Mar. 21st, 2020

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Titolo: after the storm
Fandom: Haikyuu
Missione: M3 - differenza d’età + ff/safe
Parole: 2222
Rating: safe
Note: tw - personaggio con amputazione.

Kageyama si sitemò meglio sulle spalle il mantello color porpora, il colore dei soldati. Non sapeva per quanto ancora l'avrebbe potuto indossare a buon diritto. Si guardò un attimo allo specchio per assicurarsi che il suo braccio sinistro fosse interamente coperto dal mantello, poi uscì di casa, dando ordine ai suoi schiavi di preparare il rituale di purificazione per quando fosse tornato.

Era una mattinata dal cielo grigio, si respirava l'odore di pioggia nell'aria e le temperature si erano abbassate drasticamente nell'ultimo mese, da quando era finalmente tornato a casa. Nonostante fosse già passato del tempo il suo sonno era ancora leggero, in allerta per ogni possibile minaccia e ancora non si era abituato a svegliarsi la mattina nel suo letto, tra lenzuola che profumavano ancora vagamente di cenere, non dopo anni di tende luride e giacigli duri e scomodi.

Kageyama raggiunse il foro e cominciò a navigare agilmente tra la folla. Aveva ben chiaro in mente dove dovesse andare. Superò la zona del mercato e quella dei processi e arrivò alla zona più interna del mercato, quella dove a ogni giorno di calenda, si teneva l'asta degli schiavi arrivati direttamente da Delo.

Non pensava sarebbe mai arrivato il giorno in cui si sarebbe trovato a comprare uno schiavo che si occupasse di lui: aveva sempre considerato deboli gli uomini che vi facevano ricordo, come se non fossero in grado di badare a sè stessi, e invece ora eccolo lì, a non avere altra scelta se non quella. Il pensiero che quello stupidissimo braccio sinistro lo stesse costringendo ad andare contro tutti i suoi principi lo faceva andare su tutte le furie.

Quando Kageyama raggiunse il palco, l'asta era già cominciato. Gli schiavi già comprati erano accatastati alla destra del palco, dove i loro nuovi padroni potevano ispezionarli in ogni dettaglio prima di versare quanto pattuito ai trafficanti. Kageyama si mimetizzò tra la folla e osservò nei dettagli come funzionasse il tutto. Il banditore faceva fare un passo avanti ad uno degli schiavi ammucchiati sul lato sinistro del palco con le catene ai polsi, lo faceva girare su sè stesso mentre ne elencava le qualità e stabiliva il prezzo il partenza, poi cominciava l'asta vera e propria. Il banditore fece venire avanti un paio di ragazzi molto ben piazzati, avevano spalle larghe e braccia muscolose. Vennero presentati come perfetti per il lavori pesanti, ma non erano quello che Kageyama stava cercando. L'asta su di loro fu feroce e, come era prevedibile, il prezzo schizzò alle stelle in un lampo. Alla fine se li accaparrò un nobile che cercava giovani prestanti da mettere a lavorare nella sua tenuta di campagna.

Kageyama rimase a guardare l'asta fin quasi alla fine, quando ormai i più quotati erano già stati venduti. Il banditore chiamò in avanti quello che sembrava a tutti gli effetti un ragazzino, non poteva avere più di sedici anni. Aveva capelli rossi e un fisico esile e mingherlino e si vedeva che il venditore l'aveva tenuto alla fine, quando il foro era ormai meno affollato, proprio per la sicurezza che non ci avrebbe fatto molti soldi. Sembrava esattamente ciò che Kageyama stava cercando. Alzò il braccio e fece la sua offerta. Nessuno provò a ribatterla. Kageyama era appena diventato il proprietario di quel giovane.

Si diresse verso il lato del palco, dove il ragazzo era stato spedito dal banditore. L'addetto gli slegò le mani e il ragazzo cominciò a massaggiarsi i segni rossi che le catene avevano lasciato sulla sua pelle colorata dal sole. Kageyama si prese un momento per esaminarlo con calma. Sembrava leggermente sottopeso, ma per il resto sembrava essere in buona salute, così pagò la cifra concordata.

Uno dei trafficanti gli chiese se dovesse marchiare a fuoco il ragazzo, era un servizio che offrivano e non avrebbe dovuto pagare alcun sovrapprezzo per ottenerlo. Kageyama vide il ragazzo rabbrividire e stringersi nelle spalle.

"Non sarà necessario", rispose Kageyama.

Dopodichè fece cenno al ragazzo di seguirlo e cominciò a camminare per il foro, per la stessa strada da cui era venuto. Rispetto a quella mattina c'era molto meno affollamento, e Kageyama potè camminare con più tranquillità. Ogni tanto si voltava indietro, per assicurarsi che il ragazzo lo stesse veramente seguendo. Solo quando furono usciti dal foro Kageyama gli rivolse la parola.

"Come ti chiami?"

"Hinata", gli rispose quello con voce leggermente tremante.

"Io sono Kageyama", si presentò a sua volta.

Cercò qualcos'altro da dire per cercare di mettere il ragazzo a proprio agio, ma in quel momento sembrava terrorizzato anche dalla sua ombra e Kageyama non era mai stato bravo a confortare la gente, così optò per il silenzio. Hinata camminava nervosamente accanto a lui adesso, continuando a massaggiarsi i polsi. Ogni tanto sembrava che stesse per dire qualcosa, ma scegliesse ogni volta di non farlo.

"Parla", gli disse Kageyama leggermente spazientito all'ennesima volta.

"Posso farti una domanda?"

"Dimmi"

"Perchè hai scelto me? Cioè... rispetto agli altri... Cos- Cosa dovrò fare in casa?", chiese Hinata con voce tremante e evitando il suo sguardo.

Kageyama spostò il mantello per permettere a Hinata di vedere cosa ci fosse sotto il suo mantello. Il braccio sinistro di Kageyama era mozzato poco sotto la spalla.

"Oh", disse solo Hinata, prima di abbassare nuovamente lo sguardo.

"E' successo in guerra un paio di mesi fa", spiegò Kageyama. "Adesso ho qualche problema nel fare alcune azioni quotidiane, come vestirmi o mettere il mantello. Mi servirà aiuto per questo genere di cose.

Hinata annuì e Kageyama gli vide tirare un sospiro di sollievo.

"Credi sarà più facile così rispetto ad essere uno di quegli schiavi occupati nelle faccende di casa?", gli chiese Kageyama quasi con tono di sfida, alzando un sorpacciglio.

