavoro che avrebbe voluto fare per il resto della sua vita, ma per il momento poteva andare.

Adesso che aveva di nuovo i pomeriggi libri stava anche pensando di tornare a correre, finalmente.

“Buonasera,” Megumi cominciò il suo streaming. Adesso che aveva dei regular, i suoi streaming cominciavano con qualche chiacchiera generale. Rendeva il tempo di attesa prima che la situazione si scaldasse più gestibile, e a quanto pare la cosa veniva apprezzate, perché in chat riceveva domande. Megumi rispondeva, stando attento a non rivelare troppo.

“Volevo ringraziarvi per i regali che mi avete mandato. Sono tutti bellissimi, e mi dispiace che non li possiate vedere meglio. Purtroppo il mio telefono si è rotto un po’ di tempo fa, e scattare le foto con la webcam del computer è complicato.”

In chat, qualcuno gli chiese che cosa fosse successo al suo telefono.

Megumi dibatté un momento tra sé che cosa dire, ma alla fine decise di dire la verità. Raccontò di essere stato a letto con un ragazzo, e che quando si era rifiutato di dargli una seconda opportunità quello non l’aveva presa bene, l’aveva urtato nei corridoi dell’università e glielo aveva fatto cadere. Quella storia aveva il vantaggio di essere abbastanza generica da poter essere reale o inventata, e fu un ottimo ponte per passare alla fase successiva della sua live. Passò a parlare di quanto fosse stato noioso, delle sue fantasie e desideri.

Nel corso dello stream di quella sera, Megumi ebbe la sensazione che le mance fossero più consistenti del solito. Forse davvero si sarebbe potuto comprare un nuovo telefono e riaprire i suoi contatti con il mondo.

Il nuovo pacco dal sito arrivò un paio di giorni dopo. Era sempre un momento eccitante, quando riceveva un nuovo pacco, e una parte di lui non riusciva a credere che ci fossero persone che davvero volevano regalargli delle cose. Non aveva mai ricevuto regali, neanche ai compleanni. Il massimo che riusciva a ottenere, all’orfanotrofio, era la torta alle fragole e le candeline.

Megumi si sedette sul divano, approfittando di essere a casa da solo, e aprì il pacco con tutta calma. All’interno, trovò un paio di discutibili completini intimi — chi poteva pensare che avrebbe mai indossato della lingerie leopardata fucsia era un mistero; aveva ricevuto anche un paio dei vibratori che aveva messo nella lista dei desideri senza troppa fiducia. Ma c’era anche qualcos’altro. A ogni oggetto, era allegato un biglietto che ne indicava il mittente, qualcuno aveva anche scritto un paio di righe per accompagnare il regalo.

Allungò la mano dentro il pacco e ne tirò fuori una scatolina che inizialmente non riuscì ad identificare. Il biglietto indicava The King come mittente, e Megumi sgranò gli occhi quando vide che cosa fosse.

Un telefono nuovo.

Non era un grande esperto di nuove tecnologie, ma sembrava anche un modello piuttosto recente. Aprì la scatola con cautela. Il telefono all’interno era splendido, dallo schermo grande, un modello decisamente più moderno del suo.

Megumi andò in camera sua e aprì il sito suo computer. Aprì i messaggi privati e li scorse fino a trovare quel primo messaggio che aveva ricevuto e a cui non aveva neanche risposto.

Mi hai mandato un telefono, scrisse.

Forse avrebbe dovuto aggiungere qualcosa, mantenere il suo personaggio anche in quel messaggio, ma in quel momento si sentiva ancora troppo sbalordito che uno sconosciuto avesse pensato di mandargli un telefono nuovo.

Si aspettava di non ricevere risposta fino a sera, ma la risposta arrivò prima del previsto.

Hai detto che il tuo è rotto. Era tutta una scusa?

Megumi rispose subito. No, il mio telefono è davvero rotto. Solo non pensavo di riceverne uno.

Ti dispiace?

Non sono sicuro di poter accettare.

Allora fai una cosa per me.

Megumi guardò confuso il messaggio. Non ho intenzione di dare dati personali.

Bravo ragazzo.

Quella risposta lo confuse ancora di più. The King scrisse ancora. Ne ho scelto uno con una buona fotocamera. Scattati delle foto decenti, quelle che hai adesso sul tuo profilo sono tremende.

Finché è solo questo, lo farò.

Non ti farei mai del male, Blessing.

-

Megumi trascorse il pomeriggio a scattare e caricare le nuove foto per il suo profilo. Quella sera ricevette un nuovo messaggio da The King.

Arancione? Davvero?

Megumi scoppiò a ridere. Tra i completini che aveva ricevuto, ne aveva ricevuto anche uno di pizzo arancione. Gli stava veramente male, ma aveva promesso di fare foto con tutto quello che avrebbe ricevuto, e quindi aveva scattato e caricato anche una foto con quello, sperava che passasse inosservato tra le altre foto.

Non è il mio colore? Rispose Megumi.

Assolutamente no.

E con che colore starei bene?

Verde scuro.

“Con chi parli?” lo interruppe Itadori sedendosi accanto a lui sul divano.

Ne terrò conto, scrisse Megumi, e spense lo schermo del suo telefono.

“Con il tizio che mi ha mandato il telofono,” rispose mostrandolo a Itadori.

“Wow!” Itadori gli strappò il telefono di mano e cominciò a giocarci. “Questo modello è appena uscito,” e si lanciò nella spiegazione delle specifiche tecniche del modello che Megumi non stette ad ascoltare.

Megumi ricevette la camicia due giorni dopo. Una camicia verde scuro, di un tessuto liscio e setoso sulla pelle, niente a che vedere con le camicie che aveva indossato fino a quel momento. Il mittente era, ancora una volta, The King. E aveva avuto ragione. Quel colore gli donava molto, e Megumi adorava come gli stesse addosso. Aveva anche indovinato la taglia, assolutamente perfetta per lui. Gli fasciava il corpo come una seconda pelle.

Andò in camera sua, indossò la maschera e si mise davanti allo specchio a figura intera. Si scattò una foto in cui si vedesse bene la camicia e anche il fatto che stesse scattando la foto con il telefono che gli aveva mandato.

Avrebbe dovuto caricare la foto sul profilo, ma c’era qualcosa di stranamente intimo in quel regalo e Megumi si sentiva di non volerlo condividere pubblicamente, non ancora. Aprì la chat con The King e mandò la foto solamente a lui, senza aggiungere altro.

Staresti bene nel mio ufficio, gli rispose The King.

Non era esattamente quello che si aspettava. La maggior parte delle volte, quando qualcuno avviava una chat privata con lui, parlava di camera da letto. Era una piacevole variazione.

Ufficio?

The King rispose con una foto. Sembrava seduto su una sedia d’ufficio, con giacca, cravatta e camicia bianca. Sembrava abbastanza giovanile come look, e sembrava avere il petto largo. E quel look… era interessante. The King scrisse ancora.

Se me li portassi tu invece della mia segretaria i documenti mi sembrerebbero meno noiosi.

Megumi sorrise alla chat. Non male. Ne voleva di più. E mi lasceresti andar via?

Non è facile. Se andassi via potrei guardarti il culo, ma non mi dispiacerebbe tenerti sotto la mia scrivania, a mia disposizione.

Oh, la conversazione stava prendendo una piega interessante. Non era la prima volta che faceva un po’ di fan service nei messaggi privati, ma questa volta Megumi non riusciva a sentirsi distaccato. Le cose che quell’uomo diceva gli facevano stringere lo stomaco. Lo eccitava che fosse un uomo che lavorava in ufficio, vestito quell’uomo. Dava un’idea di potere, e Megumi forse doveva scendere a patti con il fatto che avesse un po’ un problema con il potere. Le eccitava, e lo eccitava far eccitare uomini così. Lo eccitava l’idea di sottomettersi a uomini così.

Sono piuttosto flessibile, entrerei facilmente sotto la scrivania, scrisse.

La risposta di The King si fece attendere un po’ di più. Sono in riunione, e sto detestando ogni secondo. Vorrei essere nel mio ufficio e poter leggere i tuoi messaggi da solo.

E i tuoi colleghi cosa pensano?

Che ho smesso di parlare perché sto ricevendo messaggi importanti.

L’aura di potere che quell’uomo emanava allora era giustificata.

Torna alla tua riunione, possiamo riprendere questa conversazione più tardi.

The King non rispose, ma Megumi non aveva tempo per pensarci. Doveva prepararsi per lo streaming.

Megumi tornò a casa dall’allenamento e si fece una doccia. Quella sera era di riposo. Da quando aveva di nuovo i pomeriggi liberi era tornato a correre e solo adesso che aveva ricominciato si era reso conto di quanto gli fosse mancata quella sensazione. Non sentire nient’altro che il vento e la pista sotto i piedi, la sensazione di correre lontano da tutto ciò che lo preoccupava, e a distanza i suoi problemi sembravano meno pesanti, più gestibili.

Era ancora lontano dai suoi tempi del liceo, ma non andava così male come temeva. Il suo corpo stava reagendo bene agli allenamenti, e il suo corpo si stava asciugando in fretta in quei punti in cui un anno di inattività l’aveva ammorbidito.

I suoi spettatori non avevano tardato a notare il cambiamento nel suo corpo. Avevano fatto domande, e Megumi aveva spiegato che era finalmente tornato a correre e aveva detto di quanto gli fosse mancato. La storia sembrava aver commosso i suoi spettatori, perché quella sera le mance erano state ottime.

Sul tavolino da caffè, trovò un pacchetto proveniente dal sito. Itadori era a lavoro e Megumi lo aprì sul divano.

Quella volta, dentro ci trovò un fit bit, perfettamente compatibile con il suo telefono. Ancora una volta da The King.

Megumi prese il telefono per mandargli una foto del suo polso con il fit bit. Lui ricambiò con una foto del suo braccio con lo stesso fitbit, scrivendogli che funzionava bene. Aveva un bel braccio, grosso e muscoloso. I frammenti che Megumi aveva di quell’uomo ormai componevano un’immagine sempre più allettante, e qualche volta quella figura senza volto era entrato nelle sue fantasie, ma non voleva ammetterlo.

Nella scatola c’era qualcos’altro. Megumi guardò un attimo il disegno sulla scatola, senza capire esattamente che cosa fosse. Sembrava un dildo anale attaccato a un pennello per il trucco. Aprì la scatola e studiò meglio il prodotto. Gli ci volle un po’, ma capì che quella cosa doveva essere una coda da coniglio di un rosa pastello. Era carina, molto carina, e decise di usarla nello streaming dell’indomani. Certo, si sarebbe dovuto ingegnare per usare il vibratore delle mance, o poteva non usarlo e fare qualcosa di diverso. Aveva un po’ di cose da fare.

Lo streaming era stato un successo. Tutti i suoi spettatori avevano adorato la coda da coniglio e le mance lo avevano dimostrato. Megumi era veramente soddisfatto.

Non male, gli scrisse The King dopo la live. Mi piacerebbe averti come animaletto a casa, ad aspettare il mio ritorno a casa.

Megumi sentì la ormai familiare stretta di eccitazione allo stomaco.

Vorresti che ti saltassi addosso quando ritorni a casa?

Vorrei metterti un collare per far sapere a tutti che sei mio, tenerti inginocchiato sotto la mia scrivania mentre lavoro e farti tutto ciò che desidero quando finisco.

Mi piace come suona.

Ah sì? Ti piace l’idea di avere un uomo più grande che ti comanda, che ti dice quello che devi fare?

Più di quanto credessi.

Ti metterei un collare, per far sapere a tutti che sei mio.

Mi piacerebbe.

La conversazione si stava scaldando, ma in quel momento The King mise un freno.

Buonanotte, Blessing, scrisse.

Megumi non sapeva se essere deluso o sollevato.

Megumi si stava preparando per andare a una festa a cui l’aveva invitato Itadori. Aveva indossato la camicia che gli aveva regalato The King perché adorava come gli stesse.

Itadori bussò alla sua porta. “Pronto?”

“Quasi”

“C’è un pacco per te,” glielo lasciò sul letto e uscì dalla stanza.

Stavolta il pacco era piccolo. Megumi lo aprì e dentro c’era solo una cosa. Era un bracciale, da The King. E, questa volta, aveva allegato un biglietto.

“Non sarà un collare, ma per ora può andare.”

Megumi lo indossò immediatamente.

C’era un ragno sul soffitto. Megumi lo guardava camminare avanti, poi indietro e poi di nuovo in avanti. 

La porta della camera si chiuse, e Megumi scattò in piedi e cominciò a raccogliere i propri vestiti sparsi in giro. Quella scopata è stata una perdita di tempo. Per tutto il tempo, mentre quel tizio si dimenava sopra di lui, la sua mente tornava a The King. Era sempre così con i ragazzi della sua età, e Megumi era stanco di annoiarsi in quel modo. E lo era ancora di più adesso, che con il suo nuovo lavoro aveva imparato a capire che cosa gli piacesse e che cosa meno.

Sgattaiolò via mentre il ragazzo era ancora sotto la doccia e tornò a casa ancora mezzo brillo.

Prese in mano il telefono e mandò un messaggio a The King.

Mi hai rovinato la serata.

Buonasera, Blessing. Vuoi dirmi che succede?

Megumi gli mandò una foto del proprio polso, dove il bracciale riposava accanto al Fitbit. Che cos’è questo?

Un regalo.

Megumi prese fiato prima di rispondere. Sono stato a letto con un ragazzo questa sera. Ho pensato a te tutto il tempo.

Fammi indovinare. Lui ci ha provato tutta la sera, è stato carino con te, molto carino, troppo. Tu volevi che ti prendesse, ti ordinasse cosa fare, ti comandasse a bacchetta.

Sì.

E adesso vorresti che lo facessi io? Dirti cosa fare?

Sì.

Allora sdraiati comodo.

I messaggi di The King continuarono ad arrivare, descrivevano esattamente che cosa avrebbe fatto a Megumi se fosse stato lì, sempre più nel dettaglio. E Megumi adorava ogni momento.

Venne con un gemito strozzato e scrisse un rapido Buonanotte.

Non c’era modo di tornare indietro dopo una cosa del genere, ma adesso non voleva pensarci.

Megumi uscì dal negozio soddisfatto del suo acquisto. Era da tempo che Itadori voleva quel videogioco, e lui si era ripromesso che gli avrebbe fatto un regalo degno di questo nome quando finalmente avesse trovato un lavoro. Non solo per i soldi che gli aveva prestato, ma anche per il supporto che gli aveva dimostrato.

La metà del mese era arrivata, e con quella il giorno in cui avrebbe dovuto pagare l’affitto. Megumi aveva fatto il proprio versamento, e era rimasto sconvolto quando si era reso conto che sul suo conto restavano effettivamente dei soldi a disposizione.

Di ritorno dalle lezioni passò davanti alla pasticceria del quartiere. Ci passava ogni mattina e guardava i dolci esposti in vetrina sentendo l’acquolina in bocca. Ogni giorno passando il profumo dello zucchero riempiva la via, gli faceva venire veramente voglia di entrare lì e comrparsi qualcosa, ma non se lo era mai potuto permettere. Quella pasticceria era nota per essere una delle più famose della città, e i dolci erano piuttosto cari, e Megumi non aveva mai avuto soldi extra da poter spendere in dolci.

Eccetto che quel giorno ce li aveva. L’illuminazione lo colpì all’improvviso.

Di istituto entrò e comprò una torta alla fragola, la sua preferita. L’ultima volta che l’aveva mangiata gliel'avevano fatta per i suoi quindici anni, all’ultimo compleanno in cui suo padre si era degnato di essere presente. Era stato lui a scegliere la torta, sapendo quale fosse la preferita di Megumi.

Quella sera la mangiò con Itadori, godendosi i frutti del proprio lavoro. 

Forse la vita universitaria non sarebbe poi stata così male. 





greed

Mar. 14th, 2023 09:27 pm
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Titolo: Greed

Fandom: Jujutsu Kaisen

Missione: M4 – Tutti dentro

Parole: 3189

Rating: nsfw



Megumi raggiunse il cinema con il fiatone. “Eccomi!”

Yuuji lo stava aspettando lì davanti, il suo viso si illuminò non appena lo vide. “Respira,” gli disse avvicinandosi con un sorriso. “Ho già preso i biglietti.” Salutò Megumi con un bacio sulle labbra e una veloce (annusata) al collo. 

Megumi si paralizzò per un momento, il suo cuore saltò un battito. Si era fatto la doccia prima di venire, ma era di fretta. E se non fosse stato abbastanza? Ma Yuuji non sembrò notare nulla di fuori dall’ordinario. 

“Grazie,” disse Megumi avviandosi. “Che cosa vediamo?”

Yuuji aprì la porta per lui. “C’è quel film di fantascienza di cui mi avevi parlato, ti va bene?”

Ne avevano parlato quasi due mesi prima, quando ancora non avevano cominciato a frequentarsi. L’omega di Megumi era soddisfatto che l’alpha si fosse ricordato.

Trovarono i loro posti, e come Megumi si sedette sentì dello sperma colare da dentro di lui. Il sangue gli si gelò nelle vene: la doccia non era stata sufficiente. L’odore di sesso doveva ancora essere tutto intorno a lui, era un miracolo che Yuuji non se ne fosse accorto. O forse era talmente abituato all’odore di suo fratello da non accorgersene?

Le luci si spensero e cominciarono i trailer. Subito il naso di Yuuji trovò il suo collo, ma presto si tirò indietro. 

“Stai indossando i cerotti,” disse curioso.

“Il mio calore si sta avvicinando,” spiegò, sperando che non facesse altre domande. Quella era un vaso di Pandora che per ora non voleva aprire. 

Yuuji annuì, “Ha senso.” Si avvicinò di nuovo, “Vorrei comunque sentire il tuo odore.”

“Lo vorrei anche io,” Megumi voltò la testa abbastanza da baciarlo. Gli piaceva il modo di baciare di Yuuji, gentile ma che non lasciava scampo, bruciante nella sua intensità. 

Megumi sospirò nel bacio, spingendo la lingua nella bocca di Yuuji, mentre sentiva il desiderio che cresceva dentro di lui. Con il suo calore che si avvicinava, ogni minimo contatto era sufficiente a mandarlo a fuoco, sentiva già l’intimo che si inumidiva e ringraziò mentalmente il sé stesso di qualche ora prima che aveva pensato di mettere i cerotti. Voleva sentire quelle labbra, quella bocca ovunque sulla sua pelle. 

Yuuji ridacchiò e interruppe il bacio. “Non è il posto adatto,” disse lanciandosi un’occhiata intorno con il volto arrossato. Gli prese la mano, intrecciò le loro dita e se le appoggiò sulla coscia. 

Megumi si appoggiò allo schienale e mise il broncio. Era bagnato ed eccitato, e le sue ghiandole gonfie prudevano sotto i cerotti. Il film non gli interessava più, voleva solo trascinare Yuuji nel bagno, mettersi in ginocchio e… No, non doveva pensarci. Già così era abbastanza difficile. 

Il film cominciò, e Megumi si guardò intorno. La sala era quasi vuota, nella loro fila erano da soli e le sue mani prudevano per la voglia di toccare Yuuji un po’ di più, di sentirlo sotto la pelle. Lentamente sciolse l’intreccio delle loro dita e mosse la mano più su lungo la coscia di Yuuji, fino a sfiorare il suo inguine. 

Il respiro di Yuuji si fece più pesante, ma non fermò la sua mano e Megumi la prese come un’autorizzazione a continuare. Con il mignolo, cominciò ad accarezzare l’erezione di Yuuji, che cominciò a ingrossarsi e indurirsi sotto il suo tocco. 

“Megumi,” Yuuji mormorò a denti stretti, ma ancora non lo fermava.

Megumi passò ad accarezzarlo con il palmo della mano, mentre Yuuji guardava freneticamente a destra e sinistra, ma Megumi aveva già calcolato i rischi. Le uniche altre persone nella sala erano nelle file davanti a loro, e se anche Yuuji si fosse fatto scappare qualche suono probabilmente sarebbe stato ingoiato dai rumori del film. 

Megumi aprì i bottoni dei jeans di Yuuji e ci infilò la mano dentro, Yuuji si morse le labbra per ingoiare un gemito e una nuova vampata avvolse il corpo di Megumi a sentirlo. 

La pelle di Yuuji era soffice e calda, e alla base c’era un accenno di rigonfiamento dove il nodo si sarebbe formato durante un calore, e Megumi aveva l’acquolina in bocca. Se non fossero stati in un cinema, sarebbe già stato sulle ginocchia, ma si sarebbe fatto bastare questo per il momento. 

Megumi cominciò a muovere la mano lentamente, come sapeva che Yuuji preferiva — sempre un fan del sesso lento, del fare Megumi a pezzi per poi rimetterlo insieme come se fosse fatto di creta. Megumi passò il pollice sulla sua fessura, e il respiro di Yuuji si fece ansimante, e lo nascose nel collo di Megumi, leccando e mordendo la pelle sottile del collo e Megumi dovette trattenere un gemito. Avrebbe sicuramente lasciato un segno, ma Megumi non riusciva a preoccuparsene al momento. Si sentiva la pelle bollente, le sue mutande erano ormai zuppe e gli sarebbe bastato sfiorarsi da sopra i pantaloni per venire anche lui. 

Continuò con lo stesso ritmo, sentendo il modo in cui il piacere cresceva in Yuuji nel modo in cui il suo corpo si tendeva, nel suo cercare il piacere e costringersi a restare fermo al suo posto allo stesso tempo. 

“Ci sono quasi,” mormorò Yuuji tra i sospiri.

Megumi lo baciò sulla guancia e accelerò appena il ritmo, sentì Yuuji tendersi e poi rovesciarsi nella sua mano e nelle sue stesse mutande. Yuuji rimase fermo per un momento, ansimante e con il volto nascosto nel collo di Megumi, poi scattò su. 

“Fazzoletti!” Urlò in un sussurro, e cercò nella tasca della sua giacca abbandonata sulla poltrona accanto.

“Ce li ho io,” disse Megumi passandogliene uno.

“Non ci vengo più al cinema con te,” disse Yuuji abbandonandosi, soddisfatto e rilassato, sulla poltrona.

Megumi sorrise, “Sì, lo farai.”

“Sì,” si finse scontento Yuuji. “Lo farò.”


“Non so perché, ma non ci ho capito granché del film,” Yuuji disse non appena uscirono dalla sala.

“Forse avresti dovuto stare più attento.”

“Sì, ma un certo punto c’erano troppe distrazioni.”

Megumi rise. Rimasero fermi davanti all’uscita per un momento. Megumi non voleva tornare a casa, gli piaceva passare il tempo con Yuuji, ma Yuuji doveva andare a lavoro e Megumi il giorno dopo aveva lezione alla prima ora. 

“Senti,” cominciò Yuuji. “Il prossimo fine settimana mio fratello è fuori città per lavoro. Ti andrebbe di venire a casa? Ci vediamo un film, e puoi restare a dormire.”

Megumi ci pensò un attimo. Sarebbe stato molto vicino al suo calore, ma tra la sua coinquilina e il fratello di Yuuji non avevano mai davvero modo di stare insieme con calma. “Mi piacerebbe molto.”


Megumi entrò nella doccia, sotto il getto d’acqua bollente. Era ingiusto che un hotel a ore avesse una doccia migliore di quella che lui si poteva permettere a casa. Si sentiva le gambe molli, il corpo totalmente rilassato. 

Sukuna lo raggiunse e lo strinse da dietro, gli appoggiò il naso sul collo.

“Hai un buon odore. Così dolce da perdere la testa.”

“Il mio calore si sta avvicinando,” spiegò Megumi. Non aveva intenzione di dare altre spiegazioni. Mancava circa una settimana all’arrivo del suo calore e lui ancora non aveva deciso a chi chiedere di trascorrerlo con lui, se a Yuuji o a Sukuna.

Sukuna cominciò a baciargli il collo, passando la lingua sulle sue ghiandole. “Dolcissimo. Mi fa venire voglia di morderti.”

Nonostante fosse esausto, Megumi sentì il suo corpo cominciare a reagire. E gli piaceva l’idea che a Sukuna piacesse il suo odore. Gli scappò un gemito, “Ancora?”

“Mh-mh,” Sukuna gli mordicchiò il lobo dell’orecchio. “Devo fare scorta. Questo fine settimana sono fuori città per lavoro e dobbiamo saltare l’appuntamento della domenica.”

“Lo so,” mugolò Megumi. 

“E come lo sai?” lo stuzzicò Sukuna, stringendogli le mani intorno alla vita. 

Megumi sbiancò. Non poteva certo dire a Sukuna che proprio pensava di passare la domenica chiuso in casa con suo fratello. 

“Devi avermelo detto prima,” rispose Megumi tenendosi sul vago.

“Può essere,” rispose Sukuna. La sua mano risalì sul petto di Megumi, gli prese un capezzolo tra la punta delle dita e cominciò a stuzzicarlo. La sua erezione premeva contro la schiena di Megumi.

“Non penso di poterlo fare di nuovo,” mugolò Megumi. Gli faceva male tutto. Gli ormoni impazziti prima del ciclo lo eccitavano più del solito, ma il suo corpo non era ancora in calore e ne pagava le conseguenze.

“Chiudi le gambe,” mormorò Sukuna.

Megumi obbedì. Sukuna si infilò nello spazio tra le sue cosce, e cominciò a spingere come se fosse dentro di lui. La frizione era deliziosa e sui punti giusti, Megumi allungò una mano e si aggrappò alla nuca di Sukuna, mentre i suoi gemiti rimbombavano contro le piastrelle bianche della doccia. 

Le spinte di Sukuna si fecero sempre più vigorose e Megumi venne tremando. Se Sukuna non fosse stato tutto intorno a lui sarebbe crollato sul pavimento, ma Sukuna lo tenne e continuò a spingersi contro di lui come se fosse una bambola senza volontà. Megumi mugolò per la sovrastimolazione, era delizioso e faceva male allo stesso tempo, e odiava ammettere che adorava essere usato in quel modo. 

Sukuna venne tra le sue gambe, poi con calma e delicatezza Sukuna aiutò Megumi a lavarsi, lo avvolse in un asciugamano e lo portò in braccio fino al letto. 

“Puoi riposare per un po’ se vuoi, io devo andare a lavoro.”

Megumi annuì, era soddisfatto, al caldo, pulito e si sentiva talmente appagato che aveva voglia di fare le fusa. Sukuna gli lasciò un bacio sulla fronte e andò verso la porta. Megumi si addormentò prima che la porta si chiudesse. 


Megumi suonò il campanello e aspetto. Si tolse il cappello e si passò una mano tra i capelli per cercare di calmare lo stomaco annodato.

Non era mai stato lì prima, nella casa in cui vivevano entrambi i suoi alpha. 

Gli alpha. Non sono miei.

Yuuji aprì la porta e lo fece entrare con un sorriso. L’appartamento non era grande — dopo un breve corridoio, un muretto divisorio separava la cucina dal salotto — ma l’odore… gli faceva girare la testa. Gli odori intrecciati di Yuuji e Sukuna permeavano ogni angolo della casa, circondavano Megumi come una coperta calda. Gli faceva venire voglia di fare le fusa.

L’odore si faceva più forte man mano che si addentrava nell’appartamento. La sua mente cominciò a proiettare immagini di come sarebbe stato trascorrere il suo calore con entrambi quegli odori intorno a lui, i corpi di entrambi gli alpha che lo circondavano. Si sforzò di rimettere i suoi pensieri in riga prima che il suo corpo potesse reagire – diamine, non vedeva l’ora che il suo calore fosse bello e finito, non ne poteva più di essere costantemente eccitato. Ma non aveva alcuna intenzione di trascorrerlo da solo, e ancora non aveva preso una decisione. Doveva farlo, e presto, ma non ci riusciva. Li voleva entrambi. 

Yuuji aveva preparato la cena, e dopo mangiato si andarono a sedere sul divano. Yuuji mise su un film e coprì entrambi con una coperta. Il corpo di Yuuji era così caldo accanto al suo che Megumi non aveva davvero bisogno della coperta, ma era bello essere seduti così vicini. Megumi si accoccolò meglio contro il suo petto, e Yuuji gli passò un braccio intorno alle spalle. Lo baciò.

Presto il bacio si scaldò. Megumi non voleva smettere, e stavolta non doveva farlo. Si spinse sopra a Yuuji e gli si mise a cavalcioni, cominciò a strusciarsi e sentì Yuuji crescere nei pantaloni. A Megumi scappò un gemito quando Yuuji gli morse il labbro. 

Megumi chiuse gli occhi e si aggrappò alle sue spalle, continuando a muoversi sopra di lui. Yuuji gli sfilò la maglietta e gli mise le mani sul sedere e se lo spinse ancora di più addosso, spingendosi verso l’alto per aumentare la frizione. Megumi era così bagnato che aveva paura di essersi macchiato i pantaloni.

Yuuji gli infilò le mani sotto la maglietta e lo afferrò per i fianchi. C’erano troppi vestiti per i gusti di Megumi, doveva toglierli e subito. Afferrò l’orlo della maglietta di Yuuji e gliel’avrebbe strappata di dosso se avesse potuto. Yuuji rise e accompagnò il movimento. 

