tie the knot
Feb. 28th, 2020 11:00 pmTitolo: tie the knot
Fandom: Haikyuu
Prompt/missione: M4 - you wanted to make me believe in love
Parole: 1440
Rating: safe
Kageyama, steso a pancia in su sul letto, palleggia pigramente sopra la sua testa. Tiene le mani occupate, mentre la sua testa è altrove. Lo sguardo gli cade sul filo grigio annodato al suo mignolo.
Sua madre gli aveva spiegato anni prima cosa fosse, quando Kageyama non riusciva a capire come mai nessun altro potesse vederlo.
- Anche io posso vedere il mio -, aveva detto con voce rassicurante e un sorriso dolce. – Non tutti possono. Ti indicherà la persona più importante della tua vita -.
- Quindi il tuo ti ha portato a papà? -, le aveva chiesto ingenuamente Kageyama, con gli occhi grandi e pieni di meraviglia. Sarebbero passati ancora un paio d’anni prima del divorzio, prima che suo padre prendesse le sue cose e sparisse nel nulla, ma i segnali erano già nell’espressione tirata che sua madre gli aveva rivolto in quell’occasione.
- Non è sempre la persona di cui ci innamoriamo -, gli aveva spiegato prendendolo in braccio e facendolo sedere sulle sue ginocchia. – Quel filo ci conduce alla persona che ha il potere di cambiare la nostra vita, ma non possiamo sapere in che modo succederà perché non possiamo vedere il colore del filo -.
- Il colore? –
- Mh-mh -, aveva annuito sua madre. – Alcune persone sono in grado di vedere anche il colore di questi fili. Ce ne sono tre. Bianco per gli amici, nero per i rivali e rosso per la persona amata -.
Kageyama non aveva capito per molto tempo come potesse esserci qualcuno di tanto importante da meritarsi di essere legata a lui in quel modo – il pensiero lo aveva irritato a lungo. Non voleva che uno stupido filo gli dicesse chi dovesse far entrare nella sua vita o meno.
Quando era arrivato alle medie aveva visto Oikawa giocare. Aveva sentito il suo cuore accelerare, gli occhi spalancarsi. Aveva deciso che sarebbe diventato alzatore e aveva pensato che il filo non poteva non portare a lui – quale rivoluzione poteva esserci di più grandi di quella, nella sua mente interamente occupata dalla pallavolo?
Aveva provato ad avvicinarlo in continuazione, gli girava intorno sperando di vedere il suo filo collegato al mignolo di Oikawa. Dopo che lo aveva quasi colpito si era rassegnato al fatto che il filo potesse essere nero, non che non lo avrebbe portato a lui. Doveva esserci un errore. Ma Oikawa finì le scuole medie, andò al liceo e Kageyama fu costretto a lasciar perdere la questione.
La vita di Kageyama era proseguita come al solito per due anni, quel filo a malapena sfiorava i suoi pensieri. Ogni tanto entrava nel suo campo visivo, ma aveva imparato ad ignorarlo. Dopotutto doveva essere sbagliato: se non lo aveva collegato a Oikawa cosa poteva fare per lui? Era solo una stupidaggine.
Poi all’improvviso eccolo lì. Nel bagno di un palazzetto, una figura mingherlina e tremante, con grandi occhi castani e caotici capelli arancioni. Kageyama sentì un brivido di eccitazione percorrerlo.
Aveva pensato che dovesse essere forte e erima di scendere in campo fremeva d’eccitazione all’idea di trovarsi davanti al suo rivale designato, non gli succedeva da molto tempo.
Si era dovuto ricredere poco dopo. Quel ragazzino era completamente incapace. Come poteva essere la persona più importante della sua vita qualcuno di così mediocre? Oltre alla tenacia e la fame di vittoria che lo avevano affascinato, non aveva nulla.
Kageyama pensò nuovamente che quel filo fosse sbagliato, che gli si fosse legato addosso il filo di qualcun altro. Provò anche a fare qualche ricerca per vedere se cose del genere potessero succedere, ma trovò solo leggende popolari e racconti di gente estasiata di aver trovato il proprio compagno.
Se davvero quei fili non sbagliavano, l’unica spiegazione era che quel ragazzino sarebbe diventato forte e l’anno successivo se lo sarebbe ritrovato come rivale.
Nuovamente si dimenticò del filo. C’era un torneo da vincere, la scuola da continuare.
Era arrivato poi il rifiuto dei suoi compagni.
Per la prima volta Kageyama aveva provato un moto di tristezza al pensiero di chi fosse legato a lui. Si chiese se l’altra persona sarebbe stata delusa – lui sarebbe stato deluso, forse, di trovarsi qualcuno come lui davanti. Per la prima volta volle tagliare quel filo, non per il suo bene, ma per quello dell’altra persona.