"Oh, no, no, assolutamente!", si affrettò a rispondere Hinata, agitando le mani in segno di diniego davanti a sè. "E' solo che... gli altri avevano detto che con il mio fisico sarei stato comprato solamente per-", arrossì di colpo e non riuscì a completare la frase.

"Per scopi sessuali?", concluse per lui Kageyama.

Hinata annuì senza alzare lo sguardo. Kageyama fece passare lo sguardo sul corpo di Hinata. Non era una teoria del tutto campata in aria, molti lo avrebbero trovato attraente e comprato solo per quel motivo.

"Non hanno torno di base", gli disse Kageyama, che non aveva alcuna intenzione di indorargli la pillola su come andassero le cose nel mondo. "Ma no, non sarà quello il tuo compito".

Hinata annuì e si rilassò leggermente. Camminarono in silenzio fino a raggiungere la domus, dove gli altri schiavi di Kageyama avevano già preparato tutto per la purificazione del nuovo schiavo prima che questo entrasse in casa.

Hinata venne spogliato nel cortile davanti alla casa e Kageyama gli versò sulla testa dell'acqua, poi Hinata venne scortato dagli altri schiavi nel bagno della casa, dove una vasca di acqua calda e aromatizzata alla rosa era già stata preparata. Hinata venne lavato e gli venne fornita una nuova tunica per sostituire quella ormai logora che gli avevano fornito i trafficanti. Hinata venne poi accompagnato nella sua nuova stanza: in qualità di servo personale del signore avrebbe dormito nell'anticamera delle stanze di Kageyama. Kageyama aveva dato ordine che le camere venissero preparare prima di uscire.

Kageyama lasciò che Hinata si rilassasse per quella prima sera. Diede ordine che la cena gli venisse recapitata in camera e che gli fosse fornita una tazza di latte caldo da bere prima di andare a dormire. Era incuriosito da quel ragazzino. Si chiedeva come fosse finito a fare lo schiavo, ma aveva la sensazione che quel primo giorno fosse stato già abbastanza ricco di eventi. La curiosità di Kageyama poteva aspettare.



Hinata, nei mesi che seguirono, si adattò bene il suo lavoro. Si occupava principalmente di aiutare Kageyama a vestirsi la mattina e svestirsi la sera, lo aiutava a fare il bagno, a mettere i documenti nell'ordine più funzionale per lavorare e altri compiti di quel tipo. L'unica restrizione che aveva era quella di dover passare la maggior parte del suo tempo a stretto contatto con Kageyama, pronto ad intervenire ad ogni evenienza. Dopo un iniziale periodo di nervosismo, Hinata cominciò a rilassarsi: aveva capito che Kageyama, in fondo, non era pericoloso come sembrava, cominciò anche a prendersi alcune libertà nel modo di parlargli, di rispondergli e di rivolgersi a lui in generale e Kageyama, nonostante fingesse di essere infastidito dalla cosa, lo trovava in realtà rinfrescante dopo una vita di persone che lo avevano guardato con terrore e deferenza. Kageyama aveva anche cominciato il suo incarico politico al senato in quel periodo. Non gli piaceva molto, avrebbe preferito tornare sul campo di battaglia, ma almeno così poteva continuare a fare il suo dovere per la città.

Rientrò a casa quella sera dopo una intera giornata al Senato e trovò il bagno già pronto. Hinata lo aiutò a spogliarsi e l'acqua calda lo accolse.

Nonostante all'inizio Kageyama avesse detto di non volere Hinata per per scopi sessuali, ultimamente la situazione era leggermente cambiata. Ogni volta che le dita di Hinata lo sfioravano per aiutarlo a cambiarsi sentiva una scintilla, ogni volta che lo aiutava a farsi il bagno doveva stare attento ad avere abbastanza schiuma che coprisse la parte inferiore del corpo. In qualità di padrone non avrebbe avuto problemi a ordinare a Hinata di concedersi a lui, ma ogni volta gli tornava in mente il suo volto spaventato del primo giorno, quando aveva temuto che Kageyama lo avesse comprato proprio per quello. Non voleva vedere di nuovo quell'espressione, non voleva ferirlo, ma lo desiderava e la situazione stava diventando insostenibile. Ogni giorno valutava più seriamente l'idea di tornare all'asta e prendere un nuovo schiavo prima di liberare Hinata e non doverlo più vedere, almeno sarebbe stato libero da quelle sensazioni contrastanti: il desiderio di distruggere quell'innocenza e il desiderio di mantenerla intatta e proteggerla.

"Testa sotto l'acqua", gli disse Hinata e Kageyama obbedì.

Hinata poi, seduto dietro di lui sul bordo della grande vasca di marmo nero, cominciò ad insaponargli i capelli, passando le dita tra i capelli nerissimi di Kageyama e massaggiandogli delicatamente lo scalpo. Le dita di Hinata erano ormai lontane dell'essere inesperte come erano state all'inizio, sapeva benissimo come muovesi per farlo rilassare. Kageyama reclinò indietro la testa e lasciò andare un sospiro di sollievo. Le dita di Hinata scesero a massaggiare il suo collo, poi le sue spalle, appoggiate al bordo della vasca e lasciate fuori dall'acqua.

"Brutta giornata?", gli chiese andando a lavorare piano su tutti i nodi nella muscolatura di Kageyama con attenzione, con dita agili e ormai esperte.

"Lunga", rispose Kageyama, rilassandosi a quel contatto. Chiuse gli occhi e si lasciò andare a quelle dita che avevano ormai imparato a conoscere il suo corpo.

"Dovresti entrare anche tu", gli disse improvvisamente Kageyama con voce totalmente rilassata, come se avesse bevuto troppo vino.

"Nella vasca?", gli chiese Hinata e Kageyama non aveva bisogno di voltarsi per vedere il sorriso sulle sue labbra.

"Sì, l'acqua è ancora calda"

"Me lo stai ordinando?", gli chiese ancora Hinata, ma la sua voce si era abbassata.

"Se ti dicessi di sì?"

"Non avrei altra scelta"

Sentì Hinata alzarsi in piedi alle sue spalle, sentì il fruscio della tunica leggera cadere a terra e lo spostamento d'aria da questa provocata. Kageyama dovette trattenersi per resistere alla tentazione di voltarsi. Per quante volte Hinata lo avesse visto nudo, Kageyama non aveva avuto lo stesso privilegio, ma solo gli dei sapevano quanto lo desiderasse.

