Megumi non ha mai odiato nessuno in vita sua.
Anche quando riempì di botte i bulli della sua scuola, lo fece più motivato dall'insofferenza per le loro azioni che dall'odio per loro come persone.
In generale, le persone che lo circondavano o gli piacevano o lo lasciavano piuttosto indifferente, e in quel caso non faceva nulla per nasconderlo. Alcune delle persone appartenenti a questa categoria, negli anni, si erano avvicinate a lui per chiedergli se le odissea, ma ogni volta Megumi aveva scrollato le spalle e aveva risposto, "non me ne frega abbastanza di te per odiarti."
No, Magumi nella sua vita non aveva mai odiato nessuno. Poi, era arrivato Ryomen Sukuna.
Megumi cominciò il suo turno al bancone del pub. Era un bel locale interamente rivestito in legno e dalle luci basse, creava un'atmosfera calma e rilassata, perfetta per un gruppo di amici che aveva voglia di farsi due chiacchiere e offriva una selezione di oltre 150 birre artigianali provenienti da varie parti del mondo.
Lavorava lì da anni ormai, da quando, appena diciottenne, si era ritrovato ad aver disperatamente bisogno di un lavoro mentre i pochi soldi che i genitori gli avevano lasciato erano destinati a pagare gli studi di sua sorella. Megumi voleva fare il possibile per aiutarla. Il gestore di quel posto, un tipo eccentrico dai brillanti capelli bianchi di nome Gojo Satoru lo aveva preso in simpatia e gli aveva dato quel lavoro. Era spesso fuori per lavoro, Gojo, alla ricerca di nuove birre da proporre ai suoi clienti, e ormai era come se Megumi fosse il gestore del posto in sua vece quando era lontano. Mano a mano che aveva preso dimestichezza con il lavoro, i suoi viaggi si erano fatti sempre più frequenti.
Il suo turno era cominciato da una ventina di minuti quando vide entrare Yuji, che gli rivolse un ampio sorriso e andò a sedersi al bancone.
"Bionda chiara?" gli chiede Megumi.
Yuji accettò con un sorriso.
Megumi aveva conosciuto Yuji ormai più di un anno prima, nella palestra che aveva cominciato a frequentare quando finalmente era riuscito a convincere sua sorella che era abbastanza grande per andare a vivere da solo. Yuji insegnava arti marziali ai bambini - non una in particolare, era più che altro una generica introduzione alle arti marziali.
Megumi appoggiò sul bancone la birra, fresca e con il giusto quantitativo di schiuma in cima. La condensa aveva cominciato a rendere opaco e brillante di gocce d'acqua il bicchiere di vetro. Yuji bevve un sorso, a Megumi cadde lo sguardo sul marchio del soulmate interamente oscurato che aveva sull'interno del polso, il segno che il suo soulmate era venuto a mancare. Megumi non gli aveva mai chiesto se avesse fatto in tempo a conoscerlo prima che accadesse, ma aveva riconosciuto immediatamente cosa stesse a significare il fatto che fosse oscurato. Era esattamente come quello che aveva Gojo, nella parte interna del bicipite sinistro.
Yuji si guardò intorno. "Gojo non c'è?" chiese con una leggera sfumatura di rosa che gli colorava le guance.
"È partito stamattina. Olanda. O Belgio. Non mi ricordo"
Yuji annuì e non riuscì a mascherare interamente la propria delusione.
Cominciarono a chiacchierare del più e del meno. Da quando si erano conosciuti, Yuji aveva preso l'abitudine di andare al pub almeno una volta a settimana - di solito in mezzo alla settimana, quando le serate erano più tranquille e Megumi poteva restare al bancone a chiacchierare con lui.
Yuji aveva appena cominciato a raccontare il panico generale scatenatosi in casa di suo nonno per via del tanto atteso ritorno di Sukuna dal suo viaggio di un anno in giro per il mondo. "Il nonno sta impazzendo per preparargli tutti i suoi piatti preferiti," stava dicendo con un sorriso. “Continua a chiamarmi per chiedere conferma degli ingredienti.”
Megumi sentì un brivido scorrergli lungo la schiena alla sola menzione di Sukuna e il suo cuore saltare un battito, mentre Nobara, che con tempismo perfetto aveva appena terminato di servire gli ordini ai pochi tavoli occupati in un normale giovedì sera, si precipitò sul bancone.
