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[personal profile] chasing_medea
Titolo: like we were sixteen
Fandom: Haikyuu!
Prompt: R. Gualazzi - Carioca
Parole: 3794
Rating: safe

La cerimonia di consegna dei diplomi si era appena conclusa, le foto erano state scattate e i saluti erano stati scambiati, ma Kageyama non se la sentiva ancora di lasciare il perimetro della scuola. Cominciò a vagare per quei luoghi familiari senza una meta precisa, i ciliegi erano in fiore, i classici rumori scolastici quasi assenti e ogni cosa era illuminata dalla nostalgica e agrodolce consapevolezza che non l’avrebbe più rivista.
Arrivò al familiare corridoio che portava alla palestra di pallavolo. La porta d’acciaio era socchiusa, ma dall’interno non proveniva alcun rumore. Kageyama si avvicinò in silenzio, non volendo disturbare chiunque ci fosse all’interno.
Si affacciò alla porta, cercando di sbirciare cosa stesse succedendo lì dentro, ma la trovò deserta. Nessun pallone era sparso sul pavimento, nessuna scarpa cigolava sul parquet tirato a lucido.
Aprì meglio la porta e rimase fermo sulla soglia ad osservare il campo in silenzio. La luce del tramonto penetrava dalle finestre e tingeva di rosso l’intero ambiente. Non riusciva a credere che il giorno dopo non sarebbe stato lì, ad allenarsi con gli altri.
Nel giro di una settimana avrebbe iniziato gli allenamenti con la sua nuova squadra, una squadra di v. premier league, una squadra di professionisti. Era quello che aveva sempre voluto, ma una parte di lui non era pronto a lasciare quel posto.
Lì aveva capito per la prima volta che cosa volesse dire essere parte di una squadra, lì era entrato la prima volta come un ragazzino arrogante convinto di poter fare tutto da solo, convinto di non aver bisogno di una squadra. Da lì usciva tre anni dopo come una giovane promessa della pallavolo giapponese, con un contratto in tasca e la certezza di non dover più toccare un libro.
“Sapevo di trovarti qui”, disse una voce familiare alle sue spalle.
Hinata si affiancò a lui e guardò la palestra vuota in silenzio per un po’. Kageyama gli gettò un’occhiata di sottecchi.
“E’ strano”, disse.
Kageyama rimase in silenzio, non sapendo bene come esprimere quello che stava provando in quel momento.
Una voce esuberante interruppe il momento. “Che succede? Non ci alleniamo?”
“Idiota, ci sono i sempai! Lasciagli un momento”, rispose un’altra voce, fallendo nel suo tentativo di tenere un volume basso.
Hinata e Kageyama si voltarono e risero vedendo Yaotome che cercava di tenere nascosti gli altri due dietro il tronco di un albero.
Hinata scoppiò a ridere e voltò la testa verso Kageyama. “La stiamo lasciando in buone mani”
Anche Kageyama sorrise. “Sono i nostri kohai dopotutto”.
Insieme, come se si fossero messi d’accordo, voltarono le spalle alla palestra e si avviarono verso il parcheggio delle biciclette.
“Quando parti?”, gli chiese Hinata mentre prendeva la sua dalla rastrelliera.
“La prossima settimana, tu?”
“Ho ancora un anno per prepararmi, non ho ancora preso i biglietti”
Cominciarono a camminare affiancati verso casa, come avevano fatto tutti i giorni per quasi tre anni. Per l’ultima volta, si ricordò Kageyama. Hinata sembrava pensieroso. Quel giorno non ci furono bisticci per strada.
Qualunque cosa fossero loro sarebbe finita quel giorno, in quel silenzio, e Kageyama non era pronto. Si era sempre consolato al pensiero che, qualunque cosa fosse, avesse una data di scadenza, ma adesso che era arrivato il momento non voleva lasciare andare. Avrebbe voluto allungare la mano e stringere quella di Hinata, ma non era mai stato così tra di loro.
Arrivarono al punto in cui di solito le loro strade si separavano.
Hinata si voltò verso di lui con un sorriso luminoso. "Allora ci vediamo"
Kageyama si prese un momento per guardarlo. Avrebbe voluto avvicinarsi, dirgli qualcosa, baciarlo, ma non riuscì a fare nulla. Hinata rimase fermo per un momento, poi abbassò lo sguardo, inforcò la sua bicicletta e cominciò a pedalare su per la montagna senza voltarsi indietro.
