Feb. 4th, 2020

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Titolo: different colors
Fandom: Yuri on Ice
Prompt: A volte le cose buone devono finire perché le cose migliori abbiano inizio. Ogni storia ha una fine, ma nella vita ogni fine è sempre un nuovo inizio.”
Parole: 2327
Rating: safe

Yuri lo sa ancora prima che Victor apra la bocca quello che gli deve dire. Lo ha letto nei suoi ritardi, nelle sue risposte evasive, nel nuovo bagliore nei suoi occhi.
Non può nemmeno fargliene una colpa. Avevano creduto di essere più forti del destino e questo è quello che si meritano per la loro arroganza.
Victor, seduto sul divano del loro appartamento, tiene lo sguardo basso, gioca nervosamente con le dita. Yuri, distante da lui, con la schiena contro il muro aspetta che l’altro dica ciò che deve dire.
- Yurio… io… Mi dispiace. L’ho trovato -, gli dice con la voce che trema.
Ha trovato il suo soulmate, la persona che porta su di sé lo stesso marchio che Victor porta sul costato. Quei quattro pallini colorati su cui innumerevoli volte Yuri ha fatto passare le labbra, incurante che quei colori non fossero uguali ai suoi, prendendosi gioco di quel destino che non lo aveva conosciuto abbastanza bene da sapere che si sarebbe opposto a lui con tutte le sue forze.
Victor singhiozza, tiene i gomiti sulle ginocchia e il viso nascosto tra le mani e Yuri non urla, non questa volta. Si avvicina a lui, gli passa una mano tra i capelli e posa un bacio sulla vertigine al centro della sua testa, là dove i capelli hanno cominciato a diradarsi. Lo supera e si dirige verso la loro camera da letto. Tira fuori una valigia da sotto il letto, la riempie delle sue cose e esce dall'appartamento senza voltarsi indietro.
I giorni successivi scorrono annebbiati. Yuri sa di non stare bene, ma non sta neanche male. Tutto sembra scorrergli addosso senza toccarlo veramente, come se una bolla si fosse creata tra sé e il mondo. Tutto gli arriva ovattato. Continua ad andare ai suoi allenamenti, continua a prendersi cura del suo corpo, a mangiare quello che prevede la sua dieta e a dormire otto ore a notte, e a parlare con suo nonno da cui è tornato a stare per qualche giorno, ma le azioni non lo toccano davvero.
Ogni volta che si aggira per le strade di San Pietroburgo ogni cosa si gli ricorda loro.
Quando gli offrono il posto da Primo Ballerino per il Teatro dell’Opera di Astana, in Kazakhistan non riesce a crederci. Fino a qualche tempo prima avrebbe detto che se non fosse rimasto in Russia non ne sarebbe valsa la pena, ma non può più stare lì, lo sa.
Non può ballare se non sente il suo corpo, non può ballare se tutto sembra così distante.
Per la seconda volta nell’ultimo mese Yuri prepara le valigie. Si volta indietro a guardare suo nonno al terminal prima di partire e lasciarsi la Russia alle spalle.
L'impatto con Astana è particolare. La città è molto diversa da San Pietroburgo e Yuri sa che è esattamente quello di cui ha bisogno in quel momento. Si sente un turista anche ben dopo che ha sistemato le sue cose nel suo nuovo appartamento, non molto distante dalla sala dove si terranno le prove. I suoi colleghi non sembrano male. Non che abbia mai avuto molto a che fare con i colleghi in Russia, sempre troppo concentrato su sè stesso e sulla propria scalata alla vetta, esattamente come tutti gli altri: l'atmosfera era tenuta competitiva al massimo, ma qui l'approccio sembra più alla collaborazione, al mettere su un bello spettacolo. Non che non ci siano rivalità, solo sembrano viverle in maniera più tranquilla.
Yuri scopre di star cominciando a rilassarsi, scopre che non è male avere qualcuno con cui fare due chiacchiere prima e dopo le prove. Tende a tenersi sulle sue, ma è piacevole non essere guardato costantemente come il nemico da battere. Qualcuno gli chiede anche di uscire, ma Yuri rifiuta sempre.
Il giorno delle prove generali arriva in un batter d'occhio e dopo un tempo infinito al tempo stesso. Il teatro è magnifico: Yuri lo guarda con gli occhi spalancati e le lacrime che spingono per uscire. Se l'esterno sembra un tempio greco, l'interno ricorda i grandi teatri europei, con stoffe ricche di un rosso cremisi e intarsi d'oro e con i suoi soffitti affrescati.