Mai avrebbe pensato che l’anno successivo si sarebbe ritrovato quel ragazzino come compagno di squadra, né che insieme avrebbero conquistato il palco nazionale. Non avrebbe mai pensato di trovare un complice, un alleato che continuava a urlare a squarciagola anche dopo che avevano cambiato i segnali solo per fargli sapere che era lì, pronto, che avrebbe schiacciato qualunque pallone Kageyama avrebbe alzato. Che non gli avrebbe mai permesso di voltarsi e non trovare nessuno alle sue spalle. Che lo spingeva a dare di più, a fare meglio – perché Kageyama non avrebbe perso contro di lui, ma per continuare a vincere non poteva battere la fiacca. Perché Hinata cresceva, cresceva a vista d’occhio, e Kageyama sentiva l’orgoglio scaldargli il petto. Era un amico e un rivale nella stessa persona e Kageyama non credeva potesse chiedere di meglio.
Ma poi quell’orgoglio che gli scaldava il petto era cominciato a diventare altro, quel calore nel petto era cominciato ad apparire anche lontano dal campo, quando Hinata non faceva nulla di particolare, solo si voltava e sorrideva a Kageyama.
- Tobio? -, la voce di sua madre interrompe i suoi pensieri. Aveva affacciato solo la testa alla porta della sua camera d’albergo. – Almeno oggi potresti mettere via quel pallone -, lo rimprovera dolcemente entrando nella stanza. Si avvicina a lui e gli passa una mano tra i capelli.
- Nervoso? – gli chiede.
Kageyama annuisce. E’ la prima volta che sente il panico crescere in lui da quando hanno cominciato ad organizzare tutto. Mai come il quel momento vorrebbe vedere il colore di quel filo per sapere se sta facendo la scelta giusta.
Tobio si tira su sul letto, nasconde il viso dietro la frangia troppo lunga. – Tu è papà… - comincia.
- Non abbiamo mai avuto quello che avete tu e Shoyo –
- Il filo? –
Sua madre scuote la testa. – Il filo ti ha portato a lui, ti ha detto che avrebbe avuto un ruolo nella tua vita. Sei stato tu a scegliere che ruolo dovesse avere. Vi sareste scelti anche senza quello. Voi due vi capite come nessun’altro –
Tobio annuisce e si alza dal letto, il viso deciso come prima delle grandi partite.
- Ti sei sgualcito tutto il vestito -, gli dice la madre sistemandogli le pieghe. Si prende un momento per guardarlo, gli prende il viso tra le mani. I suoi occhi trattengono a stento le lacrime.
Tobio vorrebbe fuggire al suo sguardo e annegarci dentro allo stesso tempo. I tempo in cui non riescono a parlarsi sono lontani alle loro spalle e anche quello deve essere imputato a Shoyo – quando la potenza di quello che provava aveva terrorizzato Tobio, lo aveva costretto ad aprirsi con sua madre, a ricucire quella frattura che si stava creando tra di loro. Da lì avevano cominciato a recuperare in rapporto che aveva rischiato di sgretolarsi tra i loro silenzi.
Sua madre apre la bocca, prova a dire qualcosa, ma dalla sua bocca non esce nulla. Tobio mette le mani sopra le sue più piccole e annuisce, guardandola negli occhi dall’altro verso il basso. Sua madre era sempre stata minuta, ma solo in quel momento si rende conto di quanto sia diventato più alto di lei, che da tempo ha smesso di guardarla dal basso verso l’alto. Tobio capisce quello che vuole dire, non c’è bisogno di dire nulla.
La madre annuisce in risposta, gli sorride.
In silenzio si chiudono alle spalle la porta della stanza e scendono le scale.
Raggiungono il giardino, addobbato per l’occasione. All’altare, ad attenderlo, c’è Shoyo – elegantissimo nel suo smoking, con un grosso sorriso sulle labbra – quello che dopo anni fa ancora fare le capriole allo stomaco di Kageyama – e gli occhi brillanti. Legato a lui da quel filo grigio, strettamente annodato ai loro mignoli.
Kageyama sente un piccolo sorriso farsi strada in lui, le guance arrossarsi davanti agli sguardi commossi dei loro amici. I dubbi sono ormai alle sue spalle, ma se Kageyama potesse vedere quel filo adesso vedrebbe tre colori, bianco, nero e rosso, strettamente intrecciati tra di loro.
E se potesse vederlo si ricorderebbe di quella ricerca fatta su internet tanti anni prima, in un momento di sconforto, in cui aveva letto che raramente, molto raramente, quei tre colori possono trovarsi nella stessa persona, nel segno delle anime gemelle.