Kageyama rimase immobile a guardare la sua figura diventare sempre più piccola.

La prima volta che succede è nel corso della primavera “più calda degli ultimi cinquant’anni”, come l’avevano chiamata i telegiornali, quella tra il primo e il secondo anno. La madre di Hinata ha portato la sorella a trovare una vecchia zia per qualche giorno e lui ha invitato Kageyama a stare da lui, “un piccolo ritiro privato”, l’aveva definito. Hanno montato una rete nel giardino davanti casa di Hinata e hanno passato la giornata ad allenarsi: Hinata voleva migliorare nelle ricezioni, Kageyama voleva rendere i suoi servizi più affidabili.
Alla fine degli allenamenti crollano sdraiati sul prato, il sole riscalda la loro pelle, gli uccelli cinguettano tra gli alberi e Kageyama è sicuro di essersi bruciato il naso.
Kageyama si volta alla sua sinistra e vede Hinata: ha gli occhi chiusi e l’espressione rilassata. Le lentiggini quasi impercettibili sul suo viso si stanno colorando al sole. Kageyama realizza solo in quel momento quanto Hinata sia cambiato in quei pochi mesi. I capelli sono più lunghi e cadono in onde leggere intorno al suo viso invece di essere sparati in tutte le direzioni, i tratti del suo viso si sono fatti più definiti e ha cominciato a riempire meglio la maglietta bianca che usa per allenarsi.
Ha improvvisamente voglia di baciarlo.
Si volta di fianco e si avvicina a lui. Hinata apre gli occhi, nota quanto sia vicino ma non dà alcun segno di volersi allontanare. Solleva leggermente il viso e guarda le labbra di Kageyama. E’ lui a fare quell’ultimo passo, è lui che si volta di fianco e appoggia le labbra su quelle di Kageyama.
E’ un contatto leggero, appena percettibile e Kageyama lo insegue quando si allontana. Si allunga verso Hinata e lo bacia di nuovo, ancora un timido contatto.
Passano il resto del pomeriggio sdraiati lì, con le loro labbra che si inseguono, sempre più intraprendenti e i loro corpi che si avvicinano sempre di più.
Per la serata Kageyama aveva portato dei video di pallavolo da studiare insieme, ma finiscono per scorrere dimenticati sul televisore, a basso volume, non seguiti da nessuno.


Kageyama era seduto sul divano con il computer sulle gambe, scorreva vari siti di mete turistiche, ma nessuno lo ispirava particolarmente. Di lì a un mese ci sarebbe stata la pausa del campionato e lui avrebbe avuto una decina di giorni di vacanza e a differenza dei suoi compagni di squadra non aveva ancora organizzato nulla. Non si era mai preoccupato di farlo nel corso delle due stagioni precedenti, semplicemente restava a casa oppure tornava a casa dai genitori e continuava ad allenarsi per conto suo, ma il suo allenatore lo aveva scoperto e lo aveva costretto a organizzarsi una vacanza.
Sbuffò, chiuse il computer e si andò a preparare la cena.
Dopo mangiato si sedette sul divano e cominciò a fare zapping sul suo televisore fino a trovare un vecchio film d’azione che aveva già visto. Il suo telefono vibrò sul tavolino che teneva accanto al divano, allungò il braccio per prenderlo e vedere chi gli stesse scrivendo.
Era solo una email promozionale di una compagnia aerea con la quale aveva viaggiato qualche volta. Prima che la potesse cancellare, l’oggetto attirò la sua attenzione.
Vola in Brasile!
Kageyama alzò il sopracciglio e si decise a leggerla. Avevano delle offerte last minute per dei voli diretti per Rio. D’impulso aprì il sito, inserì le sue date e comprò i biglietti.
Prese il telefono e fece partire una chiamata.
“Kageyama?”, gli rispose Hinata al terzo squillo. - Va tutto bene? Non chiami mai senz-”
“Ho comprato un biglietto per Rio”
“Cos- perchè?”
Kageyama sentì un macigno andargli a pesare sullo stomaco. Hinata non voleva vederlo.
“C’era un’offerta”, rispose. La voce gli si era fatta piccola e flebile.