Calcherà quel palco nella sua prima volta da primo ballerino.
Mentre indossa la giacca rossa del principe Principe Désiré gli tremano leggermente le gambe, ma non può farlo vedere. L'orchestra si accomoda al proprio posto e possono cominciare le prove.
Yuri sa di essere sempre di un tempo in ritardo. Il passaggio dalla sala al palco non gli aveva mai fatto quell'effetto. Il coreografo, all'uscita, gli poggia una mano sulla spalla ma non dice nulla. Sanno entrambi che sa.
Yuri si cambia ed esce da lì. Mentre percorre i corridoi si scioglie i capelli dalle centinaia di forcine e lascia che le lunghe ciocche bionde tornino a coprirgli il viso. Gli viene da piangere, ma cerca di trattenersi. Percorre ad ampie falcate i corridoi del teatro fino a raggiungere il bar. Si accomoda pesantemente su uno sgabello e ordina un calice di vino.
- Puoi davvero bere il giorno prima della prima? -, gli chiede qualcuno con voce fredda, accomodandosi nello sgabello accanto al suo.
- Non sono affari tuoi -, gli risponde scorbutico.
Lo sconosciuto non sembra prendersela per il tono. - Probabilmente no -, dice solamente.
Fa un cenno al barista che porta anche a lui lo stesso calice di vino.
Yuri alza leggermente la testa e spia lo sconosciuto da dietro i capelli. Ha i tratti del volto decisi, occhi piccoli e scuri, un profilo regolare e la mascella squadrata. Porta i capelli neri quasi rasati ai lati e indossa lo smoking dei musicisti dell'orchestra a cui ha allentato il colletto.
- Puoi davvero bere il giorno prima della prima? -, lo stuzzica Yuri.
- Non sono affari tuoi -, gli risponde l'altro voltando leggermente la testa nella sua direzione. La sua voce non lascia passare nulla, ma il sorriso appena accennato rende evidente che lo sta prendendo in giro.
Yuri beve tutto d'un fiato il resto del vino nel suo calice, si alza e si allontana da lì. Lo sconosciuto non fa nulla per seguirlo.
La sera dopo, la prima va secondo i piani. Yuri riesce a fare un'esecuzione magistrale. Sente il proprio corpo muoversi esattamente come vuole. Il primo violino è limpido e cristallino, risuona nel suo petto, elegante e devastante come solo un violino può essere: diventa la sua guida nel corso del tutta l'opera. La sua mente lo isola dagli altri strumenti, sente solo quello. Penetra nelle sue ossa, rompe qualcosa fuori di lui e rinsalda qualcosa al suo interno.
Yuri ricorda come fosse all'inizio la danza, come fosse la sensazione di sentire come se nascesse dal suo movimento, in perfetta sinfonia. Dimentica la tecnica, dimentica il conto dei tempi. Si allinea con quel suono e lascia che la memoria corporea faccia il resto.
Non ricorda nulla, segue solo le sue sensazioni.
Quando l'opera arriva alla conclusione è il momento dei saluti. Yuri fa un passo avanti e si inchina, si prende gli applausi scroscianti. Sorride appena a sentirli.
Getta un'occhiata all'orchestra che, alla fine di tutto, si alza per prendere i suoi di applausi.
Cerca di vedere chi sia quel primo violino che l'ha scosso tanto e rimane ancora sconvolto nel vedere che è lo sconosciuto al bar del giorno prima.
Senza pensare a quello che sta facendo, Yuri si cambia, si scioglie i capelli e quasi corre fino al bar. Si siede di nuovo allo stesso sgabello, ordina lo stesso bicchiere di vino e aspetta.
Gli sembrano passare ore prima che lo sconosciuto si siede accanto a lui.
- Tu -. gli dice a denti stretti, quasi ringhiando.
- Io? -, gli risponde l'altro.
Yuri vorrebbe inveirgli contro. Non può arrivare e farlo sentire così con quel maledetto violino, non può arrivare e rompere tutto quello che ha costruito in quei mesi. Yuri è arrivato ad apprezzare la sua nuova vita, per quanto opaca, per quanto ovattata, ma sta bene adesso. Non sa come mettere tutto quello in parole senza sembrare un bambino capriccioso, ma vuole provarci. Rimane lì a denti stretti, cercando le parole.