Kageyama tenne la testa dritta davanti a sè anche quando sentì Hinata entrare nell'acqua accanto a lui. Senza timore era entrato alla sua sinistra, talmente vicino che la sua spalla sfiorava il braccio mozzato di Kageyama.

Hinata sparì per un secondo sotto l'acqua e riemerse con i capelli totalmente bagnati, li tirò all'indietro con le mani, scoprendo interamente il viso.

"Dovrei liberarti", disse all'improvviso Kageyama.

Hinata si bloccò per un momento. "Non faccio bene il mio lavoro?"

Kageyama scosse la testa. "Non è quello", abbassò lo sguardo e lo fissò sulle linee create sull'acqua dal movimento di Hinata.

"Vuoi mandarmi via? Ho sbagliato qualcosa?"

Kageyama scosse ancora la testa.


"E allora?"

Kageyama si voltò verso di lui, con la nocca della mano destra accarezzo il viso di Hinata. Hinata inclinò il viso verso il contatto. Aprì la mano per accogliere meglio il viso di Hinata, poi si sporse verso di lui e lo baciò.

Hinata ricambiò il bacio. Era goffo e inesperto, ma il petto di Kageyama si riempì oltre che di gioia anche di orgoglio al pensiero di essere stato lui a prendersi il primo bacio di Hinata.

Kageyama si allontanò e appoggiò la fronte a quella di Hinata, chiuse gli occhi.

"Non posso continuare ad essere il tuo padrone e fare una cosa del genere. Ti ho detto che non ti avevo preso per questo, ma non sono più in grado di mantenere la cosa", gli disse.

"Okay", gli rispose Hinata.

"Okay?"

"Okay, liberami", ripetè.

Kageyama sentì un pugno nello stomaco al pensiero di vederlo andare via, ma era la cosa giusta da fare.

"Anche se mi liberi", continuò Hinata. "Non ho alcuna intenzione di andarmene"

Kageyama alzò la testa di scatto, rischiando anche di dare una capocciata a Hinata nel processo. "Dici sul serio?"

Hinata annuì. "Non posso andare via, saresti totalmente perso senza di me"

Kageyama sorrise, appoggiò di nuovo la fronte alla sua. "Sì, totalmente perso", ripetè.

Ad horas

Mar. 21st, 2020 08:07 pm
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Titolo: Ad Horas
Fandom: Haikyuu
Missione: M5 - Ad Horas
Parole: 2222
Rating: safe