“E se c’era un’offerta per l’Alaska compravi quello?”
“Cos- No! Non sono un idiota!”
“E per il campionato come fai? Non puoi mollare tutto e partire!”
“Certo che no, idiota! Abbiamo la pausa il mese prossimo!”
“Oh”
Dopo un momento di silenzio, Hinata scoppiò a ridere. “Allora va bene”, continuò. “Quando arrivi? Quanto stai? Vuoi venire a stare da me?”, gli chiese talmente velocemente che Kageyama dovette andare a intuito per capire quali fossero le domande. Il peso sul suo stomaco si era allentato però e Kageyama cominciò a sentirsi anche un po’ eccitato al pensiero di partire.
“Il mese prossimo, sto una settimana, vado in albergo. Non ci dormo in quella topaia che è la tua stanza”
“Hey! La mia stanza è suuuper ordinata. Okay, forse no. Ma potrebbe esserlo. Anzi no, mi rimangio l’invito!”
Quel bisticciare costante era familiare e gli scaldò il petto. Ultimamente si erano potuti sentire quasi solo per messaggio, aveva quasi dimenticato il suono della voce di Hinata.
“Ci sono così tante cose che voglio farti vedere”, disse Hinata, la sua voce si era fatta più morbida mentre lo diceva. e Kageyama sentì dissiparsi anche l’ultima punta di nervosismo in lui. “E poi voglio sfidarti a beach volley! Scommetto che sei scarsissimo!”
“Ti faccio vedere io quanto sono scarso!”
Se Hinata fosse stato lì quello sarebbe stato il momento in cui l’avrebbe afferrato per i capelli.
“Anche Oikawa ha fatto fatica all’inizio!”
Lo spirito competitivo di Kageyama ruggì. Se c’era riuscito Oikawa ci sarebbe riuscito anche lui. E anche meglio.
“Devo tornare a lavoro”, gli disse Hinata. “A presto allora”.
“A presto”, gli rispose Kageyama con un sorriso.

I giorni successivi Kageyama è troppo imbarazzato per fare qualunque cosa. Spera solo che, rientrando a scuola, tutto ritorni alla normalità, ed è quello che succede.
Ricominciano le lezioni, riprendono gli allenamenti e Kageyama riesce quasi a credere che non sia mai successo nulla. E se il suo sguardo indugia un po’ più del solito sulla figura di Hinata è solo per monitorare quanto stia migliorando, si dice.
Ci vuole poco anche perché inizino nuovamente a rimanere ad allenarsi fino a tardi solo loro due.
Una sera, al termine degli allenamenti, si stanno cambiando nella stanza del club. Hinata gli dà le spalle, si toglie la maglietta bagnata di sudore per cambiarla con una asciutta. Lo sguardo di Kageyama cade sulla sua schiena e sulla piccola costellazione di nei che non aveva mai notato prima sulla sua spalla. Rimane incantato a fissarli, poi allunga le dita e comincia a tracciare ipotetiche linee che li uniscano sulla pelle chiara. Hinata rabbrividisce al contatto, volta leggermente la testa ma non lo ferma. Gli sorride.
“Mi chiedevo quanto ci avresti messo”, gli dice.
Kageyama si avvicina a lui, gli sfiora la spalla con le labbra prima di baciarlo.


Kageyama scese dall’aereo e si mise in fila per i controlli. Terminati quelli recuperò dal nastro scorrevole la sua valigia e attraversò le porte scorrevoli.
La prima cosa che vide fu Hinata. Non si vedevano da quasi due anni, dalla sera prima che partisse per il Brasile.
“Kageyama!”, lo chiamò ad alta voce agitando un braccio sopra la sua testa.
Avevano continuato a sentirsi in quei due anni, si erano anche mandati dei selfie. Kageyama sapeva che l’avrebbe trovato con i capelli più corti, il viso più sottile e, ma non si aspettava che il suo fisico fosse cambiato così tanto, che le sue spalle si fossero allargate e che la sua pelle avesse preso quella tonalità dorata che faceva risaltare ancora di più i suoi grandi occhi castani.
“Non urlare, idiota”, gli disse afferrandolo per i capelli per cercare di mascherare il turbinio di sensazioni che stava provando a trovarselo davanti dopo tanto tempo.
