see you again
Feb. 29th, 2020 10:31 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: see you again
Fandom: Haikyuu
Prompt/missione: M1 - spokon
Parole: 1510
Rating: safe
Kageyama non aveva alcuna intenzione di lasciare la mano della madre.
Non capiva perché dovesse essere lì, con gli altri bambini. Non gli piacevano gli altri bambini, erano caotici e rumorosi. E poi lui non piaceva quasi mai agli altri bambini.
Dunque, non aveva alcuna intenzione di lasciare la mano della madre. Alla fine, si sarebbe arresa e lo avrebbe riportato a casa come tutti gli altri giorni. Sapeva di poter essere testardo quando voleva.
La madre si abbassò, senza lasciargli la mano, fino ad arrivare con il viso alla sua altezza.
“Tobio", gli disse dolcemente, "non vuoi farti degli amici?".
Tobio scosse la testa. Non è che non volesse, è che non aveva proprio idea di come fare ed era troppo spaventoso perché fossero gli altri a fare il primo passo.
La madre alla fine gli lasciò la mano e lo lasciò con due signorine che Tobio non aveva mai visto. Avrebbe voluto piangere, ma non gli andava di piangere davanti a tutti quegli bambini.
Un bambino dall’altro lato della classe con capelli arancioni sparati in tutte le direzioni sembrava stesse tenendo un comizio, tutti gli altri bambini lo circondavano e lo guardavano meravigliati. Tobio non sapeva ancora cosa fosse l’invidia, ma provò qualcosa di fastidioso alla bocca dello stomaco. Anche lui avrebbe voluto essere così, anche lui avrebbe voluto essere in grado di stare al centro di un piccolo gruppo.
La maestra disse a tutti di prendere i loro posti e Tobio si sedette al secondo banco.
La maestra cominciò a spiegare le prime lettere dell’alfabeto e Tobio, con la matita in mano e l’espressione concentrata, provò a ricopiare i simboli che la maestra aveva tracciato alla lavagna.
Durante la ricreazione Tobio non sapeva bene cosa avrebbe dovuto fare. Restare seduto al banco? Cercare di parlare con gli altri? Ma gli sembrava che nessuno degli altri avesse voglia di parlare con lui. Tutta la classe andò in guardino e Tobio decise di seguirli. Si sedette in un angolo del cortile, con le ginocchia al petto e il suo cartone del latte schiacciato stretto tra le mani.
Avrebbe tanto voluto avere un pallone, almeno avrebbe potuto esercitarsi.
Fu il bambino con i capelli arancioni ad andare da lui.
"Ciao”
"Ciao” rispose Tobio, continuando però a tenere il broncio.
"Come ti chiami?”
"Kageyama”
"Io sono Hinata”
Cosa avrebbe dovuto dirgli adesso?
"Ok”
Hinata rise alla sua risposta.
"Tu giochi a pallavolo?", gli chiese Hinata.
Tobio lo guardò sorpreso. Hinata indicò la sua maglietta, che aveva una grossa palla da pallavolo sul davanti. L'aveva vista qualche giorno prima, quando sua madre lo aveva portato a cercare dei nuovi vestiti per la scuola e aveva puntato i piedi finchè sua madre non si era arresa e gliela aveva presa. Kageyama raramente faceva i capricci per qualcosa, dopotutto.
Gli occhi di Kageyama si illuminarono.
Kageyama scoprì che sarebbero andati a scuole medie diverse e fu immediatamente preso dal terrore di essere nuovamente solo, senza Hinata che lo aiutasse a stringere amicizie o che semplicemente riuscisse a capirlo e non lo isolasse come facevano tutti gli altri, che non lo guardasse come se fosse un qualche tipo di strano alieno.
"Ci rincontreremo", disse Hinata con sicurezza.
Quando se ne usciva con queste cose sembrava molto più grande di lui.
Kageyama voleva credergli con tutte le sue forze.
Le medie furono un incubo, ma almeno aveva la pallavolo.
Fino a che non lo tradì anche la sua squadra. L'unica certezza che aveva, l'unico canale che ancora credeva di avere per comunicare con gli altri gli si sbriciolò tra le mani.