Insieme ad un paio di amici Kageyama percorre le strade buie, diretto ad una festa alla quale non dovrebbe andare. Il vestito elegante che ha preso in prestito gli sta leggermente stretto sulle spalle e leggermente corto sulle caviglie, facendogli risalire i brividi di freddo lungo tutto il corpo.
“Da questa parte”, gli fa cenno Kindaichi, guardando nella sua direzione da dietro la spalla. Svolta a destra, in una stradina talmente stretta che Kageyama non è sicuro di poterci passare, ma a lui e Kunimi non resta altra scelta se non seguirlo.
È stato Kindaichi a venire a sapere di quella festa e a trovare il modo di farli entrare, è stato sempre lui a trovare dove potessero affittare dei vestiti eleganti e tutto ciò che potesse servirgli per imbucarsi. Non era il loro ambiente, anzi, era quanto di più lontano dal loro ambiente potesse esistere, ma loro, cresciuti per strada, volevano vedere almeno una volta nella vita che cosa significasse appartenere ai ceti più alti, che cosa significasse fare la bella vita e mangiare tutte quelle cose prelibate che tante volte avevano aiutato a scaricare dalle navi che affollavano il porto per racimolare qualche spicciolo.
Camminano ancora un po’, Kageyama segue ciecamente Kunimi. Quella parte della città, i meandri dei quartieri alti, è totalmente sconosciuta per lui.
“Eccoci arrivati”, dice Kunimi, affacciandosi dietro un angolo.
Anche Kageyama si affaccia, vede una piccola via, in fondo vedono un cancello di ferro battuto leggermente aperto che da su un giardino, da cui provengono un brusio indistinto di rumori e la musica di un'orchestra in lontananza. Si ritira poi dietro l’angolo.
“Le maschere”, gli ricorda Kindaichi mentre indossa la sua.
Kageyama annuisce, slega la maschera dalla cinta e la indossa. Quelle è stato Kindaichi a procurarle. Lui e Kunimi indossano le loro maschere, una bianca e una rossa, coprono interamente la parte superiore del viso e hanno alcune piume che svettano sulla sinistra. Quella che ha scelto per Kageyama è la meno coprente delle tre. È composta solamente da ghirigori di ferro nero, il suo viso è quasi interamente scoperto. Kageyama aveva protestato quando l’aveva vista, per il timore di essere troppo scoperto in quel modo, che lo riconoscessero subito come non appartenente a quel mondo e non lo lasciassero entrare.
“Con quella faccia potresti entrare anche senza maschera”, gli aveva detto Kindaichi, ma Kageyama non era sicuro di che cosa volesse dire.
Ormai non c’era più tempo. O la va o la spacca, si disse.
Indossa la maschera e la lega dietro la testa, facendosi aiutare dagli altri per posizionarla nel modo giusto.
Svoltano l’angolo e si avvicinano al cancello. La guardia da una rapida occhiata ai loro abiti, Kageyama si stringe un po’ meglio nel mantello per nascondere la stoffa tirata che smascherava il vestito come non suo. La guardia si sposta di lato lasciandoli passare. Il giardino, davanti a loro, è illuminato da lampade di carta bianche sparse un po’ ovunque, che danno all’intero ambiente un atmosfera onirica, un tavolo colmo di bevande è su un lato. La musica dell’orchestra proviene dall’interno del palazzo, le cui porte erano state lasciate spalancate. Sparse ovunque per il giardino donne con larghe gonne e maschere sfarzose chiacchierano con uomini ben vestiti mentre sorseggiano vino da calici di cristallo, si coprono la mano con la bocca e si lasciano sfuggire acuti risolini civettuoli. Altrove uomini parla con tono serio tra di loro o sorseggiano vino ascoltando la musica che proviene dall’interno del palazzo.
I tre ragazzi si scambiano una rapida occhiata, poi decidono di entrare nel palazzo. Le porte sono in legno massiccio e scuro e riccamente intarsiate, ma nella penombra è praticamente impossibile capire che cosa rappresentino, a Kageyama sembra di distinguere solamente qualche fiore, ma non è troppo sicuro.
Poco oltre l’ingresso, un valletto si offre di prendere i loro mantelli e i tre glielo lasciano. Una volta dentro la musica è molto più forte, le pareti della sala sono decorate con affreschi dorati, grandi lampadari di cristallo pendono dal soffitto, sparse intorno alla stanza ci sono numerose sedie di legno lucido e con la seduta in lucida seta. Il centro della sala è interamente occupato da persone che ballano, alla musica si mescolano risate e rumore di calici che brindano e chiacchiere di sottofondo. I tre ragazzi rimangono fermi sulla porta per un momento, non sapendo come relazionarsi a quel mondo che non gli appartiene. Poi Kageyama nota in un angolo il tavolo del buffet: non ha alcuna intenzione di andarsene di lì senza aver assaggiato il cibo dei nobili. Kindaichi sembra più interessato a scoprire di che cosa parlino i nobili e Kunimi alle danze. I tre si dividono e Kageyama si dirige verso il tavolo del buffet.
Accatastati sul tavolo ci sono molte pietanze che Kageyama conosce, ma sono molte di più quelle a lui totalmente sconosciute. Viene attirato da una pietanza in particolare. Sembrano piccole tortine salate con lo strato esterno croccante.
“È un sartú di riso”, gli dice una voce alle sue spalle. “È riso con dentro varie cose. È un piatto che viene dal sud”.
Kageyama fa un cenno di ringraziamento con la testa senza neanche voltarsi, e se ne serve uno. Lo sconosciuto, però, non sembra volersi allontanare da lì, Kageyama continua a sentire la sua presenza alle sue spalle.
“Non sei di queste parti, vero?”
Kageyama si blocca sul posto, con il piatto in mano, il sartù ancora intatto e alza lo sguardo dal piatto allo sconosciuto. È più basso di lui, ha i capelli rossi, che svettano disordinati sopra la maschera di un blu intenso e che lascia scoperti dei grandi occhi caldi, ha labbra carnose e la pelle chiara della nobiltà.
“Non ho intenzione di denunciarti, tranquillo”, continua lo sconosciuto.
Kageyama sospira.
“Come lo sai?”
“Ti muovi in maniera circospetta. E poi mi ricorderei di te se ci fossimo già incrociati”, dice guardando Kageyama dall’alto al basso e viceversa. “Allora, perché imbucarsi a una festa come questa quando si vede che non sei a tuo agio?”
Kageyama mormora qualcosa in risposta, voltando la testa nella direzione opposta, ma le sue parole vengono inghiottite dall’applauso per l’orchestra che ha terminato un altro pezzo.
Lo sconosciuto si avvicina a Kageyama. “Puoi ripetere?”
“Volevo assaggiare quello che mangiano i nobili”, confessa Kageyama con le guance in fiamme.
Lo sconosciuto scoppia a ridere. “Non hai torto”. Con un gesto del braccio indica a Kageyama l’intero tavolo. “Serviti pure”.
Rimane accanto a Kageyama, spiegandogli con esattezza cosa sia ogni piatto e consigliandogli cosa deve mangiare assolutamente. Mangia insieme a lui.
“E per finire, una di queste”, gli dice lo sconosciuto prendendo due cubetti verdi ricoperto di zucchero da una ciotola, se ne porta uno alla bocca e solleva l’altro fino all’altezza da viso di Kageyama.
Kageyama si sporge in avanti e prende il cubetto verde direttamente dalle dita dell’altro, nel farlo le sue labbra gli sfiorano la pelle su cui è rimasta un po’ di granella di zucchero.
Il cubetto sa di menta, pizzica sulla lingua ma è rinfrescante, ha una consistenza morbida e si scioglie in bocca.
“Cos’è?”
Lo sconosciuto sembra riscuotersi solo in quel momento. “G-gelatina alla menta!”, sputa fuori con più enfasi del necessario.
Kageyama annuisce e si guarda intorno nella sala alla ricerca dei suoi compagni, ma in quel marasma di balli e maschere non li riesce a scorgere da nessuna parte.
“Adesso che hai assaggiato il cibo dei nobili te ne andrai?”, gli chiede lo sconosciuto.
Kageyama abbassa lo sguardo verso di lui, anche lui tiene lo sguardo in direzione delle danze. Kageyama non ha voglia di andarsene.
“Non ancora”
Lo sconosciuto si volta verso di lui con un sorriso talmente luminoso da essere accecante.
“Non puoi andartene senza aver provato i balli”, gli dice prendendogli la mano e trascinandolo sulla pista.
Kageyama cerca di trattenerlo. “Non conosco i passi!”
L’altro si volta verso di lui senza smettere di trascinarlo, gli sorride ancora. “Basta che segui me”.
Lo trascina nel centro della pista, nel punto in cui le danze sono più fitte, gli spiega come mettere le mani. L’orchestra riparte con la musica, un valzer, e lo sconosciuto comincia a muoversi, a bassa voce mormora a Kageyama i passi per aiutarlo a tenere il ritmo. Kageyama inciampa un paio di volte nei suoi piedi, ma continua a seguirlo e combatte la tentazione di guardare in basso, verso i propri piedi. Tiene stretta la mano dello sconosciuto, è piccola è morbida rispetto alla sua, grande e indurita dai lavori occasionali che riesce a trovare. L’altra mano di Kageyama si appoggia sul fianco dello sconosciuto e facendolo si rende conto di quanto sia esile la sua vita. Nella musica Kageyama fa fatica a sentire le indicazioni che l’altro gli da, è costretto a tenere lo sguardo fisso sulle sue labbra, sono carnose e leggermente arrossate e gonfie, come se avesse l’abitudine di mordersele. Kageyama le osserva mentre si muovono e gli dettano i passi che deve compiere, ma i passi vengono compiuti in automatico, Kageyama è totalmente perso nella sua osservazione. Ha voglia di avvicinarsi, di poggiare le proprie labbra su quelle dell’altro, sentire se sulle sue labbra è rimasta ancora della granella di zucchero e se la sua bocca sa ancora di menta quanto quella di Kageyama.
Lo sconosciuto alza lo sguardo, anche lui sembra rimanere bloccato sulle labbra di Kageyama. Kageyama sa che le sue labbra sono più sottili, non ci vede nessuna attrattiva particolare, ma l’altro evidentemente non è dello stesso avviso perché rimane lì ad osservarle. Kageyama si inumidisce le labbra con la lingua e avvicina il proprio viso a quello dello sconosciuto, con la mano ancora sul suo fianco Kageyama può sentire il brivido che gli attraversa il corpo. Lo sconosciuto, però, all’ultimo momento porta la propria fronte a contatto con quella di Kageyama e allontana le labbra.
“Usciamo di qui”, dice in un sussurro e, se Kageyama non gli avesse ancora fissato le labbra, non se ne sarebbe mai accorto.
Annuisce e segue lo sconosciuto fuori di lì, verso il giardino. All’ingresso recuperano i propri mantelli ed escono. La temperatura si è abbassata rispetto a quando Kageyama è arrivato e l’aria fredda sferza le guance arrossate di entrambi. Il giardino è quasi deserto ormai, tutti hanno trovato rifugio all’interno del palazzo.
Lo sconosciuto lo guida in un angolo nascosto del giardino e Kageyama lo segue in silenzio. Non appena svoltano un angolo e si ritrovano in una piccola nicchia, lo sconosciuto porta le mani intorno alla nuca di Kageyama. Kageyama fa passare un braccio sulla sua schiena e finalmente appoggia le labbra alle sue.
Come aveva immaginato sa di menta e di zucchero, il bacio è lento e delicato, è appena uno sfiorarsi di labbra all’inizio. Poi, piano piano, Kageyama si fa più intraprendente e l’altro lo accetta. Il suo corpo è caldo contro quello di Kageyama, le sue labbra bollenti e umide.
Kageyama vorrebbe approfondire ancora il contatto, ma le maschere sono di intralcio. Porta una mano a togliersela, ma l’altro appoggia la mano sul suo polso.
“No”, gli dice con un sorriso dolce. “Non smuovere le acque”
Kageyama non capisce, ma non gli interessa. Vuole solo baciarlo di nuovo e lo fa, chinandosi verso di lui, spingendolo contro il muro e stringendolo con il suo corpo.
Una campana in lontananza suona l’ora e lo sconosciuto si stacca da lui.
“Devo andare”, gli dice e gli sorride dolcemente.
Kageyama vorrebbe chiedergli se possono rivedersi, ma non ha il tempo di farlo. Lo sconosciuto gli appoggia un altro bacio delicato sulle labbra e si allontana da lì.
Kageyama gli va dietro dopo un momento, torna allo spazio principale del giardino, ma non c’è nessuno lì se non la servitù che sistema tutto e sta smontando le decorazioni. Kageyama si fionda dentro il palazzo, ma nella confusione delle danze non lo vede. Prova a cercarlo in mezzo alla pista da ballo, gettandosi tra la calca con ancora il mantello addosso, ma di lui nessuna traccia. Kageyama si arrende, si siede su una delle sedie affiancate alle pareti e aspetta. Aspetta fino a che la sala non è quasi deserta, poi si alza ed esce da lì
È il momento più buio della notte, quello che precede l’alba. Kageyama cerca di orientarsi tra i vicoli sconosciuti.
Quando si trova in una zona che riconosce, l’alba ha cominciato a rischiarare le strade.