“Torna tuo fratello?” chiese impaziente. “E quando pensavi di dirmelo, eh? Finalmente potrà farmi il tatuaggio che mi ha disegnato prima che decidesse di prendere e partire per sparire in mezzo al nulla.”
“Fratellastro,” precisò Yuji prendendo un altro sorso di birra e cominciando poi a disegnare con il dito dei cerchi nella condensa del bicchiere, dove ormai era rimasta solo metà birra. “Come va con Maki?” chiese poi. “E’ un po’ che non la vedo in giro.”
“E’ impegnata con gli esami,” rispose Nobara, mettendosi i capelli dietro l’orecchio e scoprendo il marchio del soulmate che aveva sul collo.
Megumi era sempre stato affascinato all’idea dei soulmate. Probabilmente è normale, quando cresci con il peso dell’abbandono sulle spalle. L’idea di qualcuno che fosse destinato a lui era affascinante quanto terrificante. Non gli era mai piaciuto che gli si dicesse cosa fare, ma allo stesso tempo non era mai riuscito a impegnarsi seriamente con nessuno, per paura che lo lasciassero di nuovo e in attesa di qualcuno che forse non avrebbe mai trovato. E odiava la parte di sé che ancora aspettava.
Megumi si distrasse mentre Nobara cominciava a spiegare a Yuji tutti i dettagli del suo tatuaggio, quello che aveva chiesto a Sukuna di disegnarle poco prima che partisse. Ricordava ancora la sera in cui lo aveva conosciuto, Sukuna.
Conosceva Yuji da poco tempo, e una sera era entrato nel pub seguito da un’altro ragazzo. Sembrava di qualche anno più grande e, strizzando gli occhi, Megumi era riuscito a notare le somiglianze tra i due. Avevano gli stessi capelli bicolori, ma Sukuna aveva profondi occhi rossi e i tratti del viso più duri. Dove Yuji sorrideva in maniera aperta e sincera, Sukuna aveva sempre un sorriso strafottente, come se fosse padrone del posto.
Megumi si era avvicinato a loro per prendere i loro ordini, aveva preso quello di Yuji e poi si era voltato verso Sukuna.
“Che cosa ti porto?”
“Sukuna,” si era presentato quello, protendendosi verso di lui e appoggiando un gomito al bancone come se fosse il padrone del posto, nel chiaro atteggiamento di chi era abituato e flirtare e non era abituato a sentirsi dire di no. Megumi si era sentito irrazionalmente arrabbiato nei suoi confronti. Se c’era qualcuno che poteva permettersi di comportarsi come il padrone di quel posto era Gojo, e se Gojo non c’era, Megumi era la cosa più vicina a un padrone che quel posto potesse avere.
“Non l’ho chiesto,” gli aveva risposto Megumi.
Gli era quasi sfuggita la rapidità con cui il sorriso era crollato dal viso di Sukuna, il modo in cui aveva spalancato gli occhi, chiaramente preso in contropiede. Quello che non gli era sfuggito, però, era la risata sganasciata di Yuji, che continuava ad indicare la faccia del fratello senza riuscire a smettere.
Da quella sera, Sukuna era diventato un cliente fisso del pub. Certe volte veniva con Yuji, spesso da solo, direttamente dal lavoro. Aveva sempre addosso l’odore di alcool etilico e quello acre dell’inchiostro. Era stato così, a poco a poco, che Megumi aveva scoperto che di lavoro faceva il tatuatore.
Si era abituato alla sua presenza, così quando aveva cominciato ad essere inspiegabilmente assente, Megumi si era fatto coraggio e aveva chiesto a Yuji che fine avesse fatto.
“E’ partito,” gli aveva detto Itadori. “Voleva andare a fare ricerche sulle origini del tatuaggio, andare a studiare dai maestri del tatuaggio che stanno in angoli sperduti del mondo dove, a quanto pare, il telefono non prende mai,” aveva continuato con un po’ di amarezza nella voce. “Pensavo te lo avesse detto.”
Megumi si era inizialmente sentito sollevato alla notizia, ma con il passare del tempo aveva cominciato a sentire la mancanza di quello strano cliente, dello scotch con ghiaccio che era la sua ordinazione fissa, e delle sottili attenzioni che gli aveva sempre rivolto.
Adesso, al pensiero che stesse per tornare, Megumi si sentiva lo stomaco annodato, e la sensazione non gli piaceva affatto.
Yuji rimase al bancone fino all’ora di chiusura, e insieme a Megumi camminarono fino alla stazione metro più vicina, dove le loro strade si separavano.
