Mar. 18th, 2020

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Titolo: Nothing changed at all.
Fandom: Haikyuu
Missione: M1 - The observer
Parole: 333
Rating: safe

Davanti a quell'ultima giocata Kageyama non può fare nulla, se non guardare la palla rimbalzare sul parquet e schizzare lontana. Hanno perso il primo set, ma non gli interessa quanto dovrebbe. E' troppo occupato ad osservare la creatura che si ritrova davanti, la persona che ha appena fatto quella giocata e che adesso esulta con il resto della sua squadra per aver conquistato il primo set.
Quando l'ha conosciuto Hinata era grezzo, era un pezzo di carbone in cui lui, nonostante tutto, aveva scorto qualcosa, aveva visto qualcosa che lo aveva attirato nella sua orbita - e da quell'orbita non era mai più riuscito ad uscire. Quello che si trova adesso davanti, però, è un diamante. Sottoposto alla pressione, sottoposto alla fatica e alla sofferenza. E' partito due anni prima, quando appena cominciava a sgrezzarsi e Kageyama aveva avuto paura. Aveva avuto paura di perdere quella competizione, quella rivalità, che lo aveva spinto a dare sempre il meglio, ma adesso guarda dall'altra parte del campo, osserva la scena che si para davanti ai suoi occhi dall'altra parte della rete e sorride.
Sorride perchè Hinata, ancora una volta, ha superato le sue aspettative, perchè non ha sprecato il suo tempo in Brasile; sorride perchè si ritrova ancora davanti l'avversario temibile che Hinata è sempre stato per lui. Sorride perchè, ancora una volta, Hinata non l'ha deluso. E Kageyama sa che cosa HInata si aspetta da lui. Adesso è il suo turno di essere all'altezza delle aspettative, all'altezza di quello scontro che si sono promessi il giorno in cui si sono conosciuti.
E' sempre stato Hinata quello che ne ha parlato di più, ma questo non significa che Kageyama non abbia custodito quel pensiero dentro di sè, che non l'abbia alimentato. E adesso che il giorno è arrivato è felice di aver dato il meglio di sè per migliorarsi, perchè anche a mezzo mondo di distanza HInata è sempre stato una presenza costante per lui.
Kageyama sorride. Sta per cominciare il secondo set. E' pronto.
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Titolo: Cheiro no Cangote
Fandom: Haikyuu
Missione: M2 - Cheiro no Cangote (Portoghese Brasiliano)
Parole: 555
Rating: safe

In attesa, Atsumu camminava nervosamente avanti e indietro sul ciglio della strada. Non gli bastava aver perso la partita, il pullman che avrebbe dovuto riportarli a casa aveva anche deciso di rompersi. Erano bloccati, aspettando un altro pullman che li andasse a prendere. Bokuto sembrava starsi per addormentare sul guardrail, mentre Sakusa era terrorizzato alla sola idea di toccare qualcosa con la pelle nuda. Atsumu non aveva la forza per gestirli in quel momento. Voleva solo tornare a casa, mettersi a letto e chiudere quella giornata.
Inviò rapidamente un messaggio a Hinata, che lo aspettava a casa, avvertendolo che avrebbe fatto tardi e di non aspettarlo sveglio. Hinata rispose poco dopo inviandogli un selfie: si era messo il pigiama e si era già infilato sotto le coperte. Atsumu sorrise a vederlo. Avrebbe voluto chiedergli come stesse, se la febbre gli fosse passata, ma non voleva rischiare di svegliarlo nel caso l'altro si fosse già addormentato. Sapeva che Hinata aveva la tendenza ad addormentarsi di colpo non appena metteva la testa sul cuscino.
Finalmente arrivò il nuovo pullman, che li recuperò da lì e li portò fino alla sede della squadra. Da lì Atsumu prese la macchina e tornò a casa. Le luci nell'appartamento erano spente. Attento a non far rumore si aggirò nell'appartamento e si infilò nella camera da letto.
Hinata dormiva a pancia in su, aveva occupato quasi interamente il letto. Atsumu sorrise, si cambiò e si infilò nel letto attento a non disturbarlo. Nel sonno Hinata gli fece spazio, ma si avvicinò a lui. Atsumu lo strinse, con il battito del cuore accelerato. Stavano insieme ormai da mesi, erano anche andati a convivere - una decisione piuttosto affrettata secondo il punto di vista di alcuni, ma erano entrambi abbastanza impulsivi da prendere insieme una decisione di quel tipo - eppure in certi momenti si sentiva ancora come un ragazzino alla prima cotta quando si trattava di Hinata. Atsumu lo strinse e infilò la testa nell'incavo del suo collo, gli sfiorò la pelle con la punta del naso, inspirando l'odore del bagnoschiuma al tè verde che condividevano. La pelle di Hinata, dopo oltre una settimana, era finalmente fresca al tatto e Atsumu tirò un sospiro di sollievo interiore. Con la punta del naso risalì fino all'attaccatura dei capelli, ancora un po' umidi dopo la doccia che Hinata si era fatto. Atsumu si ripromise di rimproverarlo la mattina dopo: era appena guarito dall'influenza, doveva stare attento. E poi Atsumu non voleva più giocare senza di lui. Non gli importava neanche del risultato della partita, non gli interessava il fato di aver perso. Era più che altro come se gli mancasse un arto, era come tornare alle prime partite che aveva giocato senza Osamu, quando si guardava intorno sul campo completamente perso, sentendo la mancanza di qualcosa e non sapendo neanche identificare bene che cosa stesse cercando. Non riusciva a credere che ci fosse stato un momento della sua vita in cui aveva giocato senza Hinata al suo fianco.
Almeno, si consolò, aveva fatto in modo di fare quel passo terrificante mesi prima, aveva trovato il coraggio di chiedere a Hinata di uscire, ricordava ancora la scarica elettrica che aveva sentito quando gli aveva detto di sì. E finchè, tornando a casa la sera, avesse trovato lì Hinata pronto ad accoglierlo, sapeva che avrebbe sempre vinto.
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Titolo: never really over

Fandom: bnha

Missione: M2 -  Kintsukuroi (Giapponese):  lett. "Riparare con l'oro" l'arte giapponese di aggiustare porcellana rotta con l'oro o l'argento in modo da capire che il rompersi e l'aggiustarsi sono parte della storia di un oggetto e che l'imperfezione di quest'ultimo lo rende ancora più bello.

Parole: 7777

Rating: safe


"Idiota", borbottò Katsuki tra sè. "Un completo e totale idiota".


- Oi, nerd. Vedi di farti sentire, digitò rapidamente sul telefono.


Chiamate senza risposta: Izuku Midoriya (x3)


- Rispondi al cazzo di telefono.


- Devi farmi venire la lì?


- Perchè cazzo non ti svegli?


- Ti prego, Izuku.


Il telefono di Katsuki squillò in piena notte. Scattò seduto sul letto e, senza neanche guardare chi lo stesse chiamando, rispose al telefono.

"Dove?", chiese immediatamente.

"Dove cosa?"

Katsuki sentì il suo cuore saltare un battito al suono di quella voce. Si curvò su sè stesso, appoggiò i gomiti alle ginocchia e nascose il viso nella mano libera.

"Izuku", disse in un sussurro, con la voce che gli tremava.

"Ciao Katsuki", disse con voce calda. "So che è notte lì, ma ho trovato i tuoi messaggi e... scrivere è un po' complicato al momento", Izuku si lasciò scappare una risatina nervosa. "Ma mi hanno dato un auricolare, così posso telefon-"

"Come cazzo hai fatto a finire sotto un palazzo?"

Izuku si bloccò a metà frase con un verso imbarazzato. Katsuki riusciva ad immaginarselo fin troppo bene mentre le sue guance si tingevano di rosso e si passava una mano sulla nuca.

"La notizia è arrivata, eh?"

"La notizia di qualunque cosa fai arriva fino a qui"

"C'erano dei civili! Non potevo lasciarli lì dopo l'esplosione"

"Ci hai quasi rimesso la vita!"

"Ho avuto solo qualche osso rotto e un trauma cranico"

"E un mese di coma"

"E' stato un coma farmacologico, per dare tempo al mio corpo di guarire"

Katsuki si buttò nuovamente sdraiato sul letto e si coprì gli occhi con un braccio.

"Mi hai fatto preoccupare, idiota", disse con voce debole.

"Lo so, mi dispiace", gli rispose Izuku seriamente.

"Mi sembra il minimo"

"Dovresti dormire"

Katsuki si passò una mano sugli occhi. "Sì, dovrei"

Nessuno dei due attaccò.

La tensione che aveva impedito a Katsuki di dormire tranquillamente oltre un mese aveva finalmente lasciato il suo corpo al suono della voce di Izuku, le palpebre si stavano facendo nuovamente pesanti e il respiro di Izuku all'altro capo del telefono gli dava l'illusione di averlo ancora lì accanto a lui.

"Dovresti dormire", ripetè Izuku.

Katsuki annuì, senza considerare che l'altro non potesse vederlo. "Ci sentiamo domani?", chiese in un riflesso automatico che non ricordava più di avere.

Izuku rimase in silenzio per qualche momento, anche il suo respiro sembrava essersi fermato. "Sì", disse poi debolmente. "Buonanotte, Katsuki"

Katsuki ebbe quasi la sensazione di una mano che gli passava tra i capelli e di un bacio leggero lasciato sulla sua fronte. Si addormentò all'istante.


Katsuki attraverso le porte a vetro della sua agenzia e tirò su sulla testa gli occhiali da sole. Tutti i suoi colleghi e sottoposti erano seduti sui divanetti dell'atrio e tenevano gli occhi fissi sullo schermo del televisore. Il primo ad accorgersi del suo arrivo fu Kirishima, che gli fece cenno di raggiungerli.

"Stanno parlando di Midoriya", gli disse. "Si è svegliato finalmente"

Katsuki borbottò qualcosa in risposta e si avvicinò al televisore, dove stava parlando un'inviata giapponese.

- ...risvegliatosi finalmente dopo essere stato messo in coma farmacologico per oltre un mese. Deku si era gettato in un palazzo per salvare gli ultimi civili rimasti bloccati all'interno al seguito di un'esplosione. I civili sono stati tutti i tratti in salvo, ma l'eroe è rimasto schiacciato dalle macerie -

Alle spalle dell'inviata, davanti all'ingresso del New York Presbiterian Hospital, un cordone giallo e alcuni agenti di sicurezza tengono distanti giornalisti, curiosi e fan con i gadget di Deku.

- Come abbiamo detto, Deku si è svegliato alcune ore fa -, continuò la giornalista, - intorno a mezzogiorno ora locale. Per il momento non ci giungono altre notizie da parte dello staff medico, ma sembra che l'eroe stia bene e sia ormai ufficialmente fuori pericolo -.

Tutti, davanti al televisore, esultarono a quella notizia. La preoccupazione per l'eroe Numero Uno al mondo aveva tenuto tutti con il fiato sospeso in quell'ultimo mese, era visibile dalla tensione della gente per le strade. Bakugou fece un rapido calcolo: considerando il fuso orario, Deku lo aveva chiamato più o meno alla stessa ora in cui si era svegliato. Una delle prime cose che aveva fatto dopo essersi svegliato dopo un mese di coma era stata chiamare lui. Bakugou non voleva dare alla cosa più peso di quanto ne avesse. Di riflesso, tirò fuori il telefono dalla tasca posteriore dei jeans per controllare se ci fossero notifiche, ma oltre ad alcuni messaggi su un paio di gruppi non c'era nulla di interessante.

"Bene", disse improvvisamente ad alta voce. Tutti i presenti si voltarono nella sua direzione. "Ora tutti a lavoro!"

"Sì!", risposero tutti in coro, disperdendosi poi ognuno verso la propria postazione. Solo Kirishima rimase indietro.

"Tutto bene?", gli chiese alzando il sopracciglio con la cicatrice.

"Perchè non dovrei?"

"So che non ti piace parlare di lui, ma cacciare tutti via in questo modo-"

"Tu che ci fai qui? Non hai una agenzia da dirigere?", lo interruppe Bakugou.

"Oh già!", Kirishima si sbattè una mano sulla fronte. "Mi veniva di strada e ho pensato di portarti i rapporti della mia agenzia sul caso del piromane, pensavo potessi confrontarli con i tuoi per cercare di trovare qualcosa che ci è sfuggito"

Bakuogu annuì. "Andiamo nel mio studio".

Kirishima afferrò lo zaino nero che aveva abbandonato accanto al divano di pelle e lo seguì verso l'ascensore.

"Mi ha chiamato stanotte", disse improvvisamente Katsuki.

"Chi?", chiese Kirishima confuso.

"Deku"

Kirishima sembrò bloccarsi. Katsuki teneva lo sguardo fisso davanti a sè, sulle porte d'acciaio dell'ascensore.

"Mi ha chiamato non appena si è svegliato"

"Oh, e come stai?"

L'ascensore trillò, annunciandogli che erano arrivati al piano e Katsuki ne approfittò per evitare di approfondire la questione. Uscì sul corridoio e camminò verso il suo studio, Kirishima lo seguì. Bakugou si sedette sulla scrivania e tirò fuori un tablet da un cassetto, mentre Kirishima prese posto su una delle sedie di pelle. La luce entrava dalle finestre che occupavano interamente la parete destra della stanza.

"Allora", cominciò Bakugou. "Secondo il mio rapporto il primo incendio attribuibile al piromane risale circa a sei mesi fa, è stato in un centro commerciale intorno alle quattro del pomeriggio e non ci sono state vittime".

"Esatto", concordò Kirishima consultando i suoi fascicoli cartacei. "Dopo quello ce ne sono stati altri cinque, circa uno al mese. Sono sempre di pomeriggio e sempre i luoghi pubblici, soprattutto luoghi in cui può trovare una grande concentrazione di giovani. Nel complesso fino adesso ci sono state 6 vittime"

Bakugou fece schioccare la lingua sul palato irritato. "Cosa sai dalla polizia? Ci sono state novità?"

"Non riescono a trovare nuove piste, non hanno idea di che cosa accomuni questi luoghi o quali possano essere le motivazioni oltre a far danni"

Bakugou corrucciò la fronte pensieroso, continuando a scorrere i rapporti.

"Temo che l'unica cosa da fare sia aspettare il prossimo attacco"

"Non mi piace", gli rispose Kirishima.