Megumi seguì il movimento con lo sguardo, poi alzò lo sguardo verso la cucina e si bloccò. Il sangue gli si gelò nelle vene.

Sukuna era lì, appoggiato al muretto divisorio, e li stava guardando con attenzione. Megumi voleva muoversi, scendere da Yuuji, spiegare, dire qualcosa, qualunque cosa, ma non riusciva a muoversi, il cuore gli batteva all’impazzata nel petto.

“Non fermatevi per me,” li stuzzicò Sukuna.

“Che succede?” chiese Yuuji, poi si voltò e vide Sukuna. “Non sei più partito?” gli chiese. Le sue mani erano ancora sul sedere di Megumi. 

“Il mio cliente si è rotto una gamba, farà il discorso online da casa domani,” spiegò Sukuna.

Megumi era senza parole. Come potevano parlare come se nulla fosse? Il suo respiro si fece corto. 

“Penso che il nostro Blessing qui stia dando di matto,” disse Sukuna con un sorriso.

Nostro. Gli piaceva come suonava, non avrebbe dovuto, ma gli piaceva. 

La mano di Yuuji scattò sulla schiena di Megumi e cominciò a muoversi su e giù con fare rassicurante. “Va tutto bene,” disse.

“Sì, sweetheart,” Sukuna si avvicinò al divano e accarezzò la guancia di Megumi. “Pensavi davvero che non lo sapessimo? Avevi addosso l’odore di mio fratello quando ti ho conosciuto, e non ha mai smesso.”

Baciò Megumi, e Megumi si sciolse nel bacio mentre sentiva ancora le mani di Yuuji che gli circondavano il corpo. Era perfetto, era esattamente quello che voleva.

Sukuna si staccò da Megumi, poi si chinò su Yuuji e baciò anche lui. Yuuji staccò una mano dal fianco di Megumi e la portò alla nuca di Sukuna per tirarselo ancora di più addosso.

Dalla sua posizione, Megumi vedeva tutto. L’abbandono sul volto di Yuuji, la familiarità di chi lo aveva già fatto innumerevoli prima. Megumi avrebbe dovuto essere inorridito, ma era la singola cosa più sporca e eccitante che avesse mai visto in vita sua e il suo corpo reagì. Il calore lo invase da dentro. Non riusciva a ricordare di essere mai stato così bagnato in vita sua.

“Hai visto?” disse Sukuna sulle labbra di Yuuji. “Ti avevo detto che avrebbe apprezzato.”

“Non puoi biasimarmi se ero nervoso.”

Sukuna si tirò indietro. “Vi ho interrotto abbastanza,” si andò a sedere sulla poltrona libera. “Adesso non preoccupatevi di me e continuate pure quello che stavate facendo.”

Yuuji riportò la sua attenzione su Megumi, che ancora bloccato non riusciva a muoversi. E allo stesso tempo si sentiva come se stesse per esplodere. Il calore dentro di lui si era fatto insopportabile, la sua mente era offuscata, sapeva solo che non voleva che le mani di Yuuji si staccassero da lui.

“Diamine,” disse Yuuji, nascondendo il naso nel collo di Megumi. Poi lo prese per le spalle e lo spinse indietro. “Sei in calore.”

Megumi spalancò gli occhi. “E’ troppo presto…” possibile che gli eventi gli avessero scatenato il calore in anticipo? 

Yuuji aveva il viso serio quando gli chiese, “Vuoi andare a casa? Posso chiamarti un taxi…” guardò dietro le spalle di Megumi a Sukuna, come se stessero avendo una conversazione silenziosa.

Megumi scosse la testa. Parlare era complicato, ma aveva bisogno di dire questa cosa prima di perdere completamente la lucidità. “Volevo chiedervelo,” mormora. “Ma non volevo scegliere.”

“Non c’è bisogno di farlo adesso,” arrivò dalle sue spalle la voce di Sukuna. “Siamo entrambi qui.”

Megumi fece le fusa mentre l’odore dei due alpha lo circondava. Poteva sentire la loro eccitazione mescolarsi alla sua, e sentì il suo omega rilassarsi. I suoi alpha si prenderanno cura di lui.

Yuuji riprese a baciarlo, il suo odore si era fatto denso e speziato per l’eccitazione e Megumi gemette nel bacio. 

“Mi piace quanto sei sensibile,” commentò Yuuji passando a baciargli il collo. Gli passò la lingua sulle ghiandole e una nuova vampata di calore avvolse Megumi, che tremò tra le braccia di Yuuji.

“Hai mai provato a leccarlo?” intervenne Sukuna dalla poltrona.

Megumi sospirò solo all’idea, e questo sembrò catturare l’interesse di Yuuji. 

“Mi sembra un buon momento per cominciare.”

Yuuji lo fece stendere sul divano, Megumi si fece guidare come una bambola. Si sentiva creta tra le sue mani, e l’odore di Sukuna che lo circondava lo rassicurava che entrambi erano lì per lui.

Lentamente, Yuuji gli sfilò i pantaloni. In un momento di lucidità, Megumi provò a coprirsi, imbarazzato per quanto fosse bagnato, ma Yuuji gli spostò le mani e gli sfilò le mutande. Si stese in mezzo alle sue gambe e affondò la lingua in lui, tra le sue pieghe, passò la punta sul clitoride e Megumi inarcò la schiena contro il divano. 

Megumi lanciò un’occhiata a Sukuna, che seduto sulla poltrona li guardava entrambi con sguardo famelico mentre si accarezzava pigramente l’erezione da sopra i pantaloni. Gli piaceva l’idea di star intrattenendo entrambi, che le attenzioni di entrambi fossero concentrate su di lui.

Yuuji aumentò l’intensità, prese il clitoride tra le labbra e succhiò gentilmente fino a che Megumi si riversò nella sua bocca.

“Letto,” riuscì a mormorare, e i suoi alpha lo accontentarono. Si sentì preso in braccio e trasportato fino alla camera, tra lenzuola che portavano così forte l’odore dei suoi alpha che non poteva esserci dubbio su cosa avessero fatto lì dentro, né sul fatto che dormissero nello stesso letto regolarmente. 

Sentiva mani ovunque sul suo corpo, e non sapeva più chi lo stesse toccando dove, ma non gli importava. La cosa importante è che erano lì, con lui, intorno a lui, ovunque.

“Dolcezza,” gli sussurrò la voce di Sukuna all’orecchio. “Devi dirci chi vuoi.”

Megumi mugolò disperato. “Entrambi.”

I due alpha si fermarono per un momento, e Megumi sentì la disperazione impossessarsi di lui. Poi Yuuji si sdraiò sul letto, e Sukuna aiutò Megumi a sdraiarsi sopra di lui. Guidò l’erezione di Yuuji dentro Megumi, e poi la propria.

Megumi non si era mai sentito così pieno, fisicamente e spiritualmente, con i suoi alpha intorno a lui, dentro di lui, circondato dal loro odore e dal loro calore.

Yuuji e Sukuna cominciarono a muoversi, lentamente ma in maniera sincronizzata, come se fossero la stessa persona. Poi il ritmo aumentò, e Megumi non poté fare altro che abbandonarsi, lasciare che facessero di lui quello che volevano.

Megumi sentì i loro nodi formarsi, e sentì che si trattenevano. Disperatamente portò le mani verso di loro per convincerli a entrare, fino a che non capirono il messaggio e entrarono in lui pienamente.

Megumi venne con un gemito strozzato, e registrò lontanamente che anche Sukuna e Yuuji avevano fatto lo stesso sentendoli riversarsi in lui. 

Megumi si sentiva debole e senza forze, ma sapeva che i suoi alpha si sarebbero presi cura di lui.


Si risvegliò nel bel mezzo della notte, circodato dall’odore di Sukuna, di Yuuji, del proprio calore, e del sesso. Coperto da una coperta calda e circondato dai due corpi. Si sistemò meglio sotto la coperta e tornò a dormire facendo le fusa. 


white rut

Mar. 3rd, 2023 07:38 pm
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Titolo: white rut

Fandom: Jujutsu Kaisen

Missione: M3 – Due personaggi con significativa differenza di età hanno una relazione romantica
Parole: 1850

Rating: nsfw



Quando Gojo entrò nella stanza, Yuuji si rintanò ancora più a fondo sotto le coperte. Lo riconobbe dal suo odore: menta e liquirizia. Se solo il giorno prima gli avessero chiesto di che cosa sapesse Gojo non sarebbe stato in grado di dirlo, sapeva solo che gli piaceva, ma adesso le sfumature erano chiare come non erano mai state. Come se potesse avere ancora dubbi su cosa stesse succedendo al suo corpo.
Nonostante fossero nel pieno di gennaio, il suo corpo bruciava di un calore che espandeva da dentro di lui. Le gambe strette aumentavano la deliziosa pressione sulla sua erezione dolorosa, e la tentazione di strusciarsi contro il materasso era forte.
Il materasso si abbassò sotto il peso di Gojo. Strinse Yuuji da sopra le coperte. 
“Hai intenzione di venire fuori?”
“No. Per favore, va’ via.” Una nuova ondata di sconforto gli attanagliò lo stomaco. Non voleva sentire quello che Gojo aveva da dirgli, non voleva sentirlo rompere con lui. Lo voleva più vicino e quanto più lontano possibile da lui potesse. 
“Nope,” ripose Gojo, con il solito tono divertito e cantilenante. “Dovrai uscire prima o poi, tra il rut e la coperta starai morendo di caldo. E io non ho niente di meglio da fare.” Si sdraiò accanto a Yuuji e lo strinse da dietro. Il suo odore circondò Yuuji, gli dava alla testa. Sarebbe stato così facile portare una mano alla sua erezione e alleviare la tensione, ma già così era probabile che fosse disgustato da lui. Per come si erano messe le cose lo avrebbe lasciato, sì, ma almeno non lo avrebbe odiato. 
“Hai una riunione con il preside,” gli ricordò Yuuji. 
“Ho detto niente di meglio,” rispose Gojo. Attraverso la coperta passò la testa la spalla di Yuuji. “Mi piace il tuo odore.”
Il suo stomaco si contrasse a quel complimento. Gli era sempre piaciuto ricevere complimenti da Gojo, ma al momento si sentiva come ipersensibile alle sue parole. Aveva voglia di girarsi di scatto, bloccarlo sotto di lui e fare di lui ciò che voleva, abbandonandosi alle richieste che il suo corpo gli urlava. La battaglia con i suoi istinti si faceva sempre più ardua, ma non aveva intenzione di perdere anche quell’ultimo briciolo di razionalità che gli rimaneva. 
Gojo non parlò più, ma la sua stretta attorno al corpo di Yuuji non si allentò. Il calore sotto la coperta si stava facendo insopportabile, il tessuto intorno al suo corpo era ormai zuppo di sudore. Aveva bisogno d’aria, e aveva bisogno di venire. Dopo un po’ non ce la fece più, si tolse le coperte dalla testa e riemerse dal suo bozzolo di autocommiserazione. Doveva avere il viso arrossato e ricoperto di macchie per il caldo, l’aria fresca dava un cago sollievo. 
Gojo gli sorrise. I capelli gli ricadevano disordinati sul viso, indossava una maglietta e un pantalone morbido, come se si fosse appena svegliato, per l’occasione non aveva neanche indossato gli occhiali da sole. Da sopra le coperte sentiva ancora meglio il suo odore. Voleva farselo entrare nelle ossa, mordere, possederlo.
Gojo si fece strada verso il collo di Yuuji, “Eccoti qui.” Infilò il naso tra i suoi capelli. “Oh, così è molto meglio.”
Un’altra fitta allo stomaco gli strappò un gemito dal petto. “Per favore, Gojo. Non farmi questo. Già così è abbastanza difficile.”
La lingua di Gojo passò sulle ghiandole di Yuuji, provocandogli una scarica di piacere che lo fece inarcare sul letto. “Puoi fare quello che vuoi. Te l'avevo promesso, quando ti fossi presentato avremmo potuto fare tutto quello che volevi.”
Lo sconforto si impossessò di nuovo di Yuuji. “Ma non mi aspettavo di essere un Alpha, siamo entrambi Alpha. Dovresti…”
“Quindi è questo che ti preoccupava? Che non ti avrei voluto più?”
Yuuji cercò di attaccarsi all’ultimo brandello di razionalità che gli restava per fare un discorso sensato, ma riuscì solo a riassumere il caos che gli si agitava dentro in una frase. “Non sono un omega, e non posso darti quello di cui hai bisogno.”
“E a me non importa,” disse Gojo. “Mi importa che tu sia Yuuji.”
“Dovresti rompere con me, trovare un omega che possa…”
Gojo si sollevò e mise il viso sopra quello di Yuuji. Lo guardò come faceva ogni tanto, uno sguardo che ogni volta faceva sentire Yuuji nudo, come se potesse vedere cose che Yuuji non sapeva neanche di avere dentro. Ma c’era qualcos’altro, qualcosa di scuro, fame, possesso.
“Forse non sono stato chiaro. Tu sei mio. E non ho intenzione di lasciarti a nessun altro.” Chiuse la distanza tra di loro e appoggiò le labbra a quelle di Yuuji.
La diga che Yuuji aveva sollevato crollò, e tutto ciò che aveva cercato di trattenere fino a quel momento gli si rovesciò addosso. Afferrò Gojo, tirandoselo addosso, infilò la lingua nella sua bocca come se volesse divorarlo e Gojo ricambiò con altrettanta intensità, come un uomo assetato che finalmente aveva ottenuto quello di cui aveva bisogno. Sarebbe quasi sembrato lui quello in rut, se Yuuji non avesse avuto quel calore soffocante sotto le ossa.
Le sue mani andarono sui fianchi di Gojo, percorsero le forme del suo corpo lungo e sinuoso. Incastrò le mani nei suoi pantaloni, impaziente e guidato solamente dall’istinto. Sentiva l’erezione di Gojo gonfiarsi sotto di lui, e il pensiero che fosse stato lui a causarla, che fosse per lui, gli faceva girare la testa. 
Si sentiva la testa offuscata, tutto ciò che gli importava era toccare Gojo, sentire la sua pelle sotto le mani, sotto la lingua. Afferrò il suo sedere con le mani, allungò le dita fino alla sua apertura. Era bagnato, ma non abbastanza, non come sarebbe stato un omega. Si aspettava di sentirne la mancanza, ma oltre al bisogno profondo che sentiva, l’unica cosa che gli interessava era che fosse Gojo la persona con lui in quel momento. Voleva entrare dentro di lui, marchiarlo da dentro, fare in modo che si portasse il suo odore nella pelle per giorni, che non riuscisse a liberarsene neanche lavandosi. Perché aveva resistito tanto quando era arrivato in camera?
“Mi piace che tu sia diretto,” gli disse Gojo sciogliendosi dal bacio. “Ma questa volta dovrai avere un po’ di pazienza”. Si alzò dal letto e si tolse i vestiti. Yuuji non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, dalla pelle bianca, dalle gambe che sembravano andare avanti all’infinito, dall’erezione gonfia, dalle guance arrossate. 
Si sedette ai piedi del letto. “Lubrificante ne hai?”
Yuuji annuì, imbarazzato. I patti tra loro erano stati chiari: avevano cominciato a vedersi, ma Gojo si era rifiutato di andare fino in fondo con lui finché Yuuji non si fosse presentato. Ma Yuuji lo aveva comprato lo stesso, era sempre meglio essere pronti. Si allungò verso il comodino per prenderlo e lo passò a Gojo.
“Che bravo ragazzo,” commentò Gojo. “Adesso stai buono lì e guarda.”
Aprì le gambe, esponendosi agli occhi di Yuuji. Yuuji era combattuto tra la voglia di gettarsi addosso a lui, rovinarlo, e la volontà di seguire l’ordine che Gojo gli aveva dato.
Gojo sembrava godersi le attenzioni. Gli piaceva essere guardato, che stesse combattendo o mettendo su uno spettacolo a uso e consumo solo di Yuuji. 
Allargò le gambe, con l’erezione che svettava nel mezzo, e si portò due dita bagnate di lubrificante all’apertura. Si penetrò con quelle, lasciandosi scappare un gemito. Yuuji si morse le labbra, con gli occhi fissi su quello spettacolo, spaventato dall’idea di perdersi anche un solo secondo di quello che stava accadendo. Vedere le dita lunghe di Gojo che sparivano dentro il suo corpo era uno spettacolo ipnotico e una tortura allo stesso tempo. Un ringhio gli risalì dal petto: doveva essere lui. Doveva farlo lui. Doveva essere lui a dargli piacere. Non era accettabile che lo facesse da solo.
Yuuji gli si scagliò addosso e prese in bocca la sua erezione. Una nuova ondata di piacere lo colse in risposta al gemito che sfuggì alle labbra di Gojo. 
La mano di Gojo si fermò, troppo preso dal piacere. Yuuji circondò la mano con la sua, e aggiunse un dito alle due già di Gojo, le fece muovere insieme. Il suo corpo era bollente, la carne si apriva morbida al passaggio delle dita. Yuji si stusciò contro il materasso ai ritmi dei singhiozzi leggeri che scappavano alla bocca di Gojo leggeri, quasi contro la sua volontà. 
Yuuji mosse le dita come aveva visto fare a Gojo, fino a sfiorare qualcosa che fece sobbalzare Gojo.
“Bene, stai imparando,” disse Gojo con voce forzata. 
Yuuji soddisfatto continuò a toccare lo stesso punto e succhiò più forte, fino a sentirlo contrarsi e venire nella sua bocca. Yuuji ingoiò, e con un'ultima spinta contro il materasso venne sulle coperte. Pazienza, erano già un disastro tanto. 
Sperava di riguadagnare lucidità, ma l’erezione era ancora dritta e pronta. 
“Sensei…”
Gojo guardò nella stessa direzione in cui guardava lui e rise. “Non preoccuparti, non ho ancora finito con te.”
Lo spinse contro il materasso fino a farlo stendere di schiena, poi salì a cavalcioni su di lui. Lentamente si calò sull’erezione di Yuuji - Yuuji non gli aveva mai visto fare niente lentamente –, ma con decisione, fino a prenderlo tutto dentro di sé. Il calore era delizioso, insopportabile, tutto quello che voleva e non abbastanza. 
“Avevo dimenticato quanto fosse bello tutto questo,” disse. Yuuji ringhiò alla menzione che lo avesse fatto prima, voleva cancellare le tracce di chiunque fosse passato prima di lui, riscrivergli quei ricordi da dentro. Si tirò Gojo addosso, reclamò la sua bocca con un bacio famelico e gli morse una spalla, mosso dal bisogno di macchiare quella pelle bianchissima. Cominciò a spingersi in lui con foga, e Gojo abbandonò ogni parverza di controllo. Si lasciò andare al piacere, lasciò che Yuuji facesse di lui quello che voleva. La sua erezione strusciava sullo stomaco di Yuuji, mentre Yuuji continuava a spingersi dentro di lui accecato dal piacere. 
Yuuji sentì il proprio nodo che si gonfiava, si incastrava nell’apertura di Gojo. Gojo non gli diede il tempo di esitare, “Fallo,” ordinò. “Non ti fermare.”
E Yuuji obbedì. Spinse e sentì chiaramente il momento in cui si incastrarono l’uno con l’altro e venne senza poter fare nulla per impedirlo. Il piacere fece tremare Gojo, che venne con un gemito strozzato.
Gojo si stese sul petto di Yuuji, un peso delizioso. Gojo era silenzioso, ma c’era un sorriso calmo sul suo viso, con gli occhi chiusi e rilassato in quel modo, con i capelli lasciati giù, sembrava più giovane di quanto sembrasse di solito.
Le vampate del rut di Yuuji sembrarono calmarsi almeno momentaneamente. Si allungò verso la coperta che Gojo aveva lanciato in un angolo e coprì entrambi. 
Yuuji se lo strinse meglio contro il petto. Pesava meno di quanto sembrasse, doveva decisamente mangiare di più, era troppo magro. Yuji sistemò meglio la coperta intorno ai loro corpi e lo strinse.
“Sensei,” cominciò. 
“Mh?”
“Anche tu sei mio.”
Gojo ridacchiò e gli lasciò un bacio veloce sulla clavicola.
“Mi piace come suona” 
chasing_medea: (Default)
Titolo: somewhere maybe
Fandom: cowtverse
Rating: nsfw

Capitolo I )

Capitolo II )

Titolo: somewhere maybe - incipit
Fandom: cowtverse
Parole: 310
Rating: nsfw

Incipit )
chasing_medea: (Default)

Titolo: Meet Your Master [raccolta]
Fandom: Voltron Legendary Defender
Missione: M5 - BDSM


Origini )
 

Un nuovo gioco )


Anticipazioni )


Presentazione )

brother

Mar. 21st, 2020 11:39 pm
chasing_medea: (Default)
Titolo: brother
Fandom: Obey me
Missione: M3 - legame fraterno
Parole: 666
Rating: nsfw
Note: twincest

Belphie rientrò nella stanza dopo una giornata di lezioni. Era stanco, ma non aveva sonno quel giorno. Aveva altre voglie, in un certo senso. Erano un po' di giorni che, tra lezioni e altro, rientrava a casa la sera troppo stanco anche per concedersi quel po' di piacere - non aveva idea di come facessero gli umani a sopportare tutto quel trambusto tutti i giorni, lui si sentiva stanco al solo pensiero di doverlo rifare il giorno dopo. Quel giorno aveva finito prima le lezioni, era un venerdì sera e la mattina dopo avrebbe potuto dormire fino a tardi senza nessun pensiero. Sì, avrebbe anche dovuto studiare, ma lo poteva fare il pomeriggio. In quel momento era più interessato a godersi la serata. Si spogliò e si stese sul letto, rilassato sui cuscini, pronto a prendersi il suo tempo. Fece scendere una mano lungo il suo corpo, fino ad arrivare alla sua erezione che cominciava ad indurirsi. Ma il contatto sembrava blando, sarebbe stato come soddisfare una necessità fisica mentre quella sera voleva veramente godersela. Ciò di cui aveva veramente voglia era avere Beel lì con lui, sentire le sue mani più grandi contro di sè. Belphie aveva imparato molto tempo prima ad approfittare della voracità di Beel. Aveva capito che, per attirarlo da qualche parte, bastava inviargli la foto di qualcosa che gli piaceva anche nel pieno della notte e lui sarebbe venuto di corsa. Ora, il caso voleva che anche Belphie fosse tra le cose a cui Beel non riusciva mai a dire di no, almeno era quello che aveva scoperto quando una volta, per scherzo, gli aveva mandato una foto mentre stava disteso mezzo nudo nel caldo estivo tra le lenzuola di Beel invece che tra le sue. Beel si era precipitato in camera alla velocità della luce, senza neanche fermarsi a rimediare il cibo per cui era uscito. Inutile a dirsi che quella era stata una notte che, a mesi di distanza, spesso Belphie si divertiva ancora a ricordare quando era solo sotto la doccia.
Nel Devildom non aveva mai avuto molte occasioni per sfruttare quella scoperta, ma adesso si stava rivelando più utile di quanto avesse creduto originariamente. Dopo il caos della finta partenza, infatti, Belphie aveva deciso veramente di partire per trascorrere quell'anno sulla terra come exchange student e ogni tanto quella distanza diventava un po' pesante da sopportare.
Beel non era semplicissimo da convincere. si preoccupava che le eccessive visite avrebbero fatto arrabbiare Lucifer, ma Belphie era più che pronto a prendersi la responsabilità in quel caso - qualunque scusa era buona per far arrabbiare Lucifer. Quindi Belphie era stato costretto a imparare un metodo, ogni volta cominciava con dei messaggi suggestivi, poi mandava delle foto via via più rivelatrice, continuando a dire a Beel quanto avesse bisogno di lui, quanto sentisse la sua mancanza. Nelle - rare - occasioni in cui Beel si dimostrava irremovibile, Belphie otteneva comunque del sesso telefonico - e la voce di Beel eccitato era qualcosa che valeva veramente la pena sentire almeno una volta nella vita. Ma la maggior parte delle volte, come quella sera, Beel si materializza nella sua stanza, pronto a sfogare su di lui quella voracità insaziabile. Quella sera in particolare, Belphie sa di aver fatto giusto qualcosa, o forse Beel era semplicemente più dell'umore del solito, perchè è comparso lì nella sua forma da demone, vestito interamente di abiti neri e attillati, con le ali nere in bella mostra, le corna e i denti più aguzzi del solito - che Belphie non vede l'ora di avere su di sè. Beel è impulsivo a letto, è famelico e vorace, e Belphie non potrebbe desiderare nulla di diverso. Nonostante siano gemelli, Beel è fisicamente molto diverso da lui. Più grosso, più muscoloso, dove lui è sempre stato troppo pigro per fare qualcosa, ma questo non significa che non possa godersi i risultati che l'allenamento fisico da su Beel.
Passa la mani sui suoi addominali scolpiti, e Beel gli morde il collo.
chasing_medea: (Default)
Titolo: Verba volant, scripta manent
Fandom: Percy Jackson
Missione: M5 - Verba volant, scripta manent
Parole: 2222
Rating: nsfw

Nico non odiava il suo lavoro; certo, l’arredamento della tavola calda sembrava uscito direttamente dagli anni ’50, il turno di pranzo era un incubo ed essere gentile con i clienti non era il suo forte, ma la paga era buona, gli lasciavano tenere le mance e aveva diritto al pranzo gratis – che per uno studente universitario fuori sede costantemente al verde non era sicuramente qualcosa da sottovalutare. Lavorava lì dal suo primo anno, quando si era trasferito da Washington a New York per frequentare il corso di arte all’università; per mettere qualcosa da parte aveva cominciato a cercare lavoro e la proprietaria di quel posto, una donna di mezza età che lo aveva ereditato dai suoi nonni, lo aveva preso con sé.
Nel complesso, sì, non odiava il suo lavoro. O almeno questo era quello che pensava quel giorno, quando ancora non erano cominciate le lezioni, studenti e professori non avevano ancora ricominciato a dare l’assalto al locale e durante il turno di pranzo poteva ancora respirare. Quello che odiava erano i suoi amici, che, da quando aveva cominciato a lavorare, avevano eletto quel posto a ritrovo per il pranzo proprio per vederlo costretto a sorridere ai clienti e prenderlo in giro. Si avvicinò al loro tavolo.
«Nico! Stasera andiamo a bere!» gli urlò Percy esaltato, l’estate passata al mare gli aveva scurito ancora di più la pelle già scura: erano lontani i tempi in cui aveva avuto una cotta per lui, ma doveva oggettivamente riconoscere di comprendere come mai mezza facoltà di biologia avesse perso la testa per lui, che però aveva perso la testa per una bionda di architettura – ad oggi nessuno ancora sapeva come avesse fatto, alla fine, per farla cadere ai suoi piedi.
«Domani iniziano le lezioni» provò a ricordargli Annabeth, la sua ragazza.
«Proprio per questo! Non ci sarà ancora nessuno nei locali e i posti migliori saranno liberi!»
«Non mi sembra una buona idea» provò a intervenire Jason.
Sapevano tutti che quella discussione era inutile e che alla fine avrebbero comunque fatto come voleva Percy, ma era ancora il periodo dell’anno in cui provavano ad opporsi.
Nico fu il primo ad arrendersi: «Ditemi ora e posto». Ritornò al suo lavoro e li lasciò a discutere sui programmi della serata.

Finito il suo turno tornò al suo dormitorio e si fece una doccia prima di raggiungere gli altri in un piccolo pub non lontano dal campus che di solito era sempre pieno. Si ordinò una birra e si sedette con gli altri. Dopo qualche drink Piper e Jason pomiciavano in un angolo e Nico, guardandosi intorno, si rese conto di essere l’unico nel suo gruppo di amici a non avere nessuno: Annabeth e Percy erano praticamente inseparabili dal primo anno di università, Hazel – la sua sorellastra – e Frank alla fine dell’anno precedente avevano finalmente deciso di confessarsi e si erano messi insieme; persino Leo e Calypso, nonostante i loro continui battibecchi, potevano essere considerati una coppia stabile da quasi due anni. A Nico in genere non pesava la situazione, ma c’erano serate, come quella, in cui non poteva fare a meno di sentirsi un po’ solo: la sua ultima relazione stabile risaliva a prima di cominciare l’università, da allora aveva avuto parecchi flirt, ma nulla che durasse più di un paio di settimane e un po’ sentiva la mancanza di avere una persona accanto.
Ordinò un altro drink, e poi un altro ancora.

Come conseguenza la mattina dopo si svegliò tardi, perse la sua prima lezione e arrivò al suo turno senza essere minimamente pronto ad affrontare la giornata. Reyna, la sua collega, lo guardò comprensiva, ma venne solamente fulminata in risposta.
Con sua somma sorpresa, nonostante tutto, riuscì a portare a casa il turno senza incidenti. Quando andò a controllare il suo barattolo per le mance trovò un pezzetto di carta piegato in quattro con cura:

Lo sapevi che per sorridere si possono usare da 5 a 53 muscoli? E che anche forzare il sorriso può migliorare l’umore?

era scritto al suo interno con una calligrafia sottile e precisa.
Era forse un commento al suo turno? Non era veramente in giornata per scherzi del genere. A passo spedito si diresse verso il tavolo dove erano seduti i suoi amici: «Vi sembra divertente?», chiese sbattendo sul tavolo il biglietto. Gli altri lo guardarono incuriositi.
Annabeth si prese un attimo per leggere cosa ci fosse scritto sul foglio: «Nico, non è stato nessuno di noi».
Ci vollero alcuni minuti e numerosi interventi per riuscire a convincere il ragazzo; tornò al suo dormitorio stringendo ancora il foglietto nel pugno, pronto a strapparlo in mille pezzi e lanciarlo dalla finestra, ma alla fine lo distese e lo chiuse nel cassetto della sua scrivania.

