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Titolo: the truth about
Fandom: Haikyuu
Missione: M2 - Grecia
Parole: 2000
Rating: safe

"Non capisco perchè lo fate", dice improvvisamente Sugawara.
E' seduto sul letto, con le ginocchia piegate e i gomiti appoggiati sopra, coperto solo da un leggero lenzuolo.
Sawamura si gira tra le lenzuola, punta il gomito sul materasso e appoggia la testa alla mano.
"Facciamo cosa"
"Non capisco perchè voi umani vi ostiniate tanto. Perchè stare male per un amore finito quando se ne può cominciare uno nuovo?". Sugawara fa vagare lo sguardo oltre la finestra, la luce del mattino penetra quasi accecante dalla finestra aperta. "Ho perso il conto delle volte in cui ho mandato un nuovo amore a qualcuno che stava soffrendo e quello lo ha totalmente ignorato"
Sawamura sorride, ma c'è qualcosa di accondiscendente nel suo viso.
"Prima o poi capirai", dice solamente, criptico e allusivo e Sugawara vorrebbe protestare, vorrebbe dirgli che lui vuole capirlo adesso, ma Sawamura si avvicina a lui e comincia a baciargli la spalla e qualunque pensiero che riguardi il mondo al di fuori di quella stanza svanisce.

Sugawara era il dio dell'amore, ma dell'amore non ci ha mai capito molto. Aveva sempre pensato che l'amore fosse una cosa semplice, che bastasse stare con qualcuno che facesse star bene e passare al successivo quando le cose smettevano di funzionare con quella persona, Era sempre stato un dio leggero e volatile e se funzionava per lui non vedeva perchè non dovesse funzionare anche per gli uomini, eppure continuava a vedere gli umani stare male, soffrire per amore e comunque rifiutare le sue offerte di nuova felicità, ostinarsi per trattenere qualcuno che non poteva più dargli quello di cui avevano bisogno.
E continuava ad essere affascinato dalla pura bellezza che gli umani erano in grado di tirare fuori da quella sofferenza, dalla loro capacità di trasformare il dolore in arte. Ricordava una poetessa, Saffo, non sa più quanti anni siano passati, che ha amato e perduto decine di giovani fanciulle, passate per la scuola per imparare ad essere le buone mogli di qualcun altro, ogni volta aveva sofferto e ogni volta aveva scritto. Opere talmente belle che toccavano il suo cuore, che gli facevano sentire nostalgia per una sofferenza che non aveva mai provato. Ma c'era dell'altro. La cosa degli umani che in assoluto lo lasciava più perplesso era la loro volontà di non arrendersi, la fede incrollabile che, se una volta era andata male, la volta dopo sarebbe andata meglio; il loro gettarsi a capofitto di nuovo, con qualcun altro, ricostruire tutto solo per vederlo crollare nuovamente. Non riusciva a capire. Non riusciva a capire quella sofferenza, non riusciva a capire cosa spingesse gli uomini ad andare avanti, perchè si ostinassero tanto nel volersi invischiare nuovamente in qualcosa che li aveva fatti soffrire tanto, la volontà di aprirsi nuovamente a qualcuno di nuovo, a dare nuovamente a qualcuno le armi per ferirli così profondamente. Erano come bambini che avevano scoperto che il fuoco bruciava, ma continuavano a metterci le mani ad ogni occasione possibile, bruciandosi ogni volta, e continuando all'infinito. Non riusciva a capire quale dovesse essere il suo ruolo in tutto quello.

Ricorda ancora la prima volta che ha visto Sawamura. Era ad un banchetto, stava bevendo vino in un angolo chiacchierando con Oikawa, il dio della lussuria, quando l'aveva visto entrare nella stanza. Il suo sguardo si era bloccato su di lui, il suo cuore aveva saltato un battito. Si era chiesto se era quello che provassero gli umani quando venivano colpiti dalla sua freccia.
Glielo avevano presentato come una nuova divinità, un uomo appena accolto nel concilio degli dei, reso dio della giustizia per la sua rettitudine. Gli avevano offerto la carica e lui aveva accettato, ma non per l'immortalità. Aveva accettato per poter aiutare gli uomini ad essere giusti, perchè avessero una guida nel tentativo di essere la versione migliore di loro stessi.
Da lì c'era voluto poco tempo prima che scivolassero in quella sorta di frequentazione o amicizia con benefici, come la chiamava Oikawa. Sugawara, un giorno, gli aveva anche chiesto se quello che stessero facendo fosse accettabile per un dio della giustiza.
Sawamura aveva riso, gli aveva detto che essere un uomo retto non voleva dire privarsi dei piaceri, ma solo fare in modo che il proprio piacere non nuocesse a nessuno e, dal momento che nessuno dei due era impegnato, non stavano facendo del male a nessuno con quella storia.
Sugawara aveva dovuto ammettere che aveva senso come ragionamento. Non ne avevano più parlato. Erano passati mesi e la loro situazione non si era mai evoluta oltre quello. A Sugawara andava bene così. Non importava che più tempo passasse con lui più avesse voglia di passarcene, e non era importante che spesso, dopo aver soddisfatto i loro bisogni, rimanessero semplicemente sdraiati lì, abbastanza vicini da sentire la pelle delle loro spalle sfiorarsi, a parlare di tutto e di niente. Non era importante, non era così che funzionava per lui.