Hinata rise, si liberò dalla presa e prese la sua valigia, guidandolo fuori dall’aeroporto.
“Non dirmi che sei venuto in bicicletta”, pregò Kageyama.
“E come ce la mettevo la tua valigia? Non sono un idiota”
Non appena le porte scorrevoli si aprirono Kageyama fu colpito dall’aria calda e umida del Brasile. Seguì Hinata fino al parcheggio, dove li stava aspettando un ragazzo alto, con i capelli scuri e un sorriso gentile.
“Lui è il mio compagno di squadra, Santana”, lo presentò Hinata.
“Tu devi essere Kageyama”, lo salutò quello in inglese porgendogli la mano.
Kageyama la strinse e rispose nel suo inglese ancora un po’ incerto.
Santana disse qualcosa in portoghese a Hinata, Kageyama riuscì a cogliere solamente il suo nome, Hinata arrossì e borbottò qualcosa in risposta.
Salirono in macchina e Santana cominciò a guidare in direzione dell’albergo di Kageyama. Di primo impatto Rio sembrava una città caotica e confusionaria, da solo non credeva sarebbe riuscito a combinare molto. Si sentì confortato al pensiero che lì ci fosse Hinata, che si era preso un giorno di ferie dal lavoro per accompagnare Kageyama un po’ in giro.
Arrivati in albergo aspettò nell’atrio che Kageyama andasse a lasciare le sue cose in camera. Ne aveva scelto uno abbastanza di lusso, niente di eccessivo, ma voleva comunque avere la palestra per portare avanti il programma di allenamento che il loro coach gli aveva dato per le vacanze. La camera era luminosa, arredata in maniera sobria e moderna, le finestre affacciavano sulla piscina.
Lasciò la valigia e decise di darsi una rinfescata prima di scendere. Una parte di lui continuava a non essere sicuro di quello che stava facendo. Aveva paura di scoprire che il rapporto che lui e Hinata avevano costruito si era sgretolato, che non avrebbero saputo cosa dirsi e avrebbero trascorso la giornata in un silenzio imbarazzato. Era abituato a tutte quelle cose, ma con lui non era mai stato così e era terrorizzato davanti al rischio che potesse essere diventata così anche con Hinata.
Trovò Hinata che si guardava intorno nell’atrio con attenzione. Quando si accorse che Kageyama lo aveva raggiunto gli sorrise.
“Bella la vita del professionista!”, lo prese in giro.
Kageyama scrollò le spalle, ma sorrise.
Hinata gli porse una bottiglia di una crema, Kageyama la prese e alzò un sopracciglio in direzione di Hinata.
“Crema solare”, gli spiegò quello. “Non vorrai passare tutta la vacanza a prenderti cura delle scottature”.
Kageyama lo ringraziò e ne mise un po’ sul viso.
Uscirono insieme e cominciarono a camminare per Rio. Il primo posto in cui Hinata volle portarlo fu il Cristo Re e insistette anche per scattarsi un selfie insieme sotto la statua da mandare alla chat di gruppo del Karasuno. Hinata sembrava veramente felice di averlo lì.
Presero nuovamente il treno per tornare in città e si diressero verso la spiaggia, per strada comprarono degli enormi rettangoli di pasta fritta ripiena di formaggio, un cibo tipico di cui Hinata gli aveva ripetuto il nome almeno quattro volte, ma Kageyama non era riuscito a memorizzarlo. Non c’era un momento di silenzio tra di loro, sembrava quasi che entrambi avessero tenuto in serbo cose da raccontarsi per quando finalmente si sarebbero rivisti. Kageyama gli raccontò dei suoi compagni di squadra, di come funzionasse l’allenamento in una squadra di professionisti, Hinata di come avesse fatto all’inizio ad ambientarsi e a trovare qualcuno che volesse giocare con lui, gli raccontò del suo coinquilino e di come avesse imparato il portoghese leggendo manga.
Quando arrivarono alla spiaggia, Hinata salutò alcune persone che conosceva, indicò a Kageyama i campi in cui si allenava di solito e, quando si fermarono a guardare una partita di beach volley in corso, spiegò a Kageyama le regole e le differenze che c’erano con la pallavolo.