Per una settimana Nico non pensò più all’incidente. Quel giorno era un turno abbastanza tranquillo – la ressa dell’ora di pranzo era passata e solo pochi studenti erano rimasti ai tavoli. Nico stava approfittando del momento tranquillo per portare avanti il suo progetto per il corso di disegno realistico sul blocco che gli aveva regalato Reyna, stanca di sostituire in continuazione i fazzoletti su cui di solito disegnava nei vari dispenser. Ispirandosi ad una mostra su Leonardo Da Vinci che aveva visto quell’estate in Italia aveva deciso di provare a riprodurre l’interno di un corpo umano. Il suo capo gli aveva anche consentito di scegliere la musica che risuonava nel locale quel giorno e Nico aveva scelto un disco dei Pearl Jam e disegnava muovendo la testa a ritmo e canticchiando tra sé.
Quando arrivò la fine del suo turno guardò come al solito nel suo barattolo; si sorprese a trovarci un altro biglietto. Si guardò intorno alla ricerca di qualche viso conosciuto, ma non vide nessuno – neanche i suoi amici avevano pranzato lì quel giorno. Aprì il foglietto con cautela, quasi temesse di vederlo esplodere:

I feti umani reagiscono alla musica rock con i calci.

Ancora non sapeva bene cosa significasse tutto quello, ma aveva un progetto da portare avanti e non aveva il tempo per preoccuparsene; tornato nel dormitorio mise quel biglietto insieme all’altro e tornò al suo blocco.
Passò così un altro mese, le temperature si abbassavano, gli impegni scolastici si facevano sempre più pressanti e occasionalmente Nico riceveva altri biglietti con le più assurde curiosità mediche che avesse mai letto: si era anche ritrovato a cercarle su internet una sera, solo per scoprire che, in effetti, erano tutte vere. Nico si ritrovava sempre più spesso di quanto avrebbe voluto (o dovuto) a fare le ore piccole per portare a termine qualche compito e quel giorno non era da meno: aveva passato l’intera notte in bianco ed era a malapena riuscito a rispettare la consegna quella mattina e adesso si ritrovava a bere la terza tazza di caffè nel corso del suo turno nella speranza di non addormentarsi nel tragitto dalla cucina ai tavoli.
Non si sorprese più di tanto quando trovò un altro biglietto:

Lo sai che si può avere un’overdose da caffè?
(servirebbe berne almeno un centinaio di tazze ma può comunque succedere)


Era il momento di affrontare la questione. Magari dopo una bella dormita, ma era arrivato il momento di capirci qualcosa.
Quello che fino a quel momento era riuscito a capire dai biglietti era che, chiunque fosse, sapeva il suo nome – probabilmente aveva letto la sua targhetta, quindi doveva essersi seduto ad un tavolo che lui aveva servito. Sapeva poi che, chiunque fosse, faceva attenzione a quello che faceva – dopotutto quel giorno aveva notato l’incremento dei suoi consumi di caffeina. Si chiese distrattamente se, chiunque fosse, fosse uno stalker e se avesse dovuto preoccuparsi invece che cercare di capirci qualcosa, ma accantonò rapidamente il pensiero.
Nico si rese anche conto che stava continuando a pensare al maschile: aveva dato per scontato che la calligrafia fosse di un uomo, ma se non fosse stato così?
E se fosse stato tutto uno scherzo? Gli continuava a sembrare improbabile dover considerare tutto quello che stava succedendo come una sorta di approccio. Sua sorella Hazel continuava a dirgli che aveva un look da bello e dannato, con i suoi indomabili capelli scuri, la pelle chiarissima e gli svariati piercing.
In ogni caso Nico doveva sapere: quella sera Nico elaborò un piano.
Il giorno dopo, non appena vide i suoi amici entrare nel locale, afferrò per un braccio Percy e Jason e li fece sedere al bancone: «D’ora in poi voi mangerete qui. Controllate chiunque metta qualcosa nel mio barattolo delle mance. Se qualcuno infila un biglietto non fate nulla, assolutamente nulla: non vi fate notare e senza fare cazzate me lo indicate. Tutto chiaro?».
I due annuirono perplessi e anche leggermente spaventati.
Alla fine del suo turno Nico trovò un altro biglietto: l’occhio umano può distinguere fino a 10 milioni di colori.
Che fosse anche questo un commento personale? Aveva forse visto i suoi colori in qualche modo?
I suoi amici cercarono di spiegargli chi avesse messo il biglietto, ma l’unico biondo con le lentiggini e dei cardigan discutibili che Nico aveva notato nel locale non poteva assolutamente essere lo stesso – sarebbe stato decisamente troppo per il povero cuore di Nico: quel ragazzo era veramente troppo bello e Nico si era incantato a guardarlo fin troppo spesso. Dai discorsi che aveva sentito doveva essere uno studente di medicina, avrebbe avuto senso. Ma non poteva assolutamente essere lui. O almeno di questo provò a convincersi.
Quando i suoi amici glielo indicarono in giro per il campus Nico entrò in una zona di paturnie mentali completamente nuova. Passò i suoi turni successivi a osservarlo nella speranza di non essere troppo evidente – la missione fallì, a giudicare dalle battute che cominciò a fargli Reyna.
Perché uno così doveva andare a mettere biglietti nel suo barattolo delle mance? Non aveva senso. Forse era uno scherzo studiato con i tizi con cui pranzava di solito? Nico non riusciva a capire.

Il sabato sera era in programma una grossa festa universitaria, l’anniversario della fondazione del campus, e i suoi amici le avevano provate tutte per convincerlo ad andare senza risultati. Finché non intervenne Piper: «Forse ci sarà anche il tuo biondino».
Nico fulminò con lo sguardo Jason e Percy: gli sembrava di essere stato abbastanza chiaro quando gli aveva detto che non avrebbero dovuto far parola con nessuno degli avvenimenti recenti, ma con quei due era sempre e solo fiato sprecato. E, gli scocciava ammetterlo, ma in fondo Piper non aveva tutti i torti – forse lo avrebbe incontrato, gli avrebbe potuto dire che questi stupidi scherzi non attaccavano e chiudere lì una volta per tutte la questione. Il pensiero di non ricevere più quei bigliettini, però, lo rendeva inspiegabilmente di cattivo umore. Alla fine, Nico si arrese e andò con gli altri alla festa. Con la giusta dose di alcol in corpo cominciò anche a ballare.
Non sapeva bene da quanto fossero lì quando Piper e Jason gli fecero cenno di guardarsi alle spalle; Nico vide il biondino che a malapena riusciva a togliersi dalla testa ultimamente.
Fece un cenno agli alti e andò nella sua direzione, camminò spedito verso di lui: «Tu!».
Era più alto di lui. E da vicino era ancora più bello. Sorrise a Nico – e oddio, non poteva avere anche le fossette! – e si presento: «Piacere, Will!».
«Perché?» gli chiese Nico.
«Non sapevo come parlarti» ammise l’altro, ma la musica era ripartita e per parlargli era stato costretto ad avvicinarsi al suo orecchio. Profumava di buono.
Senza pensare bene a quello che stava facendo Nico lo afferrò per il colletto della maglietta e lo baciò – sapeva di mela verde, qualche stupido cocktail probabilmente. L’altro ricambiò con entusiasmo. Nico gli morse le labbra e continuò a baciarlo spingendolo verso il bagno e richiudendo la porta del cunicolo alle loro spalle, lo aveva sbattuto contro la parete e senza troppe cerimonie si era inginocchiato per terra, troppo ubriaco per preoccuparsi di dove veramente fosse. L'altro provò a fermarlo, a ricordargli che aveva probabilmente bevuto troppo e che forse non era il caso di fare una cosa del genere, ma a Nico in quel momento non importava. Voleva togliersi tutta quella storia dal sistema, voleva togliersi quel ragazzo dal sistema, voleva tornare alla sua vita normale e non pensare più a lui, al suo sorriso, ai suoi capelli biondi o ai suoi adorabili biglietti. Qualunque storia fosse quella storia sarebbe finita lì, in quel bagno.

La mattina dopo Nico non riusciva a ricordare bene cosa fosse successo dopo essersi inginocchiato davanti all’altro. Probabilmente si era alzato e se ne era andato, come aveva sempre fatto. Gli faceva male tutto, gli faceva male la testa e le ginocchia e non riusciva a credere si essersi veramente inginocchiato in un bagno pubblico durante una festa universitaria. Avrebbe dovuto bruciare quei jeans ed erano anche i suoi preferiti.
Qualunque cosa fosse stato tutto quello ormai era finito, il biondo – Will, ricordò – aveva probabilmente avuto quello che voleva e lui avrebbe smesso di ricevere strani foglietti.
Quando quel lunedì tornò al lavoro era di umore pessimo – non aveva ancora pienamente ammesso a sé stesso di volerne ancora di quei biglietti.
Will non era con il suo solito gruppo.
Nico si sorprese quando, alla fine del suo turno, contro ogni aspettativa, trovò l’ennesimo biglietto:

Cena?
- Will 555-xxx
chasing_medea: (Default)
Titolo: closer to going too far
Fandom: Haikyuu
Missione: M4 - enemies to lovers + storia ciclica
Parole: 3333
Rating: nsfw

Hinata inforca la sua moto, di un arancione brillante con striature nere, e abbassa la visiera del casco. Da un'accelerata e esce piano dal box, pronto ad andare a prendere il suo posto sulla linea di partenza. Mancano poco meno di due minuti allo scadere del tempo. E' l'ultima occasione che ha per fare il tempo migliore, aveva un ultimo giro per cercare di guadagnarsi la sua prima Pole Position per il Gran Premio del giorno dopo. La moto risponde perfettamente ai suoi comandi quel giorno, è creta tra le sue mani. L'asfalto ha la temperatura perfetta, le gomme sono morbide e calde al punto giusto, pronte per quell'ultima volata.
Poco più di un minuto, poco più di 4 chilometri.
Imbocca sulla pista e fa un primo giro a velocità sostenuta, per prendere lo slancio per il giro che veramente conta. Man mano che la linea di partenza si avvicinava spinge un po' più a fondo l'acceleratore, spinge un po' più vicina al limite la moto. Raggiunta la linea, parte effettivamente.
La moto si muove bene, agile. Piega a destra e poi a sinistra, poi un lungo rettilineo e poi una curva a gomito a destra. La moto scivola sull'asfalto in maniera fluida, sembra quasi che Hinata non debba neanche pensare alla mossa successiva. E' pienamente preso da quello che stava facendo, pienamente a suo agio.
La linea del traguardo si avvicina sempre di più. La taglia e prosegue fino a rientrare nei box, impaziente di vedere il suo tempo.
1' 38" 735.
Ha battuto il record della pista. Il suo team sta già esultando, ci sono solamente altri due piloti in pista, la Pole Position sembra ormai sicura. Lo accolgono con un abbraccio, lo riempiono di congratulazioni. Hinata si toglie il casco e lascia libera la massa di capelli rossi, guarda il suo tempo segnalato sullo schermo, evidenziato in rosso. Un record per Hinata: la sua prima Pole Position dopo aver cominciato a guidare una moto della massima categoria da appena pochi mesi. La Pole Position alla seconda gara sarebbe un record assoluto. E' un novellino, è vero. Ma è arrivato per restare e vuole dimostrare a tutti i piloti più esperti che anche lui è da tenere d'occhio, che non devono sottovalutare lui e la sua moto.
Poi arriva, come un fulmine a ciel sereno Atsumu Miya.
1' 38" 733.
Fino al giro precedente i suoi tempi non erano stati niente di speciale, tutti erano convinti che fosse in crisi quel giorno - era dalle prove libere del giorno prima che sembrava avere qualche problema con la sua moto, ma all'ultimo giro a quanto pare si è ripreso. Come ci si poteva aspettare dal campione del mondo in carica.
Ha battuto il record della pista, ha battuto il record di Hinata ancora prima che questo potesse assaporare la sensazione di avere un record che portava il suo nome. E gli ha portato via la Pole Position. Hinata fulmina il maxischermo dei box con lo sguardo, quello che gli ricorda che il suo tempo è stato battuto, che il giorno dopo partirà per secondo.
Ma non ha alcuna intenzione di perdonargliela, è deciso a fargli vedere con chi ha a che fare il giorno dopo in pista.
Vede la moto di Miya passare davanti al suo box, in sella alla sua moto totalmente nera. Hinata può giurare che, da sotto la visiera nera del suo casco, Miya stia guardando nella sua direzione con un il suo solito sorrisetto sarcastico e irritante.
Hinata gli dà le spalle e si rifugia nel retro del box, il più lontano possibile da lui.

La sera Hinata scende alla mensa del Paddock, quella dove si ritrovavano tutti i piloti e i meccanici. Hinata si siede al suo tavolo con alcuni altri membri della sua scuderia.
Il Karasuno è una piccola scuderia, rispetto ad altre che gareggiano. Fino a quel momento è rimasta sempre a metà classifica, ad ogni stagione riesce a collezionare alcune belle gare, ma in generale non era mai stata abbastanza competitiva per il titolo mondiale. Hinata sa che non riusciranno ad essere competitivi neanche quell'anno da quel punto di vista, ma questo non significava che Hinata non fosse intenzionato a portare a casa qualche vittoria. Negli ultimi anni avevano avviato una grande opera di rinnovamento e alla fine della stagione precedente avevano proposto a Hinata, campione in carica della Moto 2, di passare in prima categoria con la loro moto e Hinata aveva colto la palla al balzo. Avevano creduto in lui e Hinata aveva tutta l'intenzione di ripagarli per la fiducia che avevano riposto in lui.
Vede Miya Atsumu entrare nella sala mensa, va a prendere la sua cena e poi passa accanto al tavolo di Hinata.
"Bella prova oggi", gli dice con il solito sorriso sarcastico.
Hinata lo fulmina con lo sguardo e non si degna di rispondergli. Atsumu ride ancora e si allontana da lì.
“Ci vediamo domani in pista”, gli dice.

I semafori si spengono. Inizia la corsa. Hinata parte a fionda, cercando di prendere da subito la testa della gara. Gira la testa leggermente a sinistra, il muso della moto di Atsumu è davanti a quello della sua, non farà in tempo a riprenderlo prima della prima curva. La posizione di Atsumu lo agevola nella traiettoria della prima curva, riesce a mettersi davanti. Tutto quello che Hinata può fare è cercare di non perderlo. Se completano il primo giro così e arrivano nuovamente al rettilineo di partenza abbastanza vicini sa che può riprenderlo in velocità: la moto di Atsumu è più stabile in curva, ma la sua è più leggera e veloce in volata. Fa tutto quello che può per rimanere attaccato alla moto di Atsumu fino al rettilineo.
Hinata lo vede comparire davanti a lui si prepara a dare gas. Accelera, la moto scivola agile sull’asfalto, le gomme stanno finalmente entrando in temperatura. Vede la moto di Atsumu alla sua destra, come una macchia nera che adesso è alle sue spalle. Esulta internamente. Ce l’ha fatta, l’ha superato. Adesso deve prepararsi ad entrare in curva senza allargare la traiettoria, o Atsumu potrà superarlo di nuovo. Ma non ce la fa a stringere abbastanza, lascia un’apertura dove Atsumu riesce a infilarsi e superarlo, ma per farlo lascia un’apertura lui e HInata ne approfitta, si infila di nuovo e incrocia le traiettorie. Non sente nulla se non il proprio respiro agitato e il battito del suo cuore, il rombo della moto che circonda ogni suo senso.
Hinata rimane davanti, aspetta un nuovo assalto di Atsumu ma non arriva. Sente la pressione alle sue spalle, sa che non può fare il minimo passo falso perchè in quel momento l’altro gli sarà addosso senza possibilità di scampo. Non può neanche rallentare. Ha la sensazione di essere inseguito da un predatore. Passano nuovamente sul traguardo, Hinata getta un’occhiata al display in alto: mancano ancora parecchi giri. Non ha idea di come farà a resistere tanto a lungo, ma non ha altra scelta. Deve rimanere lì davanti e giocarsi il tutto per tutto, finchè la moto regge, finchè lui regge. Ha intenzione di riprendersi con gli interessi quello che ha perso il giorno prima. Ha perso la Pole, adesso vuole la vittoria. I meccanici espongono un cartello per lui dai box: dietro di lui e Atsumu il distacco dagli altri supera il secondo e mezzo. Hanno distaccato il resto dei piloti, la sfida adesso è tra loro due.
Sente la moto cominciare a farsi sempre più leggera per il serbatoio che si svuota, ma le gomme cominciano ad avere sempre meno aderenza sull’asfalto più si consumano con i giri, ma HInata non può abbassare il ritmo.
La perdita di aderenza, però, lo porta a sbagliare. Sbaglia la traiettoria di una curva, va lungo e Atsumu è subito lì dietro, pronto ad approfittarne. Lo supera.
Hinata riesce a rimettersi nella giusta traiettoria abbastanza presto, in modo da non distaccarsi troppo. La moto di Atsumu davanti a lui fende l’aria e Hinata, mettendosi in scia, riesce a faticare di meno per tenere la velocità. Mancano poco più di quattro giri alla fine. Tutto quello che può fare è non perdere il distacco e provare un ultimo attacco all’ultimo momento. Rimanere in scia permette alle sue gomme di prendere aria per un momento. Sono allo stremo e lo è anche HInata, sente il sudore imperlargli la fronte nonostante la bandana che indossa sotto il casco, il calore dell’asfalto è ormai insopportabile. Vede la sua occasione, una traiettoria non presa perfettamente da Atsumu.
Hinata riesce ad infilarsi in uno spazio minimo, passa attaccato al cordolo come il bisturi di un chirurgo. Ultima un sorpasso folle. Sente in sottofondo il boato della folla, ma arriva ovattato alle sue orecchie. Subito Atsumu ricambia e si rimette davanti, ma Hinata non ci sta.
Prova a reincrociare, in risposta. Non ci sta a farsi superare.
Ha passato abbastanza tempo dietro ad Atsumu per sapere che, quando curva a destra, lascia un po’ di spazio tra sè e il cordolo e ha ogni intenzione di approfittarne. Alla successiva curva a destra si infila nuovamente nello spazio tra moto e cordolo, è più stretto del solito, come se Atsumu si stesse aspettando proprio quell’attacco, ma HInata non ha avuto esitazioni.
Hinata sente il momento in cui la moto perde l’aderenza con il terreno e comincia a scivolare. Gli sfugge dalle mani, si inclina fino a toccare terra e attraversa l’intera pista, portando con sè anche la moto di Atsumu. Hinata scivola nella ghiaia, l’airbag interno alla curva si è gonfiato. Si sente un po’ intorpidito per la caduta, ma sta bene. Alza lo sguardo di scatto, cercando Atsumu.
Atsumu è in piedi accanto alla sua moto, si muove, sta bene, ma nessuna delle due moto è in grado di riprendere la corsa. Gli altri piloti intanto li hanno raggiunti e superati.
Hinata fa un sospiro di sollievo. Si avvicina per scusarsi, allunga le mani verso di lui, ma Atsumu le allontana in malo modo. Arrivano gli steward di bordo pista, li aiutano a portare le moto fuori dalla ghiaia e poi, con gli scooter, percorrono la pista fino a riportarli nei loro box.
Hinata non ha il coraggio di guardare i meccanici. Sa di aver sbagliato. Era a tanto così da portare loro uno storico secondo posto e ha rovinato tutto. Si siede su una sedia, si leva il casco, ma tiene lo sguardo basso. Nessuno gli dice nulla, solo Daichi, il capo della scuderia, gli si avvicina e gli da un pacca sulla spalla. Se possibile quello lo fa sentire ancora peggio di come si sentirebbe se lo avessero sgridato apertamente. Hinata beve con la cannuccia l’acqua ricca di sali minerali che usano per reintegrare dopo le corse tenendo lo sguardo fisso su una macchia sul pavimento.
Alza lo sguardo solo quando sente del trambusto nel box. Quello che vede è un Atsumu Miya infuriato, che cerca di spingere via i meccanici per andare a parlare con lui. Hinata si alza da lì e si avvicina ai meccanici, gli fa cenno di lasciarlo fare si mette davanti ad Atsumu. Qualunque cosa voglia dirgli sa che ha ragione.
“Si può sapere che ti è saltato in mente? Non c’era lo spazio per passare lì! Hai rovinato la gara a entrambi, hai rischiato di fare male ad entrambi!”
Atsumu ha slacciato la parte superiore della tuta, ma non si è neanche preso il tempo di toglierla del tutto, ripiegando solamente la parte superiore fino alla vita. Da così vicino, HInata si rende conto di quanto sia effettivamente più alto di lui. Vede le telecamere e alcuni giornalisti avvicinarsi a loro e, senza pensarci troppo, lo afferra per un braccio e lo trascina in una stanzetta nel retro del box, dove almeno le telecamere non potranno riprendere la scena.
A Hinata viene da piangere, ma rimane lì, leggermente appoggiato contro il tavolo, in attesa che Atsumu continui con la sua sequela di insulti. Atsumu sembra preso alla sprovvista dal cambio di location, ma si riprende subito.
“Non potevi accontentarti di un secondo posto per questa volta? Sei un pilota eccezionale, puoi gareggiare tranquillamente in questa categoria ma non puoi essere così impulsivo solo per dimostrare di essere all’altezza e mettere gli altri in pericolo! Non siamo qui solo perchè tu possa farti passare i tuoi complessi di inferiorità…”
Hinata non ascolta veramente quello che Atsumu sta dicendo, la sua testa è rimasta bloccata a sei un pilota eccezionale e continua a mandare in loop quella frase nella sua testa.
“Ehi! Mi stai ascoltando?”, lo richiama Atsumu.
Hinata alza lo sguardo verso di lui, con gli occhi enormi e pieni adesso anche di emozione oltre che di vergogna e Atsumu sembra preso alla sprovvista per un momento. Si riprende e gli sbatte l’indice sul petto mentre continua a urlargli contro frasi sconnesse, di cui Hinata riesce ad assorbire solo comportarsi da ragazzino… infantile… pericoloso… impulsivo e senza la minima considerazione per gli altri e un rischi di compromettere il mio mondiale e non te lo permetto.
Atsumu ha i capelli sudati attaccati al viso, il viso arrossato, il fiato corto per la stanchezza e per la sfuriata in corso, la tuta attillata lascia ben visibile la linea dei muscoli sulle braccia e sull’addome e Hinata rimane per un momento bloccato a guardarlo. Può capire perchè sia così popolare come pilota. Hinata ha ancora in circolo l’adrenalina della gara, il tremore per il pericolo scampato. Non sa perchè lo fa, forse ha solo bisogno di sentire il contatto fisico che gli ricordi che veramente è caduto in pista e non si è fatto nulla, dopotutto è la sua prima caduta nella massima serie.
Allunga le mani, afferra Atsumu per la tuta e lo tira in basso fino a baciarlo. Atsumu si blocca per un attimo, sorpreso dal gesto dell’altro. Hinata si immobilizza, rendendosi improvvisamente conto di quello che ha fatto.
“Pensi di distrarmi così?”, gli chiede Atsumu, ma la sua voce si è fatta più bassa e più roca.
Hinata scuote la testa e si passa la lingua sulle labbra secche.
Atsumu lo bacia di nuovo. E’ un bacio famelico, forte e affamato, non c’è nulla di tenero. E’ tutto denti, lingua e aggressività.
Atsumu fa tutto come corre in pista, con passione e pieno trasporto. Morde il labbro inferiore di Hinata e Hinata si lascia scappare un sospiro. Può giurare che Atsumu sorrida contro le sue labbra e lui, per cancellargli quel sorriso, lo morde a sua volta.
Atumu lo afferra e lo spinge verso una parete libera, lo sbatte contro il muro e gli afferra una coscia, fino a portarsi la sua gamba all’altezza della vita. Hinata capisce, tenendosi sulle spalle di Atsumu gli stringe le gambe intorno al bacino e se lo tira più vicino. Atsumu tiene le mani sulle sue natiche, lo tiene sollevato come se non pesasse niente. Hinata non può che meravigliarsene, nonostante sappia che per sollevare oltre centocinquanta chili di moto la forza sia necessaria. Atsumu scarica parte del peso di Hinata contro il muro e libera una mano, che risale sulla nuca di Hinata, gli si incastra tra i capelli e gli tira indietro la testa, per approfondire meglio il bacio. Hinata cerca di riprendere il controllo, ma è costretto ad arrendersi, si lascia andare e il suo corpo si rilassa tra le braccia dell’altro, lascia che sia Atsumu a controllare tutto. La mano di Atsumu passa poi alla zip della sua tuta, gliela slaccia con un solo gesto secco e fa un verso sorpreso quando vede che Hinata, sotto, non indossa la maglia attillata che la maggior parte dei piloti utilizza, gli osserva la pelle chiara che viene scoperta dalla tuta e si passa la lingua sulle labbra. Hinata approfitta della distrazione per finire di slacciare la tuta di Atsumu. Passando la mano sente che Atsumu è già duro. Non che lui sia messo meglio, lo sa. Scende con la mano fino ad accarezzare la sua lunghezza, in modo lento e delicato, tenendo gli occhi fissi sul viso di Atsumu per osservare la sua reazione. Atsumu non sfugge al suo sguardo, lo guarda con aria di sfida e ancora quel mezzo sorrisetto sulla faccia, ma stavolta Hinata sa come farglielo sparire. Ricambia il sorriso, poi aumenta la pressione della mano sulla sua punta.
Atsumu scatta si lascia scappare un gemito strozzato e poi attacca la pelle lasciata scoperta dalla tuta, cercando di soffocare altri gemiti contro la pelle sudata di Hinata. Gli attacca il collo e alterna baci a morsi. Hinata è sicuro che il giorno dopo ci saranno segni, per fortuna hanno due settimane prima della gara successiva.
Atsumu allinea meglio il bacino a quello di Hinata, spinge contro l’erezione di Hinata e quello geme, mandando la testa indietro contro il muro. Le braccia di Atsumu che lo tengono cominciano a tremare per la tensione e soprattutto non hanno ancora molto tempo prima che qualcuno decida di entrare per controllare se Atsumu l’ha ucciso e sta perdendo tempo a nascondere il cadavere.
Hinata stringe la mano intorno alle erezioni di entrambi, le fa strusciare insieme. La sua mano è piccola e riesce a malapena a tenerli insieme, ma arriva in aiuto la mano di Atsumu, che si stringe alla sua. Insieme si muovono, sono entrambi vicini al limite per l’adrenalina e per il tempo che hanno passato a stuzzicarsi a vicenda. Atsumu aumenta la pressione, Hinata sente la propria erezione contrarsi, viene poco dopo con un gemito strozzato. Atsumu continua, ancora poche spinte che sull’erezione ormai esausta di Hinata sono quasi troppo. Atsumu viene nascondendo il gemito in un nuovo morso alla clavicola di Hinata.
Atsumu lascia scendere Hinata, gli tremano leggermente le gambe ed è costretto ad appoggiarsi al muro. Atsumu rimane davanti a lui, si avvicina e appoggia la fronte contro la sua testa.
“Sono ancora arrabbiato”, gli dice cercando di riprendere fiato.
“Lo so. E io ho ancora intenzione di batterti”
Atsumu sorride, ma stavolta c’è qualcosa di diverso. La scintilla di qualcosa che HInata riconosce come l’emozione di una sfida tra pari e Hinata, stavolta, non ha voglia di cancellare quel sorriso dalla faccia. Lo ricambia in un accordo silenzioso. Comunque vada il campionato, la loro rivalità sarà la cosa più spettacolare che il pubblico vedrà. Lo sanno entrambi, non ci sono dubbi. Quella è una promessa.