"Neanche a me, ma non vedo altra scelta"

"Comunque vado in agenzia, che sono già in ritardo", disse Kirishima alzandosi in piedi. "Ti lascio qui i nostri fascicoli, dagli una letta, vedi se trovi qualcosa che manca ai tuoi e chiamami se hai novità"

Bakugou annuì, "Ti giro i nostri intanto", disse digitando qualcosa sullo schermo del tablet.

Appoggiò il plico di fascicoli sulla scrivania di Bakugou.

"Non capisco perchè ti ostini con il cartaceo", commentò Katsuki.

Kirishima sbuffò, era una conversazione che avevano fatto sin troppe volte dai tempi del liceo. Salutò Bakugou, che ricambiò con un cenno secco della mano, e uscì dalla stanza, lasciando l'amico al suo lavoro.

Bakugou si sedette finalmente alla scrivania e cominciò a sfogliare i fascicoli. Erano quasi identici a quelli che lui stesso aveva compilato. Frustrato li lanciò in un angolo della scrivania. Lanciò un'occhiata alle pratiche che avrebbe dovuto sbrigare quella mattina, ordinatamente accatastate in un angolo della sua scrivania. Nessuno gli aveva mai detto che con la posizione di eroe Numero Uno in Giappone sarebbero arrivate anche tutte quelle scartoffie. Le guardò intensamente, sperando che miracolosamente decidessero di compilarsi da sole, ma quando nulla si mosse si rassegnò ad avvicinarle e cominciare a lavorarci.

Tirò fuori il telefono dalla tasca e lo appoggiò sulla scrivania accanto a lui mentre lavorava. Lo trovò di nuovo privo di notifiche e la cosa lo infastidì. Non aveva senso, non stava aspettando nulla. Gli vennero in mente solamente in quel momento delle immagini offuscate della nottata, quando sul punto di addormentarsi aveva chiesto a Deku di risentirsi quel giorno. Si diede dell'idiota ed ebbe la tentazione di sbattere la testa contro la scrivania. Allontanò il telefono e cercò di mettersi al lavoro per non pensare alle conseguenze delle sue azioni.

Circa un ora dopo il telefono vibrò contro il legno della scrivania e Bakugou saltò sulla sedia, scattò e lo afferrò rapidamente, ma era solo un messaggio di Mina nella chat di gruppo.

Bakugou si maledisse per la reazione istintiva, ma approfittò della distrazione per fare una pausa. Aprì i suoi canali social e diede una rapida occhiata a un paio di notifiche e passò un po' in rassegna le sue bacheche. Niente di emozionante. Senza pensarci troppo digitò il nome di Deku sulla barra di ricerca di Instagram e cominciò a scorrere le sue foto. Non lo aveva mai seguito, quindi non aveva la minima idea di che cosa pubblicasse.

Nella foto più recente era seduto sul letto di un ospedale con una fasciatura sulla testa, un braccio ingessato e appeso al collo. Aveva il viso stanco e scavato, ma sorrideva. Dalla finestra che occupava tutta la parete alla sua destra si poteva vedere il profilo di New York.

Nella lunga caption in inglese ringraziava tutti i fan per il supporto, i pensieri che gli avevano rivolto e i regali che gli avevano inviato. Diceva che stava bene e che adesso era il momento di concentrarsi sul recupero per tornare il prima possibile da loro.

Katsuki si ritrovò a fissare la foto più di quanto avrebbe dovuto. Deku portava i capelli più corti di quanto li portasse ai tempi del liceo, gli occhi erano più scoperti e il viso era rimasto tondo, ma la linea della mandibola si era fatta più decisa.

Non sembrava la stessa persona che nove anni prima aveva visto per l'ultima volta con le valigie ai piedi sulla porta della casa che condividevano, quando gli aveva detto un - Ciao, Kacchan - con voce triste ma occhi asciutti.

Non aveva pianto quella volta Deku, ma l'aveva fatto Katsuki non appena lui si era chiuso la porta alle sue spalle.

Bakugou si costrinse a deviare da quel treno di pensieri e si mise a scorrere le altre foto. Molte erano foto ufficiali dei suoi combattimenti, alcune erano semplicemente foto della sua vita quotidiana: la vista di New York di notte dal suo appartamento, qualche scorcio nascosto che aveva trovato nel corso delle sue ronde, qualche dolce particolarmente bello o l'ultimo gadget che aveva comprato e aggiunto alla sua collezione.

Il più grande eroe al mondo era ancora il più grande fanboy che avesse mai conosciuto, Bakugou si ritrovò a ridacchiare per quello mentre scorreva la sua bacheca.

Almeno non pubblicava i suoi selfie. Neanche la foto in ospedale era stata scattata da lui, in effetti. Bakugou si chiese se avesse qualcuno lì con lui in quel momento, ma scoprì di non volerci pensare troppo.

Scorse nuovamente verso l'alto, fino ad arrivare nuovamente in cima al profilo di Deku. Il suo dito aleggiò per un po' sopra il pulsante segui, ma alla fine cambiò idea.

Era quasi ora della sua ronda. Doveva andare a cambiarsi.


Bakugou rientrò in casa e si gettò direttamente sotto la doccia. Era stata una giornata estenuante. Aveva dovuto inseguire per mezza città un tizio in grado di trasformarsi in nebbia e nel pomeriggio aveva avuto due interviste, che per qualche motivo lo stancavano più del lavoro da hero vero e proprio. Capiva il bisogno della gente di vederlo e di sentirsi rassicurata, ma non era proprio portato quel quelle cose. Parlare con la gente non era mai stato il suo forte e, nonostante fosse migliorato negli anni, era ancora un'area in cui era piuttosto carente.

Quando uscì dalla doccia trovò un messaggio sul telefono da parte di Deku. Non si erano più sentiti dopo quella telefonata notturna tre giorni prima e Bakugou era convinto che non avesse intenzione di farsi sentire più in assoluto.


- Ho visto il tuo arresto. Bella idea quella di usare il sale per togliergli l'umidità!


- Io ho sempre ottime idee. Non hai niente di meglio da fare che guardare la tv?


- L'ho visto su internet. E no, non ho nulla da fare e mi annoio


Bakugou ridacchiò. Non faceva fatica a crederci. Era sempre stato abituato a fare qualcosa, anche quando non aveva un quirk, Bakugou non riusciva a ricordare di aver mai visto Izuku fermo a riposare.


- La prossima volta ci pensi due volte prima di farti schiacciare da un palazzo


Bakugou si asciugò e si mise a letto. Già da prima sapeva che non sarebbe riuscito a prendere sonno ad un orario decente per quanto era stanco, ma adesso che ci si era messo anche Izuku era sicuro che non avrebbe chiuso occhio quella notte.


- Non sei per niente gentile


- Te lo meriti


- Per te me lo merito sempre


- Se fai l'idiota sì


- Ehi!


Bakugou poteva quasi sentirla la voce improvvisamente più acuta, scherzosamente offesa, di Deku.


- Dovresti riposare, gli scrisse


- E tu dovresti dormire


- Vero


- Buonanotte


- Buonanotte Izuku



Bakugou era alla scrivania quando ricevette la chiamata di Kirishima. Kirishima non lo chiamava mai, di solito mandava messaggi o messaggi vocali. Si allungò sulla scrivania prese di scatto il telefono.

"Che succede?", chiese.

"C'è stato un nuovo attacco del piromane"

Il piromane aveva sempre colpito nella zona della sua agenzia o nella zona di quella di Kirishima, quella volta era toccato alla sua zona evidentemente.

"Cazzo", Bakugou si mise una mano sugli occhi e mandò indietro la testa contro lo schienale della sedia. "Vittime?", chiese. Era terrorizzato di sapere la riposta, ma doveva fare il suo lavoro.

- Sei -. Kirishima rimase in silenzio per qualche momento. - Tre bambini -.

Bakugou non riuscì a trattenere un gesto di stizza, "Cazzo", ripetè con più aggressività.

"Non hanno trovato nessuna nuova pista", continuò Kirishima. "Continuiamo a rileggere le stesse cose e non riusciamo a far nulla per fermarlo", disse. La frustrazione era evidente e, dall'altro capo del telefono, Bakugou poteva sentire quanto l'amico fosse vicino alle lacrime.

Anche Bakugou non era messo molto meglio, la frustrazione lo rodeva dentro, rendendolo agitato e facendogli pizzicare gli occhi.

"Prenderemo quello stronzo", disse cercando di sembrare più sicuro di quanto non si sentisse.

"Sì", concordò Kirishima tirando su con il naso.

Quella sera tornò a casa sentendosi sconfitto e in colpa. Se solo non avesse aspettato, se solo non avesse detto a Kirishima che dovevano aspettare un nuovo attacco, se solo si fosse mosso prima sarebbero stati tutti ancora vivi.

Rimase sotto la doccia per quelle che sembravano ore. Faceva quel lavoro da abbastanza anni da aver imparato che non si possono salvare tutti, ma non riusciva a lavarsi di dosso la sensazione che quella volta fosse colpa sua, che avrebbe potuto fare di più. Uscì dalla doccia e si sedette sul divano tenendo ancora l'asciugamano a coprirgli la testa, quasi che così facendo potesse nascondersi ancora per un po' dal mondo.

Si rigirò il telefono tra le mani un paio di volte, indeciso su cosa fare, se valesse la pena fare quello che aveva in mente o meno. Il telefono gli vibrò tra le mani. Era un messaggio di Izuku.


- Mi daresti la ricetta del tuo curry? Quello che si trova qui è molto diverso da quello giapponese


Izuku aveva anche messo una faccina triste alla fine del messaggio. Bakugou sospirò.


- Dovresti riposare, non fare esperimenti culinari


Bakugou si asciugò, indossò il pigiama e si mise sotto le coperte, lasciando la camera al buio.


- Non è un grosso esperimento, è solo un po' di curry


- Sappiamo tutti che rischi di mandare a fuoco la cucina per bollirti un uovo


- Stai bene. Katsuki?


Bakugou rimase spiazzato. Maledetto Deku e la sua capacità di leggerlo troppo bene. Katsuki fissò il messaggio per qualche attimo, decidendo quale fosse la cosa migliore da fare. Alla fine sospirò


- Un brutto caso, confessò.


Era facile essere onesti quando era stanco, protetto sotto le coperte del suo letto nel buio della sua camera da letto. Quella della casa che aveva preso dopo la partenza di Izuku per sfuggire a quella casa che avrebbe dovuto essere loro.


- Vuoi parlarmene?


- Non hai niente di meglio da fare?


- Abbiamo già stabilito che la risposta è no


Izuku non attese una ulteriore risposta, il telefono di Bakugou cominciò a squillare.

Bakugou rispose.

"Allora, che succede?", gli chiese subito Deku. La sua voce era leggermente agitata, come se volesse evitare i convenevoli per evitare l'imbarazzo che ne poteva derivare. Una parte di Bakugou gliene fu riconoscente. Sospirò e cominciò a raccontare.

"E ha cominciato così all'improvviso? Non ci sono stati incendi più piccoli prima?"

"Un paio di anni fa avevamo avuto dei problemi con un piromane. Incendiava luoghi di ritrovo, luoghi pubblici"

Il verso che fece Izuku dall'altro capo del telefono fece capire a Katsuki che anche lui aveva capito: chiunque fosse stava prendendo di mira i civili, ma dall’ondata precedente c’erano differenze sostanziali.

"Non ci furono vittime in quelle occasioni", continuò Bakugou. "Non sappiamo neanche se sia sempre lo stesso, non abbiamo tracce di nessun tipo. Ma il modo in cui agisce sarebbe sempre lo stesso, attacca nei momenti in cui è più probabile che ci siano ragazzi giovani, principalmente di pomeriggio e in luoghi frequentati da ragazzi. Sale da gioco, cinema, bar -

Katsuki sentì un verso da parte di Izuku, segno che stava continuando ad ascoltare la conversazione.

"Dopo circa sei mesi gli incendi si sono fermati, all'improvviso. Da che erano uno al mese a che sono scomparsi del tutto. In due anni ce ne siamo anche dimenticati, presi da altri casi. Ma un paio di mesi fa sono ricominciati", Bakugou disse frustrato. "Non sappiamo cosa fare", ammise.

“Mh…”, mormorò Midoriya. “Dovremmo cercare di capire perchè si è fermato, così potremmo avere qualche idea sul perchè abbia ricominciato. E anche perchè colpisca solamente in quei quartieri”

“Lo so anche io, nerd. Ma non sappiamo da dove cominciare”

“Ci possono essere tre motivi principali per cui qualcuno così regolare si sia fermato”,

“E questa da dove ti viene?”, lo interruppe Bakugou con un mezzo sorriso.

“Sto leggendo dei libri sui vecchi serial killer, di prima che si diffondessero i quirk. Alcune delle cose possono essere utili anche per i villain”, rispose con il tono scherzosamente offeso. “Comunque! Nel caso più semplice da individuare è stato arrestato e rilasciato di recente”

“Già provato”, argomentò Bakugou. “Non c'è nessuno che corrisponda pienamente con i tempi, e tra l'altro nessuno che abbia un quirk di fuoco o altre attinenze con il fuoco”

“Allora rimangono le altre due, ma sono più problematiche per voi . C'è la possibilità che si sia fermato perchè vi stavate avvicinando troppo…”

“... ma non avevamo nulla e lo sapeva. I giornalisti di merda non si sa come sapevano che non avevamo nulla e continuavano a ricordarlo ad ogni occasione possibile”

“E è improbabile che qualcuno di così regolare si fermi. Avreste avuto manifestazioni di altro tipo. Allora rimane…”

“...l'allontanamento per motivi personali”, concluse Bakugou, ragionando con lui.

“Ed è il più problematico. Potrebbe essere per motivi di famiglia, motivi di lavoro…”

“Abbiamo provato ad allargare le ricerche al resto del paese, per vedere se altrove si fossero verificati scie di incendi simile a quella nei due anni passati, ma non è saltato fuori nulla. Siamo bloccati e questo stronzo continua a colpire. Da quando è tornato gli incendi sono stati uno al mese. Si sta diffondendo il panico qui... “. Bakugou portò il braccio a coprirsi gli occhi. “Non so cosa fare”, confesso.

“Katsuki”, gli disse Izuku con voce improvvisamente dolce. “Sei un eroe fantastico. Troverai sicuramente il modo di fermarlo”

Aveva dimenticato di quanto sembrasse più vero quando lo diceva lui. la persona che lo aveva conosciuto nei suoi momenti peggiori era la stessa che aveva più fede in lui.

Izuku si mise a borbottare qualcosa a bassa voce. Bakugou non riusciva a distinguere le parole, ma era comunque confortante quel borbottio costante. Lo faceva sentire un po' meno solo.