Kageyama avrebbe voluto più di ogni altra cosa non essere da solo.
Non doveva andare lì, lui doveva andare alla Shiratorizawa.
Kageyama raggiunse la palestra di pallavolo. La trovò vuota, ma la rete era montata e la cesta dei palloni era in giro. Fece un rapido riscaldamento e cominciò a provare il suo servizio in salto.
Non c’era neanche più l’allenatore Ukai. Non doveva andare lì, al Karasuno.
Avrebbe sprecato quei tre anni e non sarebbe riuscito a diventare un professionista.
Colpì un altro pallone, poi un altro, poi un altro ancora. Con tutta la forza che aveva.
L’unica cosa che poteva fare era continuare con gli allenamenti individuali. Almeno non avrebbe del tutto sprecato quegli anni.
E forse la squadra non sarebbe stata tanto male e con il suo apporto sarebbero riusciti ad ottenere qualcosa.
Sentì qualcuno fischiettare fuori dalla porta della palestra, si fermò e si voltò in quella direzione. Se fosse stato uno dei suoi sempai non voleva rischiare di giocarsi il posto in squadra sin dal primo giorno. Dopotutto non era ancora veramente parte del club.
La prima cosa che notò furono dei capelli di un arancione inguardabile disordinati.
Kageyama sentì il proprio cuore accelerare.
Non riusciva a crederci.
"Hinata?”, chiese senza fiato.
Hinata si era immobilizzato sulla porta non appena lo aveva visto.
"Kage".
Erano anni che nessuno lo chiamava così e Kageyama sentì un’ondata di calore nel petto. Era completamente senza parole. Non stava neanche sbattendo le palpebre. Era sempre lo stesso, i suoi occhi sembravano essere diventati ancora più grandi. Era ancora magrolino ed era rimasto più basso di quanto Kageyama credesse.
"Non ci posso credere! Kags!” Hinata corse nella sua direzione. “Sei diventato altissimo! Giochi ancora? In che ruolo giochi?”
"Alzatore", riuscì solo a rispondere Kageyama, con il cuore che ancora batteva all'impazzata per la sorpresa. Non aveva parole, sentiva solamente lo stomaco in subbuglio e non sapeva come gestirla.
Aveva avuto ragione lui. Si erano rincontrati. E Kageyama non aveva alcuna intenzione di lasciarlo più andare via.
Subito dopo l’ultima partita dei nazionali, al terzo anno, Kageyama venne contattato da più di una squadra di V. Premier League per fare sin da subito il salto verso il professionismo.
Kageyama sapeva che Hinata era felice per lui, ma vide il modo in cui digrignò i denti e strinse i pugni. Cominciò a allenarsi ancora di più di quanto facesse di solito.
"Kage, alzami una palla!".
Kageyama non pensava che sarebbe mai arrivato a quel punto, ma non aveva altra scelta.
“No "
Hinata spalancò gli occhi e lo guardò come se lo avesse appena tradito.
"Vuoi essere l'unico a diventare un professionista, eh?"
Kageyama non se la prese. Capiva da dove venisse quella rabbia. Sapeva che non era rivolta a lui.
"Ti farai male”, gli disse.
"Sto bene!”
"Se ti fai male adesso perderai tutti i progressi che hai fatto in questi tre anni"
"Non sono stati abbastanza!", gli ringhiò contro Hinata con gli occhi che gli riempivano di lacrime.
Crollo a terra e nascose la testa tra le gambe.
Kageyama si sedette accanto a lui e gli poggiò una mano sulla spalla. Non era facile neanche per lui. Non voleva perderlo di nuovo. Si ripromise di scrivergli tutti i giorni, fino a che Hinata non lo avesse raggiunto.
"Ci rincontreremo", disse con sicurezza.
Era sicuro che, prima o poi, Hinata lo avrebbe raggiunto.
I due anni che Hinata passò in Brasile furono complicati. Nonostante il professionismo e gli impegni avevano sempre trovato il modo di continuare a vedersi e si sentivano praticamente tutti i giorni, ma con il fuso orario e la distanza era tutto più complicato. Ma Kageyama si era fatto una promessa. Aveva promesso che lo avrebbe lasciato andar via di nuovo e aveva ogni intenzione di mantenerla. Anche a costo di passare nottate in bianco solo per parlare con lui su Skype.