Due settimane dopo Hinata monta sulla sua moto, pronto per un nuovo giro di qualifiche. Quello che è successo alla gara precedente è ormai dimenticato del tutto. Esce dal box e incrocia Atsumu sulla pit lane, ha la visiera alzata e gli sorride.
Beh, quello che è successo alla gara precedente si può dire che sia quasi del tutto dimenticato.
Hinata ha intenzione di prendersi la Pole che ha sfiorato alla gara precedente, ha voglia di riprendersi quello che sente gli spetti e ha voglia di prenderselo proprio combattendo contro Atsumu. E, una volta finita la gara, vuole prendersi di nuovo tutto quello che Atsumu può dargli, e stavolta non in uno sgabuzzino. Seguire l'adrenalina e lasciarla sfogare pienamente questa volta.
Hinata ricambia il sorriso. Insieme si abbassano la visiera, oscurata per filtrare i raggi del sole. Insieme arrivano fino all’imboccatura del circuito, insieme cominciano il giro con un ritmo abbastanza blando, giusto per far riscaldare il motore e le gomme. Insieme cominciano ad accelerare il ritmo.
Le gomme sono calde, i motori a pieni giri, la linea del traguardo si avvicina. Hinata rallenta appena, facendo anche un piccolo inchino con la testa, per lasciare all’altro la possibilità di partire per primo per ottenere il miglior tempo. Oggi è solo una lotta di tempi, non c’è gara, non ci sono sorpassi, ma questo non vuol dire che uno dei due abbia alcuna intenzione di rinunciare a prendersi la testa della gara il giorno dopo. Hinata è sicuro che sotto il casco Atsumu stia sorridendo ancora, con quella scintilla di sfida negli occhi che Hinata ha ormai imparato a riconoscere.
Hinata raggiunge la linea di partenza e accelera.

human

Mar. 20th, 2020 10:42 pm
chasing_medea: (Default)
Titolo: human
Fandom: Voltron
Missione: M1 "Trust
Parole: 1111
Rating: nsfw

"Sei sicuro?”
Keith annuì deciso. Shiro strinse il nodo della benda che gli copriva gli occhi. Keith sentì il suo peso sollevarsi dal materasso e i suoi passi percorrere la stanza.
Keith, seduto sul letto con solamente un paio di pantaloni di tuta addosso, cominciava a sentire freddo.
"Se dici quiznak mi fermo -, disse Shiro, il tono non ammetteva repliche.
"Sì”
La stanza rimase in silenzio per qualche attimo, Keith cominciò a sentire la pelle fremere per il nervosismo.
"In piedi. Spogliati”, disse Shiro.
La sua voce era piena e calma come al solito, ma il sottofondo autoritario non sfuggì a Keith. Aveva imparato a riconoscere un ordine quando ne sentiva uno.
Si alzò in piedi, fece qualche passo verso il centro della stanza. Le gambe gli tremavano più di quanto volesse lasciar vedere, sentiva le guance bollenti, ma almeno la benda gli toglieva l’imbarazzo di dover guardare Shiro.
Non aveva alcun tipo di riferimento, la percezione del suo corpo era completamente diversa da quella a cui era abituato, ma riuscì a sfilarsi i pantaloni e farli cadere a terra.
“Voltati”, gli disse Shiro, la sua voce improvvisamente vicina.
Keith si voltò lentamente. Sentì il calore del corpo di Shiro vicino alla sua schiena, il suo respiro gli sfiorava l’incavo del collo, una ciocca di capelli gli sfiorò la spalla. Shiro percorse con un dito il suo avambraccio, dall’alto verso il basso, fino a sfiorargli l’interno del polso.
"Mani dietro la schiena -, gli sussurrò nel suo orecchio.
Keith provò un brivido di soddisfazione nel sentire che la sua voce si era fatta più scura e roca. Eseguì l’ordine e sentì qualcosa di pesante e freddo avvolgersi intorno i suoi polsi e scattare secco.
"Tutto bene?”, gli chiese Shiro a bassa voce nell’orecchio, la sua voce era tornata alle tonalità in grado di calmarlo.
Keith annuì.
Shiro si allontanò da lui. “In ginocchio”, gli ordinò.
Keith quasi crollò sul posto. Il tappeto era soffice sotto le ginocchia nude. Sentiva i passi di Shiro sul pavimento, ma non riusciva a capire dove fosse. Keith non aveva la concezione del tempo. Le ginocchia cominciavano a intorpidirsi, i muscoli delle cosce a tremare. Keith ebbe un attimo di panico, ripensò agli uomini con cui aveva sempre visto Shiro: erano sempre stati alti, muscolosi. Lui, al confronto, aveva un fisico più piccolo, longilineo, la sua muscolatura era allungata come quella di un ballerino, quasi femminile. Si chiese se Shiro, a vederlo finalmente nudo, avesse cambiato idea su quella storia.
"Non hai idea di quanto tu sia bello in questo momento"
La voce di Shiro si era fatta più roca, fece scorrere un brivido lungo la schiena di Keith. Ebbe l’istinto di coprirsi, ma le manette lo bloccarono, il rumore di metallo risuonò nella stanza. Poteva sentire lo sguardo di Shiro bruciare sulla sua schiena. La sua erezione cominciò a mostrarsi.
"Che cosa aspetti?", chiese a denti stretti.
"Sto pensando. Sto pensando da dove cominciare".
Keith sentì ancora più sangue affluire al suo intimo.
"Potrei cominciare piano”, continuò Shiro. “Dal collo, vedere quanto siano sensibili i tuoi capezzoli… Ti piacerebbe, credo. O potrei venire lì, spingerti la faccia sul tappeto e cominciare a prepararti senza troppe cerimonie”
La testa di Keith scattò in sù, un gemito gli sfuggì dalle labbra.
"Oh”, emise sorpreso Shiro. “Pensavo non potessi diventare più sexy e mi hai appena smentito”
"Fai qualcosa allora”
"Hai chiesto a me, quindi facciamo a modo mio”, rispose secco.
La mano di Shiro si poggiò sotto il suo mento e gli alzò la testa verso l’alto.
"Vorrei veramente vedere i tuoi occhi in questo momento. Saranno offuscati, semichiusi. Bisognosi. Vuoi che ti tocchi, non è vero Keith?”
Keith non riuscì a trattenere un gemito. Annuì.
"Puoi tirarti su?”
Keith cominciò ad alzarsi. Le gambe gli tremavano dopo essere stato in quella posizione per un po’, ma Shiro lo tenne. Keith sospirò al contatto con il corpo dell’altro, si protese ancora di più verso di lui.Indossava ancora tutti i vestiti, notò con disappunto.
Cominciò a passargli le dita sul petto, Keith si protese verso il contatto.
"Pazienza”, ridacchiò Shiro nel suo orecchio. Il suo fiato era caldo contro la sua pelle.
Keith gemette di disappunto.
“Sai, non riuscivo a crederci quando sei venuto a chiedermelo”. Gli lasciò un bacio sul lobo dell’orecchio. “Chiedermi di legarti, bendarti e farti quello che volevo”, la sua voce si era fatta ancora più roca.
Gli baciò la clavicola.
"Sei la persona di cui mi fido di più.”, rispose Keith.
Shiro gli baciò la spalla.
"Ma magari la prossima volta chiedo a Lance", lo provocò Keith. "Lui sarebbe andato direttamente al dunque”
Shiro gli morse la spalla, Keith gemette di piacere e di dolore insieme.
Lo depositò sul letto, le mani ancora legate dietro la schiena non la rendevano una posizione particolarmente comoda. Si sedette sopra di lui, le ginocchia ad entrambi i lati dei suoi fianchi. Cominciò ad accarezzargli i fianchi con una mano e continuò a baciargli il collo.
"Entrambe”, gemette Keith inarcandosi contro il materasso. "Entrambe le mani”
"Pensavo non volessi…”
Lasciò la frase in sospeso, ma Keith sapeva cosa volesse dire – quella mano era Galra, faceva parte di ciò da cui stava cercando di scappare.
"Voglio tutto quello che puoi darmi”
Le due mani di Shiro gli percorsero i fianchi, mentre le sue labbra andavano ad attaccare un capezzolo, lo mordicchiò delicatamente e Keith emise un gemito acuto.
Continuò a scendere.
Keith si sentiva già al limite. “Ti prego”
Cominciò a prepararlo. Keith aveva la testa schiacciata sul cuscino di lato, mentre la mano di Shiro spingeva dentro di lui con sempre più forza, scopandolo con due dita.
"Dimmi cosa vuoi”
Keith non rispose.
"Parlami Keith, altrimenti non so cosa vuoi”
"Voglio sentirmi umano, voglio sentirmi solo umano, voglio dimenticare di essere Galra. Ti prego. Fammi sentire umano”
Shiro entrò in lui.
"Grazie”, gli disse improvvisamente Shiro. “Grazie per permettermi di fare questo"
Erano mesi non lo faceva, gli ci volle un po’ ad abituarsi all’intrusione.
Cominciò a spingere dentro di lui senza pietà, si angolò in modo da andare a colpire la sua prostata.
"Posso baciarti?”
Keith annuì.
Shiro lo baciò e c’era qualcosa in quel bacio che lo fece sentire così umano da portarlo sull’orlo delle lacrime, la benda si inumidì. La cura, l’attenzione, l’affetto. La devozione.
Vennero entrambi.
Gli sciolse le mani dalle manette.
Gli accarezzò i polsi, massaggiandoli per fargli riprendere la circolazione.
Lo tenne stretto, senza togliere la benda.
Keith gliene fu grato, si nascose nel suo petto e Shiro lo tenne stretto.
Quando si decise a togliere la benda, la prima cosa che vide fu il sorriso rassicurante di Shiro.

(un)lost

Mar. 18th, 2020 06:13 pm
chasing_medea: (Default)
Titolo: (un)lost
Fandom: Haikyuu
Missione: M4 - storia divisa a metà, due pov + arranged marriage
Parole: 7777
Rating: nsfw
Note: lievi riferimenti a sangue/scene che potrebbero dar fastidio



Hinata uscì sul balconcino, coperto solo da un lenzuolo di morbido cotone bianco, le ali bianche erano raccolte dietro la schiena. Il balconcino si affacciava direttamente sul mare, davanti a lui non vedeva nulla, se non la distesa blu dell’oceano. Sapeva che c’erano altre persone lì oltre a lui, eppure stare lì lo faceva sentire sul tetto del mondo, quasi come se fosse sulla cima di una scogliera senza nulla intorno.
Chiuse gli occhi e, con un sorriso sulle labbra, inspirò a fondo l’aria di mare.
Un paio di braccia si strinse intorno alle sue spalle.
Hinata voltò leggermente la testa. Kageyama, ancora con gli occhi chiusi, lo aveva raggiunto e aveva appoggiato la testa nell’incavo del suo collo.
“Ehi”, gli mormorò.
Kageyama diede un piccolo bacio sul suo collo.
“Che ci fai qui?”, gli chiese con la voce ancora impastata dal sonno, le labbra si muovevano contro la pelle di Hinata.
“Mi piace il mare”
Kageyama annuì, ma non si mosse da lì.
Hinata chiuse nuovamente gli occhi e inclinò la testa verso l’alto, godendosi il calore del sole sul viso e quello del corpo di Kageyama contro la sua schiena.
*

Hinata sperava che quel viaggio non finisse mai. Non aveva la minima idea del perchè suo padre avesse deciso di inviare lui come rappresentate del regno a quello stupido torneo, dal momento che non gli era neanche concesso partecipare. Poteva solamente rimanere lì a guardare i cavalieri combattere e ad applaudire. Per non parlare del fatto che non vedeva Kageyama da anni. Kageyama era sempre stato un po' strano, sempre imbronciato e sempre sule sue. Quando erano entrambi piccoli le visite della sua famiglia al castello erano state piuttosto frequenti, si poteva dire anche che fossero quasi diventati amici, ma a un certo punto si erano interrotte e Shoyo aveva quasi dimenticato la sua esistenza.
Shoyo avrebbe voluto fare due chiacchiere con il valletto che lo stava scortando in quel viaggio, giusto per far passare un po' il tempo, ma quello sembrava volesse far finta di non esistere. Probabilmente era stato istruito di non disturbare il viaggio del pincipe.
Sospirà e tornò a guardare fuori dal finestrino della sua carrozza. Il paesaggio stava gradualmente cambiando: dai fitti boschi di campagna erano arrivati in pianura, ovunque si voltasse vedeva infinite distese verdi, alcune casette in legno distanziate tra di loro. Attraversarono alcuni villaggi di contadini che guardarono con curiosità la carrozza riccamente decorata che stava passando. Si bloccavano nel mezzo della loro attività e rimanevano a guardarla a bocca aperta, sporgendo i colli per cercare di vedere chi si nascondesse al suo interno. Ogni volta Hinata si schiacciava contro il sedile per evitare di essere visto. Lo aveva sempre imbarazzato essere trattato in quel modo, essere guardato in quel modo. Avrebbe semplicemente voluto essere lasciato libero di fare quello che voleva, invece era cresciuto con sempre qualcuno che osservava i suoi movimenti, pronto a lamentarsene con il primo membro della sua famiglia che fosse capitato a tiro.
Il paesaggio cambiò nuovamente. Shoyo era circondato da colline gialle, verdi brillanti o rosse per i fiori di campo risplendevano sotto il sole primaverile. Era molto diverso da quello che aveva sempre visto in montagna, dove era solo roccia e verde.
"Quanto manca ancora?", chiese al valletto seduto di fronte a lui, schiacciato in un angolo della carrozza per non disturbarlo.
"Non molto, mio signore", rispose formalmente.
Shoyo annuì e tornò a guardare fuori.
Fu dopo una collina che lo vide. Improvvisamente, davanti ai suoi occhi, comparve una distesa d'acqua blu cristallina che si allungava a vista d'occhio. Il colore dell'acqua era diverso da quello dei laghi di montagna a cui era abituato ed era agitata da piccole onde che si alzavano per il leggero vento che soffiava quel giorno. Shoyo spalancò gli occhi, appoggiò le mani al finestrino, avrebbe desiderato sporgersi ma le aperture troppo piccole non gli consentivano di farlo.
Quello doveva essere il mare. Ne aveva sentito parlare solamente nei suoi libri, ma non lo aveva mai visto. Fu un colpo di fulmine.
Se per avere quella vista per qualche giorno avrebbe dovuto sopportare un torneo di cavalieri, l'avrebbe fatto volentieri.
Hinata si perse ad osservare il panorama e vide solo all'ultimo momento il castello che cominciava ad apparire in lontananza. Era interamente costituito di bianco, aveva forme squadrate, come grandi blocchi di marmo di forme diverse messi l'uno di fianco all'altro e costruito proprio in cima alla scogliera, a picco sul mare. Era completamente diverso dai castelli in pietra scura che si trovavano nei regni di montagna.
La carrozza continuò a camminare, fino ad attraversare un grande cancello di ferro battuto. Hinata ebbe la prima vista dei giardini, enormi e pieni di fontane, riccamente decorate con statue e i cui zampilli d'acqua creavano effetti ottici particolari. La carrozza si fermò davanti a una grande scalinata anche quella completamente bianca e resa quasi accecante dalla luce del sole. Lì, ad attenderlo, vide Kageyama.
Era completamente diverso da come lo ricordava, l'espressione perennemente imbronciata era stata sostituita da una fiera e fredda. I tratti del viso erano affilati, i vestiti di, un blu scuro, gli cadevano perfettamente addosso, dandogli un'aria elegante e regale. Le grandi ali, nere come i capelli, erano piegate dietro la schiena. Teneva la schiena dritta e una mano appoggiata sull'elsa della spada.
Il valletto aprì la porta della carrozza e Hinata scese, le gambe erano intorpidite dopo tante ore di viaggio e per un attimo ebbe la sensazione che non reggessero il suo peso. Si avvicino titubante a Kageyama e si inchinò formalmente, sorridendogli per cercare di mascherare il suo nervosismo.
"Benvenuto", disse Kageyama. La sua voce era profonda e distaccata, come se non volesse essere lì più di quanto volesse Hinata.
"Grazie dell'invito", rispose Hinata raddizzando la schiena.
"Spero tu abbia fatto un buon viaggio"
"Molto tranquillo. I vostri genitori?"
"Avevano impegni che non hanno potuto rimandare, ma sei atteso per cena"
"Con molto piacere"
"I servitori vi scorteranno nelle vostre stanze"
"Grazie"
Hinata si inchinò ancora una volta, sperando che questo mettesse fine alla conversazione rigida e imbarazzata. Non poteva credere che avrebbe dovuto passare così i prossimi giorni.
Kageyama si inchinò a sua volta, si voltò e entrò nuovamente nel castello.
Dietro Hinata alcuni servitori avevano preso i suoi bagagli e avevano cominciato a portarli su per le scale. Hinata li guardò confusi chiedendosi se dovesse seguirli, ma un altro servitore venne in suo soccorso. Si affiancò a lui e si inchinò.
"Prego, mi segua, mio signore"
Hinata lo seguì all'interno del castello. Anche l'interno era completamente bianco, le poche decorazioni erano di un azzurro brillante. Hinata era talmente preso dall'osservare tutto che quasi andò a sbattere contro il servitore, che aveva seguito meccanicamente fino a quel momento, quando questo si fermò.
"Queste saranno le vostre stanze, all'interno è già stato organizzato tutto per permettervi di darvi una rinfrescata"
Hinata lo ringraziò e entrò in quella che sarebbe stata la sua stanza nei prossimi giorni. La prima cosa che vide fu l'enorme letto a baldacchino con le sue decorazioni azzurre, come tutto il castello. Quando vide la tinozza d'acqua calda tutto il resto passò in secondo piano.
Si chiese distrattamente come avrebbe fatto a ritrovarla, si era perso completamente il percorso.
Rinfrescato dopo il lungo viaggio, Hinata aprì il baule e indossò qualcosa di comodo ma elegante per la cena, sempre nei colori del nero e del rosso, quelli del suo regno. Come sempre, nonostante cominciasse a far caldo, indossò un mantello leggero per coprire le ali. Quando un servitore venne a chiamarlo per cena, Hinata era pronto.
Venne scortato attraverso i corridoi del castello fino alla sala da pranzo reale. Era un'ambiente ampio e luminoso, le giornate si erano allungate e la luce del tramonto entrava dalle ampie finestre, alcune candele erano state accese nei bracieri, ma ancora non erano strettamente necessarie.
La regina si avvicinò a lui con un largo sorriso e lo strinse in un abbraccio, le sue ali lunghe e sottili si avvolsero intorno al corpo di Hinata. Hinata dovette resistere alla tentazione di aggrapparsi a lei. Si era reso conto solo in quel momento di quanto sentisse la mancanza di un abbraccio materno. Da quando sua padre se ne era andata, non aveva più avuto nessuno che lo stringesse in quel modo. La regina sorrise e lo tenne stretto più a lungo di quanto fosse strettamente necessario, ma Hinata non aveva alcuna intenzione di districarsi dalla stretta.
"Shoyo", gli disse con voce dolce quando si decise a lasciarlo andare. Lo tenne per le spalle e guardò attentamente tutta la sua figura. "Quanto sei cresicuto", gli disse. "Vieni, accomodati. La cena sarà pronta tra poco".
Shoyo si accomodò al tavolo, la regina prese il posto a capotavola, Kageyama era di fronte a lui. Altri due posti erano apparecchiati, Hinata stava per chiedere chi dovesse raggiungerli per cena, quando la porta della sala si aprì nuovamente e HInata vide entrare Oikawa.
Oikawa era il cugino di Kageyama, divenuto un paio d'anni prima re del suo regno, a poca distanza da lì. Anche lui, da piccolo, aveva passato le estati con loro e il suo passatempo preferito era sempre stato far perdere le staffe a Kageyama, cosa anche abbastanza facile nel complesso. Hinata, però, si era sempre trovato bene con lui, nonostante fosse di qualche anno più grande rispetto a loro. Oltre a essere più alto non sembrava cambiato poi molto, anche se le sue ali color cioccolato erano diventate molto più ampie e imponenti, era visibile nonostante le stesse tenendo a riposo. Shoyo si alzò per andarlo a salutare, Oikawa gli sorrise, lo afferrò per il mento e osservò con attenzione i suoi lineamenti, con un sopracciglio alzato.
"Oikawa, lascialo stare", disse una voce dietro di lui.
Hinata voltò lo sguardo e vide Iwaizumi. Anche lui era stato spesso da loro, era il cavaliere
incaricato della scorta di Oikawa sin da quando avevano quindici anni.
"Guarda che bel faccino ha messo su! Ha sempre avuto gli occhioni, ma adesso guardalo. Potrebbe piegare imperi se imparasse a usarli nel modo giusto", commentò invece Oikawa non dando segno di averlo sentito e senza rilasciare il suo mento.
"Oikawa, lascialo stare e vieni a sederti", lo rimproverò bonariamente la regina. Oikawa lo lasciò andare.
"Ti ricordi di Iwa?", gli chiese. "Adesso è diventato re consorte!", annunciò Oikawa.
"Oh, congratulazioni?", disse Hinata incerto su quale dovesse essere la sua reazione a quella notizia.
Iwa non sembrò offendersi, ma neanche dare molta importanza alla cosa. Si limitò a prendere Oikawa e costringerlo quasi a mettersi seduto sulla sedia accanto al cugino. Hinata si sedette nuovamente e vide l'espressione scocciata sul viso di Kageyama.
In quel momento servitori cominciarono a portare piatti ricchi di pietanze fumanti. Solo in quel momento Hinata si rese conto di quanta fame avesse, ringraziò ancora per l'ospitalità e si fiondò sul cibo.
La cena procedette tranquilla, riempita prevalentemente dalle chiacchiere di Oikawa e dalle domande della regina, che voleva sapere come stesse suo padre, come andasse il regno e se quell'albero di ciliegio che amava tanto nei loro giardini fosse ancora vivo. Kageyama rimase in silenzio tutto il tempo, mentre Iwaizumi interveniva occasionalmente, la maggior parte delle volte per convincere Oikawa a darsi una calmata, soprattutto quando le sue domande vero Hinata cominciarono a farsi più impertinenti. Hinata rispose a tutto, sorseggiando vino per cercare di tenere a freno l'imbarazzo. Non sapeva bene come comportarsi davanti a loro. Quando era più piccolo era libero di fare quello che voleva, ma capiva che si aspettavano che ormai avesse le maniere di un principe. Solo che a Hinata le maniere da principe erano sempre state piuttosto strette.
Alla fine della cena, calò un silenzio confortevole sulla tavolata, tutti erano pieni e soddisfatti per la cena.
"Tobio, perchè non accompagni Shoyo a vedere i giardini?", disse improvvisamente la regina.
Kageyama annuì e si alzò dal tavolo, si avvicinò alla sedia di Hinata e gli offrì il braccio per aiutarlo ad alzarsi. Hinata la prese facendosi tutto rosso in viso e lo seguì nei giardini. Li aveva visti solo di passaggio quella mattina, ma di sera facevano tutto un'altro effetto. La notte era calata, e i bracieri sparsi per il giardino illuminavano le fontane in pietra bianca, dando sfumature rossastre sia alla pietra che all'acqua, la luce della luna immergeva tutto nella penombra dei racconti fantastici che il principe adorava leggere.
Kageyama si schiarì la voce mentre passeggiavano, evitava lo sguardo di Hinata anche lui in evidente imbarazzo.
"Allora", disse improvvisamente. "Le stanze sono di tuo gradimento?", chiese tanto per spezzare il silenzio.
"Sì, sono molto belle. Grazie", rispose Hinata più in imbarazzo di lui.
Hinata capiva solo in parte cosa fosse successo. Erano praticamente cresciuti insieme, ma nonostante questo un'aria imbarazzante gravava intorno a loro rendendo ogni tentativo di conversazione pesante. Quando erano piccoli non avevano mai avuto di quei problemi, passavano le loro giornate a discutere, è vero, ma dove erano loro non c'era mai silenzio.
Un brivido attraversò Hinata.
"Hai freddo? Vuoi rientrare?"
Hinata annuì, cominciava a fare freddo, ma non aveva veramente voglia di rientrare. Voleva solo sfuggire in fretta a quella situazione. Kageyama lo scortò fino alle sue stanze.
"Allora buonanotte", gli disse con un piccolo inchino.
"Buonanotte", gli rispose Hinata prima di infilarsi nella sua camera.

L'arena per il torneo era stata allestita poco distante dal palazzo, in una zona libera al di fuori dei cancelli del giardino. Subito dopo colazione Hinata venne scortato fino a una carrozza e da lì venne accompagnato fino all'arena. Lì venne fatto accomodare nel palchetto con la famiglia reale, accanto a lui la regina e dall'altro lato Oikawa, accanto a Oikawa, Iwaizumi sembrava contento quanto Hinata di essere lì e la cosa in parte lo consolò.
Non gli erano mai piaciuti i tornei, non capiva perchè come passatempo avrebbe dovuto starsene lì seduto a guardare cavalieri che combattevano al primo sangue.
Le trombe squillarono, risuonando per tutta l'arena, tra gli applausi fragorosi del popolo che era accorso, il torno iniziò. In ogni round veniva messa in palio un mazzo di fiori, chiunque vincesse il round aveva l'onore di prendere il mazzo e consegnarlo direttamente a Hinata, che era stato scelto come ospite d'onore di quel torneo. Ogni combattente lo consegnava con un piccolo inchino o un cenno di saluto al suo indirizzo. Hinata ogni volta si alzava dal suo posto e prendeva il mazzo di fiori con un sorriso gentile, cercando di nascondere il fatto che non avesse alcuna voglia di stare lì, dopotutto non era colpa dei cavalieri se lui era costretto a quelle formalità.
Il combattimento successivo sarebbe stato l'ultimo di quella prima giornata e a scendere in campo sarebbe stato Kageyama. Era l'unico della famiglia reale a partecipare a quel torneo e da tutti era dato come favorito per la vittoria. A quanto aveva capito Shoyo, era un combattente incredibile. La sua discesa in campo venne accompagnata dal grande entusiasmo del popolo, che si agitò sugli spalti impaziente di vederlo combattere. A Hinata bastò guardarlo per un attimo per rendersi conto di quanto quelle voci non gli rendessero giustizia. Nonostante non ci capisse molto di duelli, Hinata poteva vedere come Kageyama si muovesse con agilità ed eleganza, le grandi ali dispiegate rendevano la sua figura cupa e inquietante, il suo portamento era fluido e sicuro dei movimenti, non c'era nessun tipo di esitazione in quello che faceva. Appariva quasi spietato per quanto era efficiente. Hinata era sicuro che nessuno volesse trovarselo davanti in battaglia. Gli ci vollero meno di cinque minuti per ferire l'avversario al volto e mettere fine al combattimento, era stato l'incontro più veloce della giornata.
Raccolse il mazzo di fiori e si avvicinò al palchetto reale, lo consegnò a Hinata. Il suo viso era contrariato, come se non fosse soddisfatto del combattimento appena disputato. Hinata raccolse il mazzo di fiori con il solito sorriso gentile, ma Kageyama, non appena gli venne tolto il mazzo dalle mani, si allontanò senza neanche un inchino, andandosi ad infilare direttamente nella tenda allestita per lui intorno all'arena.
Hinata non vedeva l'ora di tornare nelle sue stanze, non aveva alcuna voglia di andare al banchetto organizzato per quella sera, ma sapeva di non avere scelta.
Rispetto al giorno prima il castello era molto più affollato, tutti i cavalieri che erano arrivati per partecipare al torneo alloggiavano dentro le mura del castello, i corridoi erano in pieno fermento e tutto fremeva per la preparazione del banchetto della sera.
Hinata riuscì a rientrare nelle sue stanze solamente per poco, giusto il tempo di cambiarsi e scendere nuovamente nella sala da pranzo, completamente diversa da come l'aveva vista la sera precedente. Il grande tavolo dove avevano cenato era stato disposto in fondo alla sala, altri tavoli ugualmente grandi erano stati disposti ai due lati di quello, creando una sorta di forma a ferro di cavallo. I posti erano apparecchiati uno vicino all'altro, sembrava veramente che non potessero starci tutti insieme visto quanto erano grossi alcuni dei cavalieri. Hinata venne fatto accomodare al tavolo centrale, alla sinistra di Kageyama. La sala fu presto totalmente piena del rumore di piatti, posate, risa, urla e battute, che rimbombavano all'interno delle pareti di pietra. Il trambusto era tale che Hinata non riusciva neanche a sentire cosa gli dicesse Oikawa, seduto alla sua sinistra. Si era sempre trovato bene in mezzo al caos, ma lì in mezzo non riusciva a non sentirsi a disagio e non riusciva a capire perchè. Non appena la cena fu terminata chiese alla regina e a Kageyama di scusarlo e uscì dalla sala.
Lasciatosi alle spalle il rumore del banchetto, i corridoi del castello apparivano spettrali per quanto erano silenziosi. L'idea era quella di andare diretto in camera sua, ma passando davanti all'ingresso principale venne raggiunto dalla brezza leggera dell'aria di mare della sera. Senza pensarci troppo uscì dalle porte e cominciò ad esplorare il giardino.
La sera prima non lo aveva potuto vedere quanto avrebbe voluto perchè la presenza di Kageyama lo metteva a disagio, ma quella sera era solo. Si prese il suo tempo per osservare nel dettaglio ogni fontana e ogni decorazione.
Raggiunse l'estremità del giardino, dove una ringhiera di ferro battuto affacciava direttamente sul mare. L'odore di salsedine lo colpì forte, rimase lì e respirò, sentendo la tensione accumulata in quella giornata scivolare via dal suo corpo. Gli succedeva ogni volta che aveva un incarico ufficiale, ogni volta che gli veniva richiesto di comportarsi da principe per un qualunque motivo. Si sentiva come se indossasse un corpetto troppo stretto per lui - non che ne avesse mai indossato uno, aveva solo provato una volta quello di sua madre per curiosità, e ricordava solo quanto si fosse sentito soffocare quei pochi secondi che lo aveva tenuto addosso, come le stecche gli impedissero qualunque movimento e sentisse il petto compresso, come gli mancasse il fiato solo per tenerlo addosso. Era quella la sensazione, quella di essere costretto in vestiti troppo stretti per lui, che gli irrigidivano la postura e gli impedivano di muoversi come avrebbe voluto, come sarebbe stato naturale per lui.
Sentì dei passi avvicinarsi dietro di lui, Hinata non si voltò. Kageyama lo raggiunse.
"E' un bel posto, qui", gli disse Kageyama.
Hinata annuì. "Molto bello. Di giorno, con il mare che si vede, lo deve essere ancora di più"
"Se ti piace tanto potremmo farlo organizzare qui il matrimonio".
Nonostante il buio Hinata potè vedere Kageyama arrossire. Poi ripensò meglio a quello che aveva detto.
"Aspetta. Quale matrimonio"
Kageyama spalancò gli occhi. "Il nostro matrimonio..." disse diventando ancora più rosso. "Noi dovevamo sposarci"
Hinata spalancò gli occhi e si gelò sul posto. "No, no… non è possibile… mio padre mi ha detto solo che dovevo venire per il torneo, non mi ha detto nulla di un matrimonio", disse con la voce che gli tremava.
"Il torneo era per il fidanzamento", spiegò Kageyama, non sapendo come gestire la situazione.
Hinata cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro per il giardino, con gli occhi che gli si riempivano di lacrime. Appoggiò la schiena alla ringhiera e si lasciò scivolare giù, fino a toccare terra, si portò le ginocchia al petto e si prese la testa tra le mani. Le lacrime cominciarono a scendere.
Kageyama si inginocchiò davanti a lui. "Vuoi dire che non ne sapevi nulla?", il tono della sua voce si era addolcito.
Hinata scosse la testa, tenendo gli occhi spalancati e fissi su un punto non meglio identificato del pavimento. Provò a dire qualcosa, ma riuscì solo a boccheggiare. Kageyama si allontanò un momento e tornò con le mani umide e fresche, doveva averle immerse nella fontana. Cominciò a passarle delicatamente sul viso di Hinata.
HInata lo lasciò fare, mentre le sue lacrime si tramutavano in singhiozzi che scuotevano tutto il corpo. Suo padre lo aveva mandato lì senza dirgli nulla, suo padre lo aveva mandato lì per sbarazzarsi di lui. Hinata non riusciva a togliersi di mente quel pensiero. Non voleva rimanere lì, non voleva sposarsi, ma non voleva neanche tornare a casa, con il timore di essere rispedito via. Sapeva di non essere tagliato per fare il principe, tanto meno il re, ma non credeva che suo padre sarebbe mai arrivato a tanto.
Kageyama fece un cenno a una delle guardie che pattugliavano il giardino e gli disse di mandare a chiedere dell'acqua. Dopo poco arrivò un servitore con una caraffa e un calice, li lasciò lì e si mise in disparte. Kageyama riempì il boccale e aiutò Hinata a bere, assicurandosi che lo facesse a piccoli sorsi. Hinata non aveva ancora detto una parola, ma a poco a poco il suo respiro sembrò regolarizzarsi.
"Mi manderai a casa adesso?", chiese Hinata all'improvviso. Alzò la testa, aveva gli occhi sbarrati. "Non voglio tornare a casa".
"Certo che no", gli rispose Kageyama. "Intanto è meglio che torni in camera".
Kageyama lo prese per un braccio e lo aiutà ad alzarsi. Le gambe di Hinata non sembravano molto stabili. Kageyama lo sostenne per tutto il tragitto, fino alle sue stanze.
"Ce la fai?", gli chiese quando furono sulla porta.
Hinata annuì, con il respiro ancora franto.
"Cerca di riposare", gli disse Kageyama con voce rassicurante, era la prima volta che Hinata lo sentiva così. "Domani cercheremo di capire cosa fare"
Hinata annuì e aprì la porta delle sue stanze.
"Shoyo", lo richiamò Kageyama. Era la prima volta che lo chiamava per nome, si rese conto. "C'è qualcosa di cui hai bisogno?"
Hinata sorrise per il pensiero.
"Nulla che possiate fare"
"Mettimi alla prova"
"C'era questo cavaliere alla corte di mio padre. Sawamura Daichi. E' stato esiliato poco dopo la morte di mia madre. Non ho idea di che fine abbia fatto, ma vorrei veramente parlargli in questo momento".
Il suo sorriso si fece triste, ma la sicurezza sul volto di Kageyama non vacillò neanche per un secondo.
Annuì e si allontanò da lì. Hinata entrò nella sua stanza e si sedette sul bordo del letto, ancora troppo sconvolto per fare qualcosa.