Era una routine confortevole, calma e forse noiosa, ma aveva lottato tanto per conquistarsela. Non aveva voglia di scombinare tutto. Per questo Megumi sperava di non incontrare mai il suo soulmate.
Megumi non voleva essere lì, ma per qualche motivo c’era. Nobara non lo aveva lasciato in pace fino a che non aveva accettato di accompagnarla a quell’appuntamento e, adesso, mentre Nobara era in una delle stanze private a parlare con Uraume, lui era rimasto lì, nell’atrio, senza poter fare nulla se non guardare i disegni appesi alle pareti.
E’ la prima volta che si trova nello studio di Sukuna da quando lo conosce. I disegni alle pareti sono principalmente in bianco e nero, qualche foto dei tatuaggi, ma quelli che più attirano lo sguardo sono gli sketch, disordinati e pieni di linee che ancora devono essere ripulite, ma Megumi può vederne l’efficacia e l’impatto. Sulla pelle devono essere splendidi.
E’ talmente assorto in quello che sta guardando, che non si rende conto dei passi alle sue spalle.
“Hai finalmente cambiato idea sul farti un tatuaggio?”
La voce roca al punto giusto di Sukuna lo coglie impreparato, lo fa rabbrividire sul posto. Spera di averlo nascosto bene. Si volta verso di lui, e non era preparato per quello che si trova davanti. La sua pelle è abbronzata, e fa risaltare ancora di più il rosso dei suoi occhi. Ha l’espressione più rilassata dell’ultima volta che lo ha visto.
“Non sono qui per farmi marchiare da te”
Sukuna fa scorrere gli occhi sulla pelle del suo collo, lo sguardo è talmente intenso che Megumi si sente come se lo stesse sfiorando con la punta delle dita. “Peccato,” dice, con la voce leggermente più roca. “Devo pensare che sei qui per vedere me?”
Megumi si volta di nuovo verso i disegni. “Non dovresti essere nello studio a parlare con Nobara?”
“Per quello che vuole farsi lei, Uraume è la persona più adatta.”
Megumi fa un paio di passi per la stanza, con il cuore che gli batte all’impazzata. Si sente il viso arrossato e non ha intenzione di voltarsi verso Sukuna per farglielo vedere. “Sono molto belli,” commenta.
“Sembri sorpreso.”
“Lo sono. Pensavo fossi solo chiacchiere.”
In un istante Sukuna gli è accanto. “Eppure ancora non vuoi che metta le mani su di te,” dice facendo passare un dito all'interno del polso di Megumi, come ha già fatto altre volte. Per la prima volta, Megumi non si ritrae da quel contatto, che risveglia i suoi nervi come una scossa di energia statica.
“Ho già un marchio addosso, e pesa abbastanza.”
Sukuna non si ritrae. “Ha il peso che vuoi dargli. Puoi scegliere del tuo destino.”
E’ la prima volta che qualcuno gli dice una cosa del genere. Mai sua sorella, innamorata del concetto dei soulmates, gli aveva detto una cosa del genere, mai Nobara, che con la sua ha veramente trovato la felicità che cercava. Megumi pensa a Yuji e Gojo, ai loro marchi neri. Per la prima volta, in segno del soulmate non sembra una condanna. E se vuole provare, che male c’è?
Megumi si allontana da Sukuna. “Come è andato il viaggio?” chiede mentre ispeziona i disegni appesi ad un’altra parete, al lato opposto della stanza.
Sente il sorriso strafottente nella voce di Sukuna quando risponde, “ti stai interessando a me, Fushiguro Megumi?”
“Pensavo solo potessi parlarmene. Magari a cena?”
Megumi volta solo la testa, per guardare Sukuna da sopra la sua spalla. E’ la seconda volta che lo vede senza parole, e stavolta il senso di trionfo che sente è ancora più grande della prima volta. Poi Sukuna scuote la testa e comincia a ridere.
“Sempre pieno di sorprese,” commenta. “Mercoledì alle 7. E’ ancora quello il tuo giorno libero?”
Megumi annuisce. Sukuna, che si era appoggiato alla parte, si sposta e attraversa la stanza. “Devo tornare a lavoro,” dice.
Megumi si volta verso di lui solo quando Sukuna gli ha già dato le spalle. E’ la prima volta che lo vede con una canotta senza maniche. E’ la prima volta che vede il marchio di Sukuna, diverso dai suoi tatuaggi, sulla parte posteriore della sua spalla.
E’ identico al suo.