Kageyama avrebbe voluto seguire la spiegazione, ma continuava a fissarsi sul modo in cui il viso di Hinata si illuminava mentre parlava, sui gesti che le sue mani facevano per spiegargli le azioni, sul modo in cui la sua espressione si corrucciava quando non riusciva a trovare la parola che voleva in giapponese e provava a fargliela capire in portoghese.
Alla fine della partita si sdraiarono sulla spiaggia, uno di fianco all’altro. Kageyama si voltò alla sua sinistra e vide Hinata sdraiato al sole, con gli occhi chiusi, l’espressione rilassata e le lentiggini rese molto più evidenti dalla frequente esposizione al sole.
C’era qualcosa di familiare in tutto quello.
Kageyama sentì le palpebre farsi pesanti e gli occhi chiudersi.
“Kageyama?”
Kageyama si sentì scuotere per la spalla e aprì malvolentieri gli occhi. Hinata era sopra di lui, il suo viso era vicino. Troppo vicino.
“Uhm?”, disse riscuotendosi di colpo.
“Non puoi dormire al sole, ti beccherai un’insolazione”
Kageyama annuì e si mise seduto. Hinata si alzò in piedi e gli porse una mano per aiutarlo ad alzarsi.
“Ti accompagno in albergo, sei distrutto”.
“Sto bene”, disse cominciando a seguire Hinata in quella che credeva fosse la direzione dell’albergo.
“Ti sei fatto ventidue ore di aereo e mezza giornata in giro per la città!”
“Non sono stanco”, gli rispose sbadigliando.
Hinata scoppiò a ridere e continuò a fare strada.
Quando arrivarono all’albergo Kageyama scoprì di non volerlo salutare, quasi temesse di vederlo di nuovo sparire.
“Io domani lavoro”, cominciò Hinata. “Però possiamo cenare insieme. Comunque se ti perdi puoi chiamarmi”
Kageyama avrebbe voluto ribattere che lui non si perdeva mai, giusto per partito preso, ma era effettivamente troppo stanco per farlo. Erano oltre ventiquattr’ore che non si faceva una dormita decente. Si limitò ad annuire e a salire in camera.
Steso a letto prese il telefono e riguardò il selfie che si erano scattati quel giorno davanti al Cristo Re. Lui non sorrideva nella foto, ma Hinata aveva il suo solito sorriso luminoso e le rughe intorno agli occhi quasi chiusi.
Kageyama si addormentò con quell’immagine ancora impressa negli occhi.

Non ne parlano mai, hanno accettato quel nuovo sviluppo come hanno accettato qualunque altra cosa del loro rapporto. Si lasciano trascinare dalla situazione, dall’attrazione che non riescono a controllare. Passano insieme ogni momento che possono, i loro baci diventano sempre più affamati, le dita inizialmente timide nell’esplorarsi sempre più intraprendenti, non gli basta più sentirsi attraverso i vestiti, che cominciano ad essere di troppo. Consumano insieme tutte le loro prime volte, cominciano a trovare sempre più scuse per passare la notte insieme.
Kageyama fa qualche ricerca, scopre che è una cosa che può succedere in adolescenza, con gli ormoni sballati. Accetta quella verità, smette di cercare di dare un nome a qualunque cosa stia succedendo tra di loro e si consola al pensiero che un giorno finirà, che non vorrà passare il resto della sua vita a far scorrere le mani sui fianchi di Hinata.


Il resto della settimana passò in quel modo. Durante il giorno Kageyama si allenava, nuotava e girava per la città, la sera usciva con Hinata, che ogni sera lo portava in un posto diverso che “doveva assolutamente vedere”, che fosse un ristorante, un bar o una spiaggetta quasi nascosta che si poteva raggiungere solo scendendo da una parete di roccia.
L’ultima sera Hinata aveva deciso che Kageyama non poteva lasciare il Brasile senza aver visto almeno una volta i balli tipici. Lo portò in un locale con musica dal vivo e cocktail colorati. Si sedettero al bancone e ordinarono qualcosa da bere.
L’atmosfera era rumorosa e caotica, era impossibile parlare, ma nel complesso Kageyama la stava trovando piacevole. Hinata accanto a lui guardava i ballerini, muoveva la testa a ritmo e si agitava sulla sedia.
Hinata venne invitato a ballare da un ragazzo con occhi scuri e i capelli rasati. Guardò dubbioso Kageyama, che gli fece un cenno per dirgli che non era un problema.