"Potremmo uscire", gli dice un giorno Sawamura.
Sugawara, sdraiato comodamente tra le lenzuola apre gli occhi e volta leggermente la testa verso di lui. Alza un sopracciglio.
"Uscire?"
"Sì, non so bene cosa facciano le divinità in questi casi, ma sì"
"Tipo un appuntamento?"
"Tipo un appuntamento", gli conferma Sawamura con un sorriso luminoso.
Sugawara scoppia a ridere. L'espressione di Sawamura si gela sul suo viso, il sorriso scema lentamente.
"Noi non funzioniamo così", dice Sugawara.
Sawamura sorride di nuovo, ma è un sorriso amaro. Evita il suo sguardo.
"Hai ragione, scusa", dice.
Si alza e comincia a rivestirsi.
"Non devi andare via", prova a fermarlo Sugawara.
"Io- Mi sono ricordato che ho delle cose da fare"
Sugawara vorrebbe provare a trattenerlo, ma non sa cosa fare nè cosa dire. Non è neanche sicuro di sapere che cosa abbia sbagliato. Sugawara finisce di recuperare le sue cose sparse per la stanza nell'impeto della passione della sera precedente ed esce senza dire nulla, non lo saluta neanche.
Sugawara rimane lì, ancora nudo e coperto appena dal tessuto leggero delle lenzuola.
Sente improvvisamente freddo. Si avvolge meglio nel lenzuolo per cercare si scacciarlo via.

Le volte dopo che Sugawara prova a entrare in contatto con lui, Sawamura è sempre impegnato. La maggior parte delle volte sono scuse e Sugawara lo sa, ma non sa come confrontarlo al riguardo.
Un giorno, finalmente, è Sawamura ad andare da lui. Sugawara può vedere la tensione annidiata nell'intero suo corpo. Lo fa entrare, gli offre un bicchiere di vino.. Sawamura accetta e solo dopo averlo bevuto fino all'ultimo sorso parla.
"Non dovremo vederci più", dice.
Tiene lo sguardo basso e passa le dita nervosamente sulle incisioni sui bordi del calice di bronzo. Sugawara sente qualcosa rompersi dentro di lui, ma non è sicuro di essere in grado di identificare cosa.
"Cosa è cambiato?", chiede.
Sawamura agita nervosamente una gamba mentre cerca di cominciare a parlare un paio di volte, ma si interrompe e ricomincia. Alza finalmente lo sguardo su Sugawara, ha un sorriso sulle labbra ma i suoi occhi sono tristi.
"E' come dici tu", dice. "Quando una persona non ci rende più felici, la cosa migliore è cercare qualcun altro invece di restare lì a soffrire. Non so bene se funzioni come cosa, ma ho deciso di dare una possibilità alla tua teoria. Andare avanti, passare al prossimo"
Sugawara sente allargarsi la crepa che si è aperta in lui.
"Certo. Fai bene", dice alla fine, più per cercare di non far crollare la facciata che per convinzione.
Sawamura si alza dalla sedia, lo ringrazia per il vino e si avvia verso la porta.
"Cosa è andato storto?", gli chiede Sugawara.
"Nulla è andato storto, è solo che io volevo di più di quello che avevamo". Il sorriso triste ricompare sul suo viso e Sugawara vorrebbe farlo sparire, vuole rivedere il viso sorridente di Daichi quando passavano il tempo insieme a rotolarsi tra lenzuola sfatte e attorcigliate.
"Tu sei sempre stato chiaro", dice ancora. "Sono io che ho cominciato a desiderare di avere anche quello che non puoi dare. Ma dovevo fare la cosa giusta e venire a dirtelo di persona".
Daichi esce di casa.