- Mi chiamo Otabek -. gli dice improvvisamente l'altro, con il solito tono piatto.
Arriva anche il suo calice di vino, ne beve un sorso senza guardare in direzione di Yuri.
- Non mi interessa -, risponde Yuri.
- Lo so, ma volevo lo sapessi -.
Yuri digrigna i denti e non risponde.
- Mi è sempre piaciuta la danza -, dice improvvisamente Otabek. - Rimanevo incantato a guardare i ballerini. Mia madre mi portava spesso a teatro a vedere il balletto -.
- Ma non sei un ballerino -, interviene Yuri.
Non dovrebbe rispondere, non vuole continuare a parlare con quel tipo, ma qualcosa lo spinge a rispondere sempre, a non tagliare quel filo più sottile di un capello che li lega.
- Ci ho provato. Ho provato a prendere alcune lezioni di danza, ma non fa per me. Non ho la flessibilità, l'eleganza o le capacità fisiche per fare il ballerino. Ho dovuto trovare un'altro modo per rimanerci accanto -
- Che stai cercando di dirmi? -, ringhia Yuri.
- Che certe volte la chiusura di una strada non è una vera chiusura. Solo una deviazione. Ogni fine è un nuovo inizio -.
Su quelle parole Otabek si alza, lascia sul bancone abbastanza per pagare il vino di entrambi e si allontana.
Yuri rimane ancora un po' seduto lì in silenzio, sorseggia il suo vino, ma la mente è altrove.
La sera dopo, dopo la seconda replica, Yuri si ritrova di nuovo al bar. Le parole di Otabek hanno continuato a ronzargli per la testa per tutta la giornata.
Otabek lo raggiunge poco dopo.
- Che volevi dire? -, chiede Yuri.
- Uhm? -, risponde quello con la testa leggermente voltata nella sua direzione e il boccale di vino sospeso a mezz'aria.
- Ieri sera -
- Quello che ho detto -
- Ho l'aria di uno che ha le vie sbarrate? -, ringhia Yuri.
- Hai l'aria di uno che sta combattendo con tutte le forze per fortificare le barricate -
Yuri alza la testa di scatto con gli occhi spalancati. Non si è neanche preso la briga di sciogliersi i capelli quella sera, non ha neanche quella barriera che possa coprire quanto quelle parole lo colpiscano dritto allo stomaco.
- E tu che ne sai? -, prova ad attaccare in un estremo tentativo di difesa.
- Perchè ci assomigliamo. Hai gli occhi di chi ha lottato e si chiede se valga la pena farlo ancora -
Yuri distoglie lo sguardo, cerca di nascondersi dietro il suo boccale di vino. Lo finisce e va via, lascia a Otabek l'occorrenza di pagare il conto.
- Allora? Qual è la tua storia? -, gli chiede Otabek la quarta sera.
Yuri non risponde, sorseggia in silenzio. E' stata una giornata pessima e non è minimamente soddisfatto della sua esibizione serale. Meno che mai quella sera ha voglia di rispondere a una domande del genere.
Otabek rimane in silenzio accanto a lui. Bevono insieme e non parlano, ma il silenzio è confortevole.
Si alzano allo stesso momento per andar via. Quella sera paga Yuri.
Per due settimane vanno avanti così. Ogni sera, dopo la replica, si siedono agli stessi sgabelli, uno accanto all'altro e bevono un bicchiere di vino. La maggior parte delle volte arriva prima Yuri, alcune volte trova Otabek già seduto, con l'espressione seria, ma non si guarda intorno in attesa. E' sicuro che Yuri verrà. Parlano poco, certe sere non parlano affatto, ma ogni sera entrambi sono lì.
- Stavo con una persona -, esordisce una sera Yuri. Al suo arrivo ha trovato Otabek già lì, si è seduto accanto a lui e per un po' nessuno dei due ha detto nulla. - Stavamo insieme da sempre, da quando avevo 16 anni e lui 20. La sera del mio diciottesimo compleanno... -, sorride amaro al ricordo. - Finalmente sarebbe spuntato il mio marchio e sarebbe stato identico al suo e avremmo avuto entrambi la conferma di quello che sapevamo già -.
Otabek ascolta in silenzio.