Kageyama percorse i corridoi silenziosi del castello fino a raggiungere la camera della madre. La donna si era tolta gli abiti eleganti che aveva indossato per il banchetto e aveva indossato qualcosa di più comodo.
"Tobio, tutto bene?", gli chiese non appena lo vide fare capolino alla porta della sua stanza.
Kageyama si sedette al tavolo delle sue stanze e cominciò a spiegare alla madre quello che aveva scoperto. La madre annuì pensierosa e si sedette accanto a lui.
"Non possiamo annullare il matrimonio", disse alla fine. "Troppi regni hanno stretto accordi con noi in virtù proprio di questo matrimonio, vorrebbe dire ricominciare tutto da zero. Non posso pensare che quel tizio lo abbia mandato qui senza dirgli nulla"
"Perchè non lo sapeva?", chiese Tobio.
"Con sua madre avevamo deciso di dirvelo quando sareste stati abbastanza grandi per comprendere, ma sua madre è venuta a mancare. Pensavo che il padre glielo avesse detto, non che lo avesse spedito via così"
Kageyama annuì. "Non possiamo rimandarlo a casa", disse deciso. "Lo rifarebbe"
"Lo so. Domani ci inventeremo qualcosa".
Sua madre si alzò dalla sedia, gli lasciò un bacio sulla fronte e così lo congedò.
Tobio si alzò da lì e si diresse verso la sua camera. Sapeva già che quella notte non sarebbe riuscito a prendere sonno.
La mattina dopo, a colazione, non appena sua madre vide Hinata lo strinse forte. Aveva le occhiaie profonde di chi non aveva chiuso occhio tutta la notte.
"Mi dispiace tanto, tesoro. Pensavo lo sapessi"
Hinata la strinse per un secondo, poi si sciolse dall'abbraccio e si sedette al tavolo. Toccò il cibo a malapena. Passò tutto il tempo a giocare con il cibo nel piatto, portando pochissimi bocconi alla bocca. Kageyama aspettò che avesse finito prima di proporgli di andare a fare un passeggiata nei giardini, sperando che la vista del mare lo ritirasse un po' su. Sembrava gli piacesse in modo particolare e Kageyama poteva capirlo: era vero che era cresciuto lì, ma questo non significava che non si rendesse conto della bellezza che si trovava davanti.
Hinata, alla domanda, alzò per la prima volta gli occhi dal tavolo.
"Non devi prepararti per il torneo?"
"Ho ancora tempo. Andiamo?"
Hinata annuì titubante e lo seguì nei giardini. Prima di accompagnarlo alla terrazza della sera precedente, Kageyama passò per le stalle per vedere se il suo cavallo fosse pronto per il torneo. Gli occhi di Hinata si illuminarono. Era il primo sprazzo dell'Hinata che aveva conosciuto da ragazzino che Kageyama vedeva da quando era arrivato al palazzo. Vide Hinata avvicinarsi timidamente ai cavalli. Lo stalliere gli fece un piccolo cenno di assenso e Hinata cominciò ad accarezzarne uno, sorridendo mentre lo faceva e sussurrandogli qualcosa che Kageyama, dal box del suo cavallo, non riusciva a sentire.
Accertatosi che fosse tutto okay, Kageyama raggiunse Hinata in silenzio e lo affiancò.
"Puoi sceglierne uno, se vuoi. Sarà il tuo cavallo"
"Davvero posso?", chiese Hinata con gli occhi che brillavano spalancati e puntati direttamente in quelli di Kageyama, che a stento trattenne l’istinto di fare un passo indietro e di arrossire.
Kageyama annuì.
Hinata abbassò lo sguardo. "Non hai paura che scappi?"
"E dove potresti andare?"
Gli occhi di Hinata si fecero improvvisamente tristi e Kageyama si maledisse. Non era quello che intendeva, ma non aveva la minima idea di come fare a correggere il tiro.
"Non ho intenzione di farlo, per la cronaca. Hai ragione. Non ho dove andare" ammise. Cominciò a camminare avanti e indietro nelle stalle, osservando i cavalli a uno a uno. "Il matrimonio si farà", aggiunse Hinata deciso. "Non sono uno sprovveduto, so come funzionano queste cose". Si prese un momento per guardare i cavalli. "Capisco che è necessario", aggiunse a voce più bassa. "Ed è probabilmente l'unica cosa che posso fare per servire il mio regno".
Kageyama non sapeva che ribattere. Non ci aveva mai riflettuto molto sull'idea del matrimonio combinato in generale, sapeva che era così che dovevano andare le cose, ma pensare che fosse tuto diverso e sentirselo piombare sulle spalle da un momento all'altro non doveva essere facile. Lui era solo contento che gli fosse capitato qualcuno come Hinata, ma se sposarlo avesse significato spegnerlo avrebbe preferito non farlo affatto.
Hinata si avvicinò a un cavallo con gli occhi scuri e il manto talmente scuro da avere riflessi blu.
"Mi piace questo", disse.
"Quello è pericoloso", avvertì Kageyama, ma Hinata aveva preso la sua decisione.
Si avvicinò piano e allungò la mano cercando di non sembrare minaccioso. Sorrise al cavallo, come se il cavallo potesse notare la differenza. Rimase a distanza di sicurezza fermo.
Kageyama osservava la scena poco distante.
Il cavallo fissava Hinata fermo nella sua posizione, mosse un passo nella sua direzione.
Kageyama fece un passo in avanti, pronto a tirare via l’idiota se la situazione si fosse fatta pericolosa, aveva tutti i sensi all’erta.
Ma il cavallo si avvicinò e poggiò il muso sotto la mano di Hinata e si lasciò accarezzare. Hinata fece un passo in avanti, e abbracciò il muso del cavallo continuando ad accarezzarlo.
"Guarda, Kageyama, gli piaccio", disse con quel solito stupido sorriso.
"Sai cavalcare?" gli chiese Kageyama.
Hinata annuì, con negli occhi qualcosa che somigliava a nostalgia. "Andavo sempre con mia madre", rispose. "Ma sono anni che non vado più"
"Come mai?"
Hinata si irrigidì per un secondo. "Mio padre", disse alla fine, "Sostiene che non è decoroso per un principe andare in giro a cavallo, dice che dovrebbe girare in carrozza. Dimostrare il proprio status", abbassò lo sguardo.
"Non ha torto"
"No, ma non sono bravo a fare le cose da principe". Hinata continuò ad accarezzare il muso del cavallo, ma il suo sguardo era perso. "Certe volte vorrei solo avere la libertà di prendere il mio cavallo e scappare nei boschi".
Kageyama capì in quel momento cosa ci fosse di sbagliato in tutta quella visita. Ogni volta che aveva visto Hinata avevano fatto di tutto, tranne comportarsi come i principi che erano. Li avevano lasciati fare perchè erano piccoli, perchè erano poco più che bambini, ma non lo erano più e tutti si aspettavano che si comportassero da principi adesso. E Kageyama si era sforzato con tutto sè stesso per farlo, aveva messo da parte tutto quello che era per apparire dignitoso, pienamente a proprio agio nel suo ruolo, per apparire un compagno desiderabile agli occhi di Hinata. E Hinata aveva fatto la stessa cosa, aveva fatto di tutto per comprotarsi in maniera adeguata, ma quel comportarsi in maniera adeguata lo spegneva dentro, lo snaturava.
A Kageyama venne da ridere al pensiero di quanto fossero stati idioti entrambi.
"Monta a cavallo", disse. "Andiamo a farci un giro"
Hinata spalancò gli occhi. "Cosa? Ma il torneo?"
"Non c'è nessun avversario particolare, posso vincerlo a occhi chiusi"
Hinata lo guardò stranito, come se non sapesse se scoppiare a ridere o alzare gli occhi al cielo.
Kageyama anche montò a cavallo e insieme partirono verso il bosco poco distante dal castello. Quel giorno il torneo si sarebbe disputato senza l'ospite d'onore.
Tornarono al castello che era quasi notte ormai. Il torneo era terminato da un pezzo e la madre di Kageyama non sembrava minimamente turbata dalla scappatella di quel giorno. Si era messa a ridere quando Kageyama gli aveva detto che cosa aveva fatto solo perchè Hinata sembrava triste. Kageyama era arrossito davanti alla risata della madre, senza capire bene perchè si sentisse così in imbarazzo o che cosa sua madre ci trovasse di tanto divertente.
"Siete sempre stati così", disse sua madre quando si fu calmata. "Shoyo faceva gli occhioni e tu avresti fatto qualunque cosa".
Kageyama divenne ancora più rosso.
"Sei fortunato che è buono e che non se ne rende conto, sarebbe in grado di farti dichiarare guerra a qualcuno", continuò la madre.
Kageyama borbottò qualcosa e si allontanò da lì. Si sentiva ancora le guance in fiamme, ma l'aria fresca che entrava nei corridoi dalle grosse finestre aperte gli diede un po' di sollievo.
Camminando per i corridoi sentì dei rumori strani, sembrava il lamento di qualcuno. Tese l'orecchio e accelerò il passo, cercando di individuare la fonte dei rumori. Più si avvicinava più sembrava il pianto di qualcuno in difficoltà. Si ritrovò nel corridoio del secondo piano, continuò a sentire i rumori. Arrivò davanti alla camera di Hinata. Il suono si era fatto più forte. Appoggiò l'orecchio alla porta e non ci furono più dubbi. Hinata aveva qualcosa che non andava. Tirò fuori dallo stivale il pugnale piccolo, quello che portava sempre con sè anche quando era apparentemente disarmato nel comfort del suo palazzo, e spalancò di scatto la porta.
Hinata era in un angolo della stanza, di fronte al grande specchio d'oro nell'angolo, era senza maglietta e dava le spalle allo specchio. Il suo viso era rigato dalle lacrime, c'era sangue sulle sue mani. Si immobilizzò sul posto e guardò Kageyama con gli occhi sbarrati. Kageyama era sotto shock quanto lui.
Si guardò intorno per la stanza e fu allora che le vide: sparse intorno ai piedi di Hinata c'erano delle piume, candide come la neve e macchiate di sangue. Kageyama alzò nuovamente lo sguardo su Hinata, ma stavolta guardò dietro di lui, guardò nello specchio e vide per la prima volta le sue ali.
L'osso dell'ala era nudo, poche piume bianche restavano attaccate, le altre sembravano essere state staccate ad una ad una con le mani. Kageyama sentì un fremito alle sue stesse ali al pensiero di quanto potesse essere dolorosa una cosa del genere.
Hinata sembrò riscuotersi, avanzò verso di lui e fece per spingerlo via, ma Kageyama lo afferrò per i polsi e se lo strinse addosso, lasciando che Hinata nascondesse la testa nel suo petto. I singhiozzi ripresero, ma erano diversi stavolta, non piangeva più per il dolore fisico.
Kageyama avrebbe voluto fare centinaia di domande, ma non era sicuro di come cominciare, non era sicuro che fosse il suo ruolo quello di fare domande. Quando Hinata sembrò essersi calmato, Kageyama si allontanò da lui, recuperò il suo mantello, quello che usava sempre per tenere coperte le ali, e lo coprì.
Strinse un braccio intorno alle spalle di Hinata e cominciò a camminare.
"Dove andiamo?", chiese Hinata con voce roca, lasciandosi guidare docilmente.
"Dal medico di corte"
"Non ho bisogno di un medico"
"Deve far male"
Hinata non rispose.
Camminarono per i corridoi fino a raggiungere lo studio del medico. Il medico li fece accomodare, fece sedere Hinata su un tavolo e sbiancò quando Kageyama tolse il mantello per mostrargli la situazione. Si scusò e si rinchiuse nel suo stanzino alla ricerca di qualcosa in particolare. Tra Hinata e Kageyama calò in silenzio pesante. Kageyama, imbarazzato, faceva vagare lo sguardo in giro per la stanza del medico, cominciò a contare i barattolini con strane polveri esposti sulla mensola.
Fu Hinata a romperlo.
"E' tutta colpa di queste stupide ali", disse.
Kageyama riportò lo sguardo su di lui.
"Mio padre le ha sempre odiate. Me le ha sempre fatte nascondere", continuò Hinata tenendo lo sguardo basso. "E' sempre stato convinto che un corvo bianco non potesse essere re. E' per questo che mi ha mandato via non appena ne ha avuto la possibilità"
"Allora è più idiota di quanto credessi", sentenziò Kageyama.
Hinata alzò di scatto la testa, con gli occhi spalancati. Una piuma si staccò dalla sua ala e cadde ai piedi di Kageyama, che si inchinò per raccoglierla. Ci fece scorrere il dito. Era morbida al tatto.
"Devono essere bellissime", disse tenendo lo sguardo fisso sulla piuma. Pensò a come potesse essere far scorrere la mano sull'intero piumaggio di Hinata.
Il medico tornò poco dopo con un unguento e un infuso caldo. Disse a Hinata di bere l'infuso per far diminuire il dolore, intanto cominciò a spargere l'unguento sulle ali. Hinata rabbrividì per il dolore. Kageyama si avvicinò a lui e gli prese le mani tra le sue, per evitare che si rovesciasse l'infuso caldo addosso. Hinata alzò lo sguardo verso di lui.
Rimasero bloccati così per qualche attimo. Fu la voce del medico a interromperle il momento.
Kageyama si allontanò di scatto, coprì nuovamente le ali d Hinata e lo scortò nuovamente in camera. Senza chiedere il permesso entrò con lui e quando Hinata si sedette sul bordo del letto si sedette accanto a lui.
"Perchè lo hai fatto?"
Hinata abbassò la testa, cominciò a giocare nervosamente con le mani, tenendole talmente strette tra di loro da far diventare le nocche bianche. "Ho pensato che se le avessi viste non avresti più voluto sposarmi e non avrei avuto un posto dove andare"
Kageyama si sentì come se l'avesse appena colpito una coltellata. Non sapeva se dargli una botta in testa per dirgli quanto era stato stupido o stringerlo per dirgli che non l'avrebbe mai mandato via per una cosa del genere. Allungò la mano verso quelle di Hinata, lo convinse a rilasciare la stretta e intrecciò le sue dita a quelle di Hinata ora libere. La sua mano era piccola rispetto a quella più grande di Kageyama. Kageyama fece passare il pollice sul dorso della mano di Hinata. Notò che era ancora macchiata di sangue. Si alzò dal letto e prese il catino con l'acqua. Si sedette nuovamente accanto a Hinata e cominciò a pulirgli delicatamente la mano con una pezza. Lasciò un piccolo bacio sul dorso della sua mano quando ebbe finito.

Il torneo, alla fine, non lo vinse Kageyama, che dopo la scappatella della seconda giornata non era più potuto rientrare in gioco. Guardò il resto del torneo seduto accanto a Hinata, sul palchetto della famiglia reale. In compenso, adesso Hinata aveva capito perchè gli venissero riservati tutti quegli onori. Hinata teneva ancora le ali coperte quando era in pubblico, ma alcune piume avevano già cominciato a ricrescere. Kageyama non vedeva l'ora di vederle complete. Hinata, in quei pochi giorni, era sembrato a poco a poco rasserenarsi, stava cominciando a somigliare sempre di più al ragazzino che si metteva sempre nei guai che Kageyama ricordava. A vederlo così un peso si era sollevato dal petto di Kageyama, all'idea che potesse stare bene lì e potesse adattarsi. Quella sera era stato il loro punto di partenza.
Kageyama aveva anche deciso di rimandare il matrimonio. Se doveva sposare Hinata, lo voleva fare con tutte le sue ali bianche in bella mostra.
"E poi andremo a trovare tuo padre. Entrerai in città a cavallo con le ali in bella mostra", disse Kageyama con la testa appoggiata sul grembo di Hinata.
Hinata rise e tirò indietro la testa.
Erano seduti in un lato un po' più nascosto del giardino, si stavano godendo il sole estivo che faceva risaltare ancora di più il bianco del castello e che faceva profumare il giardino.
Kageyama si perse a guardarlo. Il suo viso si era disteso in quel periodo che aveva passato al castello. Forse l'essere accettato, forse lo stare lontano da suo padre. Kageyama aveva anche cominciato a coinvolgerlo nelle decisioni che riguardavano il regno. Hinata inizialmente era stato restio, fino a che Tobio non gli aveva spiegato che, se doveva essere il suo consorte, lo voleva come alleato anche in quel frangente: non se ne faceva nulla di un consorte che lo fosse solo di facciata e che non prendesse parte minimamente alle decisioni del regno. Quello sarebbe diventato anche il suo regno dopotutto. Hinata alla fine aveva ceduto e aveva cominciato ad aiutarlo. Era buono e compassionevole, Hinata, ma sapeva anche essere deciso. Addolciva i lati più duri di Kageyama, in quei pochi mesi era arrivato a capirlo come nessuno prima. O forse veramente Kageyama si era addolcito a stare con lui.
Almeno questo era quello che sosteneva Oikawa. Lo aveva preso da parte un giorno per dirgli quanto fosse cambiato da quando Hinata era arrivato. Kageyama aveva negato, ma da quel giorno le sue parole avevano continuato a ronzargli in testa. Aveva notato come anche le guardie avessero smesso di irrigidirsi quando passava e sembrassero in generale più cordiali nei suoi confronti. Eppure lui non si sentiva molto cambiato.
Hinata abbassò lo sguardo e vide che Kageama lo stava fissando.
"Ho qualcosa sulla faccia?", chiese preoccupato.
Kageyama, senza pensare bene a quello che stava facendo, allungò un braccio e mise una mano dietro la nuca di Hinata, se lo tirò contro e lo baciò.
Hinata rimase immobilizzato per un secondo, Kageyama si bloccò appresso a lui, preoccupato di aver fatto un casino, ma Hinata ricercò subito le sue labbra.
"Idiota", disse poi allontanandosi e raddrizzando nuovamente la schiena. "Non puoi prendere e fare così all'improvviso".
"Così come?"
"Così", ripetè gesticolando l'intera figura di Kageyama.
"Non ho capito", disse Kageyama, ma scuoteva la testa mentre lo diceva.
Hinata sbuffò esasperato, ma stava sorridendo anche lui. Si piegò nuovamente e rubò un altro bacio a Kageyama.

Per il matrimonio venne allestito il giardino, quel posto che tanto aveva affascinato Hinata. Dalla ringhiera si poteva vedere il mare che risplendeva sotto la luce estiva. Un grande gazebo era stato disposto sull'erba per riparare gli ospiti e gli sposi dal sole cocente. Kageyama camminava nervosamente avanti e indietro per la sua stanza, ancora insicuro che quella fosse la scelta giusta per il regno e per sè, ma Hinata sembrava completarlo e capirlo come nessuno era mai stato in grado di fare. Kageyama poteva andare da lui, dirgli che quel giorno non se la sentiva di fare il suo dovere e Hinata sarebbe scappato con lui in capo al mondo o sarebbe stato in grado di farlo tornare a fare il suo lavoro senza esitazione, perfettamente in grado di leggere la situazione.
Kageyama sentì bussare alla porta della propria camera. Entrò un ragazzo con i capelli grigi, un sorriso dolce e grandi ali bianche che somigliavano a quelle di un cigno.
"Suga!", disse Kageyama non appena lo vide. "Pensavo non riuscissi a venire"
Sugawara sorrise. "Non mi sarei mai perso il tuo matrimonio"
Sugawara era un orfano, era stato cresciuto alla corte. Aveva un paio d'anni più di Kageyama ma erano cresciuti insieme come fratelli. Kageyama si era rattristato al pensiero di sposarsi senza di lui, ma ce l'aveva fatta a venire. Sugawara si occupava di incarichi diplomatici per conto del regno e passava veramente poco tempo al castello.
Suga si avvicinò a lui e lo aiutò a sistemarsi il vestito.
"Non mi chiedi se sono sicuro?", gli chiese Kageyama, che si aspettava che Suga gli facesse tutte le sue raccomandazioni.
"Lo so che lo sei", gli sorrise Suga. "L'hai scelto che eri appena un bambino"
Kageyama lo guardò alzando un sopracciglio.
"Mi ricordo com'eri quando eri con lui", riprese Suga. "Eri... felice? Non so. So solo che sembravi un bambino vero. Non credo avresti mai permesso a nessun altro di chiamarti idiota senza ripercussioni"
Kageyama distolse lo sguardo imbarazzato. Ricordava quello che gli aveva detto sua madre e non era molto diverso. Si chiese se veramente fosse stato così da bambino, ma l'unica cosa che riusciva a ricordare di quelle trasferte erano i guai in cui si andava a cacciare per seguire Hinata.
Suga lo scortò in giardino, dove fu raggiunto da Hinata. Accanto a lui vide un ragazzo più grande di loro di qualche anno, aveva corti capelli neri e spalle larghe, le ali erano nerissime e non particolarmente grandi. Doveva essere il cavaliere di cui Hinata gli aveva parlato. Aveva mandato alcuni soldati a cercarlo, era contento che lo avessero trovato e che HInata non fosse completamente solo lì. Accanto a lui sentì Sugawara irrigidirsi nel guardare il nuovo arrivato. Era rimasto bloccato sul posto, con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta. Hinata si voltò verso di loro e il suo sguardo si bloccò su Sugawara. Sulle sue ali bianche come le sue. Quando anche lo straniero alzò lo sguardo e incontrò quello di Suga ebbe la stessa reazione.
"Lo conosci?", chiese Kageyama a Sugawara.
"No, ma mi piacerebbe", rispose.
Non si era mai contenuto su quelle cose, a Kageyama venne da ridere e si sentì consolato al pensiero che in fondo non fosse cambiato.
Hinata si avvicina a lui, elegantissimo nei suoi abiti interamente neri che contrastano le sue ali grandi e bianche. Sono ancora più belle di quanto Kageyama avesse potuto immaginare e non riesce ancora a credere di aver rischiato di non vederle, che Hinata era arrivato a odiarle al punto di distriuggerle pur di non subire ancora un altro rifiuto. Al solo pensiero stringe i pugni e vorrebbe riversare l'intera sua furia contro il padre di Hinata.
Hinata lo guarda inclinando la testa di lato.
"Perchè sei arrabiato?"
"Non sono arrabiato"
"Sì che lo sei"
"Non lo sono"
"Non so se ti voglio sposare mentre sei arrabbiato"
"Ti ho detto che non lo sono!"
Ma Hinata ride e Kageyama sente qualcosa sciogliersi in lui, come accade ogni volta.
"Andiamo, brontolo! Aspettano solo noi"
Kageyama annuisce e lo segue, prendono i loro posti all'altare. Accanto a Kageyama c'è Sugawara, Daichi è accanto a Hinata.
La cerimonia è breve e concisa, il banchetto che ne segue non lo è.
Kageyama vorrebbe solo andare a rifugiarsi nella sua nuova stanza con quello che è adesso suo marito, prendersi quell'ultimo frammento di lui che ancora non si è preso perchè, testardo, almeno su quello aveva voluto rispettare le tradizioni. Hanno fatto di tutto, ma non hanno mai fatto sesso. Anche perchè Kageyama aveva avuto paura che Hinata, rendendosi conto di quanto mancasse di esperienza, decidesse che non valeva la pena sposarlo.
Quando finalmente il banchetto arriva alla fine, Kageyama quasi corre in camera con Shoyo al seguito. Sua madre ha lasciato che scegliesse lui quale dovesse essere la loro camera, e Kageyama ne ha scelta una al secondo piano, con un piccolo balconcino davanti che affaccia direttamente sul mare. La finestra è stata lasciata aperta per far entrare la brezza marina e Hinata si blocca un attimo a guardare la luce della luna che si riflette sull'acqua calma del mare di notte.
"Ho pensato potesse piacerti svegliarti e vedere il mare", gli dice Kageyama accanto a lui.
Hinata si volta, attacca le braccia al suo collo e lo bacia con trasporto e Kageyama lo sente quanto quel piccolo gesto sia apprezzato. Stringe le braccia intorno alla vita di Hinata e se lo tira più vicino, quanto più può. I baci di Hinata si fanno famelici, si approfondiscono. Kageyama comincia ad irrigidirsi nel contatto. Si è detto di stare calmo, si è detto che avrebbe saputo cosa fare, ma in quel momento ha dimenticato tutto, sa solo che vuole Hinata e vuole fare tutto nel modo migliore possibile, nel modo giusto. Non vuole sbagliare niente. Vuole che quella notte sia perfetta per Hinata quanto lo è già per lui.
Hinata lo sentì irrigidirsi e si allontana.
"Tutto bene?", gli chiede apprensivo. "Ho fatto qualcosa che non va"
Kageyama scuote la testa, appoggia la fronte a quella di Hinata e cerca di trovare le parole giuste per spiegargli come si senta in quel momento, ma come al solito Hinata lo legge.
"Nervoso?", gli chiede con un sorriso gentile.
E Kageyama annuisce, non sapendo bene che altro dire. Hinata gli sorride ancora, lo prende per mano e lo porta fino al letto. Lo fa sedere, gli fa distendere le gambe e appoggiare la schiena all'inferriata decorata. Si mette sopra di lui, con le gambe ai due lati del bacino di Kageyama e Kageyama si rende conto di quanto gli piaccia averlo così, sentirlo sopra di lui, in quel momento era lui ad avere il pieno controllo. Gli passa le mani sulla schiena.
"Non preoccuparti", gli dice HInata. Gli mette la mani tra i capelli, gli fa reclinare la testa indietro e lo bacia. "Per stavolta mi prenderò io cura di te".