Fandom: Haikyuu
Prompt/missione: M4 - you wanted to make me believe in love
Parole: 1440
Rating: safe
Kageyama, steso a pancia in su sul letto, palleggia pigramente sopra la sua testa. Tiene le mani occupate, mentre la sua testa è altrove. Lo sguardo gli cade sul filo grigio annodato al suo mignolo.
Sua madre gli aveva spiegato anni prima cosa fosse, quando Kageyama non riusciva a capire come mai nessun altro potesse vederlo.
- Anche io posso vedere il mio -, aveva detto con voce rassicurante e un sorriso dolce. – Non tutti possono. Ti indicherà la persona più importante della tua vita -.
- Quindi il tuo ti ha portato a papà? -, le aveva chiesto ingenuamente Kageyama, con gli occhi grandi e pieni di meraviglia. Sarebbero passati ancora un paio d’anni prima del divorzio, prima che suo padre prendesse le sue cose e sparisse nel nulla, ma i segnali erano già nell’espressione tirata che sua madre gli aveva rivolto in quell’occasione.
- Non è sempre la persona di cui ci innamoriamo -, gli aveva spiegato prendendolo in braccio e facendolo sedere sulle sue ginocchia. – Quel filo ci conduce alla persona che ha il potere di cambiare la nostra vita, ma non possiamo sapere in che modo succederà perché non possiamo vedere il colore del filo -.
- Il colore? –
- Mh-mh -, aveva annuito sua madre. – Alcune persone sono in grado di vedere anche il colore di questi fili. Ce ne sono tre. Bianco per gli amici, nero per i rivali e rosso per la persona amata -.
Kageyama non aveva capito per molto tempo come potesse esserci qualcuno di tanto importante da meritarsi di essere legata a lui in quel modo – il pensiero lo aveva irritato a lungo. Non voleva che uno stupido filo gli dicesse chi dovesse far entrare nella sua vita o meno.
Quando era arrivato alle medie aveva visto Oikawa giocare. Aveva sentito il suo cuore accelerare, gli occhi spalancarsi. Aveva deciso che sarebbe diventato alzatore e aveva pensato che il filo non poteva non portare a lui – quale rivoluzione poteva esserci di più grandi di quella, nella sua mente interamente occupata dalla pallavolo?
Aveva provato ad avvicinarlo in continuazione, gli girava intorno sperando di vedere il suo filo collegato al mignolo di Oikawa. Dopo che lo aveva quasi colpito si era rassegnato al fatto che il filo potesse essere nero, non che non lo avrebbe portato a lui. Doveva esserci un errore. Ma Oikawa finì le scuole medie, andò al liceo e Kageyama fu costretto a lasciar perdere la questione.
La vita di Kageyama era proseguita come al solito per due anni, quel filo a malapena sfiorava i suoi pensieri. Ogni tanto entrava nel suo campo visivo, ma aveva imparato ad ignorarlo. Dopotutto doveva essere sbagliato: se non lo aveva collegato a Oikawa cosa poteva fare per lui? Era solo una stupidaggine.
Poi all’improvviso eccolo lì. Nel bagno di un palazzetto, una figura mingherlina e tremante, con grandi occhi castani e caotici capelli arancioni. Kageyama sentì un brivido di eccitazione percorrerlo.
Aveva pensato che dovesse essere forte e erima di scendere in campo fremeva d’eccitazione all’idea di trovarsi davanti al suo rivale designato, non gli succedeva da molto tempo.
Si era dovuto ricredere poco dopo. Quel ragazzino era completamente incapace. Come poteva essere la persona più importante della sua vita qualcuno di così mediocre? Oltre alla tenacia e la fame di vittoria che lo avevano affascinato, non aveva nulla.
Kageyama pensò nuovamente che quel filo fosse sbagliato, che gli si fosse legato addosso il filo di qualcun altro. Provò anche a fare qualche ricerca per vedere se cose del genere potessero succedere, ma trovò solo leggende popolari e racconti di gente estasiata di aver trovato il proprio compagno.
Se davvero quei fili non sbagliavano, l’unica spiegazione era che quel ragazzino sarebbe diventato forte e l’anno successivo se lo sarebbe ritrovato come rivale.
Nuovamente si dimenticò del filo. C’era un torneo da vincere, la scuola da continuare.
Era arrivato poi il rifiuto dei suoi compagni.
Per la prima volta Kageyama aveva provato un moto di tristezza al pensiero di chi fosse legato a lui. Si chiese se l’altra persona sarebbe stata delusa – lui sarebbe stato deluso, forse, di trovarsi qualcuno come lui davanti. Per la prima volta volle tagliare quel filo, non per il suo bene, ma per quello dell’altra persona.