Hinata lo rimproverava sempre, ma non chiudeva mai la chiamata.
Kageyama guardò la maglia appesa per un momento prima di toglierla dalla stampella per indossarla con cura.
La maglia della nazionale giapponese.
Stavano per scendere in campo per affrontare la finale dei mondiali. L'eccitazione era palpabile.
Gli sembrava incredibile.
Si voltò alla sua destra. Hinata guardava la maglia con gli occhi pieni di stupore. La indossava ormai da anni, ma ancora ogni volta prima di una partita la guardava come se non potesse credere di essere arrivato fino a lì.
Si voltò verso Kageyama quando si accorse che lo stava fissando.
Gli sorrise e annuì con decisione.
Kageyama annuì in risposta.
Insieme indossarono la maglia e uscirono dallo spogliatoio.
"Ragazzi, dovete entrare in quel corridoio e da lì poi verrete fatti salire sul palco e premiati", disse loro uno steward.
Si infilarono tutti nel corridoio, ma non riuscivano a smettere di sorridere e ridere, c’era il caos ovunque.
Kageyama forse approfittò del momento, forse non sapeva neanche lui che cosa volesse fare. Lasciò che il resto del gruppo avanzasse nel corridoio, afferrò Hinata per la manica e lo tirò indietro.
"Kage, che-”
Kageyama non lasciò che finisse la frase. Poggiò le labbra sulle sue, poi lo lasciò così, imbambolato nel mezzo del corridoio e proseguì.
“KA-GE-YA-MAAA!", urlò Hinata alle sue spalle.
Corse lungo il corridoio fino a raggiungerlo. Lo tirò per la maglia per farlo abbassare e ricambiò il bacio. Poi proseguì per il corridoio.
Si voltò dopo aver percorso un paio di metri. Si voltò verso Kageyama continuando a camminare all’indietro.
"Non vieni?", gli sorrise.
Kageyama si affrettò a seguirlo.
Fandom: Haikyuu
Prompt/missione: M1 - spokon
Parole: 1510
Rating: safe
Kageyama non aveva alcuna intenzione di lasciare la mano della madre.
Non capiva perché dovesse essere lì, con gli altri bambini. Non gli piacevano gli altri bambini, erano caotici e rumorosi. E poi lui non piaceva quasi mai agli altri bambini.
Dunque, non aveva alcuna intenzione di lasciare la mano della madre. Alla fine, si sarebbe arresa e lo avrebbe riportato a casa come tutti gli altri giorni. Sapeva di poter essere testardo quando voleva.
La madre si abbassò, senza lasciargli la mano, fino ad arrivare con il viso alla sua altezza.
“Tobio", gli disse dolcemente, "non vuoi farti degli amici?".
Tobio scosse la testa. Non è che non volesse, è che non aveva proprio idea di come fare ed era troppo spaventoso perché fossero gli altri a fare il primo passo.
La madre alla fine gli lasciò la mano e lo lasciò con due signorine che Tobio non aveva mai visto. Avrebbe voluto piangere, ma non gli andava di piangere davanti a tutti quegli bambini.
Un bambino dall’altro lato della classe con capelli arancioni sparati in tutte le direzioni sembrava stesse tenendo un comizio, tutti gli altri bambini lo circondavano e lo guardavano meravigliati. Tobio non sapeva ancora cosa fosse l’invidia, ma provò qualcosa di fastidioso alla bocca dello stomaco. Anche lui avrebbe voluto essere così, anche lui avrebbe voluto essere in grado di stare al centro di un piccolo gruppo.
La maestra disse a tutti di prendere i loro posti e Tobio si sedette al secondo banco.
La maestra cominciò a spiegare le prime lettere dell’alfabeto e Tobio, con la matita in mano e l’espressione concentrata, provò a ricopiare i simboli che la maestra aveva tracciato alla lavagna.