Si chiese se All Might si fosse mai sentito solo, ad essere il numero uno per così tanto tempo. Bakugou aveva imparato che la vetta era un posto veramente difficile dove rimanere in equilibrio, doveva dimostrare una forza che in certi momenti non era sicuro di avere. Ma sdraiato lì, con Deku che borbottava nel suo orecchio, Bakugou si sentiva un po' meno solo.

“Ehi!”, disse improvvisamente Izuku.

Il tono fece saltare Bakugou. Si rese conto di essere stato sul punto di addormentarsi.

“Cosa?”, chiese con la voce impastata da sonno.

“E se non avesse un quirk di fuoco?”

“Uhm?”, Bakugou si tirò su sul letto, improvvisamente più sveglio.

“Che intendi?”

“Se il suo intento non fossero gli incendi ma lo spegnimento?”

“Abbiamo controllato anche i soccorritori, ce ne sono alcuni ricorrenti, ma sono risultati puliti”

“Potresti chiedere di controllare se uno dei volontari per quelle zone si è unito da circa sei mesi o poco prima che ricominciassero gli incendi, vedere se avesse già fatto il soccorritore nei quartieri degli incendi di due anni fa. E partire da lì per fare altri controlli. Potresti anche provare a vedere se abbia fatto richiesta per entrare in una scuola per hero e sia stato rifiutato, è probabile che trovi qualcosa”

“Non è una cattiva idea. Non so quanto siano andati a fondo sulle ricerche sui soccorritori. Posso chiamare la centrale domani mattina e chiedergli di incrociare i dati”

“Mi tieni aggiornato?”

Bakugou sbuffò, ma non c'era vero sentimento. “Come ti pare, nerd”

Izuku ridacchiò. “Buonanotte allora”

“'Notte”, brontolò.

Izuku rimase bloccato per un momento, sembrava incerto, come se volesse aggiungere qualcos’altro.

“Buonanotte”, ripetè alla fine e chiuse il telefono.

Bakugou chiuse il telefono, lo poggiò sul comodino e provò a dormire.



Il giorno dopo, non appena arrivò in agenzia, Bakugou telefonò alla polizia per chiedergli di fare quelle ricerche che aveva suggerito Izuku, poi tornò al proprio lavoro usuale. Era una giornata particolarmente tranquilla, non stava ricevendo chiamate e aveva poche scartoffie da smaltire. Prese il telefono e si trovò nuovamente a navigare sui canali social di Deku.

Aveva pubblicato una nuova foto rispetto a tre giorni prima. A quanto pare era stato dimesso ed era tornato a casa. Di casa sua si vedeva poco, aveva solamente messo una foto di alcuni dvd su un tavolino da caffè con accanto una tazza di qualche intruglio dei suoi "li aveva fatti assaggiare a Bakugou in più di un’occasione, ma erano sempre stati disgustosi.

Uscì per il suo giro di ronda. Alla fine del suo turno il suo amico poliziotto lo richiamò. A quanto pare avevano incrociato i dati e trovato qualcuno che rispondeva alla descrizione che gli aveva fatto.

Bakugou si cambiò, indossò i suoi abiti civili e si diresse verso la stazione di polizia per assistere all'interrogatorio.

Venne fatto accomodare in una sala, dai monitor poteva vedere ciò che stessero riprendendo le telecamere e sentire l'audio dell'interrogatorio.

Due poliziotti stavano interrogando una ragazza, aveva lunghi capelli biondi e un viso sottile. Sembrava piuttosto minuta.

Disse che aveva sempre voluto diventare un hero, era stata accettata alla Shiketsu, ma era stata costretta a lasciare per via del suo fisico troppo fragile che non le permetteva di sostenere i ritmi dell'allenamento fisico. Si era unita ai volontari per cercare di fare comunque qualcosa di buono, ma con il suo quirk d'acqua c'era poco che potesse fare. Lei voleva solo salvare le persone.

Quando i poliziotti le fecero notare che era lei stessa a metterle in pericolo li guardò con grandi occhi spalancati, come se non avesse capito cosa stessero dicendo.

Il suo amico poliziotto uscì da lì e venne da lui.

"Credo sia sincera, credo che veramente non sappia cosa abbia fatto. Chiamerò per farle fare una perizia psichiatrica o qualcosa del genere"

Bakugou annuì.

Per qualche motivo non riusciva a sentirsi per nulla soddisfatto di quell'arresto.

Prese le sue cose e se ne tornò a casa.

Fece un rapido calcolo del fuso orario, poi chiamò Izuku. Senza neanche nessun messaggio prima.

Izuku rispose al secondo squillo, quasi stesse aspettando la chiamata.

"Ehi!”, lo salutò allegro.

"L'abbiamo presa”, gli disse mesto.

"Non sembri contento”

Bakugou gli spiegò la situazione. Izuku era stranamente silenzioso dall'altro capo del telefono.

"Se veramente le cose stanno così, adesso potrà essere aiutata"

Bakugou annuì tra sè, ancora non molto convinto. Era una vittoria amara, di quelle che non sembravano vittorie.

"E non potrà più fare del male a nessuno”

"Sì”

"Siamo una bella squadra -, gli disse Deku.

"Siamo sempre stati una bella squadra, nerd”

Deku ride dall’altro lato del telefono.

"Deku io… "comincia Bakugou.

Deku si blocca improvvisamente: "Non farlo”

"Dovremo parlarne prima o poi”

"Lo so”

Bakugou rimane in silenzio per un po’. Si aggira nel suo appartamento fino a sedersi sul divano. “Che cosa è tutto questo?”, chiese, mettendosi una mano sul viso.

"Non lo so”, gli rispose Deku in un sussurro.

"Tu non puoi-”, la voce esce strozzata dalla sua gola. “Non puoi sparire per anni, ricomparire all’improvviso e chiamare e mandarmi messaggi. E riprenderti spazio nella mia vita”

"Lo so” ripete Deku. “Volevo solo… volevo solo parlare con te, sentirti. Mi sei mancato… e poi abbiamo continuato a sentirci e io non voglio smettere di parlare con te”

“Non sono sicuro che sia il caso di continuare”.

Nessuno si era sorpreso quanto loro quando avevano cominciato a uscire, nel corso dei primi mesi del loro terzo anno al liceo. La loro relazione era stata ricca di alti bassi, ma dopo il liceo avevano deciso di andare a vivere insieme. Credevano di aver risolto i loro problemi, ma a quanto pare non era così. Si amavano profondamente, ma non era stato abbastanza per superare i problemi che si portavano dietro da troppo tempo a quella parte.

Bakugou, soprattutto, non riusciva a superare quello che aveva fatto a Deku. Aveva giurato a sè stesso che da lì in avanti si sarebbe preso cura di lui, che non lo avrebbe più fatto star male, ma la cosa era finita per ritorcerglisi contro. Gli aveva messo talmente tanta pressione addosso che quella relazione era diventata una ulteriore fonte di stress, oltre al fatto che la sua carriera stesse cominciando a decollare, agli impegni di lavoro e allo stress che arrivava da quel frangente. Le sue manie di perfezionismo si erano infiltrate anche in quella relazione, che sarebbe dovuta essere il luogo dove poteva sfogarsi: Bakugou voleva essere perfetto e, per esserlo, per non far sapere a Deku che c'era qualcosa che non andava, aveva cominciato ad allontanarsi, aveva cominciato a buttarsi sul suo lavoro, senza trovare più in tempo per lui. Deku l'aveva guardato allontanarsi in silenzio e solo quando finalmente aveva parlato Bakugou si era reso conto di quanto male gli avesse fatto. Ancora una volta.

Lo aveva ferito di nuovo, quando aveva giurato di proteggerlo. Bakugou non era sicuro di potersi perdonare un'altra volta. Non era sicuro di essersi perdonato neanche la prima volta.

Tutto era crollato quando Deku aveva deciso di chiudere quella relazione. "Fa solo male ad entrambi", aveva detto. Non aveva avuto torto, ma Bakugou vide crollarsi tra le dita quel futuro che stavano costruendo insieme, nella casa che avevano abitato insieme nell'unico anno in cui la loro relazione aveva funzionato dopo il liceo. Appena due anni e sembravano molti di più. Poi Izuku aveva ricevuto quell'offerta da una agenzia americana e aveva deciso di partire.

Dalla sua partenza avevano smesso di sentirsi. Erano passati 8 anni.

I primi tempi fu dura per Bakugou. Non aveva idea di quanto l'assenza di Deku lo avrebbe destabilizzato. Era sempre stato l'unica costante della sua vita e adesso non c'era più, era dall'altra parte del mondo. Con il tempo aveva cominciato a stare meglio, ma quel buco a forma di Deku era sempre rimasto dentro di lui.

Era sempre stato convinto che lui e Deku fossero legati dal destino, che fossero veramente la persona giusta l'uno per l'altro, che avrebbe potuto smettere di cercare - che non avrebbe mai avuto bisogno di cercare in primis - ma i fatti lo avevano smentito e abituarsi a vivere senza di lui non era stato facile. Ma in qualche modo aveva fatto, in qualche modo era andato avanti.

E poco importava se tutti gli amanti che aveva scelto per sè in quei mesi fossero durati al massimo un anno. E importava ancora meno che tutti avessero grandi occhi verdi, ma mai della sfumatura giusta.

Bakugou tornò a lavoro il giorno dopo con l’umore sotto i piedi. Non aveva chiuso occhio quella notte. Si sentiva catapultato nuovamente a otto anni prima, a quei primi giorni senza Deku, in cui non riusciva neanche a ricordare chi fosse, in cui si sentiva totalmente estraniato da sè stesso e dalla realtà che lo circondava. Non riusciva a ricordare come l'avesse superata la prima volta, ma non credeva di essere forte abbastanza per poterlo fare una seconda volta.

Ricevette una chiamata in agenzia.

C'era stato un nuovo incendio. Bakugou sentì il mondo crollargli sulle spalle. Rimase immobile per un momento prima di riuscire a riprendersi abbastanza da intervenire. Si fiondò fuori dall'agenzia e usò il suo quirk per muoversi agilmente al di sopra del livello della strada e raggiungere il luogo dell'incendio. Si fiondò direttamente dentro la caffetteria, portò fuori quanti più civili potè. Non sapava neanche se ci fossero altri eroi ì a dargli supporto, non gli interessava. Era in uno stato di trans, portava avanti il suo lavoro come un automa, senza preoccuparsi delle conseguenze, senza preoccuparsi di nulla che non fosse quello. Senza preoccuparsi di sè stesso.

Salvò l'ultimo civile, poi il mondo intorno a lui si fece buio.


Quando riaprì gli occhi era abbastanza sicuro che quella intorno a lui fosse una stanza di ospedale. E che quello seduto accanto al suo letto fosse Izuku.

"Izuku?", riuscì solo a borbottare, mentre era ancora a metà nel mondo dei sogni.

"Buongiorno Katsuki", gli sorrise quello.

"Non mi piace"

"Cosa?"

"Non mi piace quando mi chiami Katsuki"

"E come dovrei chiamarti"

"Kacchan"

"D'accordo, Kacchan"

Bakugou mugugnò soddisfatto qualcosa di incomprensibile in risposta.

"Ci hai fatto preoccupare"

"Tu non sei veramente qui", disse Bakugou con la voce impastata e chiudendo di nuovo gli occhi.

"Avevo intenzione di tornare in Giappone comunque, ho solo anticipato un po' i tempi"

Bakugou provò a mettersi seduto sul letto, ma Izuku lo fermò mettendogli una mano sulla spalla. Era la prima volta che lo toccava da anni e Bakugou sentì la pelle lasciata scoperta dalla casacca ospedaliera scottarsi a quel contatto.

"Devi riposare"

A Bakugou venne da ridere. Quanto era passato dall'ultima volta che era stato lui a dirlo a Izuku?

"Non sono io che sono finito sotto un palazzo", disse con un mezzo sorriso sarcastico.

"Sei quello che si è beccato un'intossicazione da fumo però"

Bakugou a quelle parole fu improvvisamente sveglio, scattò seduto sul letto e il movimento venne accompagnato da un attacco di tosse, che lo lasciò piegato in due per il dolore agli addominali. Izuku si avvicinò di scatto a lui, e gli tenne la schiena. Bakugou, incuravato in avanti, portò una mano alla sua spalla per reggersi. Gli girava la testa e aveva paura di cadere all'indietro.

Da così vicino, alzò lo sguardò e potè studiare il viso di Deku. Portava ancora i segni dell'incidente, era ancora smagrito e con le ombre scure intorno agli occhi, ma era sempre lui. A rivederselo davanti era come tornare a respirare.

Deku lo aiutò a sdriarsi di nuovo.

"Kirishima ci sta lavorando, appena avrà qualcosa verrà ad aggiornarti", gli disse.

"E tu stai qui a non fare nulla?", lo prese in giro Bakugou.

"Io teoricamente sono ancora fuori servizio. E sono anche qui in incognito per il momento. Il mio trasferimento sarà ufficiale solo quando potrà tornare a lavorare"

Rimasero in silenzio per qualche momento. A Bakugou venne da ridere. La prima confessione gliela aveva fatta in circostanze molto simili, era Deku quello in un letto di ospedale dopo un attacco della League of Villains. Era uno strano deja vu da avere, la tensione tra di loro era la stessa di quei giorni. Non sapevano bene come muoversi l'uno accanto all'altro e Bakugou poteva sentire quanto tutto quello fosse sbagliato. Erano cresicuti insieme, si conoscevano meglio di chiunque altro al mondo, non doveva essere così tra di loro. Bakugou avrebbe fatto di tutto per tornare indietro e confessare tutto, per non lasciarlo andare via.

La voce di Deku interruppe i suoi pensieri.

"Mi dispiace", disse. "Forse non sarei dovuto venire"

Bakugou fece vagare lo sguardo fuori dalla finestra. Era una giornata assolata, doveva essere pieno pomeriggio. Si rese conto che ce l'aveva, la seconda chance.

"Mi ero ripromesso di non farti del male", cominciò, continuando a tenere lo sguardo lontano da Deku. Non sarebbe riuscito a finire con quegli occhi verdi che lo fissavano. "Non dopo avertene fatto così tanto. Non mi sono mai perdonato per quello che ti ho detto e per rimediare volevo essere perfetto. E se non lo ero l'importante era non fartelo sapere, così non te ne saresti andato via. E per evitare che lo sapessi mi sono chiuso, non ti ho mai reso partecipe di quello che pensavo, speravo di non farti vedere quanto fossi sbagliato, speravo di tenerti vicino. Ma alla fine te ne sei andato lo stesso", sorrise amaro Bakugou. "Volevo solo renderti felice".