La vita di Kageyama riprende come al solito dopo quella notte. La mattina si alza e va al porto per cercare lavoro, il pomeriggio, quando è libero, cerca qualche artigiano che lo accetti come apprendista o lo trascorre con gli amici. Cerca di sopprimere lo stimolo costante di guardarsi intorno cercando una macchia di capelli rossi.
La mattina che finalmente la vede Kageyama rimane paralizzato in mezzo alla strada. È sui gradini della chiesa che Kageyama supera tutte le mattine, vestito elegante e con una ragazza minuta, bionda e vestita di bianco al suo fianco. Sono circondati da una folla festante.
La coppia scende i gradini e passa a fianco a Kageyama, che non è riuscito a staccare gli occhi da loro neanche per un attimo.
“Ci conosciamo?”, gli chiede il ragazzo con aria di sfida alzando lo sguardo verso di lui.
Kageyama si riscuote. “No, chiedo scusa. E congratulazioni”, dice prima di ricominciare a camminare nella direzione opposta alla coppia.
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Titolo: Non omnes eadem mirantur amantque
Fandom: Haikyuu
Missione: M5 - Non omnes eadem mirantur amantque
Parole: 222
Rating: safe

"La smetti di guardare ossessivamente quel telefono?", lo rimprovera sua sorella mentre mette in tavola la cena. "Sei venuto a trovare me, non per giocare con il telefono".
Kageyama chiude la cover del telefono, quella con una confezione di latte disegnata, gemella di quella che ha regalato a Hinata prima che partisse per il Brasile, ma lo lascia accanto a sè.
Inizia a mangiare il curry che sua sorella gli ha preparato. Ha sempre adorato la cucina di sua sorella, era il sapore della cucina di casa.
"Si può sapere che cosa aspetti con tanta ansia?", continuò la sorella.
"Hinata aveva un appuntamento e non mi ha ancora fatto sapere niente", risponde con la bocca ancora mezza piena.
"Ingoia prima di parlare", gli dice sua sorella con un'espressione disgustata, poi scuote la testa. "Ancora non capisco perchè non gli hai mai chiesto di uscire invece di stare qui a roderti"
"Tu hai lasciato la pallavolo per un ragazzo"
La sorella scoppia a ridere rumorosamente. "Io non ho lasciato la pallavolo per un ragazzo, l'ho lasciata per i capelli e adesso faccio la parrucchiera! Hai veramente rinunciato a lui per paura di dover lasciare la pallavolo? Pensi che te lo permetterebbe, tra l'altro?"
Kageyama spalanca gli occhi, colto da una improvvisa realizzazione. Si alza di scatto da tavola. Ha una chiamata da fare.
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Titolo: Verba volant, scripta manent
Fandom: Percy Jackson
Missione: M5 - Verba volant, scripta manent
Parole: 2222
Rating: nsfw