first

Mar. 18th, 2020 06:10 pm
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Titolo: first
Fandom: Food Wars!
Missione: M3 - age difference + fanwork nsfw
Parole: 666
Rating: nsfw

C'è qualcosa di inebriante nel sapere che sarà lui a rubare tutte le prime volte di Yukihira. Il primo bacio, le prime carezze, il primo orgasmo raggiunto con mani non sue. Ma Shinomiya vuole spingersi ancora oltre, vuole fargli provare qualcosa di totalmente nuovo, qualcosa che non ha mai potuto sperimentare da solo.
Le sue labbra scendono lungo il corpo di Shinomya, percorrono la linea degli addominali appena accennata e sfiorano la pelle tenera. La lingua si infila nell'ombelico e Yukihira si lascia sfuggire un gemito, che cerca di nascondere coprendosi la bocca con la mano. Shinomiya sente la sua erezione, ancora confinata nei pantaloni, premere contro di lui, già completamente dura dopo quelle poche carezze e sorride. E' così giovane, gli ci vuole così poco per arrivare a quel punto.
Shinomiya scende ancora con le labbra, percorre la sua lunghezza da sopra la stoffa.
"Aspetta", prova a dirgli Yukihira, ma quello che esce sembra un gemito più di ogni altra cosa. Shinomya sostituisce le labbra con la mano e alza la testa per guardare Yukihira.
Ha tirato su la testa anche lui dal cuscino per guardarlo meglio, la linea dei suoi addominali è accentuata dal movimento. Shinomiya lo accarezza delicatamente, Yukihira socchiude gli occhi e si morde il dorso della mano mentre continua a guardarlo, qualunque cosa volesse dire gli si è bloccata in gola.
"Ti fidi di me?", gli chiede Shinomiya.
E Yukihira annuisce senza esitazioni, in un secondo. Shinomiya apre il bottone dei suoi jeans e li abbassa leggermente. Sente Yukihira tirare un sospiro di sollievo.
Lentamente Shinomiya abbassa anche i boxer. Yukihira si distende nuovamente sul materasso e lo lascia fare.
Shinomiya comincia a passare le labbra sulla carne tenera e bollente della sua erezione e il gemito che sfugge dalle labbra di Yukihira è delizioso.
Shinomiya percorre la sua lunghezza con la punta della lingua, Yukihira si irrigidisce solo per un momento prima di lasciarsi andare al piacere, inarca la schiena contro il materasso e Shinomiya sorride. Hanno appena iniziato ed è già in quelle condizioni.
Passerebbe giornate intere a nutrirsi solo dei gemiti di Yukihira. Si è ripromesso di non prenderlo fino a che non fosse stato maggiorenne, ma quando lo sente agitarsi così sotto di lui la tentazione di voltarlo e cominciare a prepararlo è forte. Solo immaginare che suoni potrebbe fare in quel contesto lo spinge quasi troppo vicino al suo limite. Deve esserci qualcosa nella gioventù di Yukihira che ha contagiato anche lui, perchè era dalle sue prime esperienze che non si beava così tanto del dare piacere a qualcun altro. Prima di lui tutti i suoi incontri erano stati egoisti, si era concentrato solo sul suo piacere, nonostante poi lo lasciassero freddo, erano stati poco più di una funzione fisiologica.
Le mani di Yukihira si artigliano alle lenzuola e Shinomiya decide che è arrivato il momento di smettere di stuzzicarlo. Prende delicatamente la punta di Yukihira tra le labbra, ci passa la lingua con attenziona e Yukihira quasi urla, volta la testa di lato e la affonda nel cuscino. Shinomiya lo prende un po' più in bocca, facendo attenzione a come muovere la lingua. Yukihira borbotta parole sconnesse nel cuscino, tiene tutti i muscoli in tensione per cercare di tenere fermo il corpo e Shinomiya conosce la sensazione. Ma Shinomiya non ha pietà, vuole tutto, vuole romperlo e fare in modo che rimanga suo, vuole essere il primo a contaminarlo. Vuole che comunque vadano le cose, Yukihira non possa dimenticarsi che sono state le sue le prime mani che gli hanno fatto provare piacere.
Shinomiya lo prende fino in fondo, sente la punta di Yukihira toccare il fondo della sua gola e lì Yukihira non ce la fa più, fa scattare in alto il bacino.
Comincia a muovere avanti e indietro la testa. Yukihira viene poco dopo. C'è qualcosa di inebriante nel guardare Yukihira che cerca di riprendere fiato, il corpo morbido tra le lenzuola di quella camera d'albergo, è sapere che il merito è suo.

warmth

Mar. 6th, 2020 12:43 pm
chasing_medea: (Default)
Titolo: Warmth
Fandom: Haikyuu
Prompt: M2 - Sudafrica
Parole: 260
Rating: nsfw

Nel buio Hinata non può vedere molto, può solo sentire. La brezza primaverile gli scompiglia i capelli. Sente il rumore del mare che sbatte contro la riva e torna indietro. Sente la sabbia fresca contro la sua schiena, quando la sua maglietta leggera viene sfilata via da due paia di mani perfettamente coordinate tra loro, abituate a lavorare in simbiosi. Sente un paio di labbra baciargli la scapola e un altro passare sul suo collo. Sente dita che gli accarezzano i fianchi e altre dita che si incastrano tra i suoi capelli, facendogli voltare la testa per rubare un bacio. Sente i gemiti di Atsumu e quelli più contenuti di Osamu. Il loro tocco è diverso, la loro voce è diversa, come sono diversi in tutto quello che fanno. Hinata li conosce da sempre, ormai ha imparato a distinguerli, può riconoscere la punta delle dita di Atsumu che gli sfiora la linea degli addominali e le mani agili di Osamu che vanno ad armeggiare con il bottone dei suoi jeans fino ad infilarsi dentro. Hinata si inarca all'indietro, spingendo la testa contro Osamu che gli ruba un’altro bacio, poi cerca le labbra di Atsumu. Sente il fiato di Atsumu contro il suo collo, scende alla ricerca del suo capezzolo. Hinata si lascia andare, sospira tra il calore dei loro corpi, con il loro fiato sulla sua pelle, con le dita cerca i loro corpi per tirarseli ancora più vicini, per
La sabbia è fresca contro la sua schiena, il mare risuona in sottofondo e Hinata sente calore intorno a lui.
chasing_medea: (Default)
Titolo: night whishes
Fandom: Haikyuu
Prompt/missione: M3 - Non commettere atti impuri
Parole: 560
Rating: nsfw


Hinata sapeva che non avrebbe dovuto. Quello che stava facendo era sbagliato da talmente tanti punti di vista che non sapeva da dove cominciare ad elencarli, ma non aveva abbastanza forza di volontà per smettere.
Nel buio della sua camera fece scivolare lentamente una mano lungo il suo corpo, fino a raggiungere l'elastico dei pantaloncini corti che usava come pigiama nelle calde notti estive. Infilò la mano al di sotto dell'elastico, immaginando che al posto della sua mano, ad accarezzarlo fosse quella grande e calda di Kageyama, con le sue lunghe dita affusolate e sempre perfettamente curate.
Ogni volta che vedeva Kageyama mettersi da una parte, subito prima degli allenamenti, per sistemarsi le unghie, Hinata non poteva fare altro che rimanere lì ad osservarlo incantato. Una parte di lui aveva cominciato anche a sedersi accanto a lui mentre lo faceva per guardarlo meglio. Aveva detto a Kageyama che lo faceva perchè voleva imparare e Kageyama incoraggiava sempre ogni suo sforzo per migliorare.
Quelle sessioni erano una benedizione e una maledizione per Hinata. Ormai le conosceva meglio delle proprie, sapeva che sensazione dessero quando gli afferravano la testa in uno scatto di rabbia, sapeva che sensazione dessero quando si stringevano intorno al suo polso durante una delle loro interminabili discussioni, sapeva quanto fossero calde quando si poggiavano sulla sua spalla quando la squadra si metteva in cerchio.
Sapeva che era sbagliato da tutti i punti di vista. Kageyama era un suo amico, era il suo migliore amico, era il suo partner, quel compagno di squadra che aveva agognato per anni e che finalmente aveva trovato. Non poteva rovinare tutto per delle stupide fantasie.
Mentre si accarezzava, però, non poteva fare a meno di immaginare come sarebbe stato sentire quelle dita stringersi intorno alla sua base e risalire fino alla punta. Piano, millimetro dopo millimetro, perchè Hinata era impaziente in tutto quello che faceva, tranne in quello. In quello sceglieva sempre di prendersi il suo tempo, soprattutto durante le calde nottate estive.
Immaginava che fossero le dita di Kageyama a stringerlo con sempre maggiore decisione, ad accelerare progressivamente il ritmo, fino a farlo venire , tra le lenzuola bagnate del suo stesso sudore.
In quel momento Hinata si girava su un fianco e non trovava nessuno accanto a te. Agognava per un calore che conosceva, ma che avrebbe voluto conoscere ancora meglio.
Agognava per quel legame che sembrava un vincolo che lo soffocava più che la cosa che aveva sempre desiderato. E si permetteva di desiderare. Ciò che di giorno cercava di seppellire dietro il suo sorriso ogni volta che Kageyama gli era vicino, si permetteva di lasciarlo andare. Gli permetteva di fargli fare. Era notte, dopotutto. C'era qualcosa di confortevole nel lasciarsi andare sapendo che sarebbe arrivato il giorno a rischiarare la sua stanza, la sua mente. Sapendo che sarebbe arrivato il giorno a nascondere in piena luce quel sentimento devastante. Sapendo che il giorno dopo, nel bene o nel male, avrebbe rivisto Kageyama e non sarebbe più stato solo.
Hinata, allora, si stringeva ancora di più su sè stesso, si faceva piccolo nel suo letto e cercava in sè stesso il calore, rabbrividendo per il sudore che cominciava a raffreddarsi contro la sua pelle al fresco venticello che entrava dalla finestra spalancata.
Il giorno sarebbe arrivato e lui avrebbe continuato a sorridere, come se niente fosse. Come ogni altro giorno.

rocksteady

Feb. 28th, 2020 11:03 pm
chasing_medea: (Default)
Titolo: rocksteady
Fandom: Bnha
Prompt/missione: M4 - you fuse my broken bones back together, and then lift the weight of the world from my shoulders again
Parole: 4000
Rating: nsfw

Se gli avessero chiesto cosa ricordasse del combattimento, Bakugou non sarebbe stato in grado di rispondere. Ricordava solo un grande boato, un terribile fischio alle orecchie e il dolore.
L'ultima consapevolezza, prima di perdere i sensi, fu quella di aver vinto.
Quando Bakugou aprì gli occhi gli ci volle qualche momento per ricordare perchè fosse in una stanza d'ospedale. Provò a muoversi sul letto, ma le fitte di dolore in tutto il corpo gli imposero di restare fermo.
Provò a guardarsi intorno e la prima cosa che vide fu la testa di Deku sul suo letto. Si era addormentato su una sedia di plastica accanto al suo letto, con il busto in avanti e la testa appoggiata sul materasso accanto alle gambe di Bakugou, come se stesse dormendo sul banco di scuola. Sentendo il movimento, Deku alzò la testa e sbattè un paio di volte le palpebre per mettere bene a fuoco la stanza.
Sorrise a Bakugou quando lo vide sveglio. "Kacchan!"
"Bentornato tra noi", disse un'altra voce.
Bakugou si voltò in quella direzione e trovò Todoroki, reclinato contro la parete e con le braccia incrociate.
"Come ti senti?"
Bakugou provò nuovamente a muoversi, ma ancora una volta il dolore lo bloccò.
Entrò un medico nella stanza, gli controllò i segni di vita e lo aggiornò sulla situazione.
A quanto pare si era lesionato i legamenti del gomito, rotto il crociato e lussato una spalla.
"La spalla è stata rimessa a posto, ma dovrai tenerla a riposo per un po'. Il ginocchio è stato operato, ma per i legamenti del gomito c'è poco che possiamo fare. L'unica cosa che possiamo fare è vedere come evolve la situazione"
Bakugou annuì, troppo stanco anche per rispondere.
La sua mente stava già pensando a come avrebbe fatto a tornare operativo dopo quel quadro, a come avrebbe fatto a tornare nel suo appartamento. Non c'era neanche l'ascensore lì.
Il medico uscì e Bakugou fu lasciato in compagnia di Deku e Todoroki.
"Il villain è stato arrestato, comunque. Non uscirà per un bel po'", provò a consolarlo Deku.
Bakugou avrebbe voluto rispondere qualcosa, ma fu bloccato dal rumore della porta che si apriva. Tutti e tre si voltarono in quella direzione e videro entrare All Might.
"Ah, giovane Bakugou. Vedo che sei sveglio", lo salutò entrando. Appoggiò un cesto di frutta sul comodino accanto al letto. "E vedo che ci siete anche voi", disse all'indirizzo di Todoroki e Midoriya. "Li abbiamo dovuti convincere almeno a fare i turni per andarsi a riposare, non volevano mai lasciare la stanza", disse a Bakugou.
Sia Midoriya che Todoroki distolsero lo sguardo, Bakugou potè giurare che fossero anche arrossiti.
"Come ti senti?", chiese All Might.
"Come se mi avesse investito un camion", rispose onestamente.
Non aveva senso mentire, non davanti a quelle persone, non più.
La porta della stanza si aprì di nuovo e l'intero gruppo di amici di Bakugou si riversò all'interno, riempendo la stanza di rumore. Parlavano tutti sovrapponendosi, ognuno voleva sapere come stesse Bakugou.
Midoriya si allontanò dal letto per lasciare loro spazio, si appoggiò al muro accanto a Todoroki. Bakugou continuò ad osservarli con la coda dell'occhio, parlottavano di qualcosa e Bakugou avrebbe voluto sapere cosa.
Quando tutti se ne furono andati, la stanza piombò nel silenzio. Bakugou recuperò dal comodino uno dei budini a disposizione e cominciò a mangiarlo con cucchiaiate aggressive.
Fu Todoroki a romperlo.
"Dovresti venire a stare da noi", disse a Bakugou.
Bakugou si strozzò con il budino. "EH?"
"Dovresti venire a stare da noi", ripetè Todoroki. "Non puoi stare da solo in quelle condizioni e la maggior parte dei nostri compagni vivono da soli, con il loro lavoro rimarresti solo per parecchie ore, mentre io e Izuku possiamo organizzarci i turni in modo che ci sia sempre qualcuno a casa"
Sapeva che avevano ragione, non poteva combinare molto ridotto in quelle condizioni. Aveva già pensato di chiedere a Kirishima di andare a stare da lui per un po', non aveva pensato a quella possibilità. Quello che diceva Todoroki aveva perfettamente senso, sarebbe stata la scelta pratica. L'alternativa sarebbe stata tornare a casa, con sua madre da una parte e suo padre apprensivo dall'altra in circolazione, e quella non era un'opzione. ma una parte di Bakugou era restia.
Non voleva vederli insieme, nella loro casa. Illudersi che lì potesse esserci spazio anche per lui.
"Abbiamo una stanza libera", intervenne Izuku con sguardo quasi speranzoso.
Veramente erano disposti a sopportarlo 24 ore su 24? Bakugou non aveva mai trovato nessuno disposto a farlo. Sapeva che anche i suoi amici ogni tanto avevano bisogno di pause e lo capiva.
"Come volete, nerd di merda"
Avrebbero dovuto gestire un Bakugou più incazzato, insofferente e insopportabile del solito, ma sembravano aver ricevuto un regalo in quel momento. Persino Todoroki si era lasciato sfuggire un sorriso. Bakugou li maledisse mentalmente. None era colpa loro se lui continuava a nutrire speranze nonostante quei due stessero insieme tra di loro da anni, ma Bakugou li maledisse comunque.
Bakugou abbassò lo sguardo, in uno di quei momenti di insicurezza che aveva cominciato a nascondere sempre di meno davanti a loro.
"Siete sicuri?", chiese.
Todoroki scrollò le spalle. "Al massimo ti congelo", disse con il solito tono impassibile, ma Bakugou riuscì facilmente ad indviduare la scintilla di ironia. Bakguou si chiese quando avesse imparato a leggerlo al punto da riconoscere quelle cose.

Il trasferimento fu meno traumatico di quanto avesse pensato, e le sue cose sembravano stare meglio in quella casa che nel suo appartamento. Quando Todoroki era andato ad aiutarlo a fare i bagagli Bakugou non aveva voluto sentire ragioni: la sua macchinetta del caffè sarebbe andata con loro.
Bakugou era costretto a muoversi con le stampelle: le odiava e aveva voglia di farle saltare in aria.
La sua stanza era all'altro capo dell'appartamento rispetto alla loro. Almeno non avrebbe dovuto sentirli scopare. Todoroki riscaldò qualcosa di precotto per cena e gliela porse sul divano.
“Questa roba fa schifo” commentò Bakugou. “Appena la spalla sta meglio vi faccio vedere io cos’è una cena”.
Izuku rise: “Non vedo l’ora”.
Bakugou si rese conto di aver veramente voglia di cucinare per loro.
Izuku scelse un film su Netfilx, Bakugou era seduto in mezzo sul divano, sentì dopo un po' i corpi degli altri avvicinarsi al suo, avevano un divano abbastanza grande e stavano quasi schiacciati nel mezzo. Era tutto talmente naturale da far male. Adorava stare nel mezzo, avrebbe voluto tirarseli ancora più vicini, ma sapeva che era solo la sua stupida cotta a parlare.
La sua mente cominciò a vagare poco dopo l’inizio del film – il classico film sui supereroi.
Il suo istinto non lo aveva mai tradito e forse se percepiva come naturale quella situazione era perché lo era veramente. Non poteva fare nulla in quella situazione, una convivenza era già complicata, non potevano aprire anche questo discorso e se fosse andata male non avrebbe sopportato l’imbarazzo. E poi Bakugou non aveva mai imparato a chiedere. Non aveva la minima idea di da dove avrebbe potuto cominciare.
Il primo mese di convivenza passò serenamente, scivolarono in quella convivenza senza particolari scossoni: la verità era che se esisteva qualcuno al mondo in grado di sopportare il caratteraccio di Bakugou quelli erano quei due. Senza potersi allenare Bakugou aveva troppa energia addosso e non sapeva cosa farci.
Così trascorrevano le loro giornate.
Uno dei due stava sempre a casa per evitare di lasciarlo solo, la sera si sedevano insieme sul divano per continuare qualunque serie avessero cominciato a vedere insieme, lasciando sempre a Bakugou il posto nel mezzo. Un po' perchè era quello che meno probabilmente si sarebbe dovuto alzare.
Le cose cambiarono una sera. Mentre erano seduti così sul divano, Todoroki cominciò a disegnare cerchi sulla pelle della sua coscia, lasciata scoperta dal calzoncino con la mano sinistra. La sua mano era calda, più calda della pelle di Bakugou.
Saltò al contatto, ma non si oppose.
Poco dopo si unì anche Izuku, cominciando a fare la stessa cosa sull'altra coscia. I loro corpi si fecero più vicini, Bakugou poteva sentire l'eccitazione crescere. Sentì il viso di Izuku avvicinarsi al suo, andarsi a incastrare nell'incavo del suo collo. Rimase così per un po'. Quando vide che non c'erano state reazioni negative da parte di Bakugou, cominciò a baciargli il collo, mentre la sua mano cominciò a risalire più su, sfiorandogli l'interno coscia. Todoroki attaccò l’altro lato del suo collo, mordicchiandolo e fece scivolare una mano sotto la maglietta, percorse i suoi addominali e arrivò a stuzzicargli un capezzolo. Bakugou lasciò andare la testa indietro sul divano e sospirò.
"Non hai idea di quanto l'abbiamo voluto", gli disse Izuku.
Bakugou trattenne a stento un gemito all'idea di essere voluto da quei due. Voleva ricevere tutte le loro attenzioni, adorava essere lì in mezzo, decise di approfittarsene,decise di prendersi con prepotenza l’unica cosa che poteva avere.
Sentì la mano di Deku insinuarsi sotto la sua maglietta e andargli a pizzicare un capezzolo e dovette trattenere un gemito tra i dent..
La mano di Izuku andò a toccare da sopra la stoffa dei vestiti la sua erezione in formazione. Bakugou vide gli altri due baciarsi sopra il suo corpo e la visione lo eccitò ancora di più. Bakugou portò una mano sulla nuca di Todoroki, gli afferrò i capelli all’attaccatura e gli tirò indietro la testa – dovette trattenere un ghigno al gemito che si lasciò scappare l’altro, gli attaccò il collo a morsi. Con l’altra mano andò a slacciarsi i pantaloni e a spingere la testa di Deku verso la sua erezione. Gli abbassò i pantaloni e cominciò a passare le labbra su di lui, un contatto appena accennato attraverso la stoffa dei boxer che gli faceva volere di più, provò a spingere la testa di Deku più addosso a lui, ma quello gli morse l’interno coscia e tornò a quel contatto leggero mentre con l’altra mano andò a massaggiare Todororki,
Todoroki si tolse la maglietta tolse anche quella di Bakugou, poi si inginocchiò davanti a lui. Deku lo raggiunse.
Lo aiutarono a far scendere i pantaloncini lungo i fianchi e cominciarono a leccarlo. Poteva distinguere con esattezza la lingua più fresca di Todoroki da quella di Izuku, il bastardo probabilmente si era abbassato la temperatura apposta per creare quel contrasto che lo stava facendo impazzire.
Avere entrambi così ai suoi piedi, intenti ad adorare il suo corpo, gli diede una scarica elettrica quasi più della stimolazione fisica.
Venne rapidamente.
I due si scambiarono uno sguardo soddisfatto.
Bakugou fece schioccare la lingua sul palato.
Almeno aveva trovato un modo per sfogare l'energia in eccesso.

Quelle scappatelle divennero parte della loro routine. Non era un’occorrenza quotidiana e con le sue condizioni fisiche c'era poco che potesse fare. Bakugou cercava di ignorare la parte di lui che gli diceva di andarci cauto, che una cosa del genere non poteva durare. La parte che gli diceva che per loro era solo una cosa fisica, mentre per lui quella che prima aveva considerato una stupida cotta stava cominciando a mettere radici sempre più profonde. O si stava semplicemente rendendo conto che le aveva sempre avute. Quando era con quei due si sentiva accettato pienamente, sentiva che poteva dire qualunque cosa liberamente. Dopo anni passati a cercare di censurarsi davanti agli altri, anche con coloro con cui era più in confidenza, gli sembrava inredibile.

Quella mattina erano solamente lui e Izuku in casa. Todoroki era uscito presto per il suo turno, loro due bevevano caffè seduti agli sgabelli della cucina.
"Perchè?", chiese improvvisamente Bakugou.
"Perchè cosa?"
"Perchè stai facendo tutto questo"
"Siamo amici, Kacchan"
Katsuki sentì una stilettata nel petto davanti alla naturalezza con cui lo aveva detto.
"Tu avevi paura di me"
"Hai perso da anni il potere di farmi paura", gli rispose Izuku con un sorriso.
Bakugou strinse meglio la tazza tra le mani, per un attimo temette di vederla rompersi tra le sue dita. I legamenti del gomito tiravano per la forza con cui stava stringendo. "Tu... tu non contavi un cazzo. Non avevi neanche un quirk ed eri così... sereno. Stavi bene nei tuoi panni. Mentre io mi sentivo in dovere di giustificarmi per la mia stessa esistenza quando sulla carta avevo tutto. Mi facevi incazzare"
"Lo so", gli rispose semplicemente. "Adesso lo so. Ma grazie per avermelo detto"
"Ti ho trattato di merda. Ti ho trattato di merda per qualcosa che non riguardava te"
Izuku annuì. "Sì, l'hai fatto. E io non ti ho ancora perdonato - tu non ti sei neanche scusato in realtà", gli disse ancora sorridendo. Bakugou si chiede come facesse, quando Deku fosse diventato così grande. Si sentiva ancora il ragazzino stronzo che era stato davanti a lui in quel momento. Si sentiva il ragazzino stronzo che si vergogna quando viene rimproverato da un adulto. Gli venne la nausea e poggiò la tazza di caffè sul tavolo. Non sarebbe stato in grado di finirla senza vomitare.
Deku riprese a parlare. "Ma io non sono più la stessa persona. E so che non lo sei neanche tu. So che hai continuato a interrogarti, so che tutto quello ti ha aiutato ad essere l'eroe... la persona che sei oggi. E mi piace la persona che sei oggi", gli disse come se fosse la cosa più semplice del mondo.
Bakugou potè sentire il proprio battito cardiaco accelerare a quelle parole.

Bakugou tornò dall’appuntamento del medico, aveva finalmente tolto il gesso e il giorno dopo avrebbe cominciato la fisioterapia; lo aveva accompagnato Kirishima e i suoi amici avevano deciso di fare i turni per accompagnarlo.
Quella sera stessa
Bakugou si ritrovò a quattro zampe, al centro del loro enorme letto. Era prepotente, voleva le loro attenzioni tutte su di lui, voleva sentirsi ammirato e desiderato.
Todoroki si spingeva lentamente dentro di lui, troppo lentamente per i suoi gusti. Provò a spingersi indietro verso di lui, ma le sue mani lo afferrarono per i fianchi bloccando i suoi movimenti:
“Quanta fretta”
“Un giorno sarò io a farlo a te e vedrai”, ringhiò Bakugou.
Todoroki si abbassò abbastanza da sussurrare nel suo orecchio: “Non vedo l’ora”, gli disse, prima di mordergli la spalla. Al suo tono roco Bakugou si lasciò scappare un gemito.
“Muoviti, invece di fare lo stronzo”, disse con la voce rotta.
Todoroki lo prese in prosa, e diede una spinta forte con il bacino che gli fece inarcare la schiena e scappare un gemito. Todoroki gli afferrò la testa e gliela riportò sull’erezione di Izuku:
“Fai il bravo e continua qui”.
E Bakugou voleva assolutamente fare il bravo, voleva essere al centro delle loro attenzioni, sentire Todoroki dentro di lui e Izuku in gola; prendersi quello che non poteva avere di solito.
“Kacchan…” lo pregò Izuku. E sapere di essere lui a fargli avere quella voce rotta lo eccitò.
Todoroki continuava a spingere, le sue spinte si stavano facendo frenetiche e irregolari. Morse nuovamente la spalla di Bakugou per evitare di far uscire suoni dalla sua bocca – era sempre il più silenzioso, mentre con una mano andava alla sua erezione. Bakugou venne, con un gemito strozzato intorno a Izuku e con gli occhi che gli si rovesciarono indietro e stringendosi intorno a Todoroki che venne subito dopo. A vederli così anche Izuku si riversò nella sua bocca.

Quella sera Bakugou raggiunse Todoroki in cucina.
"Bakugou, pizza per cena?" gli chiese. "Non ho voglia di cucinare"
"Meglio così, sei un pericolo ai fornelli"
"Ehi! Non sono così male"
"Comunque sì, piccante" rispose. "Quando potrò tornare ad allenarmi la pagherò"
Todoroki prese il telefono per ordinare.
"E, halfie?" lo richiamò Bakugou. "Puoi chiamarmi per nome, ti ho visto nudo"
Todoroki sorrise: "Anche tu, Katsuki"
Bakugou arrossì, non sapeva neanche se era per il suo nome pronunciato nella voce profonda di Todoroki o per il suo sorriso.