Hinata si unì alle altre persone sulla pista da ballo e Kageyama non riusciva a smettere di fissarlo, cercando di ignorare il fastidio che provava nel vederlo ballare con un ragazzo qualsiasi. La canottiera che indossava lasciava ben visibili i muscoli sviluppati delle braccia, i movimenti del suo corpo erano fluidi, una mano di quel ragazzo andò a posarsi su un fianco di Hinata e lui aveva dovuto sopprimere l’istinto di andare lì e staccargliela con la forza.
Cercò di riscuotersi. Non era un più un ragazzino.
Kageyama ricordò l’ultima volta che aveva visto quel corpo muoversi sotto di lui, nella penombra della sua camera da letto di Tokyo, l’ultima notte prima della partenza di Hinata per il Brasile. Kageyama aveva provato a tirarsi indietro, ad ignorare il suo corpo che lo voleva disperatamente. Gli aveva detto che tutto quello che era successo era stata una cosa adolescenziale, che doveva finire, che doveva essere già finita, ma Hinata gli aveva sussurrato che poteva essere adolescente ancora per una notte, per l’ultima volta, e le sue resistenze erano crollate.
Aveva passato la notte sveglio, ad osservare la schiena nuda di Hinata che si muoveva al ritmo rilassato del suo respiro mentre dormiva a pancia sotto tra le sue lenzuola, aveva tracciato centinaia di linee per unire i nei sulla sua spalla, cercando di memorizzare la loro posizione, convinto che non li avrebbe rivisti mai più.
“Si chiama carioca”
Kageyama si riscosse di colpo e voltò la testa di scatto. Santana era accanto a lui, con un coktail in mano e il sorriso gentile.
“Cosa?”
“Il ballo. Si chiama carioca. Sembrava ti interessasse”
Kageyama annuì, sperando che la penombra del locale nascondesse il rossore del suo viso.
“Che ci fai qui?”, gli chiese per cambiare discorso.
“Ci lavora la mia ragazza”, indicò una ragazza bionda che stava servendo dei clienti all’altro capo del bancone.
Santana si sedette accanto a lui, sullo sgabello lasciato vuoto da Hinata, e si mise a guardare le persone che ballavano.
“Ho sentito molto parlare di te”, gli disse dopo un po’ di silenzio.
“Uhm?”
“Hinata”, spiegò Santana. “Parla sempre molto di te”.
Kageyama avrebbe voluto chiedergli spiegazioni, ma Hinata scelse quel momento per raggiungerli.
“Vogliamo andare?”, chiese a Kageyama.
Kageyama annuì. Salutarono Santana e uscirono in strada. Il venticello serale era piacevole sulla pelle dopo il caldo del locale. Hinata recuperò la sua bicicletta e cominciarono a camminare per le strade di Rio.
“A che ora hai l’aereo domani?”, gli chiese Hinata.
“La sera”
“Possiamo pranzare insieme”
“Certo. Voglio di nuovo quelle cose fritte”
Hinata rise. “Si chiamano pastel”
“Quelli”
Arrivarono al punto in cui le loro strade si sarebbero separate, Hinata verso casa e Kageyama verso la sua camera d’albergo.
A Kageyama sembrò una scena già vista, ma non aveva intenzione di fare lo stesso errore.
Allungò una mano, prese il polso di Hinata e lo fece voltare verso di lui, la sua bicicletta cadde a terra.
I loro visi erano vicini. Hinata alzò lo sguardo verso di lui, i suoi occhi pieni di incertezza erano luminosi nel buio della strada.
Kageyama appoggiò la fronte alla sua. Si sentì improvvisamente tornare sedicenne, quando avere Hinata così vicino gli faceva sentire le farfalle nello stomaco anche dopo mesi, ma nessuna mai l’aveva fatto sentire così: erano state cose di pochi mesi, cominciate e finite senza troppo trambusto. Aveva attribuito la cosa al fatto di essere uscito dall’adolescenza, ma non era tutto lì.
La persona giusta lui l’aveva già trovata e aveva scelto di non vedere.
Kageyama fece l’ultimo passo e poggiò le labbra sulle sue.
“Non siamo più adolescenti”, gli disse Hinata quando si staccarono.
“Lo so”
Hinata sorrise. “Mi chiedevo quanto ci avresti messo”






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