Nico non odiava il suo lavoro; certo, l’arredamento della tavola calda sembrava uscito direttamente dagli anni ’50, il turno di pranzo era un incubo ed essere gentile con i clienti non era il suo forte, ma la paga era buona, gli lasciavano tenere le mance e aveva diritto al pranzo gratis – che per uno studente universitario fuori sede costantemente al verde non era sicuramente qualcosa da sottovalutare. Lavorava lì dal suo primo anno, quando si era trasferito da Washington a New York per frequentare il corso di arte all’università; per mettere qualcosa da parte aveva cominciato a cercare lavoro e la proprietaria di quel posto, una donna di mezza età che lo aveva ereditato dai suoi nonni, lo aveva preso con sé.
Nel complesso, sì, non odiava il suo lavoro. O almeno questo era quello che pensava quel giorno, quando ancora non erano cominciate le lezioni, studenti e professori non avevano ancora ricominciato a dare l’assalto al locale e durante il turno di pranzo poteva ancora respirare. Quello che odiava erano i suoi amici, che, da quando aveva cominciato a lavorare, avevano eletto quel posto a ritrovo per il pranzo proprio per vederlo costretto a sorridere ai clienti e prenderlo in giro. Si avvicinò al loro tavolo.
«Nico! Stasera andiamo a bere!» gli urlò Percy esaltato, l’estate passata al mare gli aveva scurito ancora di più la pelle già scura: erano lontani i tempi in cui aveva avuto una cotta per lui, ma doveva oggettivamente riconoscere di comprendere come mai mezza facoltà di biologia avesse perso la testa per lui, che però aveva perso la testa per una bionda di architettura – ad oggi nessuno ancora sapeva come avesse fatto, alla fine, per farla cadere ai suoi piedi.
«Domani iniziano le lezioni» provò a ricordargli Annabeth, la sua ragazza.
«Proprio per questo! Non ci sarà ancora nessuno nei locali e i posti migliori saranno liberi!»
«Non mi sembra una buona idea» provò a intervenire Jason.
Sapevano tutti che quella discussione era inutile e che alla fine avrebbero comunque fatto come voleva Percy, ma era ancora il periodo dell’anno in cui provavano ad opporsi.
Nico fu il primo ad arrendersi: «Ditemi ora e posto». Ritornò al suo lavoro e li lasciò a discutere sui programmi della serata.

Finito il suo turno tornò al suo dormitorio e si fece una doccia prima di raggiungere gli altri in un piccolo pub non lontano dal campus che di solito era sempre pieno. Si ordinò una birra e si sedette con gli altri. Dopo qualche drink Piper e Jason pomiciavano in un angolo e Nico, guardandosi intorno, si rese conto di essere l’unico nel suo gruppo di amici a non avere nessuno: Annabeth e Percy erano praticamente inseparabili dal primo anno di università, Hazel – la sua sorellastra – e Frank alla fine dell’anno precedente avevano finalmente deciso di confessarsi e si erano messi insieme; persino Leo e Calypso, nonostante i loro continui battibecchi, potevano essere considerati una coppia stabile da quasi due anni. A Nico in genere non pesava la situazione, ma c’erano serate, come quella, in cui non poteva fare a meno di sentirsi un po’ solo: la sua ultima relazione stabile risaliva a prima di cominciare l’università, da allora aveva avuto parecchi flirt, ma nulla che durasse più di un paio di settimane e un po’ sentiva la mancanza di avere una persona accanto.
Ordinò un altro drink, e poi un altro ancora.

Come conseguenza la mattina dopo si svegliò tardi, perse la sua prima lezione e arrivò al suo turno senza essere minimamente pronto ad affrontare la giornata. Reyna, la sua collega, lo guardò comprensiva, ma venne solamente fulminata in risposta.
Con sua somma sorpresa, nonostante tutto, riuscì a portare a casa il turno senza incidenti. Quando andò a controllare il suo barattolo per le mance trovò un pezzetto di carta piegato in quattro con cura:

Lo sapevi che per sorridere si possono usare da 5 a 53 muscoli? E che anche forzare il sorriso può migliorare l’umore?

era scritto al suo interno con una calligrafia sottile e precisa.
Era forse un commento al suo turno? Non era veramente in giornata per scherzi del genere. A passo spedito si diresse verso il tavolo dove erano seduti i suoi amici: «Vi sembra divertente?», chiese sbattendo sul tavolo il biglietto. Gli altri lo guardarono incuriositi.
Annabeth si prese un attimo per leggere cosa ci fosse scritto sul foglio: «Nico, non è stato nessuno di noi».
Ci vollero alcuni minuti e numerosi interventi per riuscire a convincere il ragazzo; tornò al suo dormitorio stringendo ancora il foglietto nel pugno, pronto a strapparlo in mille pezzi e lanciarlo dalla finestra, ma alla fine lo distese e lo chiuse nel cassetto della sua scrivania.

Per una settimana Nico non pensò più all’incidente. Quel giorno era un turno abbastanza tranquillo – la ressa dell’ora di pranzo era passata e solo pochi studenti erano rimasti ai tavoli. Nico stava approfittando del momento tranquillo per portare avanti il suo progetto per il corso di disegno realistico sul blocco che gli aveva regalato Reyna, stanca di sostituire in continuazione i fazzoletti su cui di solito disegnava nei vari dispenser. Ispirandosi ad una mostra su Leonardo Da Vinci che aveva visto quell’estate in Italia aveva deciso di provare a riprodurre l’interno di un corpo umano. Il suo capo gli aveva anche consentito di scegliere la musica che risuonava nel locale quel giorno e Nico aveva scelto un disco dei Pearl Jam e disegnava muovendo la testa a ritmo e canticchiando tra sé.
Quando arrivò la fine del suo turno guardò come al solito nel suo barattolo; si sorprese a trovarci un altro biglietto. Si guardò intorno alla ricerca di qualche viso conosciuto, ma non vide nessuno – neanche i suoi amici avevano pranzato lì quel giorno. Aprì il foglietto con cautela, quasi temesse di vederlo esplodere:

I feti umani reagiscono alla musica rock con i calci.