Bakugou era a casa da solo e decise di preparare la cena, era una cosa che lo aveva sempre aiutato a calmarsi e gli era mancato particolarmente in quel periodo di immobilità forzata.
Il primo a rientrare fu Todoroki.
“Siamo di buon umore” commentò sedendosi sullo sgabello della cucina.
“Preparati alla migliore cena della tua vita” fu la risposta di Bakugou.
“Posso assaggiare in anteprima?”.
Bakugou fece un grugnito che l’altro interpretò come un segno di assenso, prese un cucchiaio e si avvicinò alla pentola.
“Delizioso” commentò.
Passando per tornare al suo posto diede un rapido bacio a stampo a Katsuki, che rimase immobile. Todoroki sembrò metterci un po’ a realizzare quello che aveva fatto.
“Scusami” si imbarazzò.
“Non dirò niente a Deku” fu la risposta di Katsuki, continuando a dargli le spalle e tenendo lo sguardo fisso sul fornello.
“Vado a farmi una doccia” disse Todoroki allontanandosi dalla cucina.
A cena il cibo era ottimo, ma un silenzio pesante gravava sul tavolo; non appena ebbe finito di cenare, Bakugou si ritirò in camera sua, ma lasciò la porta socchiusa.
Vide la luce del corridoio accendersi e sentì gli altri due in bagno che si preparavano per andare a dormire.
“Ho baciato Bakugou” sentì dire a Todoroki.
Avrebbe voluto non ascoltare, perché Todoroki aveva dovuto dirglielo? Bakugou si ritrovò a non fare nessun movimento per evitare che il fruscio delle lenzuola coprisse la conversazione.
“Come l’ha presa?” chiese Izuku, come se fosse la cosa più normale del mondo.
“Ho ancora la testa attaccata al collo” fu la risposta di Todoroki.
Izuku rise: “Credo sia un buon segno”.
“Dovremmo parlarci?”
“Ne abbiamo parlato, Sho, avevamo detto di aspettare che questa storia finisse”
“E dopo questa storia tutto tornerà alla normalità e non sarà il momento per il lavoro, e poi ce ne sarà un'altra ancora. Il momento perfetto non cade dal cielo, non esiste” Todoroki sembrava spazientito.
“E’ una cosa seria, non possiamo andare da lui e sganciare questa bomba così, non mentre è qui da noi”
“Tu ti stai godendo questa situazione, ti stai illudendo che sia così che andranno le cose, ma non ti rendi conto che finché non chiariamo la situazione sarà tutto finto. Tornerà a casa a un certo punto e la bella immagine che ti sei creato crollerà”
“Dovremmo lasciar decidere lui, no?”
“Se non ti decidi a parlargli non ci sarà nulla da decidere. Deve sapere come stanno le cose. Non può andare avanti così, con tutti che continuiamo a ignorare questa… cosa, a comportarci come se non stesse succedendo nulla”.
“Credi che non lo sappia? Ma rischia di essere la fine di tutto, potrebbe non parlarci mai più”
“Io mi rifiuto di lasciarlo andare via senza chiarire la situazione. Soprattutto visto dove siamo arrivati. Se tu non vuoi parlargli sarò io a farlo”.
I toni di voce si stavano alzando, Bakugou non si aspettava di sentirli litigare per questo. Non si aspettava di sentirli litigare per lui. Non l’avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura, ma indipendentemente dalla sua cotta li aveva sempre ammirati molto come coppia. Ammirava e invidiava il modo in cui erano riusciti a farla funzionare nonostante i loro lavori, nonostante avessero entrambi dei caratteri complicati. Invidiava il modo in cui non facessero nulla, ma l’attenzione e la cura dell’uno verso l’altro era impossibile da non vedere. Era stato così anche al dormitorio. Nessuno li aveva mai visti scambiarsi effusioni, ma era talmente evidente che fossero innamorati l’uno dell’altro che nessuno aveva mai avuto dubbi al riguardo, anche senza una dichiarazione ufficiale. Bakugou si era sempre chiesto se avrebbe mai trovato qualcuno che tenesse a lui in quel modo. Della maggior parte delle coppie che si erano formate nella vecchia classe non gliene fregava granchè, potevano fare quello che volevano, ma loro non potevano discutere, non così. Non per lui. Cominciò a pensare come tornarsene a casa, come poter tornare a vivere da solo. Adesso che aveva tolto la fasciatura al ginocchio non sarebbe stato impossibile, complicato e scomodo sicuramente, ma avrebbe potuto farcela.
Bakugou tese l’orecchio. La discussione sembrava essersi conclusa. Sentì qualcuno bussare delicatamente alla sua porta, ma non rispose, chiunque fosse a vedere tutto buio doveva aver pensato che stesse già dormendo.Bakugou passò la notte a girarsi nel letto, non riuscendo a prendere sonno. Fino a che non arrivò ad una decisione. Non sarebbe scappato. Non voleva scappare. Non da loro. Non più. Anche a costo di rompersi definitivamente.

La mattina dopo Bakugou Avrebbe voluto andare da loro, dirgli che aveva sentito tutto, che voleva anche lui quello che volevano loro. Ma se avesse frainteso? Come si chiedeva una cosa del genere?
Uscì dalla stanza pronto ad affrontarli, a chiedergli che cosa avessero da dirgli.
“Buongiorno Katsuki” lo salutò Todoroki in cucina. “Caffè?”.
Bakugou annuì.
“Di che cosa dovevate parlarmi ieri sera?”.
Todoroki sembrò preso alla sprovvista, ma gli sorrise: “Dovresti smetterla di origliare le nostre conversazioni” lo prese in giro. “Credo sia meglio aspettare che si svegli Izuku, riguarda anche lui”.
Bakugou fu sollevato, almeno non si era tirato indietro, ma il silenzio lo stava innervosendo, non vedeva l’ora che Midoriya si svegliasse per capire un po’ meglio questa situazione.
Midoriya si presentò al tavolo della cucina.
“Ha sentito la nostra conversazione di ieri sera” gli disse Todoroki.
"Oh", disse Midoriya. "Ecco, noi...
Bakugou alzò una mano e li fermò subito.
"Una cosa di sesso non mi basta", disse tenendo lo sguardo basso. "Non è quello che voglio. Se è quello che volete voi nessun problema, finisce qui e ritorna tutto come prima. Ma non posso continuare a farlo".
Non ci fu risposta dall'altro lato. Bakugou aspettò e aspettò ancora, aveva paura ad alzare lo sguardo. Temeva di trovare Deku che si mordicchiava il labbro con espressione contrita cercando le parole per dirgli che, in realtà, quello che volevano dirgli era che non avevano più intenzione di andare a letto con lui.
Alla fine si decise ad alzare la testa, con la paura del rifiuto che gli attanagliava lo stomaco.Trovò entrambi con il viso che brillava e gli occhi pieni di sorpresa. Bakugou si sentì di essere tornato integro. Come se tutte le ossa che credeva rotte si fossero nuovamente rinsaldate.
"Beh. A noi starebbe bene... insomma. Non renderla solo una cosa di sesso", disse infine Izuku diventando completamente rosso.
Bakugou dovette nascondere il suo sorriso.
"Bene", disse. "Quando tutta questa storia sarà finita me ne tornerò a casa. E voglio un appuntamento, uno serio. Mi venite a prendere, ristorante fatto bene. Niente stronzate"
Entrambi risero.
"Tutto quello che vuoi Kacchan"
E Katsuki, per quella volta, voleva credergli.

La mattina, a due mesi di distanza, Bakugou si stava preparando per tornare al suo appartamento: odiò subito l’idea, era freddo e vuoto. Bakugou poteva camminare adesso, ma gli ci sarebbe voluto ancora qualche mese perché potesse tornare a pieno regime a lavoro, per il momento lo avrebbero tenuto solamente a fare qualche incarico d'ufficio.
Gli mancava già la casa di quei due, gli mancavano quei due. Gli mancava passare le serate su quel divano a guardare serie tv, ma sapeva che quel distanziamento sarebbe stata la cosa migliore. Non sentiva il peso del cambiamento, gli ultimi sviluppi gli sembravano una cosa naturale, ma sapeva che per farla funzionare ci sarebbero dovuti andare con i piedi di piombo e quel distanziamento sarebbe stato necessario.

Bakugou tornò a casa quasi di corsa dopo il suo turno, si buttò direttamente sotto la doccia, poi si mise davanti all’armadio con solo l’accappatoio addosso a cercare di capire cosa mettersi. Aveva sempre avuto occhio per quelle cose, ma quella sera era quasi nel panico. Ogni abbinamento gli sembrava o troppo formale o troppo casual, voleva che si vedesse l’impegno, ma non in maniera eccessiva. Tirò fuori numerose camicie, ma nessuna gli sembrava adatta. Alla fine optò per la semplicità, con una camicia in tinta unita.
Alle otto in punto sentì suonare alla porta di casa, la aprì. Si trovò davanti Izuku e Shoto. Si sentì meno idiota quando vide che anche loro avevano fatto uno sforzo per vestirsi bene, come se in quegli anni non si fossero visti nelle condizioni peggiori possibili.
«Pronto ad andare?» gli chiesero.
Bakugou annuì e sorrise. Non era mai stato così pronto in vita sua.

feel me

Feb. 26th, 2020 07:01 pm
chasing_medea: (Default)
Titolo: feel me
Fandom: Voltron
Prompt/missione: M1 - Mecha
Parole: 4000
Rating: nsfw
Note: just porn. porn nel leone.

Shiro stava riposando sdraiato sulla brandina che avevano rimediato per il viaggio nel retro del Leone Verde. Riusciva a sentire il rumore metallico della nuova invenzione a cui Pidge stava lavorando nella sala di comando.
Si chiese se quello potesse essere un buon momento. C'erano solamente loro due nel Leone Verde e Pidge in quel momento era distratta. Certo, c'erano anche quegli strani mostriciattoli colorati che Pidge aveva trovato, ma quelli non si allontanavano mai troppo da lei.
Shiro cominciò a sfiorarsi appena da sopra la stoffa dell'uniforme. La propria erezione cominciò ad indurirsi al minimo contatto e Shiro lasciò andare un sospiro. Per ottenere più contatto avrebbe dovuto spogliarsi integralmente. Provò a tendere l'orecchio. Continuavano a provenire rumori dalla sala di comando, ma se Pidge avesse deciso di interrompere il suo lavoro per qualunque motivo e fosse andata a cercarlo, lui non avrebbe fatto mai in tempo a rivestirsi prima che la ragazza entrasse.
Sospirò frustrato e decise di lasciar perdere.
Ormai stava arrivando al limite della sopportazione. Erano in viaggio in direzione della Terra ormai da settimane, lui aveva sempre condiviso il Leone con troppa gente e i momenti di privacy erano ridotti al minimo. Il massimo che era riuscito a concedersi era stata una tristissima sessione masturbatoria sotto la doccia, con Lance che bussava insistentemente perché anche lui aveva bisogno del bagno. Non aiutava neanche il fatto che spesso viaggiasse con Keith e fosse comunque costretto a tenere le distanze da lui, non solo perché avevano deciso di tenere quella relazione nascosta per un po' per non rischiare di alterare gli equilibri con il resto del gruppo, ma soprattutto perché la maggior parte delle volte si trovava a viaggiare con Keith e sua madre, il che lo faceva sentire anche un po' in colpa dal momento che, mentre parlava con lei, la sua mente continuava a offrirgli immagini dei vari modi in cui avrebbe potuto spogliare Keith e farselo sulla consolle di comando del Leone Nero. Keith, nel complesso, sembrava che stesse vivendo molto meglio di lui quella situazione, probabilmente il fatto di avere il comando contribuiva a tenerlo occupato. Una parte di Shiro, però, continuava a sperare che fosse solo più bravo a nasconderlo.
Un secco zac riscosse Shiro dai suoi pensieri. Shiro si trovò davanti Kosmo, con la lingua di fuori e la coda che si agitava in maniera eccitata.
"Ciao bello!", gli disse Shiro accarezzandogli la testa.
Il lavoro che stava facendo era impagabile. Permettergli di cambiare spesso compagni di viaggio in una situazione come quella, in cui lo spazio vitale era poco, stava permettendo a tutti di evitare nervosismi e litigi per cose insignificanti.
"È già il momento di cambiare?", chiese a Kosmo.
Kosmo agitò la coda e Shiro appoggiò una mano sulla sua testa, pronto a sentire il familiare strappò che sentiva ogni volta che veniva teletrasportato.
Quando Shiro riaprì gli occhi si ritrovò nella testa del Leone Nero, Kosmo era già sparito.
"Bentornato", lo salutò Keith.
Shiro si appoggiò allo schienale del suo sedile di comando e si guardò intorno. Vedendo che erano soli, approfittò del momento per far sollevare la testa a Keith e dargli un rapido bacio a stampo. Keith ricambiò con trasporto, spingendosi verso di lui. Sì staccarono con uno schiocco rumoroso.
Non era solo il sesso quello di cui sentiva la mancanza, sentiva in generale la mancanza di Keith, anche solo di toccarlo e averlo sempre vicino.
"Tua madre?" chiese solo allora Shiro.
"Kosmo l'ha trasportata via, ma non so da chi l'abbia portata".
Shiro annuì e si mise in attesa di vedere chi sarebbe stato il loro compagno per quel tratto di viaggio, ma dopo un po’ ancora non era arrivato nessuno.
Keith contattò gli altri Leoni per vedere quale fosse la disposizione attuale. Sua madre, scoprì, era stata portata nel Leone Giallo e sembrava starsi divertendo con Hunk. Kosmo era rimasto con loro. Agitò la coda contento quando vide Keith nello schermo.
“Bene”, disse Keith. “Ci aggiorniamo più tardi”.
Chiuse le comunicazioni, si alzò dal sedile del pilota e si voltò nuovamente verso Shiro. Gli fece scorrere le mani sul petto e le intrecciò dietro il suo collo.
“Siamo soli quindi”, gli disse.
Shiro sorrise. “Sembra che Kosmo abbia deciso che dovevamo stare un po’ da soli”
“Potrei essermi lamentato un po’ con lui”, ammise Keith imbarazzato.
Shiro si avvicinò ancora. Sfiorò con le labbra le labbra di Keith.
“E, sentiamo, cosa gli avresti detto?”, chiese con voce lasciva.
“Che era da tanto che non riuscivamo ad avere un po’ di tempo da soli”, gli rispose Keith avvicinandosi, cercando il contatto con Shiro che sorridendo tirò indietro la testa, divertendosi a provocare la poca pazienza di Keith.
Keith mise il broncio e abbassò la testa, Shiro gli prese il mento con la mano, spingendolo ad alzare nuovamente il viso e finalmente lo baciò. Succhiò il labbro inferiore e lo mordicchiò. Keith gemette e spinse il suo corpo di più contro quello di Shiro, fece entrare di prepotenza la lingua tra le sue labbra. Shiro sentì la propria erezione gonfiarsi rapidamente all’interno dell’uniforme.
Si staccò da Keith, erano entrambi senza fiato, ma Shiro non gli diede il tempo di riprendersi. Con l’unica mano che aveva cominciò ad armeggiare con la chiusura dell’uniforme per liberargli il collo. La aprì appena, liberando un po’ di spazio, prima di attaccare la pelle chiara appena rivelata. La ricopri di baci alternati a morsi che facevano gemere Keith direttamente nel suo orecchio. Quel suono arrivava diretto all’erezione di Shiro, facendolo eccitare ancora di più e spingendolo ad essere sempre più intraprendente. Si spinse contro Keith e sentì la sua erezione premere contro la coscia.
“Shiro”, provò a dire Keith tra i sospiri. “Dovremmo fermarci prima che la situazione degeneri”
“Perchè?”, chiese Shiro cominciando a risalire con le labbra verso il suo orecchio. “Siamo soli”, gli sussurrò. “Le comunicazioni sono chiuse”, un altro bacio appena dietro l’orecchio. “E tu mi sei mancato terribilmente”, gli mordicchiò il lobo.
Keith gemette ancora, inarcandosi contro di lui, spingendo la sua erezione ancora chiusa nell’uniforme contro quella di Shiro. Entrambi si morsero il labbro inferiore e sospirarono con gli occhi chiusi.
“Mi sei mancato anche tu”, gli disse Keith passandogli le mani sugli addominali scolpiti, ne poteva sentire la forma anche attraverso la stoffa attillata dell’uniforme. “Averti vicino e non poterti toccare è stata una tortura”.
“Adesso puoi. Puoi farmi tutto quello che vuoi”
“Non sappiamo quanto tempo abbiamo”, provò ancora ad obbiettare Keith, ma si vedeva che le sue remore stavano cominciando a sgretolarsi.
Shiro sorrise. “Sono sicuro che Kosmo ci stia coprendo le spalle”
Keith sbuffò. “Non si chiama Kosmo!”
“Ormai risponde anche lui al nome, rassegnati”, gli rispose Shiro baciandolo ancora.
Keith si lasciò andare contro di lui, rispondendo al bacio con trasporto. Shiro ricominciò ad armeggiare con la chiusura dell’uniforme.
Sentirono in quel momento il rumore di una comunicazione in arrivo. Entrambi si voltarono di scatto verso il monitor, poi Shiro aiutò Keith a rimettere a posto l’uniforme. Non era perfetta, non avevano il tempo per raddrizzare le protezioni e per i capelli non c’era nulla che si potesse fare, ma non avevano più tempo.
Keith si sedette al posto di comando e accettò la comunicazione in entrata. Sullo schermo comparve il volto di Pidge.
“Che succede?”, le chiese immediatamente.
“Stiamo per avvicinarci a un campo di asteroidi. Potremmo evitarlo, ma ci allungherebbe il viaggio non di poco. Dovremo attraversarlo. Dovrai farci strada”
“Tra quanto saremo lì?”
“Non molto. Dovrebbe essere già visibile sul tuo monitor”
Keith annuì. “Andiamo”, disse deciso.
Estese la comunicazione anche agli altri, i volti di tutti comparvero sullo schermo. Riferì le informazioni che Pidge gli aveva comunicato e cominciò a dare disposizioni.
“Pidge, tu dietro di me. Allura dietro di lei. Hunk, tu mettiti dopo. Dovrai difendere Allura e Lance in caso di detriti. Lance tu chiudi la fila. Red è agile, è il più adatto a schivare”.
Tutti diedero l’okay e si sistemarono nella formazione concordata.
Shiro, rimasto in disparte fuori dall’inquadratura, osservò Keith entrare immediatamente in modalità comandante. Aveva qualcosa di eccitante vederlo così, fiero e sicuro. La sua voce era calma e moderata, i suoi ordini ragionati e non più azioni impulsive. Quell’incarico gli donava. Finalmente Keith aveva cominciato a vedere in lui quello che Shiro aveva sempre visto, quello che Shiro era stato sempre convinto che sarebbe potuto diventare.
“Stiamo entrando nel campo di asteroidi”, annunciò Keith. “Restate dietro di me”.
Entrarono nel campo di asteroidi. Fu subito chiaro che la situazione era complicata ma non critica. Keith era un pilota eccezionale, se la sarebbe cavata senza problemi, ma Shiro voleva aggiungere della difficoltà a quell’impresa.
Si inginocchiò a terra e, stando sempre attento a non entrare nell’inquadratura, si trascinò fino ad infilarsi tra le gambe di Keith, sotto la consolle di comando. Keith lo fulminò con lo sguardo per un secondo, ma non poteva distogliere a lungo lo sguardo dal campo di asteroidi.
Shiro cominciò a far passare le labbra sull’interno coscia di Keith, nel punto in cui l’uniforme era di tessuto leggero e attillato, senza le protezioni. Le passò piano, era appena una carezza la sua, ma Keith si strozzò con la saliva e divenne totalmente rosso.
“Tutto bene, Keith?”, gli chiese Lance. “Serve una pausa dal comando? Posso sostituirti in qualunque momento!”, disse con il tono di sfida che era ormai classico di ogni loro comunicazione.
“Tutto bene”, rispose Keith cercando di darsi un contegno.
Nuovamente fulminò Shiro con lo sguardo cercando di non farsi vedere, ma quello si limitò a rivolgergli un sorriso angelico con la testa appoggiata al suo interno coscia.
Keith continuò a guidare agilmente, cercando di fare finta di nulla. Shiro riprese a passare le labbra sul suo interno coscia, approfondendo il contatto, alternando baci umidi a piccoli morsi che ogni volta facevano trattenere un sospiro a Keith, che cercava di mantenere un tono di voce normale mentre continuava a dare ordini agli altri.
Shiro cominciò a risalire con le labbra, avvicinandosi sempre di più all’erezione di Keith ancora ben visibile attraverso la stoffa. Keith spinse il bacino verso di lui, cercando di avvicinarsi alle sue labbra, ma Shiro gli portò la mano all’anca e lo tenne fermo, ben seduto sul suo sedile, e continuò ad esplorare l’area circostante.
Quando finalmente Shiro decise di dedicarsi alla sua erezione, partì sfiorando appena la lunghezza con le labbra. Fece su e giù un paio di volte, prima di prendere improvvisamente in bocca la punta attraverso la stoffa, bagnandola con la saliva.
Keith si strozzò con la saliva, si lasciò quasi scappare un gemito e fu vicino al farsi colpire da un asteroide, ma riuscì a riprendersi all’ultimo momento.
Shiro continuò, facendo ruotare la lingua intorno alla punta. I gemiti strozzati che Keith ormai tratteneva a malapena mentre continuava a dare indicazioni altri altri andavano diretti alla sua erezione, rendendo complicato anche per Shiro mantenere un contegno. Abbassò la mano che stava ancora tenendo Keith fermo al suo posto e la portò al suo sesso, cominciando a massaggiarlo attraverso la stoffa. Per trattenere i suoi gemiti, Shiro strinse ancora di più tra le labbra la punta dell’erezione di Keith.
Keith stava concentrando tutti i suoi sforzi sul tenere costante l’andamento del Leone invece di scattare in avanti e lasciare gli altri indietro. Lo si poteva vedere dai muscoli tesi in tutto il suo corpo.
“Bene”, disse improvvisamente Keith. “Siamo fuori dalla fascia di asteroidi. Ci sentiamo dopo”, disse tutto d’un fiato e chiuse di colpo la chiamata.
Si alzò di scatto e allontanò il sedile dalla consolle. Afferrò Shiro per una spalla, lo tirò in piedi e fece sbattere le loro labbra in modo famelico, in un bacio che era quasi solo lingua e denti. Si staccò da lui e slacciò l’uniforme di Shiro, togliendola tutta in un solo colpo. Poi spinse di forza Shiro contro il sedile e si sedette sopra di lui a gambe divaricate.
“Sei uno stronzo”, disse tra gli ansiti mentre spingeva la propria erezione contro il corpo di Shiro, tenendogli la testa tra le mani e continuando a baciarlo senza lasciargli scampo.
Scese poi ad attaccare i suoi capezzoli. Sapeva perfettamente che erano uno dei suoi principali punti deboli. Li leccò e succhiò. Shiro reclinò la testa contro il sedile, chiuse gli occhi, e gemette liberamente, senza pensare più a trattenersi. Quando li reputò abbastanza umidi, ci soffiò appena sopra. Il contrasto tra l’aria fresca e la pelle umida fece rabbrividire Shiro. Keith passò poi a mordicchiare leggermente le punte dei capezzoli ormai turgidi.
“Ti prego, spogliati”, ansimò Shiro ancora ad occhi chiusi.
Cercò alla cieca l’apertura dell’uniforme di Keith.
“Non ancora”, gli rispose Keith. “Hai fatto lo stronzo, ora ne paghi le conseguenze”.
Keith si inginocchiò a terra davanti al sedile.
“Com’è che hai fatto tu? Qualcosa del genere, no?”, chiese cominciando a passargli le labbra delicatamente sull’interno coscia. Cominciò a replicare tutte le mosse di Shiro contro di lui, senza mai andare a toccare il suo sesso ormai rosso e umido per il liquido preseminale. Shiro tremava e si agitava sulla sedia, alternando ansiti, mormorii incoerenti e parole che non riusciva a portare a termine.
“Ho capito, ho capito”, riuscì a dire. “Sono stato uno stronzo… ma ora ti prego. Ti prego. Ho bisogno di te”, implorò.
Keith si alzò in piedi.
“Sei stato bravo fino adesso, potresti meritare una ricompensa”, disse Keith con un sorriso.
Shiro emise un sospiro di sollievo. “Grazie”.
Keith si liberò dell’uniforme e Shiro rimase seduto a godersi lo spettacolo della pelle che si rivelava, del suo ragazzo che si spogliava per lui. Anni di combattimento avevano reso il suo fisico snello e ben definito, ma la sua predilezione per l’agilità in combattimento aveva fatto sì che la sua muscolatura si sviluppasse allungata e aggraziata, come quella di un ballerino. Inconsciamente Shiro si bagnò le labbra con la lingua.
Keith recuperò da uno scomparto della consolle una boccetta di lubrificante.
“In sala di comando?”, chiese Shiro alzando un sopracciglio.
“Mi piace essere preparato”, rispose Keith cercando di fingere nonchalance.
“Mi piace”
Si avvicinò a Shiro e si mise nuovamente a cavalcioni sopra di lui. Shiro lo afferrò per un gluteo e se lo tirò ancora di più addosso, reclamando le sue braccia in un nuovo bacio, più dolce dei precedenti, che trasmettesse tutto l’amore che provava per quel ragazzo. Keith ricambiò tenendogli il viso tra la mani.
Quando si staccarono appoggiò la fronte contro la sua.
“Pronto?”, gli chiese Keith.
“Per te sempre”, gli rispose Shiro con un sorriso.
Keith aprì il lubrificante e ne fece colare un po’ sulle dita di Shiro, poi appoggiò la testa alla spalla di Shiro. Mentre Keith si teneva aperto per lui, Shiro sparse bene il lubrificante tra le dita e lo scaldò un po’, poi portò la mano alla sua apertura. Cominciò a massaggiare l’anello di muscoli con l’indice, Keith gemeva contro la sua spalla.
“Entra”, gli disse ansimando.
“Non voglio farti male”.
Quando lo sentì abbastanza rilassato, Shiro lo penetrò piano. Keith inarcò la testa ed emise un gemito che somigliava ad un sospiro di sollievo. Era da un po’ che non avevano occasione di farlo e Keith era veramente stretto. Shiro strizzò gli occhi all’idea di penetrarlo in quel momento, di sentirlo così stretto intorno al suo sesso. Non vedeva l’ora, ma non voleva affrettare le cose. Shiro cominciò a muovere il dito e i gemiti di Keith cominciarono a salire di volume. Shiro sentì la propria erezione contrarsi in risposta. Quando Keith cominciò a spingersi contro il suo dito, Shiro aumentò il ritmo.
Gli cominciava già a far male il polso, ma nessuno dei due aveva voglia di fermarsi per spostarti da un’altra parte dove potesseo stare più comodi.
Shirò lo penetrò piano con un secondo dito e sentì Keith irrigidirsi. Rimase fermo in quella posizione per dargli tempo di abituarsi, lasciandogli baci in qualunque punto del viso e della testa che riuscisse a raggiungere.
“Non hai fatto nulla ultimamente?”, chiese Shiro baciandogli la guacia.
“Non ne ho avuto l’occasione”, rispose Keith.
Cominciò a spingersi piano contro di lui. Shiro mantenne la mano ferma, per lasciare che Keith trovasse il suo ritmo e si adattasse a poco a poco.
Quando Shiro lo penetrò con il terzo dito, Keith cominciò immediatamente a spingersi contro di lui.
“Piano”, gli sussurrò all’orecchio. “Non vorrai farti male”
“Voglio te”, gli rispose Keith. “Adesso”
“Non deve farti male, però”.
Keith si fermò. Quando Shiro lo sentì abbastanza rilassato cominciò a muoversi piano e lentamente, accelerando a poco a poco il ritmo. Keith gemeva nel suo orecchio.
“Sono pronto”, ansimò Keith.
“Ancora uno”
“Non ce la faccio più ad aspettare”.
Goccioline di sudore cominciavano a scendere dalla fronte di Keith, il suo viso era rosso e le sue gambe cominciavano a tremare per la posizione scomoda che stava tenendo, le sue mani stavano perdendo la presa sulle sue natiche.
“Ancora uno”, ripetè Shiro. “Per favore”
Keith annuì e lasciò che Shiro lo penetrasse con il quarto dito. Shiro sentiva il calore di Keith intorno a lui, anche lui era a limite e non vedeva l’ora di affogarci dentro. Quando finalmente lo reputò pronto, Shiro tolse le dita. Keith gemette per la perdita, ma durò appena un attimo.
Prese nuovamente il lubrificante e ne versò una quantità abbondante sull’erezione fino a quel momento trascurata di Shiro. Shiro rabbrividì al contatto tra la sua pelle bollente e il gel freddo.
Keith si sistemò meglio sulle gambe di Shiro, si appoggiò con una mano alla sua spalla per mantenere l’equilibrio, mentre con l’altra teneva il sesso di Shiro allineato con la sua apertura. Shiro mise la mano sul fianco di Keith, per aiutarlo almeno in parte a sostenere il suo peso.
Keith cominciò ad affondarci piano. La punta entrò ed entrambi gemettero mandando indietro la testa.
“Cazzo”, mormorò Keith con la voce piena di piacere.
Shiro si morse il labbro al punto da sentire il sapore del sangue, stava concentrando tutti i suoi sforzi sul trattenersi dall’entrare il lui con un solo colpo secco.
Keith continuò ad affondare lentamente, ma senza fermarsi fino a che Shiro non fu interamente dentro di lui. Si fermò per qualche momento.
“Tutto okay?”, gli chiese Shiro con voce strozzata.
Keith annuì. “Mi serve solo un momento”.
Shiro si tirò su con il busto, avvicinandosi a Keith, e cominciò a passare le labbra delicatamente sulla sua clavicola.
Keith cominciò a muoversi lentamente, con le gambe che gli tremavano, scaricando il peso appoggiandosi sulle spalle di Shiro. Shiro rimase affascinato dai muscoli che si muovevano sotto la pelle delle sue cosce. Entrambi gemettero rumorosamente quando Keith riaffondò su di lui di colpo.
Il ritmo di Keith si fece sempre più incalzante, mandò la testa indietro. Sapevano entrambi che non sarebbero duranti a lungo.
“Più veloce”, gli chiese Keith con voce rotta.
Shiro strinse Keith per la vita e cominciò ad andargli incontro con il bacino, facendo leva sui piedi appoggiati saldamente sul pavimento. Keith era leggero sopra di lui. Shiro avrebbe voluto sollevarlo di peso e sbatterlo contro il muro, ma si sarebbe tenuto l’idea per un altro giorno, quando avrebbe riavuto entrambe le sue braccia.
Shiro sentì l’orgasmo avvicinarsi.
“Sto…”, cominciò a dire.
Keith annuì. Portò una mano tra i loro due corpi e cominciò a toccarsi al ritmo delle spinte di Shiro. Quando venne Shiro lo sentì contrarsi intorno a lui. Venne subito dopo.
Rimasero stretti così a riprendere fiato. Keith nascose la testa nell’incavo della sua spalla. e si rilassò contro il suo petto.
“Ne avevo bisogno”, mormorò sulla sua pelle.
Shiro gli diede un bacio sulla testa e gli accarezzò i capelli.
“Dovremmo darci una pulita”
“Ancora un momento”, gli disse Shiro stringendolo e nascondendo la testa tra i suoi capelli. Inspirò a fondo il suo odore, sapeva di fumo del lampone del suo shampoo.
Keith sorrise contro di lui e non si mosse.
“Vieni a vivere con me”, gli disse improvvisamente Shiro.
Keith alzò la testa di scatto, con gli occhi spalancati. “Cosa?”
“Quando saremo tornati sulla Terra, vieni a vivere con me”
“Shiro, io-”
“Lo so. Vuoi continuare il tuo lavoro con le Lame e lo capisco. Ma voglio che tu abbia una casa per quando torni sulla Terra. E voglio che quella casa sia con me”.
Keith sorrise, nascondendosi il viso tra i capelli.
“Potrei stare via per parecchi mesi”
“Ti aspetterò”
Keith si appoggiò nuovamente al suo petto. “Va bene”.
Dopo un po’ si alzarono, Keith tirò fuori da uno scomparto della consolle alcune salviettine umidificate e le porse a Shiro per pulirsi. Shiro poteva vedere il suo seme scivolare lungo la coscia di Keith. Il suo sesso diede dei cenni di vita a quella vista, ma Shiro cercò di tenerlo a bada. Erano riusciti a ritagliarsi quel po’ di tempo, sapeva che non sarebbe stato facile ritargliersene abbastanza per un secondo round.
Si rivestirono entrambi e Keith si sedette nuovamente al suo posto. Appoggiò la mano sul bottone per riaprire le comunicazioni, ma sembrava riluttante a premerlo, quasi avesse paura di distruggere quel momento che si era venuto a creare tra di loro. Voltò la testa in direzione di Shiro, che gli sorrise incoraggiante.
Keith sospirò e schiacciò il bottone.
“Secondo voi gli ci vorrà ancora molto?”, sentirono Lance chiedere.
“Non voglio saperlo!”, rispose Pidge.
“Ringraziamo che almeno abbiano chiuso l’interfono”, intervenne Hunk.
“Di che si parla?”, chiese Keith intervenendo nella conversazione.
“Di te e Shiro”, rispose Lance senza problemi.
Keith si voltò verso Shiro alzando un sopracciglio.
“Cosa su me e Shiro?”, chiese Keith con espressione preoccupata, tenendo ancora lo sguardo ancorato a quello dell’altro.
“Quanto ci avreste messo prima di crollare e scopare come ricci nel vostro Leone”
“LANCE!”, lo rimproverò Allura.
“Cosa?!”, rispose quello esasperato. “Ti ricordo che è stata sua madre la più entusiasta quando ha saputo della scommessa! Seriamente poi, eravate convinti che la cosa della relazione stesse funzionando? No perchè vi fate gli occhi dolci praticamente da sempre, che era solo questione di tempo lo sapevamo tutti. Quando poi avete smesso di sembrare miserabili al riguardo che cosa fosse successo è stato chiaro a tutti”
Keith sembrava sconvolto, mentre Shiro cercava di non scoppiare a ridere.
“Scusa, cosa? Una scommessa? Mia madre? Ma cosa….”
Lance sbuffò. “Io avevo scommesso che avreste resistito solo una settimana, Pidge e Hunk hanno puntato su un mese. Allura, illusa, aveva scommesso che avreste resistito fino ad arrivare sulla Terra”.
Keith non sapeva più cosa fare, divenne completamente rosso e si nascose il viso tra le mani. Avrebbe voluto sotterrarsi in quel momento. Shiro si avvicinò a lui e lo strinse.
“Lance, lo stai uccidendo”, commentò.
Lance scoppiò a ridere. “Ehi, se è abbastanza grande per fare 'ste cose è abbastanza grande anche per parlarne!”
“Sei più grande di me solo di tre mesi”, intervenne Keith ancora nascosto dietro le sue mani. “E tecnicamente ho anche due anni più di te ormai”.
“Allora, ho vinto io alla fine?”, intervenne anche la voce di Krolia piena di ironia.
"Sì", rispose Lance a mezza bocca.
"Passerò a riscuotere le mie vincite"
Lance sbuffò. “Non vale però! Sei stata nel Leone per tre settimane, così hai falsificato la classifica!”
Krolia scoppiò a ridere. “Non ho mica deciso io! Ha fatto tutto Kosmo-"
"Non si chiama Kosmo", borbottò Keith
"...seguendo quello che voleva Keith e quanto pare Keith voleva-”
“MAMMA!”
“Che c’è? Pensavi veramente che non lo sapessi? Siamo stati insieme per due anni su quella specie di balena, ho avuto modo di vedere tutta la tua vita praticamente”
“Non è quello!”
“Che ho vinto la scommessa? Andiamo conosco mio figlio. Sapevo che ci avresti provato a fare il buon leader e a non lasciarti trascinare. Almeno per un po’”.
Keith appoggiò la testa contro la consolle, cercando di fondersi con il suo Leone e sparire.
Shirò ridacchio, con la sua voce profonda e strinse meglio Keith.
“Almeno adesso lo sanno. E ho anche la benedizione di tua madre”
Keith fu solo parzialmente consolato dalla cosa.
chasing_medea: (Default)
Titolo: nocturnal creatures
Fandom: attack on titan
Prompt/missione: Tramandato per l'eternita
Parole: 2000
Rating: nsfw