- Ma il mio marchio spuntò ed era diverso dal suo. Doveva esserci un errore, per forza doveva esserci. Abbiamo deciso di rimanere insieme comunque. Quel marchio diverso era diventato il nostro simbolo: eravamo più forti del destino -.
Yuri sente la gola seccarsi e il naso pizzicare per le lacrime che stanno cominciando a spingere per scendere.
- Fino a che lui non ha incontrato il suo soulmate. All'inizio non ha detto nulla, ha provato a resistere, ma potevo vedere quanto fosse combattuto, fino a che non ha più resistito -.
Otabek annuisce. Non dice che gli dispiace, Yuri lo apprezza. Ordina un secondo bicchiere di vino per entrambi. Lo bevono in silenzio.
Arriva la sera dell'ultima replica. Si respira un'eccitazione particolare nei corridoi del teatro, un misto di eccitazione, gioia e nostalgia. Ci si chiede dove siano finite quelle due settimane che sono sembrate infinite. Avranno un paio di giorni di pausa e poi partiranno per Sydney, per un altro teatro.
Dopo lo spettacolo Yuri non si cambia neanche, non si scioglie i capelli. Quasi corre fino al bar. Otabek è già lì. Si è tolto la giacca, l'ha piegata ordinatamente e poggiata su uno sgabello libero lì accanto, si è tirato su le maniche della camicia.
Yuri si siede accanto a lui, il suo calice di vino è già lì, pronto per lui.
Comincia a sorseggiarlo in silenzio,
- Avranno un bar all'Opera House? -, chiede Otabek senza guardare nella sua direzione.
Yuri sorride. Volta leggermente la testa ed è allora che li vede. Quattro pallini colorati sull'avambraccio destro di Otabek, quello con cui tiene il bicchiere. Celeste, rosso, nero, bianco. Identici a quelli che Yuri vede sulla sua clavicola ogni volta che si guarda allo specchio.
Torna a guardare davanti a lui. - Sembra che l'Australia abbia ottimi vini -, risponde.
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Titolo: walking the wire
Fandom: Free!
Prompt: Pioggia, Sereno, Oscurità
Parole: 1736
Rating: safe

- Haru, ho fatto un casino e mi serve il tuo aiuto -
Haru rimase in silenzio, aggirandosi nel suo appartamento e aspettando che Rin continuasse.
- Ci sei? -, gli chiese Rin dall'altro capo del telefono.
- Sì. Che hai combinato? -, gli chiese Haru con il solito tono piatto.
- Hai presente i miei genitori australiani? -
Haru ricordava di averli conosciuti durante il loro viaggio in Australia, erano stati gentili, ma non gli sembrava di ricordare molto altro al riguardo.
- Sì -, rispose comunque.
- Ecco. Erano preoccupati che io mi stessi dedicando troppo solo al nuoto e non avessi una vita sociale, insistevano che avessi bisogno di uscire con qualcuno...-
Haru aspettò che continuasse, non capendo bene dove volesse andare a parare il suo amico. Si diresse verso il bagno e aprì l'acqua nella vasca da bagno.
- ...quindi io- Ehi! Ti stai facendo il bagno? -
- Non ancora. Quindi tu? -
- Gli ho detto che avevo un ragazzo in Giappone, per quello non uscivo con nessuno -
- Hai un ragazzo a Tokyo? -, chiese Haru. Nonostante la sua voce non lasciasse trapelare nulla, si sentiva offeso che uno dei suoi migliori amici non gli avesse detto una cosa del genere. Non che gli interessasse, ma era quello il tipo di cose che si dicevano gli amici, no?
- No! E' quello il punto! -
- Oh -
- Già. E quando mi hanno chiesto chi fosse sono andato nel panico, non sapevo cosa dirgli e me ne sono uscito con la prima cosa che mi è venuta in mente -
Haru, di nuovo, rimase in silenzio.
- Gli ho detto che l'avevano già conosciuto... quando lo avevo portato con me in Australia -
- Ma tu hai portato me in Australia -
- Appunto -
- Oh. -
Rin rimase in silenzio in questa occasione, aspettando che Haru si rendesse bene conto delle implicazioni della cosa.
- Quindi tu hai detto ai tuoi genitori australiani che io sono il tuo ragazzo? -
- Esatto -
- Non sono offeso -, sentenziò Haru.