Durante la ricreazione Tobio non sapeva bene cosa avrebbe dovuto fare. Restare seduto al banco? Cercare di parlare con gli altri? Ma gli sembrava che nessuno degli altri avesse voglia di parlare con lui. Tutta la classe andò in guardino e Tobio decise di seguirli. Si sedette in un angolo del cortile, con le ginocchia al petto e il suo cartone del latte schiacciato stretto tra le mani.
Avrebbe tanto voluto avere un pallone, almeno avrebbe potuto esercitarsi.
Fu il bambino con i capelli arancioni ad andare da lui.
"Ciao”
"Ciao” rispose Tobio, continuando però a tenere il broncio.
"Come ti chiami?”
"Kageyama”
"Io sono Hinata”
Cosa avrebbe dovuto dirgli adesso?
"Ok”
Hinata rise alla sua risposta.
"Tu giochi a pallavolo?", gli chiese Hinata.
Tobio lo guardò sorpreso. Hinata indicò la sua maglietta, che aveva una grossa palla da pallavolo sul davanti. L'aveva vista qualche giorno prima, quando sua madre lo aveva portato a cercare dei nuovi vestiti per la scuola e aveva puntato i piedi finchè sua madre non si era arresa e gliela aveva presa. Kageyama raramente faceva i capricci per qualcosa, dopotutto.
Gli occhi di Kageyama si illuminarono.
Kageyama scoprì che sarebbero andati a scuole medie diverse e fu immediatamente preso dal terrore di essere nuovamente solo, senza Hinata che lo aiutasse a stringere amicizie o che semplicemente riuscisse a capirlo e non lo isolasse come facevano tutti gli altri, che non lo guardasse come se fosse un qualche tipo di strano alieno.
"Ci rincontreremo", disse Hinata con sicurezza.
Quando se ne usciva con queste cose sembrava molto più grande di lui.
Kageyama voleva credergli con tutte le sue forze.
Le medie furono un incubo, ma almeno aveva la pallavolo.
Fino a che non lo tradì anche la sua squadra. L'unica certezza che aveva, l'unico canale che ancora credeva di avere per comunicare con gli altri gli si sbriciolò tra le mani.
Kageyama avrebbe voluto più di ogni altra cosa non essere da solo.
Non doveva andare lì, lui doveva andare alla Shiratorizawa.
Kageyama raggiunse la palestra di pallavolo. La trovò vuota, ma la rete era montata e la cesta dei palloni era in giro. Fece un rapido riscaldamento e cominciò a provare il suo servizio in salto.
Non c’era neanche più l’allenatore Ukai. Non doveva andare lì, al Karasuno.
Avrebbe sprecato quei tre anni e non sarebbe riuscito a diventare un professionista.
Colpì un altro pallone, poi un altro, poi un altro ancora. Con tutta la forza che aveva.
L’unica cosa che poteva fare era continuare con gli allenamenti individuali. Almeno non avrebbe del tutto sprecato quegli anni.
E forse la squadra non sarebbe stata tanto male e con il suo apporto sarebbero riusciti ad ottenere qualcosa.
Sentì qualcuno fischiettare fuori dalla porta della palestra, si fermò e si voltò in quella direzione. Se fosse stato uno dei suoi sempai non voleva rischiare di giocarsi il posto in squadra sin dal primo giorno. Dopotutto non era ancora veramente parte del club.
La prima cosa che notò furono dei capelli di un arancione inguardabile disordinati.
Kageyama sentì il proprio cuore accelerare.
Non riusciva a crederci.
"Hinata?”, chiese senza fiato.
Hinata si era immobilizzato sulla porta non appena lo aveva visto.
"Kage".
Erano anni che nessuno lo chiamava così e Kageyama sentì un’ondata di calore nel petto. Era completamente senza parole. Non stava neanche sbattendo le palpebre. Era sempre lo stesso, i suoi occhi sembravano essere diventati ancora più grandi. Era ancora magrolino ed era rimasto più basso di quanto Kageyama credesse.
"Non ci posso credere! Kags!” Hinata corse nella sua direzione. “Sei diventato altissimo! Giochi ancora? In che ruolo giochi?”