La vita in Alaska non era così male, una volta che ci si era abituato. Certo, non era il suo appartamento di lusso nel centro città, ma più passava il tempo più si rendeva conto di quanto fosse stata la scelta giusta quella di partire e lasciarsi tutto alle spalle per un po’.
Un anno sabbatico, così lo aveva chiamato, ed effettivamente a stare lì cominciava a sentirsi sempre più energico, il silenzio gli permetteva di dormire meglio, i suoi ritmi di vita sembravano più naturali. Aveva anche radicalmente ridotto la quantità di caffè di cui aveva bisogno per sentirsi sveglio per l’intera giornata: una tazza la mattina era più che sufficiente. E poi finirlo troppo presto voleva dire andare in città, con tre metri di neve e non ne aveva assolutamente voglia. Sentiva leggermente la mancanza del contatto umano, delle sue solite sveltine e per questo da quando era arrivato continuava a fare strani sogni erotici di cui non ricordava praticamente nulla, se non un paio di grandi occhi verde mare, erano fastidiosi, ma nel complesso si poteva dire che se la stesse cavando bene. C’era qualcosa di profondamente soddisfacente nel provvedere a tutte le necessità con le proprie mani.
L’estate era ormai alle porte, la neve aveva cominciato a sciogliersi e Levi sapeva che si stava avvicinando il periodo più impegnativo - aveva passato in quella casa con suo zio Kenny più estati di quante riuscisse a ricordare. C’era da sistemare tutto per l’inverno, da fare scorte di legna e di cibo in scatola, attrezzare le stalle e far partorire gli animali. E come se non bastasse i suoi amici, Hanji ed Erwin, avevano deciso di andare a trovarlo: è l’unico periodo dell’anno in cui posso considerare accettabile venire in Alaska, gli aveva detto Hanji che aveva un odio profondo per ogni tipo di freddo. Nel complesso, quindi, Levi si ritrovava a dover anche sistemare la casa in modo tale che potesse accogliere due ospiti.
Il lavoro non gli mancava.
Il mese successivo passò in un attimo e, prima che se ne rendesse conto, Levi dovette andare a prendere i suoi amici all’aeroporto. Le strade erano ormai sgombre di neve e la sua jeep percorse il tratto sterrato prima di arrivare alla strada asfaltata che lo avrebbe portato a Fort Yukon. L’aeroporto era piccolo e non ci passavano molte persone, ci arrivavano solo piccoli charter che non sembravano neanche troppo adatti a volare. Ogni volta Levi cercava di pensarci il meno possibile.
I suoi amici sembravano entusiasti di essere arrivati fino a lì. L’addetto all’aeroporto, che conosceva Levi da tutta la vita, non si prese neanche la briga di controllargli i documenti e li lasciò andare tranquillamente.
Levi caricò i loro bagagli nel portabagagli della jeep e guidò fino a casa.
Hanji tenne la testa fuori dal finestrino per tutto il viaggio, con il telefono davanti a lei a fare storie di Instagram una dietro all’altra - in una riprese anche Levi, che si limitò a fulminare la videocamera con lo sguardo. Continuava a dire quanto sperasse di vedere un Kushtaka, un qualche tipo di creatura mitologica che solo una fissate con l’esoterismo come lei poteva conoscere. Levi frequentava quei luoghi da tutta la vita e non aveva mai sentito quel nome. Come potesse essere amica di un realista come Levi era un mistero, ma si sa che qualche volta gli opposti si attraggono.
Una volta arrivati gli mostrò la loro camera. Avrebbero dovuto dividerla.
La prima sera Hanji andò a dormire presto, voleva svegliarsi presto la mattina dopo per andare a esplorare i boschi lì intorno. Levi già si immaginava di doverla andare a recuperare sul fondo di un burrone in mezzo al nulla. Non l’avrebbe mai ammesso, ma gli era mancata la sua amica.
Lui ed Erwin rimasero a bersi una tazza di tè davanti al camino. Era estate, ma era pur sempre l’estate in Alaska e il fuoco del camino era piacevole.
Levi cominciò ad avvicinarsi sempre di più a Erwin, fino a mettersi senza troppi preamboli a cavalcioni sulle sue gambe. Sapeva che se Erwin avesse avuto qualcosa in contrario non si sarebbe fatto problemi a mandarlo via, ma Erwin non lo fece. Lo portò in camera e passò la notte con lui. Erano anni che non capitava, era stata un’occorrenza abbastanza comune durante gli anni del college. Avevano sempre lavorato insieme e la situazione era chiara tra di loro, sapevano che non c’era nulla di più, era solo un buon modo per rilasciare occasionalmente lo stress. Una parte di Levi sperava anche che avere di nuovo la cosa vera avrebbe fatto calare la sua libido e facesse diminuire i sogni, che lo lasciavano ogni volta spossato. Nei sogni era sempre lui ad avere il ruolo attivo, ma con Erwin poteva lasciarsi andare. Si godette la sensazione di essere riempito.
Il giorno dopo, fortunatamente, non dovette andare a recuperare Hanji in nessun cratere, dovette però portarla a vedere ogni singolo angolo della sua casa, anche le stalle. Erwin preferì rimanere sul portico della casa a godersi il panorama e a leggersi un libro. Levi si ritrovò a pensare che un anno sabbatico non avrebbe fatto male neanche a lui. Il lavoro da avvocato poteva essere stressante, ci si ritrovava sempre ad andare a scavare nella vita delle persone, si entrava in contatto con situazioni complicate e alla lunga poteva essere logorante. Pensò di proporglielo, di dirgli di rimanere lì con lui, ma esattamente come aveva fatto lui doveva essere Erwin a prendere quella decisione per sè stesso, altrimenti l’avrebbe vissuta solamente come una forzatura.
La sera Levi si mise a letto tranquillo, convinto che i sogni lo avrebbero lasciato in pace, ma non andò così. Nei sogni riusciva anche a ricordare i sogni precedenti, con una chiarezza tale che gli era impossibile credere che una volta sveglio avrebbe dimenticato tutto. La stessa creatura che vedeva quasi ogni notte venne da lui, aveva le sembianze di un ragazzo giovane, con un corpo longilineo e muscoloso, lunghi capelli color cioccolato e grandi occhi verdi.
Quella sera sembrava infuriato.
Continuava a fulminarlo con lo sguardo. Levi sentì i suoi polsi venire legati alla testiera del letto, la creatura si mise a cavalcioni su di lui e cominciò a stuzzicarlo senza pietà, alternando baci a morsi che sicuramente avrebbero lasciato segni se quello non fosse stato un sogno. L'alternarsi di piacere e dolore stava facendo tremare Levi. La creatura scese con le labbra lungo il suo corpo, fino a prenderlo in bocca. Levi sentì la sua punta toccare la gola della creatura, che non diede alcun segno di fastidio. Cominciò a muovere la testa ad un ritmo frenetico, i muscoli delle gambe di Levi si tesero, inarcò la schiena contro il materasso, ma la creatura si fermò e si staccò da lui. Levi emise un singhiozzo. La creatura aspettò qualche momento, tenendo sempre il viso vicino al sesso di Levi, aspettò che Levi tornasse in sì e ricominciò. Poi lo fece ancora, e ancora un’altra volta, ma ogni volta che Levi stava per venire la creatura si bloccava. Levi cominciò a pregarlo di farlo venire. La creatura si staccò da lui e tornò a mettersi a cavalcioni del suo bacino, si strusciò un paio di volte contro l’erezione di Levi e quello quasi singhiozzò, poi cominciò a passarsi le mani sul petto, fino a far diventare i capezzoli turgidi e sporgenti, e Levi avrebbe voluto allungarsi e toccare. Senza rendersene conto sollevò la schiena dal materasso per avvicinarsi verso di lui, ma la creatura gli mise una mano sul petto e lo spinse di nuovo contro il letto, con una forza che Levi non gli aveva mai sentito prima e che servì solo a farlo scivolare di più. Continuò a toccarsi con la mano, fino a farla scivolare contro il suo corpo, si toccò per un momento l’erezione, la pompò un paio di volte, poi portò mano alla sua schiena, la fece scivolare fino a portare due dita alla sua apertura, e cominciò a prepararsi. Le mani di Levi fremevano per la voglia di staccarsi dalla testiera da letto e farlo lui stesso. Pregò che la creatura si girasse, che gli facesse almeno vedere che cosa stesse facendo, ma quello lo ignorò, continuò a prepararsi lentamente, sfiorando ogni tanto l’erezione di Levi con i suoi movimenti.
Dopo un tempo che sembrava infinito cominciò a calarsi su di Levi. Levi emise un gemito gutturale e cercò di stringere i muscoli per rimanere fermo. La creatura andava lenta, disperatamente lenta e quando Levi provò a muovere il bacino verso l’alto, la creatura si fermò completamente e lo fulminò con lo sguardo, gli morse il collo forte. A poco a poco aumentò il ritmo, fino ad assumerne uno che faceva quasi male a Levi, ma non avrebbe voluto che smettesse per nulla al mondo. Il movimento del corpo faceva sfregare i polsi contro le corde ed era abbastanza sicuro che le lacrime si stessero accumulando agli angoli dei suoi occhi. La creature venne, ma continuò a spingersi su di lui fino a che anche Levi raggiunse il culmine. Vide tutto bianco e poi la sua coscienza si dissolse.
La mattina dopo Levi si svegliò, grugnì mentre si alzava dal letto, sentendosi indolenzito in tutto il corpo. Non ricordava quasi nulla del sogno della notte precedente, solo dei grandi occhi verdi che lo guardavano arrabbiati. Si alzò e cercò di distendere i muscoli, camminò fino alla cucina e cominciò a preparare la colazione. Quando allungò le mani verso la macchinetta del caffè vide i lividi sui polsi.
Alcuni dettagli del sogno cominciarono a riaffiorare - si ricordò la creatura, si ricordò i morsi, si ricordò come si era spinto contro lui , si ricordò la furia nei suoi occhi.
Levi quasi corse verso il bagno e si guardò allo specchio, aveva il segno evidente di un morso sul collo, si vedeva chiaramente il punto in cui i canini appuntiti della creatura avevano scaricato la loro forza. Si tolse la maglietta di corsa e si rese conto che aveva il corpo pieno di lividi.
Stava impazzendo. Non poteva esserci altra spiegazione. Non era possibile che un sogno lasciasse segni.
Uscì dal bagno e trovò Hanji ed Erwin già seduti al tavolo, con davanti delle tazze piene di caffè fumante. Prese anche la sua, si sedette pesantemente al tavolo e poi alzò lo sguardo su di loro.
“Erwin ti ha conciato per le feste”, commentò Hanji.
“Uhm?”, disse Erwin alzando la testa dal suo telefono e lanciando un’occhiata a Levi. Alzò un sopracciglio. “Io non c’entro”.
“Sto impazzendo”, annunciò.
Erwin e Hanji si scambiarono uno sguardo preoccupato.
“Puoi smettere quando vuoi”, cominciò Erwin. “Capisco che l’isolamento può avere delle conseguenze. Non sei costretto ad arrivare alla fine di questo anno sabbatico”.
Levi ci mise un po’ a capire a che cosa si stesse riferendo.
“Cos- No, non è quello”.
Sospirò e cominciò a spiegare la situazione, alzando anche le maniche della maglietta per mostrare i lividi, come se i morsi sul suo collo non fossero stati abbastanza esplicativi.
Finita la spiegazione Hanji si portò una mano al mento pensierosa.
“Uhm… credo sia un incubus. E a quanto pare si è incazzato perchè tu sei andato a letto con Erwin”.
Levi la guardò sconvolto, ma la situazione era talmente assurda che poteva quasi crederle.
“Un incubus?”, chise Erwin al posto suo.
“Sono demoni. Visitano nel sonno le persone e cercano di prenderne il seme”, cominciò a spiegare.
E più spiegava più a Levi era convinto di essere impazzito perchè quello che diceva aveva effettivamente senso. Levi non sapeva quale fosse la cosa più assurda di quella situazione: che un incubus lo avesse preso di mira o il fatto che Hanji avesse ragione.
Alzò lo sguardo dal suo caffè e guardò Hanji: aveva l'espressione soddisfatta dell’io te lo avevo detto o del “vedi che avevo ragione io?!”.
Sì, la cosa peggiore era decisamente dover dare ragione ad Hanji. Per il resto ci sarebbe stato altro tempo.
chasing_medea: (Default)
Titolo: unspoken feelings
Fandom: Obey me!
Prompt: omegaverse
Parole: 1560
Rating: nsfw
Warning: twincest, omegaverse, slight somnophilia

Beel non voleva credere che Lucifer avrebbe veramente fatto qualcosa del genere. Avrebbe mandato via Belphie per una stupidissima discussione, l'avrebbe mandato via per un anno, tra gli umani, senza la possibilità di vederlo o scrivergli o sentire la sua voce costantemente assonnata al telefono.
Un anno non era molto, considerando quanto vivesse un demone, ma lui e Belphie erano stati insieme da sempre, da ancora prima che nascessero, non riusciva a immaginare di passare neanche una giornata senza di lui, figurarsi un anno.
Il suo primo istinto, quando Lucifero aveva annunciato che sarebbe stato Belphagor ad andare nel mondo umano come studente per il programma di scambio, era stato quello di attaccarlo per proteggere Belphie, ma Lucifero era il fratello maggiore, era il capobranco, e anche il suo Alfa sottostava al suo volere. Beel non aveva potuto fare niente e si sentiva una persona orribile per quello.
Il modo in cui Belphie si era voltato verso di lui, con gli occhi spalancati, chiedendogli una mano mentre l'autorità di Lucifero lo bloccava sul posto era stato terribile. Non aveva idea di come ripresentarsi nella camera che condivideva con l'omega. Non appena Belphie era scappato in camera, lui era uscito dalla casa e aveva cominciato a vagare per il Devildom. Si era fermato a mangiare in un piccolo locale che conosceva, ma a differenza delle altre volte non riusciva a trovare alcuna soddisfazione nel cibo. Aveva continuato a mangiare senza reale intento, senza reale voglia di farlo.
Tornò alla casa dei lamenti solamente a notte inoltrata ed entrò piano nella sua stanza, sperando che Belphie già dormisse e che non avrebbe dovuto affrontarlo. La prima cosa che lo colpì non appena aprì la porta, fu l'odore denso dentro la stanza.
Calore.
Belphie era entrato in calore, probabilmente per lo stress della giornata.
Beel cercò di trattenere il respiro il più possibile. L'odore del Belphie era sempre stato il suo punto debole, ma quando entrava in calore era veramente complicato per lui resistere.
Come sempre faceva tutte le volte che lui era in calore, Beel prese una coperta aggiuntiva dal suo armadio, uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle e si sdraiò lì davanti alla porta, cercando di ignorare le reazioni fisiologiche che quell'odore causava in lui ogni volta.
Si accomodò davanti alla porta, si avvolse nella coperta e cercò di prendere sonno.
"Beel?", si sentì chiamare da dietro la porta.
"Ehi, sono qui. Non preoccuparti"
Belphie non rispose.
"Vuoi qualcosa da mangiare?", chiese Beel.
"No"
L'odore di Belphie si fece più intenso, doveva essersi avvicinato alla porta.
"Dovresti rimetterti a letto", gli disse Beel.
"Non mi va di stare da solo"
Beel sentì una coltellata nel petto a quella affermazione. Si chiese distrattamente come avrebbe fatto quando sarebbe stato tra gli umani, chi si sarebbe preso cura di lui, ma il pensiero lo fece stare solo peggio.
"Mi dispiace per oggi", disse Beel a voce bassa, quasi sperando che Belphie non lo sentisse. "Avrei dovuto dire qualcosa, io-"
"Non c'è molto da fare con Lucifero, non quando gli prende così. Non preoccuparti"
Beel si fece ancora più piccolo dentro la coperta, stringendosela meglio addosso. Belphie dovette sentire il suo odore cambiare, perchè cominciò a mandare feromoni calmanti nella sua direzione. Se possibile, Beel si sentì ancora peggio. Doveva essere lui a confortare Belphie, non il contrario.
"Vado a prenderti qualcosa da mangiare", disse.
Si alzò per allontanarsi da lì e darsi un contegno. Aprì il frigo e prese qualcosa dalle scorte che tenevano per situazioni come quella - con due omega in casa era meglio essere preparati. Approfittò del momento per cercare di darsi una calmata e riprendere un contegno. Non era quello il momento per buttarsi giù, Belphie aveva bisogno di lui e lui doveva essere al meglio della propria condizione.
Preparò un vassoio di cibi leggeri, nutrienti e freschi, ci mise sopra anche due bottigliette d'acqua, e ritornò verso la camera. Belphie aprì la porta. Aveva il viso arrossato, i vestiti sgualciti e i capelli sudati attaccati alla fronte.
"Puoi entrare se vuoi", gli disse ancora una volta Belphie.
"Devi mangiare", gli rispose.
Belphie prese il vassoio e Beel richiuse la porta.
Dopo un po' Beel cominciò a sentire gemiti provenire dall'altro lato della porta. Era sicuro che Belphie lo stesse facendo apposta, in centinaia di anni che lo aveva assistito in quelle situazioni non era mai stato così rumoroso. Beel sentì le sue difese farsi sempre più fragili. Dovette far ricorso a tutto il suo autocontrollo per evitare di spalancare la porta della stanza e prendersi ciò che desiderava. Poteva sentire sin da lì l'odore dell'eccitazione di Belphie, chiuse gli occhi e appoggiò la testa contro la porta, si leccò le labbra provando a pensare quale potesse essere il suo sapore.
Non riuscì a impedirsi di infilarsi una mano nei pantaloni e cominciare a masturbarsi, piano, al ritmo dei gemiti di Belphie.
Venne quando sentì Belphie mormorare il suo nome mentre veniva.

Non aveva mai avuto particolari problemi a stare vicino a Belphie in quelle situazioni, ma quella volta sembrava che avesse deciso di fare qualunque cosa per fargli perdere il controllo. Oltre a mormorare il suo nome, aveva cominciato ad avvicinarsi sempre di più alla porta quando una nuova ondata lo colpiva, a mormorare il suo nome mentre veniva, a dirgli cose come che aveva bisogno del suo odore, che voleva sentirlo vicino. Beel era veramente al limite.
Quando finalmente il suo calore sembrò avvicinarsi alla fine Beel tirò un sospiro di sollievo.
Era pronto a tornare in camera sua, a dormire nel suo letto. Per quanto amasse suo fratello, una settimana a dormire sulla moquette rossa del corridoio era più che abbastanza. Osservò un po' la coperta prima di decidere cosa farne, ma dopo come l'aveva ridotta nel corso di quella settimana l'unica scelta logica sembrava quella di bruciarla.
Aprì la porta della stanza e venne subito colpito dall'odore lì dentro. L'odore del calore era ancora intenso e Beel sentì lo stomaco stringersi.
Si avvicinò al letto, Belphie dormiva di fianco, sempre stretto al suo cuscino, ma con espressione serena, probabilmente la prima volta che riusciva a dormire serenamente durante tutta la settimana.
Gli istinti da Alpha di Beel gli stavano dicendo di prendersi cura dell'omega e senza pensarci molto si stese accanto a lui e circondò il suo corpo con un braccio, facendo aderire il petto alla sua schiena. Senti immediatamente Belphie sospirare di sollievo nel sonno e avvicinarsi ancora di più a lui. Beel avvicinò il naso al suo collo, per ispirarne ancora a fondo l'odore. Il suo calore era ancora in corso, ma i giorni peggiori erano passati, adesso l'odore rimaneva in sottofondo.
Beel si rese conto solo in quel momento che stava indossando una sua maglietta che gli cadeva troppo grande addosso e nient'altro. Si strinse meglio contro il suo corpo e dovette resistere alla tentazione di affondare i denti nella sua spalla.
Belphie si fece ancora più vicino, si accomodò meglio tra le sue braccia con un sospiro soddisfatto. Il suo odore cominciò a cambiare leggermente, le note del suo calore cominciarono a farsi più intense. Beel era combattuto, sapeva di dover andar via ma ogni parte di lui gli urlava di rimanere lì a prendersi cura del suo omega.
Belphie, nel sonno, assecondò il suo calore. Spinse il bacino contro quello di Beel e cominciò a strusciarsi, emettendo piccoli gemiti soddisfatti con la testa reclinata indietro verso di lui e la bocca leggermente aperta.
Beel gemette e affondò la testa nell'incavo del suo collo, ispirando a fondo quell'odore. Lo sapeva, non sarebbe stato più in grado di andar via da lì.
Beel fece scorrere la mano sulla pancia di Belphie lungo il suo corpo, fino ad andargli a toccare l'erezione già dura. Belphie emise un gemito più profondo ma non si svegliò, continuò a strusciarsi contro il bacino di Beel sempre più frenetico.
Beel portò la mano alla sua apertura, lo trovò già bagnato e pronto dopo i giorni di calore intenso. Non ci vide più, si abbassò frettolosamente i pantaloni, allargò le natiche di Belphie e fece scorrere la sua punta contro di lui. Nascose un gemito mordendo la spalla di Belphie, ma ancora una volta quello non si svegliò. Lentamente cominciò a penetrarlo.
Belphie emise allo stesso tempo un gemito più rumoroso e soddisfatto e un sospiro di sollievo. Sorrise, ma non aprì gli occhi.
"Ti sei deciso finalmente", disse solo con voce rotta.
"Non hai fatto altro che tentarmi"
"Non ero sicuro funzionasse"
Beel uscì da lui e ci rientrò con un colpo secco del bacino. Belphie inarcò la schiena contro il suo petto, un urlo silenzioso uscì dalla sua bocca.
"Non ti ho mai visto impegnarti tanto per qualcosa"
"E io non ti avevo mai visto resistere così tanto alla fame"
Beel ripetè quello che aveva fatto, trovò un ritmo veloce e profondo, ma Belphie non sembrò lamentarsi. I suoi gemiti crebbero di volume. Beel sentì il proprio nodo formarsi.
"Non volevo partire senza averti avuto almeno una volta", rispose.
Anni a trattenersi fecero venire entrambi rapidamente, il nodo entrò il Belphie tenendoli attaccati. Belphie voltò la testa, tirò Beel verso di lui, reclamando un bacio.
Non era possibile che si fermassero ad una volta sola, pensò Beel. Non adesso che aveva finalmente avuto modo di assaggiarlo.
Dopotutto, era il demone della gola.

Mani

Jan. 17th, 2020 09:58 pm
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Le mani di Shinomiya gli sollevano la maglietta, percorrono la sua schiena, accarezzano la sua pelle con la stessa attenzione con cui maneggia gli ingredienti. Averle addosso, sentirsi toccare con quella stessa devozione lo porta a cercare di più. Souma si spinge verso di lui, i bacini si sfiorano.
- Finirai per farmi arrestare -, gli dice Shinomiya alternando baci e ansimi.
Souma ridacchia leggermente sulle sue labbra, approfondisce il bacio. Succhia il labbro inferiore e lo mordicchia leggermente.
Sulla scrivania il biglietto aereo per il ritorno di Shinomiya in Francia incombe, ma per il momento vogliono continuare a ignorarlo.
 
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