- Perchè dovresti? -
- Hai detto di aver fatto un casino. Pensavi mi arrabbiassi per una cosa del genere? -
Haru sentì qualcosa che sbatteva dall'altro capo del telefono.
- Hai sbattuto? -, chiese.
- Sì. Volontariamente contro il tavolo della cucina -.
- Perchè? -
Rin sospirò esasperato e non si degnò di rispondere alla domanda.
- Non è quello il casino -, disse. - Il casino è che sanno che sto per partire per Tokyo per le gare e hanno deciso di venire con me per conoscerti! -
- Ma mi hanno già conosciuto -
- Per conoscerti in veste ufficiale di mio ragazzo -
- Oh -
- Ti prego, ti prego, ti prego. Devi aiutarmi! -
- Che cosa dovrei fare? -
- Niente di particolare. Solo una cena in cui sei il solito te stesso, ma ogni tanto ti volti a guardarmi con occhi pieni d'amore -
- Non so farlo -
- Pensa che io sia uno sgombro gigante -
- Esistono sgombri giganti? -
- Non è quello il punto! -, disse esasperato Rin. - Allora, lo farai? -
- Ok -
- Ok? -
- Ok -
A Rin ci volle qualche momento per rendersi conto che Haru aveva accettato la sua folle proposta senza particolari obiezioni, poi la notizia sembrò raggiungere il suo cervello. - Oddio, grazie, grazie, grazie! Arriviamo la prossima settimana, ci sentiamo nei prossimi giorni per metterci d'accordo? -
- Va bene -
Rin salutò Haru, era già in ritardo per gli allenamenti, ma Haru aveva già attaccato. Si era cacciato veramente in un bel casino.

*

La cena stava procedendo senza intoppi. Avevano prenotato in un ristorante tradizionale, i suoi genitori avevano deciso di assaggiare quanta più roba locale possibile, mentre Haru aveva ordinato il solito sgombro. Rin si stava godendo i sapori con cui era cresciuto: solo riassaggiandoli si era reso conto di quanto gli fossero mancati. Haru si stava mostrando educato e gentile e i suoi genitori australiani erano rimasti completamente ammaliati da lui - avevano fatto anche qualche battuta a Rin su che bel ragazzo fosse riuscito ad accaparrarsi. Rin era arrossito di colpo, aveva borbottato qualcosa imbarazzato e aveva pregato che l'inglese di Haru non fosse migliorato dall'ultima volta che erano stati in Australia insieme.
All'uscita dal ristorante, Haru ringraziò i genitori di Rin per l'ospitalità e l'offerta della cena. Cominciarono a camminare per un po' nella stessa direzione, fino a che Haru non fece scivolare la propria mano in quella di Rin. Rimase un momento bloccato sul posto.
- Vi ringrazio ancora per tutto -, disse Haru ai suoi genitori con un piccolo inchino. - Noi andiamo da questa parte -.
- O certo, vi abbiamo trattenuto anche troppo -, ridacchiò la madre. - Andate pure. E fate i bravi! -.
Rin arrossì ancora fino alla punta dei capelli, ma Haru non sembrò avere alcun tipo di reazione imbarazzante. Salutò educatamente e cominciò a trascinare Rin in una direzione che non conosceva. Quando furono fuori dalla portata dello sguardo, Rin pensò che gli avrebbe lasciato la mano, ma Haru non lo fece. Continuarono a camminare in silenzio.
- Ho pensato fosse più credibile che venissi a casa con me se stiamo insieme a distanza -
Rin annuì. - E' stata una bella pensata -
Piccole gocce di pioggia cominciarono a cadere.
- Dove dormi stanotte? -, chiese Haru dopo qualche attimo di silenzio.
- Ho preso una camera nello stesso albergo dei miei -
- Dovresti andare allora, prima che finiscano i treni -
- Ti accompagno a casa -, gli rispose Rin. Non sapeva cosa stesse facendo, sapeva solo che non voleva lasciare andare la mano di Haru.
La pioggia aumentò di intensità mentre raggiungevano casa di Haru, l'ultimo tragitto lo dovettero fare di corsa. Arrivarono al complesso di appartamenti dove abitava Haru.
Salirono le scale fino a trovarsi davanti alla sua porta. Haru si voltò verso di lui, nell'oscurità della notte rischiarata solo dalla poca luce dei lampioni il suo viso appariva etereo, il blu dei suoi occhi liquido, il suo viso era terribilmente vicino.