Ancora non sapeva bene cosa significasse tutto quello, ma aveva un progetto da portare avanti e non aveva il tempo per preoccuparsene; tornato nel dormitorio mise quel biglietto insieme all’altro e tornò al suo blocco.
Passò così un altro mese, le temperature si abbassavano, gli impegni scolastici si facevano sempre più pressanti e occasionalmente Nico riceveva altri biglietti con le più assurde curiosità mediche che avesse mai letto: si era anche ritrovato a cercarle su internet una sera, solo per scoprire che, in effetti, erano tutte vere. Nico si ritrovava sempre più spesso di quanto avrebbe voluto (o dovuto) a fare le ore piccole per portare a termine qualche compito e quel giorno non era da meno: aveva passato l’intera notte in bianco ed era a malapena riuscito a rispettare la consegna quella mattina e adesso si ritrovava a bere la terza tazza di caffè nel corso del suo turno nella speranza di non addormentarsi nel tragitto dalla cucina ai tavoli.
Non si sorprese più di tanto quando trovò un altro biglietto:

Lo sai che si può avere un’overdose da caffè?
(servirebbe berne almeno un centinaio di tazze ma può comunque succedere)


Era il momento di affrontare la questione. Magari dopo una bella dormita, ma era arrivato il momento di capirci qualcosa.
Quello che fino a quel momento era riuscito a capire dai biglietti era che, chiunque fosse, sapeva il suo nome – probabilmente aveva letto la sua targhetta, quindi doveva essersi seduto ad un tavolo che lui aveva servito. Sapeva poi che, chiunque fosse, faceva attenzione a quello che faceva – dopotutto quel giorno aveva notato l’incremento dei suoi consumi di caffeina. Si chiese distrattamente se, chiunque fosse, fosse uno stalker e se avesse dovuto preoccuparsi invece che cercare di capirci qualcosa, ma accantonò rapidamente il pensiero.
Nico si rese anche conto che stava continuando a pensare al maschile: aveva dato per scontato che la calligrafia fosse di un uomo, ma se non fosse stato così?
E se fosse stato tutto uno scherzo? Gli continuava a sembrare improbabile dover considerare tutto quello che stava succedendo come una sorta di approccio. Sua sorella Hazel continuava a dirgli che aveva un look da bello e dannato, con i suoi indomabili capelli scuri, la pelle chiarissima e gli svariati piercing.
In ogni caso Nico doveva sapere: quella sera Nico elaborò un piano.
Il giorno dopo, non appena vide i suoi amici entrare nel locale, afferrò per un braccio Percy e Jason e li fece sedere al bancone: «D’ora in poi voi mangerete qui. Controllate chiunque metta qualcosa nel mio barattolo delle mance. Se qualcuno infila un biglietto non fate nulla, assolutamente nulla: non vi fate notare e senza fare cazzate me lo indicate. Tutto chiaro?».
I due annuirono perplessi e anche leggermente spaventati.
Alla fine del suo turno Nico trovò un altro biglietto: l’occhio umano può distinguere fino a 10 milioni di colori.
Che fosse anche questo un commento personale? Aveva forse visto i suoi colori in qualche modo?
I suoi amici cercarono di spiegargli chi avesse messo il biglietto, ma l’unico biondo con le lentiggini e dei cardigan discutibili che Nico aveva notato nel locale non poteva assolutamente essere lo stesso – sarebbe stato decisamente troppo per il povero cuore di Nico: quel ragazzo era veramente troppo bello e Nico si era incantato a guardarlo fin troppo spesso. Dai discorsi che aveva sentito doveva essere uno studente di medicina, avrebbe avuto senso. Ma non poteva assolutamente essere lui. O almeno di questo provò a convincersi.
Quando i suoi amici glielo indicarono in giro per il campus Nico entrò in una zona di paturnie mentali completamente nuova. Passò i suoi turni successivi a osservarlo nella speranza di non essere troppo evidente – la missione fallì, a giudicare dalle battute che cominciò a fargli Reyna.
Perché uno così doveva andare a mettere biglietti nel suo barattolo delle mance? Non aveva senso. Forse era uno scherzo studiato con i tizi con cui pranzava di solito? Nico non riusciva a capire.

Il sabato sera era in programma una grossa festa universitaria, l’anniversario della fondazione del campus, e i suoi amici le avevano provate tutte per convincerlo ad andare senza risultati. Finché non intervenne Piper: «Forse ci sarà anche il tuo biondino».
Nico fulminò con lo sguardo Jason e Percy: gli sembrava di essere stato abbastanza chiaro quando gli aveva detto che non avrebbero dovuto far parola con nessuno degli avvenimenti recenti, ma con quei due era sempre e solo fiato sprecato. E, gli scocciava ammetterlo, ma in fondo Piper non aveva tutti i torti – forse lo avrebbe incontrato, gli avrebbe potuto dire che questi stupidi scherzi non attaccavano e chiudere lì una volta per tutte la questione. Il pensiero di non ricevere più quei bigliettini, però, lo rendeva inspiegabilmente di cattivo umore. Alla fine, Nico si arrese e andò con gli altri alla festa. Con la giusta dose di alcol in corpo cominciò anche a ballare.
Non sapeva bene da quanto fossero lì quando Piper e Jason gli fecero cenno di guardarsi alle spalle; Nico vide il biondino che a malapena riusciva a togliersi dalla testa ultimamente.
Fece un cenno agli alti e andò nella sua direzione, camminò spedito verso di lui: «Tu!».
Era più alto di lui. E da vicino era ancora più bello. Sorrise a Nico – e oddio, non poteva avere anche le fossette! – e si presento: «Piacere, Will!».
«Perché?» gli chiese Nico.
«Non sapevo come parlarti» ammise l’altro, ma la musica era ripartita e per parlargli era stato costretto ad avvicinarsi al suo orecchio. Profumava di buono.
Senza pensare bene a quello che stava facendo Nico lo afferrò per il colletto della maglietta e lo baciò – sapeva di mela verde, qualche stupido cocktail probabilmente. L’altro ricambiò con entusiasmo. Nico gli morse le labbra e continuò a baciarlo spingendolo verso il bagno e richiudendo la porta del cunicolo alle loro spalle, lo aveva sbattuto contro la parete e senza troppe cerimonie si era inginocchiato per terra, troppo ubriaco per preoccuparsi di dove veramente fosse. L'altro provò a fermarlo, a ricordargli che aveva probabilmente bevuto troppo e che forse non era il caso di fare una cosa del genere, ma a Nico in quel momento non importava. Voleva togliersi tutta quella storia dal sistema, voleva togliersi quel ragazzo dal sistema, voleva tornare alla sua vita normale e non pensare più a lui, al suo sorriso, ai suoi capelli biondi o ai suoi adorabili biglietti. Qualunque storia fosse quella storia sarebbe finita lì, in quel bagno.