Solo in quel momento Bakugou ebbe il coraggio di voltarsi. Ormai non poteva più rimangiarsi quello che aveva detto, il danno ormai era fatto. Deku aveva gli occhi spalancati e pieni di lacrime che ancora non avevano cominciato a scendere, poi scoppiò a ridere di una risata umida.

"Io-", si portò una mano a coprirsi la bocca, allungò l'altra per prendere quella di Katsuki. "Grazie per avermelo detto". Si prese qualche momento, probabilmente per pensare bene a quali dovessero essere le sue parole successive. "Io ti ho perdonato tanto tempo fa, Kacchan. Ma anche credo di aver avuto le mie responsabilità", ammise con un sorriso nostalgico. "Mi sentivo talmente fortunato del fatto che tu finalmente mi vedessi in quel modo che ho accettato qualunque cosa, non ho mai avuto il coraggio di affrontarti direttamente. Ho sempre avuto il timore che tu mi lasciassi, che mi dicessi che ero pesante. Sono stato un codardo. E sono stato un codardo a scappare dall'altra parte del mondo"

"L'avrei fatto anche io"

Deku sorrise, ma il suo sorriso aveva qualcosa di triste.

"Dovrei lasciarti riposare", disse alzandosi dalla sedia di plastica.

Bakugou alzò di scatto lo sguardo verso di lui. Per un attimo fu preso nuovamente dal terrore di vederlo chiudersi la porta alle spalle e sparire nuovamente per otto anni.

"Torno domani", lo rassicurò Deku.

Bakugou fece scattare nuovamente la testa nella direzione opposta, "Come ti pare, nerd"

Bakugou sentì Izuku ridere alle sue spalle. "Cerca di riposare un po'", gli disse.

"Anche tu, hai delle occhiaie terribili".

"Buona serata, Kacchan"

Katsuki sentì un pezzo di sè tornare al proprio posto a quelle parole.


Due giorni dopo Katsuki venne dimesso, Deku era andato a trovarlo tutti i giorni. Nonostante il parere dei medici, decise di tornare a lavoro già il giorno successivo. Gli diedero l'autorizzazione a condizione che non facesse lavoro attivo sul campo. Almeno non si sarebbero accumulate le scartoffie, sospirò tra sè mentre si sedeva alla sua scrivania.

Stava lavorando da un paio d'ore quando sentì qualcuno bussare alla porta del suo studio e pochi attimi dopo affacciarsi la testa di Kirishima.

"Ehi", salutò Bakugou.

Bakugou gli fece cenno di aspettare, firmò le ultime due pratiche e le mise da parte, mentre Kirishima si sedeva alla schiena davanti alla scrivania.

"Come ti senti?", gli chiese.

"Come se respirassi a metà", rispose. "Hai novità?"

"Non molto", tirò fuori dei fascicoli dallo zaino e glieli porse. "Se non hai niente da fare almeno puoi guardarti quelli e vedere se trovi qualcosa"

"Sì", sbuffò Bakugou. "Grazie del pensiero", disse sarcastico.

Kirishima sorrise, poi qualcosa si offuscò nel suo sguardo.

"Mi dispiace"

"Non è colpa tua. Sono stato avventato, avevo avuto una brutta giornata e ho perso la lucidità".

Bakugou aveva imparato da tempo a non colpevolizzarsi, ad accettarsi un po' di più negli anni, a perdonarsi e ad accogliersi, ma non riuscì a non sentire una punta di amarezza a quel pensiero. Almeno era riuscito a salvare tutti i civili in quell'occasione. Scosse la testa per non partire per quella tangente di pensieri.

Cominciò a sfogliare i fascicoli.

"Non c'è niente sulla ragazza qui"

Kirishima inclinò la testa confuso. "No, cosa dovrebbe esserci? Sappiamo che è innocente"

Bakugou continuò a scorrere i resoconti dell'ultimo attacco pensieroso. "Ci sono troppe coincidenze perchè la ragazza non sia coinvolta in qualche modo", osservò. "Credo che dovremmo scavare un po' più a fondo nella sua vita, capire cosa sia successo"

Kirishima annuì, "Ha senso", concordò.

"Posso occuparmene io", continuò Bakugou. "Faccio una chiamata in polizia e mi faccio mandare tutto"

Kirishima annuì ancora. "Devo andare in agenzia adesso", disse alzandosi. "Chiamami se hai novità"

Bakugou annuì, cominciando a mordicchiare il dorso della penna mentre scorreva ancora i fascicoli. Non appena Kirishima fu uscito, Bakugou fece quella chiamata alla centrale, si fece mandare tutti i dati che erano riusciti a raccogliere e cominciò a scorrerli sul tablet.

Alla fine si arrese, prese il telefono e chiamò Izuku. Cominciò a leggergli ad alta voce tutti i dati e le informazioni che aveva ricavato. Aveva più che altro bisogno di parlare ad alta voce, con qualcuno che riuscisse a stargli dietro e a dargli effettivamente spago per andare avanti, e l'unica persona in grado di tenergli da testa da quel punto di vista che avesse mai trovato era sempre stato Deku. Si rese conto, nel momento in cui decise di fare quella chiamata, di quanto gli fosse mancato in quegli anni poter parlare con Deku dei casi, poter discutere insieme e riuscire a trovare la soluzione giusta per ogni situazione.

Deku ascoltò con attenzione, facendo qualche verso ogni tanto per comunicargli che stava ancora ascoltando.

"La ragazza ha detto perchè si è allontanata dalla città due anni fa?"

Bakugou scorse la pagina sul suo tablet. "Ha dichiarato che è stato per motivi di lavoro"

"In quei due anni ci sono stati incendi dolosi in città?"

Bakugou fece una rapida ricerca nei fascicoli, ma non trovò nulla. Provò poi a cercare nei database che la polizia gli aveva messo a disposizione. Scoprì che nel quartiere della ragazza c'erano stati altri piccoli incendi, niente di troppo elaborato però.

Deku, dall'altro capo del telefono, emetteva un mormorio pensieroso.

"Ci sarebbe da chiedere alla ragazza se conosce qualcuno con un quirk di fuoco", disse con un sospiro sconsolato.

Bakugou si alzò di scatto. "Vado a chiederglielo", disse.

Izuku provò ad obiettare qualcosa, ma Katsuki aveva già chiuso la telefonata.


L'unica persona con un quirk di fuoco che la ragazza ricordasse era un suo compagno del liceo, in grado di far apparire fiamme allo schiocco delle dita. Bakugou provò a cercare il nome del ragazzo. Il suo quirk era registrato come di fuoco, non aveva frequentato alcuna scuola per eroi e lavorava in un negozio al dettaglio non lontano da lì.

Bakugou decise di passarci prima di tornare in agenzia.

Percorse a piedi la poca distanza dalla stazione di polizia dove la ragazza era ancora in custodia fino al negozio. Era un piccolo emporio che vendeva un po' di tutto, dall'alimentari alle riviste. Il locale era deserto, salvo per una vecchietta che stava uscendo con la busta della spesa e incrociò Bakugou sulla porta. Non appena il ragazzo lo vide entrare sgranò gli occhi e scappò dalla porta sul retro.

"Piccolo stronzo", borbottò Bakugou, lanciandosi all'inseguimento.

Aveva percorso appena pochi metri e già gli mancava il fiato, i suoi polmoni gridavano, ma non poteva fermarsi, non quando era così vicino a prendere finalmente quello che poteva essere il piromane.

Bakugou riuscì a chiamare qualcuno della sua agenzia mentre correva, ma non poteva fermarsi. Si slaciò in avanti con il suo quirk e riuscì a immobilizzare il ragazzo. Con una mano lo teneva fermo per il collo, con l'altra gli teneva il braccio in leva, in modo che non potesse muoversi in alcun modo, nel mentre cercava di riprendere fiato. Il respiro era pesante e il cuore sembrava stesse per esplodergli nel petto.

"Allora sei tu, stronzo", gli disse con il respiro pesante.

"Voi non capite, voi eroi non potete capire!"

Bakogou strinse di più la presa contro il suo braccio. "Non capiamo cosa si prova ad ammazzare gente? A mettere in pericolo innocenti che vogliono solo godersi il sabato pomeriggio in pace?"

"L'ho fatto per lei! Voleva essere un'eroina, è la persona più buona che abbia mai conosciuto e voi eroi l'avete cacciata via, le avete detto che non aveva le qualità"

"Ma che cazz-?"

"Sapevo che voleva entrare nei volontari, ma non c'erano praticamente mai incendi da spegnere. Lei si merita di salvare qualcuno, si merita di sapere che cosa significhi essere un'eroina e io le ho dato la possibilità di capirlo! Le ho dato l'occasione per brillare! Quando saprà cosa ho fatto per lei ricambierà finalmente i miei sentimenti!"

"Hai ucciso delle persone!"

"Ho provato a farlo senza fare del male a nessuno, ma nessuno ne parlava, nessuno ha dedicato neanche una parola alle persone che hanno spento i fuochi, nessuno gli ha dato importanza. Lei è anche andata via! Dovevo alzare la posta in gioco, doveva capire la sua importanza"

Bakugou avrebbe voluto lasciare la presa e allontanarsi da quel folle il prima possibile. L'uomo aveva cominciato a piangere, commosso dalle sue stesse parole, tirava su con il naso e tra le lacrime continuava a dire cose senza senso.

La polizia e i rinforzi arrivarono fortunatamente poco dopo e lo prese in custodia. Bakugou aveva voglia di lavarsi le mani o farsi una doccia con l'acqua bollente, ma non poteva scappare da lì. Doveva parlare con i giornalisti e rassicurare la popolazione: quella storia era finalmente finita, tutti potevano tirare un sospiro di sollievo finalmente. I ragazzi avrebbero potuto ricominciare a godersi i loro ritrovi in serenità, i cinema della zona sarebbero tornati a riempirsi dopo essersi progressivamente svuotati, i caffè sarebbero tornati ad essere luoghi di ritrovo. Durante l'intervista fu attento a sottolineare il ruolo che aveva avuto Kirishiama e la sua agenzia nello svolgimento dell'operazione: l'arresto era stato suo, ma non sarebbe mai arrivato lì senza il loro aiuto e ci teneva che fosse riconosciuto il loro medico.Si chiese se avrebbe dovuto accennare anche a Deku, ma si ricordò che quello aveva detto di essere ancora in incognito, almeno fino a che non fosse tornato in servizio. Dopo aver parlato con i giornalisti ebbe bisogno dell'intervento dei soccorritori, che dovettero dargli una mascherina con l'ossigeno. Il suo medico non gliela avrebbe fatta passare liscia quella volta, ne era sicuro.


Deku aveva insistito per invitarlo a cena, per festeggiare finalmente l'arresto del Piromane. Aveva scelto un locale piuttosto intimo e riservato e il proprietario li aveva fatti accomodare in un tavolo laterale, riservato. Katsuki aveva paura che la cena sarebbe stata imbarazzante, ma a quanto pare il chiarimento che avevano avuto qualche giorno prima in ospedale gli aveva permesso di cacciar via ogni traccia di imbarazzo. Bakugou aveva talmente tante cose che gli voleva dire che non sapeva da dove cominciare, diversi racconti si sovrapponevano. Si rese conto che, a ogni sua esperienza, era come se fosse mancato un tassello: era come se le esperienze della sua vita fossero accadute davvero solo nel momento in ci le poteva condividere con Deku. Anche Deku non sembrava essere messo molto meglio, mentre continuava a raccontargli quanto fosse diverso il lavoro da eroe oltreoceano e come avesse avuto modo di conoscere nuovi aspetti di All Might lavorando di lì e di recuperare merch esclusiva che non era mai riuscito a farsi arrivare in Giappone. Quegli otto anni senza parlare dovevano essere stati pesanti per lui, quanto lo erano stati per Bakugou, si ritrovò a pensare.

"Ti va di fare una passeggiata?", gli chiese Deku dopo la cena che aveva insistito per pagare.

Bakugou annuì e insieme si ritrovarono a passeggiare per le strade della città. Quando stavano insieme adoravano farlo, erano dei momenti in cui c'era più o meno calma per la città e c'era meno gente che potesse riconoscerli, erano spesso gli unici momenti che avevano per poter stare insieme un po' più liberamente. La serata, nonostante fosse primaverile, era fresca e Bakugou rabbrividì leggermente allo sbalzo di temperatura dall'interno del locale all'esterno.

Mentre camminavano Bakugou allungò la mano e strinse quella di Izuku. Izuku si bloccò nel bel mezzo della strada.

Bakugou strinse più forte, cercando di rassicurarlo. Izuku ricambiò la stretta.

"Non voglio rifare lo stesso errore", disse Bakugou guardando dritto davanti a sè e ricominciando a camminare. "Non voglio lasciarti andare di nuovo senza mettere tutte le carte in tavola"

Izuku si affettò a seguirlo. Ricominciarono a muoversi.

"Hai mai sentito parlare del Kintsukuroi?", chiese improvvisamente Izuku.

Bakugou scosse la testa, voltandosi leggermente verso di lui. Izuku aveva l'espressione persa che aveva ogni volta che poteva tirare fuori la conoscenza, quella dell'entusiasmo interiore che provava ogni volta che si faceva riferimento a qualcosa di aver studiato. Teneva lo sguardo davanti a sè, leggermente verso l'alto, e aveva un mezzo sorriso sulle labbra. Bakugou fu costretto a tirarlo di lato per farli evitare un lampione.

"Letteralmente significa riparare con l'oro", cominciò a spiegare. "E' una antica pratica, si riparava la porcellana rotta con l'oro liquido. La frattura, la rottura, diventa parte del fascino dell'oggetto stesso, è parte integrante della sua storia. Si credeva anche che l'imperfezione rende l'oggetto più bello"

"Che vuoi dire?"

"Voglio dire che forse tutto questo ci è servito. Avevamo bisogno di questi anni per capirci meglio da soli, per poterci riprovare in maniera più consapevole. E poi, sai, l'ho sempre saputo che eri imperfetto e ti ho comunque voluto al mio fianco"

"E lo vuoi ancora?"