- Posso prestarti un ombrello. O puoi restare qui stanotte -
Rin aveva la sensazione di trovarsi davanti a uno di quei bivi che potevano cambiare completamente la vita di una persona. Non sapeva quale fosse la scelta giusta, sapeva solo che non voleva che quella serata finisse.
- Resto -, disse. La sua voce uscì roca e basa.
Haru si voltò e aprì la porta di casa. Non accese le luci. Indicò a Rin il bagno e sparì nel suo appartamento. Rin si ficcò sotto la doccia, quando uscì trovo un cambio di vestiti pronto e piegato.
Raggiunse nuovamente il soggiorno. Haru era in cucina, l'unica luce accesa era quella della cappa, lasciando l'appartamento nella semi-oscurità, quasi anche lui volesse preservare la strana atmosfera che si era venuta a creare.
- C'è del thè caldo -, gli disse prima di allontanarsi in direzione del bagno.
Rin trovò accanto alla teiera due tazze, una blu e una rossa. Scelse quella rossa, ci versò un po' di thè e si sedette a berlo sul divano. Notò che sul divano erano già pronti un cuscino e una coperta.
Dopo un po' Haru uscì dal bagno, anche lui fresco di doccia.
- Ti va bene il divano? -, gli chiese Haru passandosi un asciugamano tra i capelli.
Rin annuì. Haru sparì in direzione della camera da letto, lasciò la porta aperta. Rin sistemò il cuscino e si stese sotto la coperta.
Tra la doccia e la bevanda calda prese sonno immediatamente.

*

Si svegliò nel corso della notte. Dovette sbattere le palpebre un paio di volte per ricordarsi dove fosse. Si tirò su sul divano e vide della luce provenire dalla camera di Haru. Si alzò e scalzo percorse i pochi metri che lo separavano. Si affacciò alla porta e vide Haru seduto sul suo letto, con la schiena al muro e le gambe raccolte al petto, guardava la pioggia sbattere contro il vetro della finestra alla sua destra. L'oscurità della notte era rischiarata solo dai lampi, i tuoni facevano tremare i vetri.
Rin fece un passo titubante dentro la stanza.
- Haru? -, chiese debolmente.
Haru fece scattare la testa nella sua direzione, gli occhi erano spalancati e l'espressione allarmata.
- Non mi piacciono i temporali -, disse solo. - Non mi piace stare da solo quando ci sono i temporali -
Rin annuì. Si chiese per l'ennesima volta in quegli anni quanto veramente fosse stato pesante per Haru vivere da solo in quella grande casa.
- Posso venire lì? - chiese. Rin non era sicuro di come muoversi, aveva sempre visto Haru come un blocco di marmo rigido. Aveva sempre saputo che doveva esserci della fragilità da qualche parte, ma non gli aveva mai dato modo di vederla.
Haru annuì.
Rin si avvicinò e si sedette accanto a lui, le spalle si toccavano. Rimasero in silenzio a guardare la pioggia fuori dalla finestra, fino a che Haru non cominciò a chiudere gli occhi.
- Vuoi sdraiarti? - chiese Rin.
Haru annuì. Rin fece per alzarsi, ma la mano di Haru scattò ad afferrare la stoffa della maglietta che gli aveva prestato per la notte.
- Resta -
Rin annuì e si stese con lui sotto le coperte e allargò le braccia. Pensava che Haru lo avrebbe preso in giro, gli avrebbe detto di starsene nel suo lato del letto e non disturbarlo, ma quello si infilò tra le sue braccia e poggiò la testa al suo petto.
Dopo un attimo di sorpresa, Rin abbassò le braccia e lo strinse. Rin abbassò la testa e lasciò un piccolo bacio tra i capelli di Haru. Sentì Haru irrigidirsi per un momento, poi avvicinarsi ancora di più a lui e sistemarsi meglio sul suo petto.
Haru si addormentò poco dopo, con una mano sul petto di Rin e il viso finalmente sereno.
Rin lasciò un altro leggero bacio sulla sua testa. Non voleva farsi domande, non quella sera, non quando poteva godersi il calore del corpo di Haru accanto al suo mentre fuori il temporale continuava a imperversare. Ci sarebbe stato tempo il giorno dopo per pensare a cosa tutto quello significasse, quando il cielo fosse tornato sereno e il battito del suo nuovamente regolare.

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