La mattina dopo Nico non riusciva a ricordare bene cosa fosse successo dopo essersi inginocchiato davanti all’altro. Probabilmente si era alzato e se ne era andato, come aveva sempre fatto. Gli faceva male tutto, gli faceva male la testa e le ginocchia e non riusciva a credere si essersi veramente inginocchiato in un bagno pubblico durante una festa universitaria. Avrebbe dovuto bruciare quei jeans ed erano anche i suoi preferiti.
Qualunque cosa fosse stato tutto quello ormai era finito, il biondo – Will, ricordò – aveva probabilmente avuto quello che voleva e lui avrebbe smesso di ricevere strani foglietti.
Quando quel lunedì tornò al lavoro era di umore pessimo – non aveva ancora pienamente ammesso a sé stesso di volerne ancora di quei biglietti.
Will non era con il suo solito gruppo.
Nico si sorprese quando, alla fine del suo turno, contro ogni aspettativa, trovò l’ennesimo biglietto:

Cena?
- Will 555-xxx
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Titolo: Amantium irae amoris integratio est
Fandom: Haikyuu
Missione: M5 - Amantium irae amoris integratio est: le ire degli amanti rinnovano l’amore.
Parole: 222
Rating: safe

Hinata e Kageyama bisticciano di continuo, discutono su qualunque cosa e anche le loro discussioni pacifiche sembrano litigate alle orecchie altri, per il loro essere condite di insulti vari ed eventuali. In realtà, però, sono molto rare le occasioni in cui litigano veramente. Si conoscono da quasi dieci anni e le occasioni in cui hanno veramente litigato si possono contare sul palmo di una sola mano, la peggiore era stata circa un anno prima, quando Hinata aveva scoperto che Kageyama si era andato a leggere sul suo cellulare alcune conversazioni che Hinata aveva avuto con i suoi amici del Brasile. In quel caso Hinata era andato via di casa per qualche giorno, aveva chiesto asilo a Kenma nella sua casa fuori città e per qualche giorno aveva anche spento il cellulare. Si era interrogato a lungo su quella discussione con Kageyama in quell'occasione, era stata la prima volta in cui aveva messo veramente in discussione il loro rapporto, analizzandolo in ogni sfumatura e dettaglio. Sapeva che sul frangente relazioni Kageyama era piuttosto insicuro, non si sentiva un partner degno ed era soggetto ad avere crolli di quel tipo, che portavano a stupidaggini che portavano a discussioni. Ma la domanda principale che Hinata si era fatto era stata: ne vale la pena? E Hinata non aveva alcun dubbio sulla risposta a quella domanda.

brother

Mar. 21st, 2020 11:39 pm
chasing_medea: (Default)
Titolo: brother
Fandom: Obey me
Missione: M3 - legame fraterno
Parole: 666
Rating: nsfw
Note: twincest

Belphie rientrò nella stanza dopo una giornata di lezioni. Era stanco, ma non aveva sonno quel giorno. Aveva altre voglie, in un certo senso. Erano un po' di giorni che, tra lezioni e altro, rientrava a casa la sera troppo stanco anche per concedersi quel po' di piacere - non aveva idea di come facessero gli umani a sopportare tutto quel trambusto tutti i giorni, lui si sentiva stanco al solo pensiero di doverlo rifare il giorno dopo. Quel giorno aveva finito prima le lezioni, era un venerdì sera e la mattina dopo avrebbe potuto dormire fino a tardi senza nessun pensiero. Sì, avrebbe anche dovuto studiare, ma lo poteva fare il pomeriggio. In quel momento era più interessato a godersi la serata. Si spogliò e si stese sul letto, rilassato sui cuscini, pronto a prendersi il suo tempo. Fece scendere una mano lungo il suo corpo, fino ad arrivare alla sua erezione che cominciava ad indurirsi. Ma il contatto sembrava blando, sarebbe stato come soddisfare una necessità fisica mentre quella sera voleva veramente godersela. Ciò di cui aveva veramente voglia era avere Beel lì con lui, sentire le sue mani più grandi contro di sè. Belphie aveva imparato molto tempo prima ad approfittare della voracità di Beel. Aveva capito che, per attirarlo da qualche parte, bastava inviargli la foto di qualcosa che gli piaceva anche nel pieno della notte e lui sarebbe venuto di corsa. Ora, il caso voleva che anche Belphie fosse tra le cose a cui Beel non riusciva mai a dire di no, almeno era quello che aveva scoperto quando una volta, per scherzo, gli aveva mandato una foto mentre stava disteso mezzo nudo nel caldo estivo tra le lenzuola di Beel invece che tra le sue. Beel si era precipitato in camera alla velocità della luce, senza neanche fermarsi a rimediare il cibo per cui era uscito. Inutile a dirsi che quella era stata una notte che, a mesi di distanza, spesso Belphie si divertiva ancora a ricordare quando era solo sotto la doccia.
Nel Devildom non aveva mai avuto molte occasioni per sfruttare quella scoperta, ma adesso si stava rivelando più utile di quanto avesse creduto originariamente. Dopo il caos della finta partenza, infatti, Belphie aveva deciso veramente di partire per trascorrere quell'anno sulla terra come exchange student e ogni tanto quella distanza diventava un po' pesante da sopportare.
Beel non era semplicissimo da convincere. si preoccupava che le eccessive visite avrebbero fatto arrabbiare Lucifer, ma Belphie era più che pronto a prendersi la responsabilità in quel caso - qualunque scusa era buona per far arrabbiare Lucifer. Quindi Belphie era stato costretto a imparare un metodo, ogni volta cominciava con dei messaggi suggestivi, poi mandava delle foto via via più rivelatrice, continuando a dire a Beel quanto avesse bisogno di lui, quanto sentisse la sua mancanza. Nelle - rare - occasioni in cui Beel si dimostrava irremovibile, Belphie otteneva comunque del sesso telefonico - e la voce di Beel eccitato era qualcosa che valeva veramente la pena sentire almeno una volta nella vita. Ma la maggior parte delle volte, come quella sera, Beel si materializza nella sua stanza, pronto a sfogare su di lui quella voracità insaziabile. Quella sera in particolare, Belphie sa di aver fatto giusto qualcosa, o forse Beel era semplicemente più dell'umore del solito, perchè è comparso lì nella sua forma da demone, vestito interamente di abiti neri e attillati, con le ali nere in bella mostra, le corna e i denti più aguzzi del solito - che Belphie non vede l'ora di avere su di sè. Beel è impulsivo a letto, è famelico e vorace, e Belphie non potrebbe desiderare nulla di diverso. Nonostante siano gemelli, Beel è fisicamente molto diverso da lui. Più grosso, più muscoloso, dove lui è sempre stato troppo pigro per fare qualcosa, ma questo non significa che non possa godersi i risultati che l'allenamento fisico da su Beel.
Passa la mani sui suoi addominali scolpiti, e Beel gli morde il collo.

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