Izuku strinse meglio la mano di Bakugou con la sua.



first

Mar. 18th, 2020 06:10 pm
chasing_medea: (Default)
Titolo: first
Fandom: Food Wars!
Missione: M3 - age difference + fanwork nsfw
Parole: 666
Rating: nsfw

C'è qualcosa di inebriante nel sapere che sarà lui a rubare tutte le prime volte di Yukihira. Il primo bacio, le prime carezze, il primo orgasmo raggiunto con mani non sue. Ma Shinomiya vuole spingersi ancora oltre, vuole fargli provare qualcosa di totalmente nuovo, qualcosa che non ha mai potuto sperimentare da solo.
Le sue labbra scendono lungo il corpo di Shinomya, percorrono la linea degli addominali appena accennata e sfiorano la pelle tenera. La lingua si infila nell'ombelico e Yukihira si lascia sfuggire un gemito, che cerca di nascondere coprendosi la bocca con la mano. Shinomiya sente la sua erezione, ancora confinata nei pantaloni, premere contro di lui, già completamente dura dopo quelle poche carezze e sorride. E' così giovane, gli ci vuole così poco per arrivare a quel punto.
Shinomiya scende ancora con le labbra, percorre la sua lunghezza da sopra la stoffa.
"Aspetta", prova a dirgli Yukihira, ma quello che esce sembra un gemito più di ogni altra cosa. Shinomya sostituisce le labbra con la mano e alza la testa per guardare Yukihira.
Ha tirato su la testa anche lui dal cuscino per guardarlo meglio, la linea dei suoi addominali è accentuata dal movimento. Shinomiya lo accarezza delicatamente, Yukihira socchiude gli occhi e si morde il dorso della mano mentre continua a guardarlo, qualunque cosa volesse dire gli si è bloccata in gola.
"Ti fidi di me?", gli chiede Shinomiya.
E Yukihira annuisce senza esitazioni, in un secondo. Shinomiya apre il bottone dei suoi jeans e li abbassa leggermente. Sente Yukihira tirare un sospiro di sollievo.
Lentamente Shinomiya abbassa anche i boxer. Yukihira si distende nuovamente sul materasso e lo lascia fare.
Shinomiya comincia a passare le labbra sulla carne tenera e bollente della sua erezione e il gemito che sfugge dalle labbra di Yukihira è delizioso.
Shinomiya percorre la sua lunghezza con la punta della lingua, Yukihira si irrigidisce solo per un momento prima di lasciarsi andare al piacere, inarca la schiena contro il materasso e Shinomiya sorride. Hanno appena iniziato ed è già in quelle condizioni.
Passerebbe giornate intere a nutrirsi solo dei gemiti di Yukihira. Si è ripromesso di non prenderlo fino a che non fosse stato maggiorenne, ma quando lo sente agitarsi così sotto di lui la tentazione di voltarlo e cominciare a prepararlo è forte. Solo immaginare che suoni potrebbe fare in quel contesto lo spinge quasi troppo vicino al suo limite. Deve esserci qualcosa nella gioventù di Yukihira che ha contagiato anche lui, perchè era dalle sue prime esperienze che non si beava così tanto del dare piacere a qualcun altro. Prima di lui tutti i suoi incontri erano stati egoisti, si era concentrato solo sul suo piacere, nonostante poi lo lasciassero freddo, erano stati poco più di una funzione fisiologica.
Le mani di Yukihira si artigliano alle lenzuola e Shinomiya decide che è arrivato il momento di smettere di stuzzicarlo. Prende delicatamente la punta di Yukihira tra le labbra, ci passa la lingua con attenziona e Yukihira quasi urla, volta la testa di lato e la affonda nel cuscino. Shinomiya lo prende un po' più in bocca, facendo attenzione a come muovere la lingua. Yukihira borbotta parole sconnesse nel cuscino, tiene tutti i muscoli in tensione per cercare di tenere fermo il corpo e Shinomiya conosce la sensazione. Ma Shinomiya non ha pietà, vuole tutto, vuole romperlo e fare in modo che rimanga suo, vuole essere il primo a contaminarlo. Vuole che comunque vadano le cose, Yukihira non possa dimenticarsi che sono state le sue le prime mani che gli hanno fatto provare piacere.
Shinomiya lo prende fino in fondo, sente la punta di Yukihira toccare il fondo della sua gola e lì Yukihira non ce la fa più, fa scattare in alto il bacino.
Comincia a muovere avanti e indietro la testa. Yukihira viene poco dopo. C'è qualcosa di inebriante nel guardare Yukihira che cerca di riprendere fiato, il corpo morbido tra le lenzuola di quella camera d'albergo, è sapere che il merito è suo.

(un)lost

Mar. 18th, 2020 06:13 pm
chasing_medea: (Default)
Titolo: (un)lost
Fandom: Haikyuu
Missione: M4 - storia divisa a metà, due pov + arranged marriage
Parole: 7777
Rating: nsfw
Note: lievi riferimenti a sangue/scene che potrebbero dar fastidio



Hinata uscì sul balconcino, coperto solo da un lenzuolo di morbido cotone bianco, le ali bianche erano raccolte dietro la schiena. Il balconcino si affacciava direttamente sul mare, davanti a lui non vedeva nulla, se non la distesa blu dell’oceano. Sapeva che c’erano altre persone lì oltre a lui, eppure stare lì lo faceva sentire sul tetto del mondo, quasi come se fosse sulla cima di una scogliera senza nulla intorno.
Chiuse gli occhi e, con un sorriso sulle labbra, inspirò a fondo l’aria di mare.
Un paio di braccia si strinse intorno alle sue spalle.
Hinata voltò leggermente la testa. Kageyama, ancora con gli occhi chiusi, lo aveva raggiunto e aveva appoggiato la testa nell’incavo del suo collo.
“Ehi”, gli mormorò.
Kageyama diede un piccolo bacio sul suo collo.
“Che ci fai qui?”, gli chiese con la voce ancora impastata dal sonno, le labbra si muovevano contro la pelle di Hinata.
“Mi piace il mare”
Kageyama annuì, ma non si mosse da lì.
Hinata chiuse nuovamente gli occhi e inclinò la testa verso l’alto, godendosi il calore del sole sul viso e quello del corpo di Kageyama contro la sua schiena.
*

Hinata sperava che quel viaggio non finisse mai. Non aveva la minima idea del perchè suo padre avesse deciso di inviare lui come rappresentate del regno a quello stupido torneo, dal momento che non gli era neanche concesso partecipare. Poteva solamente rimanere lì a guardare i cavalieri combattere e ad applaudire. Per non parlare del fatto che non vedeva Kageyama da anni. Kageyama era sempre stato un po' strano, sempre imbronciato e sempre sule sue. Quando erano entrambi piccoli le visite della sua famiglia al castello erano state piuttosto frequenti, si poteva dire anche che fossero quasi diventati amici, ma a un certo punto si erano interrotte e Shoyo aveva quasi dimenticato la sua esistenza.
Shoyo avrebbe voluto fare due chiacchiere con il valletto che lo stava scortando in quel viaggio, giusto per far passare un po' il tempo, ma quello sembrava volesse far finta di non esistere. Probabilmente era stato istruito di non disturbare il viaggio del pincipe.
Sospirà e tornò a guardare fuori dal finestrino della sua carrozza. Il paesaggio stava gradualmente cambiando: dai fitti boschi di campagna erano arrivati in pianura, ovunque si voltasse vedeva infinite distese verdi, alcune casette in legno distanziate tra di loro. Attraversarono alcuni villaggi di contadini che guardarono con curiosità la carrozza riccamente decorata che stava passando. Si bloccavano nel mezzo della loro attività e rimanevano a guardarla a bocca aperta, sporgendo i colli per cercare di vedere chi si nascondesse al suo interno. Ogni volta Hinata si schiacciava contro il sedile per evitare di essere visto. Lo aveva sempre imbarazzato essere trattato in quel modo, essere guardato in quel modo. Avrebbe semplicemente voluto essere lasciato libero di fare quello che voleva, invece era cresciuto con sempre qualcuno che osservava i suoi movimenti, pronto a lamentarsene con il primo membro della sua famiglia che fosse capitato a tiro.
Il paesaggio cambiò nuovamente. Shoyo era circondato da colline gialle, verdi brillanti o rosse per i fiori di campo risplendevano sotto il sole primaverile. Era molto diverso da quello che aveva sempre visto in montagna, dove era solo roccia e verde.
"Quanto manca ancora?", chiese al valletto seduto di fronte a lui, schiacciato in un angolo della carrozza per non disturbarlo.
"Non molto, mio signore", rispose formalmente.
Shoyo annuì e tornò a guardare fuori.
Fu dopo una collina che lo vide. Improvvisamente, davanti ai suoi occhi, comparve una distesa d'acqua blu cristallina che si allungava a vista d'occhio. Il colore dell'acqua era diverso da quello dei laghi di montagna a cui era abituato ed era agitata da piccole onde che si alzavano per il leggero vento che soffiava quel giorno. Shoyo spalancò gli occhi, appoggiò le mani al finestrino, avrebbe desiderato sporgersi ma le aperture troppo piccole non gli consentivano di farlo.
Quello doveva essere il mare. Ne aveva sentito parlare solamente nei suoi libri, ma non lo aveva mai visto. Fu un colpo di fulmine.
Se per avere quella vista per qualche giorno avrebbe dovuto sopportare un torneo di cavalieri, l'avrebbe fatto volentieri.
Hinata si perse ad osservare il panorama e vide solo all'ultimo momento il castello che cominciava ad apparire in lontananza. Era interamente costituito di bianco, aveva forme squadrate, come grandi blocchi di marmo di forme diverse messi l'uno di fianco all'altro e costruito proprio in cima alla scogliera, a picco sul mare. Era completamente diverso dai castelli in pietra scura che si trovavano nei regni di montagna.
La carrozza continuò a camminare, fino ad attraversare un grande cancello di ferro battuto. Hinata ebbe la prima vista dei giardini, enormi e pieni di fontane, riccamente decorate con statue e i cui zampilli d'acqua creavano effetti ottici particolari. La carrozza si fermò davanti a una grande scalinata anche quella completamente bianca e resa quasi accecante dalla luce del sole. Lì, ad attenderlo, vide Kageyama.
Era completamente diverso da come lo ricordava, l'espressione perennemente imbronciata era stata sostituita da una fiera e fredda. I tratti del viso erano affilati, i vestiti di, un blu scuro, gli cadevano perfettamente addosso, dandogli un'aria elegante e regale. Le grandi ali, nere come i capelli, erano piegate dietro la schiena. Teneva la schiena dritta e una mano appoggiata sull'elsa della spada.
Il valletto aprì la porta della carrozza e Hinata scese, le gambe erano intorpidite dopo tante ore di viaggio e per un attimo ebbe la sensazione che non reggessero il suo peso. Si avvicino titubante a Kageyama e si inchinò formalmente, sorridendogli per cercare di mascherare il suo nervosismo.
"Benvenuto", disse Kageyama. La sua voce era profonda e distaccata, come se non volesse essere lì più di quanto volesse Hinata.
"Grazie dell'invito", rispose Hinata raddizzando la schiena.
"Spero tu abbia fatto un buon viaggio"
"Molto tranquillo. I vostri genitori?"
"Avevano impegni che non hanno potuto rimandare, ma sei atteso per cena"
"Con molto piacere"
"I servitori vi scorteranno nelle vostre stanze"
"Grazie"
Hinata si inchinò ancora una volta, sperando che questo mettesse fine alla conversazione rigida e imbarazzata. Non poteva credere che avrebbe dovuto passare così i prossimi giorni.
Kageyama si inchinò a sua volta, si voltò e entrò nuovamente nel castello.
Dietro Hinata alcuni servitori avevano preso i suoi bagagli e avevano cominciato a portarli su per le scale. Hinata li guardò confusi chiedendosi se dovesse seguirli, ma un altro servitore venne in suo soccorso. Si affiancò a lui e si inchinò.
"Prego, mi segua, mio signore"
Hinata lo seguì all'interno del castello. Anche l'interno era completamente bianco, le poche decorazioni erano di un azzurro brillante. Hinata era talmente preso dall'osservare tutto che quasi andò a sbattere contro il servitore, che aveva seguito meccanicamente fino a quel momento, quando questo si fermò.
"Queste saranno le vostre stanze, all'interno è già stato organizzato tutto per permettervi di darvi una rinfrescata"
Hinata lo ringraziò e entrò in quella che sarebbe stata la sua stanza nei prossimi giorni. La prima cosa che vide fu l'enorme letto a baldacchino con le sue decorazioni azzurre, come tutto il castello. Quando vide la tinozza d'acqua calda tutto il resto passò in secondo piano.
Si chiese distrattamente come avrebbe fatto a ritrovarla, si era perso completamente il percorso.
Rinfrescato dopo il lungo viaggio, Hinata aprì il baule e indossò qualcosa di comodo ma elegante per la cena, sempre nei colori del nero e del rosso, quelli del suo regno. Come sempre, nonostante cominciasse a far caldo, indossò un mantello leggero per coprire le ali. Quando un servitore venne a chiamarlo per cena, Hinata era pronto.
Venne scortato attraverso i corridoi del castello fino alla sala da pranzo reale. Era un'ambiente ampio e luminoso, le giornate si erano allungate e la luce del tramonto entrava dalle ampie finestre, alcune candele erano state accese nei bracieri, ma ancora non erano strettamente necessarie.
La regina si avvicinò a lui con un largo sorriso e lo strinse in un abbraccio, le sue ali lunghe e sottili si avvolsero intorno al corpo di Hinata. Hinata dovette resistere alla tentazione di aggrapparsi a lei. Si era reso conto solo in quel momento di quanto sentisse la mancanza di un abbraccio materno. Da quando sua padre se ne era andata, non aveva più avuto nessuno che lo stringesse in quel modo. La regina sorrise e lo tenne stretto più a lungo di quanto fosse strettamente necessario, ma Hinata non aveva alcuna intenzione di districarsi dalla stretta.
"Shoyo", gli disse con voce dolce quando si decise a lasciarlo andare. Lo tenne per le spalle e guardò attentamente tutta la sua figura. "Quanto sei cresicuto", gli disse. "Vieni, accomodati. La cena sarà pronta tra poco".
Shoyo si accomodò al tavolo, la regina prese il posto a capotavola, Kageyama era di fronte a lui. Altri due posti erano apparecchiati, Hinata stava per chiedere chi dovesse raggiungerli per cena, quando la porta della sala si aprì nuovamente e HInata vide entrare Oikawa.
Oikawa era il cugino di Kageyama, divenuto un paio d'anni prima re del suo regno, a poca distanza da lì. Anche lui, da piccolo, aveva passato le estati con loro e il suo passatempo preferito era sempre stato far perdere le staffe a Kageyama, cosa anche abbastanza facile nel complesso. Hinata, però, si era sempre trovato bene con lui, nonostante fosse di qualche anno più grande rispetto a loro. Oltre a essere più alto non sembrava cambiato poi molto, anche se le sue ali color cioccolato erano diventate molto più ampie e imponenti, era visibile nonostante le stesse tenendo a riposo. Shoyo si alzò per andarlo a salutare, Oikawa gli sorrise, lo afferrò per il mento e osservò con attenzione i suoi lineamenti, con un sopracciglio alzato.
"Oikawa, lascialo stare", disse una voce dietro di lui.
Hinata voltò lo sguardo e vide Iwaizumi. Anche lui era stato spesso da loro, era il cavaliere
incaricato della scorta di Oikawa sin da quando avevano quindici anni.
"Guarda che bel faccino ha messo su! Ha sempre avuto gli occhioni, ma adesso guardalo. Potrebbe piegare imperi se imparasse a usarli nel modo giusto", commentò invece Oikawa non dando segno di averlo sentito e senza rilasciare il suo mento.
"Oikawa, lascialo stare e vieni a sederti", lo rimproverò bonariamente la regina. Oikawa lo lasciò andare.
"Ti ricordi di Iwa?", gli chiese. "Adesso è diventato re consorte!", annunciò Oikawa.
"Oh, congratulazioni?", disse Hinata incerto su quale dovesse essere la sua reazione a quella notizia.
Iwa non sembrò offendersi, ma neanche dare molta importanza alla cosa. Si limitò a prendere Oikawa e costringerlo quasi a mettersi seduto sulla sedia accanto al cugino. Hinata si sedette nuovamente e vide l'espressione scocciata sul viso di Kageyama.
In quel momento servitori cominciarono a portare piatti ricchi di pietanze fumanti. Solo in quel momento Hinata si rese conto di quanta fame avesse, ringraziò ancora per l'ospitalità e si fiondò sul cibo.
La cena procedette tranquilla, riempita prevalentemente dalle chiacchiere di Oikawa e dalle domande della regina, che voleva sapere come stesse suo padre, come andasse il regno e se quell'albero di ciliegio che amava tanto nei loro giardini fosse ancora vivo. Kageyama rimase in silenzio tutto il tempo, mentre Iwaizumi interveniva occasionalmente, la maggior parte delle volte per convincere Oikawa a darsi una calmata, soprattutto quando le sue domande vero Hinata cominciarono a farsi più impertinenti. Hinata rispose a tutto, sorseggiando vino per cercare di tenere a freno l'imbarazzo. Non sapeva bene come comportarsi davanti a loro. Quando era più piccolo era libero di fare quello che voleva, ma capiva che si aspettavano che ormai avesse le maniere di un principe. Solo che a Hinata le maniere da principe erano sempre state piuttosto strette.
Alla fine della cena, calò un silenzio confortevole sulla tavolata, tutti erano pieni e soddisfatti per la cena.
"Tobio, perchè non accompagni Shoyo a vedere i giardini?", disse improvvisamente la regina.
Kageyama annuì e si alzò dal tavolo, si avvicinò alla sedia di Hinata e gli offrì il braccio per aiutarlo ad alzarsi. Hinata la prese facendosi tutto rosso in viso e lo seguì nei giardini. Li aveva visti solo di passaggio quella mattina, ma di sera facevano tutto un'altro effetto. La notte era calata, e i bracieri sparsi per il giardino illuminavano le fontane in pietra bianca, dando sfumature rossastre sia alla pietra che all'acqua, la luce della luna immergeva tutto nella penombra dei racconti fantastici che il principe adorava leggere.
Kageyama si schiarì la voce mentre passeggiavano, evitava lo sguardo di Hinata anche lui in evidente imbarazzo.
"Allora", disse improvvisamente. "Le stanze sono di tuo gradimento?", chiese tanto per spezzare il silenzio.
"Sì, sono molto belle. Grazie", rispose Hinata più in imbarazzo di lui.
Hinata capiva solo in parte cosa fosse successo. Erano praticamente cresciuti insieme, ma nonostante questo un'aria imbarazzante gravava intorno a loro rendendo ogni tentativo di conversazione pesante. Quando erano piccoli non avevano mai avuto di quei problemi, passavano le loro giornate a discutere, è vero, ma dove erano loro non c'era mai silenzio.
Un brivido attraversò Hinata.
"Hai freddo? Vuoi rientrare?"
Hinata annuì, cominciava a fare freddo, ma non aveva veramente voglia di rientrare. Voleva solo sfuggire in fretta a quella situazione. Kageyama lo scortò fino alle sue stanze.
"Allora buonanotte", gli disse con un piccolo inchino.
"Buonanotte", gli rispose Hinata prima di infilarsi nella sua camera.