"Alzatore", riuscì solo a rispondere Kageyama, con il cuore che ancora batteva all'impazzata per la sorpresa. Non aveva parole, sentiva solamente lo stomaco in subbuglio e non sapeva come gestirla.
Aveva avuto ragione lui. Si erano rincontrati. E Kageyama non aveva alcuna intenzione di lasciarlo più andare via.
Subito dopo l’ultima partita dei nazionali, al terzo anno, Kageyama venne contattato da più di una squadra di V. Premier League per fare sin da subito il salto verso il professionismo.
Kageyama sapeva che Hinata era felice per lui, ma vide il modo in cui digrignò i denti e strinse i pugni. Cominciò a allenarsi ancora di più di quanto facesse di solito.
"Kage, alzami una palla!".
Kageyama non pensava che sarebbe mai arrivato a quel punto, ma non aveva altra scelta.
“No "
Hinata spalancò gli occhi e lo guardò come se lo avesse appena tradito.
"Vuoi essere l'unico a diventare un professionista, eh?"
Kageyama non se la prese. Capiva da dove venisse quella rabbia. Sapeva che non era rivolta a lui.
"Ti farai male”, gli disse.
"Sto bene!”
"Se ti fai male adesso perderai tutti i progressi che hai fatto in questi tre anni"
"Non sono stati abbastanza!", gli ringhiò contro Hinata con gli occhi che gli riempivano di lacrime.
Crollo a terra e nascose la testa tra le gambe.
Kageyama si sedette accanto a lui e gli poggiò una mano sulla spalla. Non era facile neanche per lui. Non voleva perderlo di nuovo. Si ripromise di scrivergli tutti i giorni, fino a che Hinata non lo avesse raggiunto.
"Ci rincontreremo", disse con sicurezza.
Era sicuro che, prima o poi, Hinata lo avrebbe raggiunto.
I due anni che Hinata passò in Brasile furono complicati. Nonostante il professionismo e gli impegni avevano sempre trovato il modo di continuare a vedersi e si sentivano praticamente tutti i giorni, ma con il fuso orario e la distanza era tutto più complicato. Ma Kageyama si era fatto una promessa. Aveva promesso che lo avrebbe lasciato andar via di nuovo e aveva ogni intenzione di mantenerla. Anche a costo di passare nottate in bianco solo per parlare con lui su Skype.
Hinata lo rimproverava sempre, ma non chiudeva mai la chiamata.
Kageyama guardò la maglia appesa per un momento prima di toglierla dalla stampella per indossarla con cura.
La maglia della nazionale giapponese.
Stavano per scendere in campo per affrontare la finale dei mondiali. L'eccitazione era palpabile.
Gli sembrava incredibile.
Si voltò alla sua destra. Hinata guardava la maglia con gli occhi pieni di stupore. La indossava ormai da anni, ma ancora ogni volta prima di una partita la guardava come se non potesse credere di essere arrivato fino a lì.
Si voltò verso Kageyama quando si accorse che lo stava fissando.
Gli sorrise e annuì con decisione.
Kageyama annuì in risposta.
Insieme indossarono la maglia e uscirono dallo spogliatoio.
"Ragazzi, dovete entrare in quel corridoio e da lì poi verrete fatti salire sul palco e premiati", disse loro uno steward.
Si infilarono tutti nel corridoio, ma non riuscivano a smettere di sorridere e ridere, c’era il caos ovunque.
Kageyama forse approfittò del momento, forse non sapeva neanche lui che cosa volesse fare. Lasciò che il resto del gruppo avanzasse nel corridoio, afferrò Hinata per la manica e lo tirò indietro.
"Kage, che-”
Kageyama non lasciò che finisse la frase. Poggiò le labbra sulle sue, poi lo lasciò così, imbambolato nel mezzo del corridoio e proseguì.
“KA-GE-YA-MAAA!", urlò Hinata alle sue spalle.
Corse lungo il corridoio fino a raggiungerlo. Lo tirò per la maglia per farlo abbassare e ricambiò il bacio. Poi proseguì per il corridoio.
Si voltò dopo aver percorso un paio di metri. Si voltò verso Kageyama continuando a camminare all’indietro.
"Non vieni?", gli sorrise.
Kageyama si affrettò a seguirlo.