Mai avrebbe pensato che l’anno successivo si sarebbe ritrovato quel ragazzino come compagno di squadra, né che insieme avrebbero conquistato il palco nazionale. Non avrebbe mai pensato di trovare un complice, un alleato che continuava a urlare a squarciagola anche dopo che avevano cambiato i segnali solo per fargli sapere che era lì, pronto, che avrebbe schiacciato qualunque pallone Kageyama avrebbe alzato. Che non gli avrebbe mai permesso di voltarsi e non trovare nessuno alle sue spalle. Che lo spingeva a dare di più, a fare meglio – perché Kageyama non avrebbe perso contro di lui, ma per continuare a vincere non poteva battere la fiacca. Perché Hinata cresceva, cresceva a vista d’occhio, e Kageyama sentiva l’orgoglio scaldargli il petto. Era un amico e un rivale nella stessa persona e Kageyama non credeva potesse chiedere di meglio.
Ma poi quell’orgoglio che gli scaldava il petto era cominciato a diventare altro, quel calore nel petto era cominciato ad apparire anche lontano dal campo, quando Hinata non faceva nulla di particolare, solo si voltava e sorrideva a Kageyama.
- Tobio? -, la voce di sua madre interrompe i suoi pensieri. Aveva affacciato solo la testa alla porta della sua camera d’albergo. – Almeno oggi potresti mettere via quel pallone -, lo rimprovera dolcemente entrando nella stanza. Si avvicina a lui e gli passa una mano tra i capelli.
- Nervoso? – gli chiede.
Kageyama annuisce. E’ la prima volta che sente il panico crescere in lui da quando hanno cominciato ad organizzare tutto. Mai come il quel momento vorrebbe vedere il colore di quel filo per sapere se sta facendo la scelta giusta.
Tobio si tira su sul letto, nasconde il viso dietro la frangia troppo lunga. – Tu è papà… - comincia.
- Non abbiamo mai avuto quello che avete tu e Shoyo –
- Il filo? –
Sua madre scuote la testa. – Il filo ti ha portato a lui, ti ha detto che avrebbe avuto un ruolo nella tua vita. Sei stato tu a scegliere che ruolo dovesse avere. Vi sareste scelti anche senza quello. Voi due vi capite come nessun’altro –
Tobio annuisce e si alza dal letto, il viso deciso come prima delle grandi partite.
- Ti sei sgualcito tutto il vestito -, gli dice la madre sistemandogli le pieghe. Si prende un momento per guardarlo, gli prende il viso tra le mani. I suoi occhi trattengono a stento le lacrime.
Tobio vorrebbe fuggire al suo sguardo e annegarci dentro allo stesso tempo. I tempo in cui non riescono a parlarsi sono lontani alle loro spalle e anche quello deve essere imputato a Shoyo – quando la potenza di quello che provava aveva terrorizzato Tobio, lo aveva costretto ad aprirsi con sua madre, a ricucire quella frattura che si stava creando tra di loro. Da lì avevano cominciato a recuperare in rapporto che aveva rischiato di sgretolarsi tra i loro silenzi.
Sua madre apre la bocca, prova a dire qualcosa, ma dalla sua bocca non esce nulla. Tobio mette le mani sopra le sue più piccole e annuisce, guardandola negli occhi dall’altro verso il basso. Sua madre era sempre stata minuta, ma solo in quel momento si rende conto di quanto sia diventato più alto di lei, che da tempo ha smesso di guardarla dal basso verso l’alto. Tobio capisce quello che vuole dire, non c’è bisogno di dire nulla.
La madre annuisce in risposta, gli sorride.
In silenzio si chiudono alle spalle la porta della stanza e scendono le scale.
Raggiungono il giardino, addobbato per l’occasione. All’altare, ad attenderlo, c’è Shoyo – elegantissimo nel suo smoking, con un grosso sorriso sulle labbra – quello che dopo anni fa ancora fare le capriole allo stomaco di Kageyama – e gli occhi brillanti. Legato a lui da quel filo grigio, strettamente annodato ai loro mignoli.
Kageyama sente un piccolo sorriso farsi strada in lui, le guance arrossarsi davanti agli sguardi commossi dei loro amici. I dubbi sono ormai alle sue spalle, ma se Kageyama potesse vedere quel filo adesso vedrebbe tre colori, bianco, nero e rosso, strettamente intrecciati tra di loro.
E se potesse vederlo si ricorderebbe di quella ricerca fatta su internet tanti anni prima, in un momento di sconforto, in cui aveva letto che raramente, molto raramente, quei tre colori possono trovarsi nella stessa persona, nel segno delle anime gemelle.