L'arena per il torneo era stata allestita poco distante dal palazzo, in una zona libera al di fuori dei cancelli del giardino. Subito dopo colazione Hinata venne scortato fino a una carrozza e da lì venne accompagnato fino all'arena. Lì venne fatto accomodare nel palchetto con la famiglia reale, accanto a lui la regina e dall'altro lato Oikawa, accanto a Oikawa, Iwaizumi sembrava contento quanto Hinata di essere lì e la cosa in parte lo consolò.
Non gli erano mai piaciuti i tornei, non capiva perchè come passatempo avrebbe dovuto starsene lì seduto a guardare cavalieri che combattevano al primo sangue.
Le trombe squillarono, risuonando per tutta l'arena, tra gli applausi fragorosi del popolo che era accorso, il torno iniziò. In ogni round veniva messa in palio un mazzo di fiori, chiunque vincesse il round aveva l'onore di prendere il mazzo e consegnarlo direttamente a Hinata, che era stato scelto come ospite d'onore di quel torneo. Ogni combattente lo consegnava con un piccolo inchino o un cenno di saluto al suo indirizzo. Hinata ogni volta si alzava dal suo posto e prendeva il mazzo di fiori con un sorriso gentile, cercando di nascondere il fatto che non avesse alcuna voglia di stare lì, dopotutto non era colpa dei cavalieri se lui era costretto a quelle formalità.
Il combattimento successivo sarebbe stato l'ultimo di quella prima giornata e a scendere in campo sarebbe stato Kageyama. Era l'unico della famiglia reale a partecipare a quel torneo e da tutti era dato come favorito per la vittoria. A quanto aveva capito Shoyo, era un combattente incredibile. La sua discesa in campo venne accompagnata dal grande entusiasmo del popolo, che si agitò sugli spalti impaziente di vederlo combattere. A Hinata bastò guardarlo per un attimo per rendersi conto di quanto quelle voci non gli rendessero giustizia. Nonostante non ci capisse molto di duelli, Hinata poteva vedere come Kageyama si muovesse con agilità ed eleganza, le grandi ali dispiegate rendevano la sua figura cupa e inquietante, il suo portamento era fluido e sicuro dei movimenti, non c'era nessun tipo di esitazione in quello che faceva. Appariva quasi spietato per quanto era efficiente. Hinata era sicuro che nessuno volesse trovarselo davanti in battaglia. Gli ci vollero meno di cinque minuti per ferire l'avversario al volto e mettere fine al combattimento, era stato l'incontro più veloce della giornata.
Raccolse il mazzo di fiori e si avvicinò al palchetto reale, lo consegnò a Hinata. Il suo viso era contrariato, come se non fosse soddisfatto del combattimento appena disputato. Hinata raccolse il mazzo di fiori con il solito sorriso gentile, ma Kageyama, non appena gli venne tolto il mazzo dalle mani, si allontanò senza neanche un inchino, andandosi ad infilare direttamente nella tenda allestita per lui intorno all'arena.
Hinata non vedeva l'ora di tornare nelle sue stanze, non aveva alcuna voglia di andare al banchetto organizzato per quella sera, ma sapeva di non avere scelta.
Rispetto al giorno prima il castello era molto più affollato, tutti i cavalieri che erano arrivati per partecipare al torneo alloggiavano dentro le mura del castello, i corridoi erano in pieno fermento e tutto fremeva per la preparazione del banchetto della sera.
Hinata riuscì a rientrare nelle sue stanze solamente per poco, giusto il tempo di cambiarsi e scendere nuovamente nella sala da pranzo, completamente diversa da come l'aveva vista la sera precedente. Il grande tavolo dove avevano cenato era stato disposto in fondo alla sala, altri tavoli ugualmente grandi erano stati disposti ai due lati di quello, creando una sorta di forma a ferro di cavallo. I posti erano apparecchiati uno vicino all'altro, sembrava veramente che non potessero starci tutti insieme visto quanto erano grossi alcuni dei cavalieri. Hinata venne fatto accomodare al tavolo centrale, alla sinistra di Kageyama. La sala fu presto totalmente piena del rumore di piatti, posate, risa, urla e battute, che rimbombavano all'interno delle pareti di pietra. Il trambusto era tale che Hinata non riusciva neanche a sentire cosa gli dicesse Oikawa, seduto alla sua sinistra. Si era sempre trovato bene in mezzo al caos, ma lì in mezzo non riusciva a non sentirsi a disagio e non riusciva a capire perchè. Non appena la cena fu terminata chiese alla regina e a Kageyama di scusarlo e uscì dalla sala.
Lasciatosi alle spalle il rumore del banchetto, i corridoi del castello apparivano spettrali per quanto erano silenziosi. L'idea era quella di andare diretto in camera sua, ma passando davanti all'ingresso principale venne raggiunto dalla brezza leggera dell'aria di mare della sera. Senza pensarci troppo uscì dalle porte e cominciò ad esplorare il giardino.
La sera prima non lo aveva potuto vedere quanto avrebbe voluto perchè la presenza di Kageyama lo metteva a disagio, ma quella sera era solo. Si prese il suo tempo per osservare nel dettaglio ogni fontana e ogni decorazione.
Raggiunse l'estremità del giardino, dove una ringhiera di ferro battuto affacciava direttamente sul mare. L'odore di salsedine lo colpì forte, rimase lì e respirò, sentendo la tensione accumulata in quella giornata scivolare via dal suo corpo. Gli succedeva ogni volta che aveva un incarico ufficiale, ogni volta che gli veniva richiesto di comportarsi da principe per un qualunque motivo. Si sentiva come se indossasse un corpetto troppo stretto per lui - non che ne avesse mai indossato uno, aveva solo provato una volta quello di sua madre per curiosità, e ricordava solo quanto si fosse sentito soffocare quei pochi secondi che lo aveva tenuto addosso, come le stecche gli impedissero qualunque movimento e sentisse il petto compresso, come gli mancasse il fiato solo per tenerlo addosso. Era quella la sensazione, quella di essere costretto in vestiti troppo stretti per lui, che gli irrigidivano la postura e gli impedivano di muoversi come avrebbe voluto, come sarebbe stato naturale per lui.
Sentì dei passi avvicinarsi dietro di lui, Hinata non si voltò. Kageyama lo raggiunse.
"E' un bel posto, qui", gli disse Kageyama.
Hinata annuì. "Molto bello. Di giorno, con il mare che si vede, lo deve essere ancora di più"
"Se ti piace tanto potremmo farlo organizzare qui il matrimonio".
Nonostante il buio Hinata potè vedere Kageyama arrossire. Poi ripensò meglio a quello che aveva detto.
"Aspetta. Quale matrimonio"
Kageyama spalancò gli occhi. "Il nostro matrimonio..." disse diventando ancora più rosso. "Noi dovevamo sposarci"
Hinata spalancò gli occhi e si gelò sul posto. "No, no… non è possibile… mio padre mi ha detto solo che dovevo venire per il torneo, non mi ha detto nulla di un matrimonio", disse con la voce che gli tremava.
"Il torneo era per il fidanzamento", spiegò Kageyama, non sapendo come gestire la situazione.
Hinata cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro per il giardino, con gli occhi che gli si riempivano di lacrime. Appoggiò la schiena alla ringhiera e si lasciò scivolare giù, fino a toccare terra, si portò le ginocchia al petto e si prese la testa tra le mani. Le lacrime cominciarono a scendere.
Kageyama si inginocchiò davanti a lui. "Vuoi dire che non ne sapevi nulla?", il tono della sua voce si era addolcito.
Hinata scosse la testa, tenendo gli occhi spalancati e fissi su un punto non meglio identificato del pavimento. Provò a dire qualcosa, ma riuscì solo a boccheggiare. Kageyama si allontanò un momento e tornò con le mani umide e fresche, doveva averle immerse nella fontana. Cominciò a passarle delicatamente sul viso di Hinata.
HInata lo lasciò fare, mentre le sue lacrime si tramutavano in singhiozzi che scuotevano tutto il corpo. Suo padre lo aveva mandato lì senza dirgli nulla, suo padre lo aveva mandato lì per sbarazzarsi di lui. Hinata non riusciva a togliersi di mente quel pensiero. Non voleva rimanere lì, non voleva sposarsi, ma non voleva neanche tornare a casa, con il timore di essere rispedito via. Sapeva di non essere tagliato per fare il principe, tanto meno il re, ma non credeva che suo padre sarebbe mai arrivato a tanto.
Kageyama fece un cenno a una delle guardie che pattugliavano il giardino e gli disse di mandare a chiedere dell'acqua. Dopo poco arrivò un servitore con una caraffa e un calice, li lasciò lì e si mise in disparte. Kageyama riempì il boccale e aiutò Hinata a bere, assicurandosi che lo facesse a piccoli sorsi. Hinata non aveva ancora detto una parola, ma a poco a poco il suo respiro sembrò regolarizzarsi.
"Mi manderai a casa adesso?", chiese Hinata all'improvviso. Alzò la testa, aveva gli occhi sbarrati. "Non voglio tornare a casa".
"Certo che no", gli rispose Kageyama. "Intanto è meglio che torni in camera".
Kageyama lo prese per un braccio e lo aiutà ad alzarsi. Le gambe di Hinata non sembravano molto stabili. Kageyama lo sostenne per tutto il tragitto, fino alle sue stanze.
"Ce la fai?", gli chiese quando furono sulla porta.
Hinata annuì, con il respiro ancora franto.
"Cerca di riposare", gli disse Kageyama con voce rassicurante, era la prima volta che Hinata lo sentiva così. "Domani cercheremo di capire cosa fare"
Hinata annuì e aprì la porta delle sue stanze.
"Shoyo", lo richiamò Kageyama. Era la prima volta che lo chiamava per nome, si rese conto. "C'è qualcosa di cui hai bisogno?"
Hinata sorrise per il pensiero.
"Nulla che possiate fare"
"Mettimi alla prova"
"C'era questo cavaliere alla corte di mio padre. Sawamura Daichi. E' stato esiliato poco dopo la morte di mia madre. Non ho idea di che fine abbia fatto, ma vorrei veramente parlargli in questo momento".
Il suo sorriso si fece triste, ma la sicurezza sul volto di Kageyama non vacillò neanche per un secondo.
Annuì e si allontanò da lì. Hinata entrò nella sua stanza e si sedette sul bordo del letto, ancora troppo sconvolto per fare qualcosa.