Sawamura capisce in quei giorni. Capisce cosa voglia dire avere il cuore spezzato, capisce perchè gli umani soffrano, capisce perchè continuino ad aggrapparsi ad una sola persona, nonostante faccia male. E, soprattutto, capisce quanto la sua idea fosse sbagliata: gli uomini non si rifiutano di vedere le nuove occasioni di felicitò che si presentano loro, non rifiutano di vedere le nuove persone che potrebbero entrare a far parte della loro vita e renderli felici. Non li vedono proprio. Non li vedono perchè continuano a cercare quella felicitò, quella persona, quella sensazione. Quell'amore.
Non l'amore di un altro qualsiasi.
E soprattuo Sugawara capisce in quei giorni che gli amori non sono tutti uguali, che uno non vale l'altro. E lo capisce nel momento in cui, nella sua vita, sente che manca un pezzo e sa che quel pezzo ha la forma di Sawamura.
Il colpo di grazia arriva nel momento in cui scopre che Sawamura sta veramente seguendo il suo metodo. Ha cominciato ad uscire con una divinitò minore, Michimiya. Sugawara non sa bene che divinità sia, l'ha vista qualche volta di sfuggita. Ha le sembianze di una fanciulla alta e slanciata, con grandi occhi castani e un sorriso gentile. Li vede una volta camminare insieme, ridono mentre passeggiano e Sugawara sa che lì dovrebbe esserci lui, che dovrebbe essere lui a stare lì, a ridere con Sawamura.
Era questo quindi quello che voleva Sawamura. La possibilità di uscire insieme. di ridere insieme, di fare cose che non fossero solo sesso.
Non sa bene perchè lo stia facendo, ma Sugawara si avvia verso casa di Sawamura, si siede sul gradino davanti la porta, si stringe le ginocchia al petto e aspetta. Comincia a sentire freddo, le gambe sono intorpidite per essere rimaste nella stessa posizione troppo a lungo, ma rimane lì in silenzio, stretto su sè stesso, cercando di trattenere le lacrime.
Gli sembra di aver letto qualcosa del genere in molte di quelle poesie: l'amante che rimane fuori dalla porta di casa in attesa di un segno di qualunque tipo. Sugawara non sa se Sawamura sia in casa, non ha avuto il coraggio di bussare, non sa se sia ancora in giro con Michimiya, non sa neanche se tornerà a casa quella notte e il suo stomaco si annoda all'idea che possa decidere di passare la nottate con Michimiya.
Deve essersi addormentato, perchè si risveglia con qualcuno che gli tocca la spalla e chiama gentile il suo nome.
Quando apre gli occhi la prima cosa che vede è il viso di Sawamura.
"Che ci fai qui?", gli chiede preoccupato.
Sugawara afferra i suoi abiti e nasconde la testa sul suo petto, inspira a fondo il suo odore e le lacrime cominciano a scendere copiose, quasi fino a soffocarlo.
"Ho sbagliato tutto", ammette. "Tutto. Non funziona. Sostituire qualcuno in quel modo, passare da una persona all'altra non funziona. Non sono te. Voglio te"
Sawamura gli appoggia le man sulle spalle.
"Lo so che non funziona", dice.
Sugawara alza lo sguardo, ha gli occhi che gli bruciano per le lacrime e sicuramente non deve essere uno bello spettacolo, ma Daichi gli sorride e il calore raggiunge i suoi occhi.
Sugawara si sporge verso di lui per baciarlo, ma Sawamura si allontana. Qualcosa si rompe nuovamente in Sugawara.
Sawamura appoggia la fronte alla sua.
"Vorrei farlo, davvero. Mi è mancato da morire, ma al momento sono ufficialmente impegnato con un'altra persona e non sarebbe giusto", gli dice.
Sugawara non sa se ridere o piangere, ma non si sarebbe potuto aspettare nulla di diverso dal dio della giustizia. Sawamura si alza e gli porge la mano per aiutarti ad alzarsi.
"Resta con me, stanotte", gli chiede, non lasciando andare la sua mano.
"Ma hai appena detto-"
"E infatti non faremo niente, solo.... Resta a dormire con me"
Sugawara sorride. Annuisce.
Sdraiato nel letto, con il calore di Sawamura intorno a lui Sugawara sente nuovamente tutto al posto giusto. Il freddo è lontano.

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