Kageyama percorse i corridoi silenziosi del castello fino a raggiungere la camera della madre. La donna si era tolta gli abiti eleganti che aveva indossato per il banchetto e aveva indossato qualcosa di più comodo.
"Tobio, tutto bene?", gli chiese non appena lo vide fare capolino alla porta della sua stanza.
Kageyama si sedette al tavolo delle sue stanze e cominciò a spiegare alla madre quello che aveva scoperto. La madre annuì pensierosa e si sedette accanto a lui.
"Non possiamo annullare il matrimonio", disse alla fine. "Troppi regni hanno stretto accordi con noi in virtù proprio di questo matrimonio, vorrebbe dire ricominciare tutto da zero. Non posso pensare che quel tizio lo abbia mandato qui senza dirgli nulla"
"Perchè non lo sapeva?", chiese Tobio.
"Con sua madre avevamo deciso di dirvelo quando sareste stati abbastanza grandi per comprendere, ma sua madre è venuta a mancare. Pensavo che il padre glielo avesse detto, non che lo avesse spedito via così"
Kageyama annuì. "Non possiamo rimandarlo a casa", disse deciso. "Lo rifarebbe"
"Lo so. Domani ci inventeremo qualcosa".
Sua madre si alzò dalla sedia, gli lasciò un bacio sulla fronte e così lo congedò.
Tobio si alzò da lì e si diresse verso la sua camera. Sapeva già che quella notte non sarebbe riuscito a prendere sonno.
La mattina dopo, a colazione, non appena sua madre vide Hinata lo strinse forte. Aveva le occhiaie profonde di chi non aveva chiuso occhio tutta la notte.
"Mi dispiace tanto, tesoro. Pensavo lo sapessi"
Hinata la strinse per un secondo, poi si sciolse dall'abbraccio e si sedette al tavolo. Toccò il cibo a malapena. Passò tutto il tempo a giocare con il cibo nel piatto, portando pochissimi bocconi alla bocca. Kageyama aspettò che avesse finito prima di proporgli di andare a fare un passeggiata nei giardini, sperando che la vista del mare lo ritirasse un po' su. Sembrava gli piacesse in modo particolare e Kageyama poteva capirlo: era vero che era cresciuto lì, ma questo non significava che non si rendesse conto della bellezza che si trovava davanti.
Hinata, alla domanda, alzò per la prima volta gli occhi dal tavolo.
"Non devi prepararti per il torneo?"
"Ho ancora tempo. Andiamo?"
Hinata annuì titubante e lo seguì nei giardini. Prima di accompagnarlo alla terrazza della sera precedente, Kageyama passò per le stalle per vedere se il suo cavallo fosse pronto per il torneo. Gli occhi di Hinata si illuminarono. Era il primo sprazzo dell'Hinata che aveva conosciuto da ragazzino che Kageyama vedeva da quando era arrivato al palazzo. Vide Hinata avvicinarsi timidamente ai cavalli. Lo stalliere gli fece un piccolo cenno di assenso e Hinata cominciò ad accarezzarne uno, sorridendo mentre lo faceva e sussurrandogli qualcosa che Kageyama, dal box del suo cavallo, non riusciva a sentire.
Accertatosi che fosse tutto okay, Kageyama raggiunse Hinata in silenzio e lo affiancò.
"Puoi sceglierne uno, se vuoi. Sarà il tuo cavallo"
"Davvero posso?", chiese Hinata con gli occhi che brillavano spalancati e puntati direttamente in quelli di Kageyama, che a stento trattenne l’istinto di fare un passo indietro e di arrossire.
Kageyama annuì.
Hinata abbassò lo sguardo. "Non hai paura che scappi?"
"E dove potresti andare?"
Gli occhi di Hinata si fecero improvvisamente tristi e Kageyama si maledisse. Non era quello che intendeva, ma non aveva la minima idea di come fare a correggere il tiro.
"Non ho intenzione di farlo, per la cronaca. Hai ragione. Non ho dove andare" ammise. Cominciò a camminare avanti e indietro nelle stalle, osservando i cavalli a uno a uno. "Il matrimonio si farà", aggiunse Hinata deciso. "Non sono uno sprovveduto, so come funzionano queste cose". Si prese un momento per guardare i cavalli. "Capisco che è necessario", aggiunse a voce più bassa. "Ed è probabilmente l'unica cosa che posso fare per servire il mio regno".
Kageyama non sapeva che ribattere. Non ci aveva mai riflettuto molto sull'idea del matrimonio combinato in generale, sapeva che era così che dovevano andare le cose, ma pensare che fosse tuto diverso e sentirselo piombare sulle spalle da un momento all'altro non doveva essere facile. Lui era solo contento che gli fosse capitato qualcuno come Hinata, ma se sposarlo avesse significato spegnerlo avrebbe preferito non farlo affatto.
Hinata si avvicinò a un cavallo con gli occhi scuri e il manto talmente scuro da avere riflessi blu.
"Mi piace questo", disse.
"Quello è pericoloso", avvertì Kageyama, ma Hinata aveva preso la sua decisione.
Si avvicinò piano e allungò la mano cercando di non sembrare minaccioso. Sorrise al cavallo, come se il cavallo potesse notare la differenza. Rimase a distanza di sicurezza fermo.
Kageyama osservava la scena poco distante.
Il cavallo fissava Hinata fermo nella sua posizione, mosse un passo nella sua direzione.
Kageyama fece un passo in avanti, pronto a tirare via l’idiota se la situazione si fosse fatta pericolosa, aveva tutti i sensi all’erta.
Ma il cavallo si avvicinò e poggiò il muso sotto la mano di Hinata e si lasciò accarezzare. Hinata fece un passo in avanti, e abbracciò il muso del cavallo continuando ad accarezzarlo.
"Guarda, Kageyama, gli piaccio", disse con quel solito stupido sorriso.
"Sai cavalcare?" gli chiese Kageyama.
Hinata annuì, con negli occhi qualcosa che somigliava a nostalgia. "Andavo sempre con mia madre", rispose. "Ma sono anni che non vado più"
"Come mai?"
Hinata si irrigidì per un secondo. "Mio padre", disse alla fine, "Sostiene che non è decoroso per un principe andare in giro a cavallo, dice che dovrebbe girare in carrozza. Dimostrare il proprio status", abbassò lo sguardo.
"Non ha torto"
"No, ma non sono bravo a fare le cose da principe". Hinata continuò ad accarezzare il muso del cavallo, ma il suo sguardo era perso. "Certe volte vorrei solo avere la libertà di prendere il mio cavallo e scappare nei boschi".
Kageyama capì in quel momento cosa ci fosse di sbagliato in tutta quella visita. Ogni volta che aveva visto Hinata avevano fatto di tutto, tranne comportarsi come i principi che erano. Li avevano lasciati fare perchè erano piccoli, perchè erano poco più che bambini, ma non lo erano più e tutti si aspettavano che si comportassero da principi adesso. E Kageyama si era sforzato con tutto sè stesso per farlo, aveva messo da parte tutto quello che era per apparire dignitoso, pienamente a proprio agio nel suo ruolo, per apparire un compagno desiderabile agli occhi di Hinata. E Hinata aveva fatto la stessa cosa, aveva fatto di tutto per comprotarsi in maniera adeguata, ma quel comportarsi in maniera adeguata lo spegneva dentro, lo snaturava.
A Kageyama venne da ridere al pensiero di quanto fossero stati idioti entrambi.
"Monta a cavallo", disse. "Andiamo a farci un giro"
Hinata spalancò gli occhi. "Cosa? Ma il torneo?"
"Non c'è nessun avversario particolare, posso vincerlo a occhi chiusi"
Hinata lo guardò stranito, come se non sapesse se scoppiare a ridere o alzare gli occhi al cielo.
Kageyama anche montò a cavallo e insieme partirono verso il bosco poco distante dal castello. Quel giorno il torneo si sarebbe disputato senza l'ospite d'onore.
Tornarono al castello che era quasi notte ormai. Il torneo era terminato da un pezzo e la madre di Kageyama non sembrava minimamente turbata dalla scappatella di quel giorno. Si era messa a ridere quando Kageyama gli aveva detto che cosa aveva fatto solo perchè Hinata sembrava triste. Kageyama era arrossito davanti alla risata della madre, senza capire bene perchè si sentisse così in imbarazzo o che cosa sua madre ci trovasse di tanto divertente.
"Siete sempre stati così", disse sua madre quando si fu calmata. "Shoyo faceva gli occhioni e tu avresti fatto qualunque cosa".
Kageyama divenne ancora più rosso.
"Sei fortunato che è buono e che non se ne rende conto, sarebbe in grado di farti dichiarare guerra a qualcuno", continuò la madre.
Kageyama borbottò qualcosa e si allontanò da lì. Si sentiva ancora le guance in fiamme, ma l'aria fresca che entrava nei corridoi dalle grosse finestre aperte gli diede un po' di sollievo.
Camminando per i corridoi sentì dei rumori strani, sembrava il lamento di qualcuno. Tese l'orecchio e accelerò il passo, cercando di individuare la fonte dei rumori. Più si avvicinava più sembrava il pianto di qualcuno in difficoltà. Si ritrovò nel corridoio del secondo piano, continuò a sentire i rumori. Arrivò davanti alla camera di Hinata. Il suono si era fatto più forte. Appoggiò l'orecchio alla porta e non ci furono più dubbi. Hinata aveva qualcosa che non andava. Tirò fuori dallo stivale il pugnale piccolo, quello che portava sempre con sè anche quando era apparentemente disarmato nel comfort del suo palazzo, e spalancò di scatto la porta.
Hinata era in un angolo della stanza, di fronte al grande specchio d'oro nell'angolo, era senza maglietta e dava le spalle allo specchio. Il suo viso era rigato dalle lacrime, c'era sangue sulle sue mani. Si immobilizzò sul posto e guardò Kageyama con gli occhi sbarrati. Kageyama era sotto shock quanto lui.
Si guardò intorno per la stanza e fu allora che le vide: sparse intorno ai piedi di Hinata c'erano delle piume, candide come la neve e macchiate di sangue. Kageyama alzò nuovamente lo sguardo su Hinata, ma stavolta guardò dietro di lui, guardò nello specchio e vide per la prima volta le sue ali.
L'osso dell'ala era nudo, poche piume bianche restavano attaccate, le altre sembravano essere state staccate ad una ad una con le mani. Kageyama sentì un fremito alle sue stesse ali al pensiero di quanto potesse essere dolorosa una cosa del genere.
Hinata sembrò riscuotersi, avanzò verso di lui e fece per spingerlo via, ma Kageyama lo afferrò per i polsi e se lo strinse addosso, lasciando che Hinata nascondesse la testa nel suo petto. I singhiozzi ripresero, ma erano diversi stavolta, non piangeva più per il dolore fisico.
Kageyama avrebbe voluto fare centinaia di domande, ma non era sicuro di come cominciare, non era sicuro che fosse il suo ruolo quello di fare domande. Quando Hinata sembrò essersi calmato, Kageyama si allontanò da lui, recuperò il suo mantello, quello che usava sempre per tenere coperte le ali, e lo coprì.
Strinse un braccio intorno alle spalle di Hinata e cominciò a camminare.
"Dove andiamo?", chiese Hinata con voce roca, lasciandosi guidare docilmente.
"Dal medico di corte"
"Non ho bisogno di un medico"
"Deve far male"
Hinata non rispose.
Camminarono per i corridoi fino a raggiungere lo studio del medico. Il medico li fece accomodare, fece sedere Hinata su un tavolo e sbiancò quando Kageyama tolse il mantello per mostrargli la situazione. Si scusò e si rinchiuse nel suo stanzino alla ricerca di qualcosa in particolare. Tra Hinata e Kageyama calò in silenzio pesante. Kageyama, imbarazzato, faceva vagare lo sguardo in giro per la stanza del medico, cominciò a contare i barattolini con strane polveri esposti sulla mensola.
Fu Hinata a romperlo.
"E' tutta colpa di queste stupide ali", disse.
Kageyama riportò lo sguardo su di lui.
"Mio padre le ha sempre odiate. Me le ha sempre fatte nascondere", continuò Hinata tenendo lo sguardo basso. "E' sempre stato convinto che un corvo bianco non potesse essere re. E' per questo che mi ha mandato via non appena ne ha avuto la possibilità"
"Allora è più idiota di quanto credessi", sentenziò Kageyama.
Hinata alzò di scatto la testa, con gli occhi spalancati. Una piuma si staccò dalla sua ala e cadde ai piedi di Kageyama, che si inchinò per raccoglierla. Ci fece scorrere il dito. Era morbida al tatto.
"Devono essere bellissime", disse tenendo lo sguardo fisso sulla piuma. Pensò a come potesse essere far scorrere la mano sull'intero piumaggio di Hinata.
Il medico tornò poco dopo con un unguento e un infuso caldo. Disse a Hinata di bere l'infuso per far diminuire il dolore, intanto cominciò a spargere l'unguento sulle ali. Hinata rabbrividì per il dolore. Kageyama si avvicinò a lui e gli prese le mani tra le sue, per evitare che si rovesciasse l'infuso caldo addosso. Hinata alzò lo sguardo verso di lui.
Rimasero bloccati così per qualche attimo. Fu la voce del medico a interromperle il momento.
Kageyama si allontanò di scatto, coprì nuovamente le ali d Hinata e lo scortò nuovamente in camera. Senza chiedere il permesso entrò con lui e quando Hinata si sedette sul bordo del letto si sedette accanto a lui.
"Perchè lo hai fatto?"
Hinata abbassò la testa, cominciò a giocare nervosamente con le mani, tenendole talmente strette tra di loro da far diventare le nocche bianche. "Ho pensato che se le avessi viste non avresti più voluto sposarmi e non avrei avuto un posto dove andare"
Kageyama si sentì come se l'avesse appena colpito una coltellata. Non sapeva se dargli una botta in testa per dirgli quanto era stato stupido o stringerlo per dirgli che non l'avrebbe mai mandato via per una cosa del genere. Allungò la mano verso quelle di Hinata, lo convinse a rilasciare la stretta e intrecciò le sue dita a quelle di Hinata ora libere. La sua mano era piccola rispetto a quella più grande di Kageyama. Kageyama fece passare il pollice sul dorso della mano di Hinata. Notò che era ancora macchiata di sangue. Si alzò dal letto e prese il catino con l'acqua. Si sedette nuovamente accanto a Hinata e cominciò a pulirgli delicatamente la mano con una pezza. Lasciò un piccolo bacio sul dorso della sua mano quando ebbe finito.

Il torneo, alla fine, non lo vinse Kageyama, che dopo la scappatella della seconda giornata non era più potuto rientrare in gioco. Guardò il resto del torneo seduto accanto a Hinata, sul palchetto della famiglia reale. In compenso, adesso Hinata aveva capito perchè gli venissero riservati tutti quegli onori. Hinata teneva ancora le ali coperte quando era in pubblico, ma alcune piume avevano già cominciato a ricrescere. Kageyama non vedeva l'ora di vederle complete. Hinata, in quei pochi giorni, era sembrato a poco a poco rasserenarsi, stava cominciando a somigliare sempre di più al ragazzino che si metteva sempre nei guai che Kageyama ricordava. A vederlo così un peso si era sollevato dal petto di Kageyama, all'idea che potesse stare bene lì e potesse adattarsi. Quella sera era stato il loro punto di partenza.
Kageyama aveva anche deciso di rimandare il matrimonio. Se doveva sposare Hinata, lo voleva fare con tutte le sue ali bianche in bella mostra.
"E poi andremo a trovare tuo padre. Entrerai in città a cavallo con le ali in bella mostra", disse Kageyama con la testa appoggiata sul grembo di Hinata.
Hinata rise e tirò indietro la testa.
Erano seduti in un lato un po' più nascosto del giardino, si stavano godendo il sole estivo che faceva risaltare ancora di più il bianco del castello e che faceva profumare il giardino.
Kageyama si perse a guardarlo. Il suo viso si era disteso in quel periodo che aveva passato al castello. Forse l'essere accettato, forse lo stare lontano da suo padre. Kageyama aveva anche cominciato a coinvolgerlo nelle decisioni che riguardavano il regno. Hinata inizialmente era stato restio, fino a che Tobio non gli aveva spiegato che, se doveva essere il suo consorte, lo voleva come alleato anche in quel frangente: non se ne faceva nulla di un consorte che lo fosse solo di facciata e che non prendesse parte minimamente alle decisioni del regno. Quello sarebbe diventato anche il suo regno dopotutto. Hinata alla fine aveva ceduto e aveva cominciato ad aiutarlo. Era buono e compassionevole, Hinata, ma sapeva anche essere deciso. Addolciva i lati più duri di Kageyama, in quei pochi mesi era arrivato a capirlo come nessuno prima. O forse veramente Kageyama si era addolcito a stare con lui.
Almeno questo era quello che sosteneva Oikawa. Lo aveva preso da parte un giorno per dirgli quanto fosse cambiato da quando Hinata era arrivato. Kageyama aveva negato, ma da quel giorno le sue parole avevano continuato a ronzargli in testa. Aveva notato come anche le guardie avessero smesso di irrigidirsi quando passava e sembrassero in generale più cordiali nei suoi confronti. Eppure lui non si sentiva molto cambiato.
Hinata abbassò lo sguardo e vide che Kageama lo stava fissando.
"Ho qualcosa sulla faccia?", chiese preoccupato.
Kageyama, senza pensare bene a quello che stava facendo, allungò un braccio e mise una mano dietro la nuca di Hinata, se lo tirò contro e lo baciò.
Hinata rimase immobilizzato per un secondo, Kageyama si bloccò appresso a lui, preoccupato di aver fatto un casino, ma Hinata ricercò subito le sue labbra.
"Idiota", disse poi allontanandosi e raddrizzando nuovamente la schiena. "Non puoi prendere e fare così all'improvviso".
"Così come?"
"Così", ripetè gesticolando l'intera figura di Kageyama.
"Non ho capito", disse Kageyama, ma scuoteva la testa mentre lo diceva.
Hinata sbuffò esasperato, ma stava sorridendo anche lui. Si piegò nuovamente e rubò un altro bacio a Kageyama.

Per il matrimonio venne allestito il giardino, quel posto che tanto aveva affascinato Hinata. Dalla ringhiera si poteva vedere il mare che risplendeva sotto la luce estiva. Un grande gazebo era stato disposto sull'erba per riparare gli ospiti e gli sposi dal sole cocente. Kageyama camminava nervosamente avanti e indietro per la sua stanza, ancora insicuro che quella fosse la scelta giusta per il regno e per sè, ma Hinata sembrava completarlo e capirlo come nessuno era mai stato in grado di fare. Kageyama poteva andare da lui, dirgli che quel giorno non se la sentiva di fare il suo dovere e Hinata sarebbe scappato con lui in capo al mondo o sarebbe stato in grado di farlo tornare a fare il suo lavoro senza esitazione, perfettamente in grado di leggere la situazione.
Kageyama sentì bussare alla porta della propria camera. Entrò un ragazzo con i capelli grigi, un sorriso dolce e grandi ali bianche che somigliavano a quelle di un cigno.
"Suga!", disse Kageyama non appena lo vide. "Pensavo non riuscissi a venire"
Sugawara sorrise. "Non mi sarei mai perso il tuo matrimonio"
Sugawara era un orfano, era stato cresciuto alla corte. Aveva un paio d'anni più di Kageyama ma erano cresciuti insieme come fratelli. Kageyama si era rattristato al pensiero di sposarsi senza di lui, ma ce l'aveva fatta a venire. Sugawara si occupava di incarichi diplomatici per conto del regno e passava veramente poco tempo al castello.
Suga si avvicinò a lui e lo aiutò a sistemarsi il vestito.
"Non mi chiedi se sono sicuro?", gli chiese Kageyama, che si aspettava che Suga gli facesse tutte le sue raccomandazioni.
"Lo so che lo sei", gli sorrise Suga. "L'hai scelto che eri appena un bambino"
Kageyama lo guardò alzando un sopracciglio.
"Mi ricordo com'eri quando eri con lui", riprese Suga. "Eri... felice? Non so. So solo che sembravi un bambino vero. Non credo avresti mai permesso a nessun altro di chiamarti idiota senza ripercussioni"
Kageyama distolse lo sguardo imbarazzato. Ricordava quello che gli aveva detto sua madre e non era molto diverso. Si chiese se veramente fosse stato così da bambino, ma l'unica cosa che riusciva a ricordare di quelle trasferte erano i guai in cui si andava a cacciare per seguire Hinata.
Suga lo scortò in giardino, dove fu raggiunto da Hinata. Accanto a lui vide un ragazzo più grande di loro di qualche anno, aveva corti capelli neri e spalle larghe, le ali erano nerissime e non particolarmente grandi. Doveva essere il cavaliere di cui Hinata gli aveva parlato. Aveva mandato alcuni soldati a cercarlo, era contento che lo avessero trovato e che HInata non fosse completamente solo lì. Accanto a lui sentì Sugawara irrigidirsi nel guardare il nuovo arrivato. Era rimasto bloccato sul posto, con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta. Hinata si voltò verso di loro e il suo sguardo si bloccò su Sugawara. Sulle sue ali bianche come le sue. Quando anche lo straniero alzò lo sguardo e incontrò quello di Suga ebbe la stessa reazione.
"Lo conosci?", chiese Kageyama a Sugawara.
"No, ma mi piacerebbe", rispose.
Non si era mai contenuto su quelle cose, a Kageyama venne da ridere e si sentì consolato al pensiero che in fondo non fosse cambiato.
Hinata si avvicina a lui, elegantissimo nei suoi abiti interamente neri che contrastano le sue ali grandi e bianche. Sono ancora più belle di quanto Kageyama avesse potuto immaginare e non riesce ancora a credere di aver rischiato di non vederle, che Hinata era arrivato a odiarle al punto di distriuggerle pur di non subire ancora un altro rifiuto. Al solo pensiero stringe i pugni e vorrebbe riversare l'intera sua furia contro il padre di Hinata.
Hinata lo guarda inclinando la testa di lato.
"Perchè sei arrabiato?"
"Non sono arrabiato"
"Sì che lo sei"
"Non lo sono"
"Non so se ti voglio sposare mentre sei arrabbiato"
"Ti ho detto che non lo sono!"
Ma Hinata ride e Kageyama sente qualcosa sciogliersi in lui, come accade ogni volta.
"Andiamo, brontolo! Aspettano solo noi"
Kageyama annuisce e lo segue, prendono i loro posti all'altare. Accanto a Kageyama c'è Sugawara, Daichi è accanto a Hinata.
La cerimonia è breve e concisa, il banchetto che ne segue non lo è.
Kageyama vorrebbe solo andare a rifugiarsi nella sua nuova stanza con quello che è adesso suo marito, prendersi quell'ultimo frammento di lui che ancora non si è preso perchè, testardo, almeno su quello aveva voluto rispettare le tradizioni. Hanno fatto di tutto, ma non hanno mai fatto sesso. Anche perchè Kageyama aveva avuto paura che Hinata, rendendosi conto di quanto mancasse di esperienza, decidesse che non valeva la pena sposarlo.
Quando finalmente il banchetto arriva alla fine, Kageyama quasi corre in camera con Shoyo al seguito. Sua madre ha lasciato che scegliesse lui quale dovesse essere la loro camera, e Kageyama ne ha scelta una al secondo piano, con un piccolo balconcino davanti che affaccia direttamente sul mare. La finestra è stata lasciata aperta per far entrare la brezza marina e Hinata si blocca un attimo a guardare la luce della luna che si riflette sull'acqua calma del mare di notte.
"Ho pensato potesse piacerti svegliarti e vedere il mare", gli dice Kageyama accanto a lui.
Hinata si volta, attacca le braccia al suo collo e lo bacia con trasporto e Kageyama lo sente quanto quel piccolo gesto sia apprezzato. Stringe le braccia intorno alla vita di Hinata e se lo tira più vicino, quanto più può. I baci di Hinata si fanno famelici, si approfondiscono. Kageyama comincia ad irrigidirsi nel contatto. Si è detto di stare calmo, si è detto che avrebbe saputo cosa fare, ma in quel momento ha dimenticato tutto, sa solo che vuole Hinata e vuole fare tutto nel modo migliore possibile, nel modo giusto. Non vuole sbagliare niente. Vuole che quella notte sia perfetta per Hinata quanto lo è già per lui.
Hinata lo sentì irrigidirsi e si allontana.
"Tutto bene?", gli chiede apprensivo. "Ho fatto qualcosa che non va"
Kageyama scuote la testa, appoggia la fronte a quella di Hinata e cerca di trovare le parole giuste per spiegargli come si senta in quel momento, ma come al solito Hinata lo legge.
"Nervoso?", gli chiede con un sorriso gentile.
E Kageyama annuisce, non sapendo bene che altro dire. Hinata gli sorride ancora, lo prende per mano e lo porta fino al letto. Lo fa sedere, gli fa distendere le gambe e appoggiare la schiena all'inferriata decorata. Si mette sopra di lui, con le gambe ai due lati del bacino di Kageyama e Kageyama si rende conto di quanto gli piaccia averlo così, sentirlo sopra di lui, in quel momento era lui ad avere il pieno controllo. Gli passa le mani sulla schiena.
"Non preoccuparti", gli dice HInata. Gli mette la mani tra i capelli, gli fa reclinare la testa indietro e lo bacia. "Per stavolta mi prenderò io cura di te".
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Titolo: Non nobis solum nati sumus
Fandom: bnha
Missione: M5 - latino
Parole: 444
Rating: safe

"Non dovresti continuare a gettarti così nella mischia", lo rimprovera Kirishima mentre gli disinfetta la ferita sulla guancia.
Bakugou si limita a far schioccare la lingua sul palato. Non ha alcuna voglia di rispondere: c'era una situazione di pericolo e lui ha salvato i civili, non capisce perchè Kirishima senta il bisogno di fargli la ramanzina tutte le volte.
"Se non vuoi farlo per te, almeno fallo per il tuo soulmate. Chiunque sia si trova ogni giorno pieno di ferite senza sapere neanche che cosa abbia fatto per meritarselo. Sono anni che lo massacri! Quando finalmente lo incontrerai non vorrà avere nulla che fare con te. Quella del soulmate era un'altra battaglia persa con Kirishima.
"Non mi interessa", rispose secco Bakugou.
Bakugou aveva sempre odiato quel concetto, l'idea che non non si fosse nati solo per sè stessi ma che qualcun altro dipendesse da loro, mentre Kirishima l'aveva sempre trovata un'idea romantica e aveva sempre rimproverato Bakugou che non aveva fatto nulla per cercare il suo soulmate. Non era interessato a quelle cose, voleva solo continuare a fare in pace il suo lavoro da hero.
Kirishima sospirò e terminò la medicazione. Si alzò in piedi e gli disse di andarsene a casa per quel giorno. Il turno di Bakugou era finito da almeno un paio d'ore e non aveva la minima voglia di restare lì a compilare le scartoffie necessarie. Potevano aspettare fino all'indomani.
Bakugou annuì, recuperò le sue cose e uscì dalla sede dell'agenzia. Ancora non era riuscito ad aprire la sua di agenzia, ma c'era vicino ormai, sapeva che non doveva mancare molto.
E' mentre torna a casa che una nuova emergenza capita e Bakugou non può ignorarla. Un rapinatore entra in un locale e lui, senza pensarci due volte, gli fa appresso e lo ferma. Prima di essere immobilizzato, quello riesce a colpirlo al costato e a mozzargli il respiro. Qualcun altro, in quel locale ha la stessa reazione di dolore che ha Bakugou.
Bakugou alza lo sguardo e incontra i grandi occhi verdi di quel ragazzo, con il viso rotondo e pieno di lentiggini.
Quello gli sorride.
"Adesso ha senso", gli dice. "Sono contento che i lividi siano per una buona causa"
E Bakugou non può non sorridere. Se veramente era come diceva Kirishima, se veramente il soulmate è la persona che si incastra perfettamente, il suo non poteva non vederla come lui, non poteva non condividere il suo impegno. Ma qualcosa scatta in lui. Se può fare in modo che quel sorriso rimanga sul suo viso, se può fare in modo che lui soffra di meno, vale la pena prendersi un po' più cura di sè stesso, in fondo.

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